Martin Lutero - Supplemento al n. 3 de La Voce

05 La riforma economico-sociale

Comunicato
giovedì 16 maggio 2002.
 

[I commenti e i chiarimenti aggiunti dal curatore nel testo sono tra parentesi quadre. La titolazione, i corsivi, i neretti e le note sono del curatore.]

 

[5. La riforma economico-sociale]

Le deleghe che l’Esecutivo ha ottenuto dal Parlamento per la riforma degli ammortizzatori sociali e il riordino degli incentivi, sul collocamento e sulla sanità, insieme alla delega più complessiva sulla politica fiscale (sono ben 7 sono le deleghe nel collegato ordinamentale all’ultima finanziaria - 1998 - su investimenti e occupazione), sono gli strumenti per un’opera organica di redistribuzione del reddito a favore del capitale e di riorganizzazione della società in funzione della competizione capitalista e del profitto. Le "politiche attive del lavoro" sono un aggiornamento degli aiuti statali alle imprese nel quadro dell’integrazione europea e della liberalizzazione dei mercati e del movimento dei capitali. Esse impongono allo Stato di svolgere la sua funzione di sostegno economico al capitale, stimolando non più i consumi, ma sostenendo e stimolando in modo selettivo l’accumulazione capitalista.

La finalità ideologica [cioè propagandistica, dichiarata, ufficiale] della "politica attiva del lavoro" è quella di incrementare l’occupazione, drasticamente contrattasi a partire dal programma di Maastricht. Grazie a questa finalità dichiarata [cioè non alla soddisfazione di interessi particolari, ma a una falsa promessa] può essere raccolto il consenso sociale. I tagli degli oneri sociali e di altri costi del capitale sono compensati con tagli e riordinamenti della spesa sociale, in modo tale che le erogazioni

- in parte si riducano ad assistenza per situazioni socialmente marginali e particolarmente svantaggiate, quindi non siano più universali, ma selettive,

- in generale fungano soprattutto da stimolo alla flessibilità interna ed esterna [alle aziende] della forza-lavoro incrementando la competizione tra proletari.

La riforma amministrativa e quella fiscale, nel quadro più generale di una riforma in senso federale a livello costituzionale, sono tasselli di un mosaico di condizioni che la borghesia sta componendo. In esso dovrebbero trovare realizzazione gli obiettivi di fondo di questo progetto. Di questo fa parte anche la riallocazione a livello locale e regionale della gran parte del sistema degli incentivi. [F]

Il complesso di questi passaggi dovrebbe costituire un processo di frammentazione degli interessi particolari e immediati del proletariato per poterli convogliare a una composizione subordinata [ma l’autore ha mostrato che in realtà si tratterà di cancellazione forzata, nonostante le false promesse in contrario], in primo luogo e in generale, agli interessi della BI e anche a quelli delle componenti di capitale concorrenziale e di borghesia locali, situazione per situazione. [BC]

La riforma Dini delle pensioni (1995) ha trasformato il criterio delle pensioni da retributivo a contributivo, ha introdotto il sistema a capitalizzazione e ha aperto la strada alla previdenza integrativa privata: essa prospetta un futuro di povertà ai pensionati dei prossimi decenni. Dopo di essa, il processo di riforma economico-sociale dovrebbe, oltre che accelerare le scadenze della stessa riforma delle pensioni, cancellare istituti come la CIGS e i prepensionamenti.

CIGS e prepensionamenti, assieme alle pensioni di invalidità criminalizzate ad arte negli ultimi anni, costituivano le misure di uno "Stato sociale" povero che negli anni ‘80 aveva sostanzialmente consentito di governare gli effetti delle crisi e delle ristrutturazioni. Ma è risultato che la disoccupazione non è solo un effetto di crisi cicliche: è in realtà un dato strutturale non governabile con questi strumenti tradizionali ed essa genera contraddizioni sociali. I rapporti di forza favorevoli fanno ritenere alla borghesia di poter eliminare quei costi sociali. Di conseguenza la linea che nasce dal progetto centrale della BI prevede la loro sostituzione con l’istituto del "reddito minimo di inserimento". Questo consente di perseguire 1. l’obiettivo specifico di ridurre la spesa sociale anche a fronte di incrementate esigenze sociali e 2. l’obiettivo generale di favorire la competizione tra proletari. La natura e i caratteri di questo istituto in via di definizione, per la limitatezza, transitorietà e discrezionalità [nel testo Internet vi è "proporzionalità", ma deve essere un refuso] dell’erogazione, sono tali da farne una leva per la svendita della forza-lavoro. Essa, affiancata alle misure per la "flessibilità in uscita" cioè per la liberalizzazione dei licenziamenti, svilupperà competizione tra occupati e disoccupati.

L’incentivo a competere tra proletari è dato dal rischio di perdere questo reddito minimo e dal rischio di perdere lo status stesso di disoccupati. Infatti con la riforma in atto del collocamento si cerca di limitare la qualifica di disoccupato a chi cerca attivamente lavoro, partecipa a corsi di formazione, accetta il lavoro che c’è e alle condizioni imposte. Con la riforma organica degli ammortizzatori sociali si vuole affermare la logica "premiale" dell’erogazione di un reddito minimo. Come corrispettivo ad esso, la ricerca del lavoro e l’ottenimento di un reddito sono attribuiti all’iniziativa e alla responsabilità del disoccupato, liberando così lo Stato da qualsiasi altro dovere sociale.

L’erogazione di un reddito minimo è un passaggio necessario da affiancare all’instaurazione della "flessibilità in uscita" ossia della libertà dei padroni di licenziare. I vincoli posti alla discrezionalità del capitale nel disporre della forza lavoro attualmente ruotano attorno al principio che il licenziamento individuale è ammesso solo per giusta causa. Da ciò nascono significativi diritti di risarcimento e di reintegrazione. Formalmente essi sono stati addirittura estesi nel 1990, con la legge 108, alle piccole imprese [con meno di 15 dipendenti]. Lo scardinamento di questi vincoli diventa urgente ora che l’UE ha condannato i contratti di formazione-lavoro come una forma di sostegno mascherato alle imprese e quindi di concorrenza sleale: perciò vengono a diminuire i margini per aggirare quei vincoli con contratti a tempo determinato. Un’altra misura è la formazione obbligatoria fino ai 18 anni: essa, assieme alla ridefinizione dello status di disoccupazione, realizzerà il risultato di diminuire il tasso percentuale di disoccupazione, certo non sul piano sostanziale ma solo sul piano statistico. Un’altra misura è la generalizzazione della figura dell’apprendistato anche al di fuori dell’ambito artigianale nel quale esso aveva una qualche motivazione funzionale: essa ha lo scopo di istituire, senza chiamarlo con il suo nome, il salario d’ingresso che viene a sancire, come istituto di valenza generale, la pratica diffusissima negli ultimi anni di prevedere questa forma di salario a livello di contratti aziendali. Tutte queste misure sono altrettanti tasselli che raccolgono, sistematizzano, rilanciano trasformazioni avvenute a macchia di leopardo o in via di attuazione nei rapporti capitale-lavoro. Esse sfruttano il vantaggio nei rapporti di forza ottenuto dallo Stato e dalla borghesia in generale nei confronti del proletariato, per attuare una organica riforma economico-sociale. Essa ha già inciso in modo acuto nel corpo del proletariato in termini di condizioni di vita e di contraddizioni. In essa gioca un ruolo centrale il modo in cui questo processo si è sviluppato, cioè la negoziazione neocorporativa e in essa il ruolo dei sindacati confederali.

Questo Esecutivo non rinuncia nemmeno a tentare di gestire in modo offensivo queste contraddizioni. Esso ha coniato uno slogan "meno ai padri, più ai figli" con cui tenta di sintetizzare una supposta contraddizione sociale centrale. Esso cerca di intercettare e mobilitare un altrettanto supposto consenso di fasce giovanili, per contrapporlo alle resistenze che la massa dei lavoratori oppone ad accettare il ridimensionamento e la riorganizzazione in senso antiproletario di quel poco di sicurezza sociale che c’è stata in Italia.

Lo scambio che la "concertazione" e la maggioranza politico-sindacale offrono al proletariato è quello tra sicurezza sociale e "sicurezza pubblica" cioè, in realtà, la difesa della proprietà privata. Infatti puntualmente dopo la firma natalizia del Patto è arrivato il "pacchetto anticriminalità", preceduto dalla campagna di "allarme criminalità" con cui il governo ha iniziato il nuovo anno [gennaio 1999 - rapine e omicidi a Milano]. Le misure anticriminalità, assieme alla criminalizzazione e all’incriminazione delle lotte che non si subordinano ai nuovi rapporti di forza favorevoli alla borghesia in generale e alla sua frazione imperialista in particolare, sono l’arco più vasto di risposte, di indirizzo riformatore, che questo equilibrio politico dominante [EPD] intende dare al proletariato e alle contraddizioni che la crisi del capitale rovescia sulle sue condizioni di vita.