Comunicato della CP del CC del (n)PCI

Pubblicazione de La Voce n. 26

mercoledì 27 giugno 2007.
 

(nuovo)Partito comunista italiano

Commissione Provvisoria del Comitato Centrale

 

Sito: http://lavoce-npci.samizdat.net

Email: lavocenpci40@yahoo.com

Delegazione: BP3 4, rue Lénine 93451 L’Île St Denis (Francia)


-   Il numero 26 di La Voce è disponibile sul sito Internet del Partito
-   Premessa della redazione di La Voce
-   Rapporto del gruppo di studio A. Gramsci (giugno 2007)

 

Comunicato 26 giugno 2007

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Il testo del comunicato del 26.06.07
in formato Open office

 

Il numero 26 di La Voce è disponibile sul sito Internet del Partito

Riprodurre e diffondere La Voce del (nuovo)Partito comunista italiano.

Studiarla e creare gruppi di studio!

Raccogliere le opinioni e le proposte dei compagni e trasmetterle alla redazione!

 

La vittoria nella lotta per impedire che la borghesia imperialista riesca a realizzare con il gorverno Prodi-D’Alema-Bertinotti quello che non è riuscita a realizzare con il governo Berlusconi-Bossi-Fini richiede una più larga diffusione tra gli elementi avanzati delle masse popolari dell’obiettivo di fare dell’Italia un nuovo paese socialista e della via per arrivarci. Lo smarrimento di tanti lavoratori avanzati di fronte alla crisi politica della borghesia di sinistra e dei suoi portavoce politici (PRC, Verdi, PdCI, SD, ecc.) è dovuto principalmente al rifiuto o all’esitazione a proporsi e a proporre questo obiettivo realista e a seguire la via necessaria per realizzarlo. Proporsi di convincere la borghesia imperialista e le sue autorità ad essere meno feroci e distruttive è un obiettivo utopistico, irrealizzabile, fallimentare. Chi si ostina a coltivarlo va in crisi anche lui. La lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista è anche il modo più efficace di limitare i danni che la borghesia imperialista e il Vaticano producono finché il potere resta nelle loro mani.

Data l’importanza che ha per la rinascita del movimento comunista lo studio di La Voce , proponiamo ai nostri corrispondenti e lettori il rapporto steso dal Gruppo di studio A. Gramsci sul n. 25 della rivista, perché serva di esempio ad altri gruppi di studio e di stimolo ai nostri lettori a creare gruppi di studio della rivista.

 

Premessa della redazione di La Voce

 

A parte il Manifesto Programma oramai in fase di redazione finale, gli articoli di La Voce e i Comunicati della CP costituiscono il patrimonio teorico del (nuovo)Partito comunista italiano. Ognuno di essi tratta di avvenimenti e aspetti particolari e nello stesso tempo insegna il metodo materialista dialettico di analizzare i problemi e impostare un lavoro. Una comprensione più profonda delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe è ciò che distingue noi comunisti dagli altri lavoratori avanzati e che ci permette di spingere sempre in avanti la lotta di classe.

Noi comunisti dobbiamo guardare in faccia la realtà, dobbiamo andare a fondo nell’analisi, dobbiamo chiederci il perché delle cose. Il nostro futuro non dipende dalle idee correnti. Non sono esse che lo determineranno, non è lì che dobbiamo cercarlo. Esso è però inscritto nel nostro presente, è uno dei suoi sviluppi possibili. Dobbiamo scoprirlo. Noi abbiamo tutto da guadagnare dalla conoscenza. Noi abbiamo bisogno della verità. Abbiamo bisogno che le nostre idee riflettano abbastanza da vicino lo stato attuale delle cose, la dialettica delle sue componenti, i loro contrasti e i loro legami. Senza questo, nessuna buona volontà, nessuno sforzo eroico ci consentirebbero di scoprire e comprendere la strada che il movimento comunista deve seguire per fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Non vedremmo realmente neanche che il successo di questa impresa è del tutto possibile. Al fondo del disfattismo e della sfiducia di molti compagni sta il rifiuto o l’incapacità di partecipare a un rigoroso lavoro teorico. Senza un nostro rigoroso, ampio e radicale lavoro teorico, noi resteremmo schiavi dell’influenza della cultura borghese, privi di autonomia ideologica dalla borghesia e dalla Chiesa. In questa fase l’incertezza e la timidezza del pensiero va di pari passo con il pessimismo disfattista e con l’esaltazione retorica e vuota. I compagni che lottano alla cieca, che si danno da fare senza chiedersi in che contesto operano, dove va il mondo che li circonda, come essi possono determinarne la direzione, che non esigono di vedere gli effetti della loro attività, che non fanno seri bilanci del loro lavoro, prima o poi si scoraggiano. I compagni che non vogliono studiare sono a rischio: lo slancio e l’istinto difficilmente basteranno per reggere lo sforzo che la situazione attuale richiede. La destra che dirige i sindacati di regime (gli Epifani, i Bonanni, gli Angeletti e gli altri tristi figuri di quella fatta) devia l’attività dei lavoratori da iniziative efficaci. La cultura corrente (borghese, clericale o revisionista) maschera e travisa la natura del regime che ci opprime. Presenta come invalicabili i suoi limiti e nasconde i suoi meccanismi di funzionamento. Dà per certa e irremovibile l’egemonia spirituale del Vaticano e della Chiesa su tanta parte della popolazione italiana. Avvalora quello che le mummie clericali proclamano: la Chiesa è eterna. Chi non capisce quale è la strada che dobbiamo seguire per fare dell’Italia un nuovo paese socialista, si agita a vuoto. Agendo alla cieca ottiene scarsi risultati o nessun risultato e prima o poi finisce per perdere fiducia nelle capacità rivoluzionarie della classe operaia, per perdere slancio, creatività e iniziativa. Prima o poi abbandona la lotta. Solo una buona assimilazione della strategia, della concezione e del metodo del Partito e i progressi nell’imparare ad applicarli confortano e rafforzano, con i risultati, lo slancio rivoluzionario, formano nuove forze rivoluzionarie e le aggregano attorno al Partito.

Il peggior danno che la borghesia ha fatto all’umanità negli ultimi decenni è che, a forza di diffondere menzogne e stante la debolezza del movimento comunista, ha ucciso in molti lavoratori la fiducia di essere capaci di conoscere la verità e la fiducia di essere capaci di cambiare il mondo. Da qui la disperazione che pervade tanta parte delle masse popolari. La borghesia, la Chiesa e i revisionisti hanno condotto e conducono una sistematica opera di evasione dalla realtà, di diversione dell’attenzione dalla realtà, di confusione, di intossicazione, di denigrazione del movimento comunista. È l’aria che respiriamo. Ma la loro opera non riesce che parzialmente. Il danno fatto dalla borghesia, dal clero e dai revisionisti non è irreparabile. La borghesia sta riproducendo essa stessa le condizioni di una immane e universale rivolta. Tutti quelli che hanno voluto o vogliono riflettere, ricavano insegnamenti dall’esperienza dei primi paesi socialisti, per riprendere e sviluppare le loro grandi conquiste, per evitare gli errori che li hanno portati alla loro fine. Per quanto la borghesia nasconda la verità e complichi l’apparenza delle cose, per le sue stesse contraddizioni ogni menzogna è smentita, smascherata e spazzata via da altre menzogne: dove la mistificazione detta legge, nessuna menzogna mantiene a lungo l’apparenza della verità. Nessuno dei gravi problemi che tormentano le masse popolari trova soluzione in questo ordinamento sociale. Lo sviluppo senza limiti e l’aumento della produzione generano miseria e morte. Ogni rimedio che un esponente della borghesia propone o mette in opera, si rivela fallimentare nel giro di poco tempo. Ogni vizio con cui la borghesia corrompe le masse popolari, provoca nel giro di poco tempo lo sviluppo di antidoti. La prima ondata della rivoluzione proletaria non ha solo costruito i primi paesi socialisti. Essa ha anche fatto progredire su larga scala la cultura, i sentimenti e l’esperienza organizzativa delle masse popolari, in particolare della classe operaia. Per quanto la borghesia abbia distrutto organizzazioni e sentimenti, per quanto abbia cercato di restaurare superstizioni e pratiche d’altri tempi, la sua opera di distruzione ha solo scalfito, ridotto quello che la prima ondata della rivoluzione proletaria aveva costruito. Oggi tra i lavoratori avanzati dei paesi imperialisti, ce ne sono centinaia di migliaia che hanno una visione abbastanza chiara della situazione, che sanno che è possibile uscire dal marasma e dall’incubo sociale e ambientale in cui la borghesia ha sospinto e costringe l’umanità, che per i mali del presente esiste una soluzione e che questa soluzione è l’instaurazione del socialismo per andare verso il comunismo. Ciò che li mantiene ancora impotenti è la loro dispersione, la mancanza di unità organizzativa. L’unità organizzativa è anche il mezzo necessario per unificare a livello più alto le loro vedute e la loro linea d’azione e rendere efficace la loro opera.

Unire i lavoratori avanzati, organizzarli perché raggiungano una visione superiore del mondo e acquisiscano una linea d’azione più efficace: ecco il compito che spetta oggi ai comunisti. È un’opera per cui non siamo sprovveduti di mezzi. Abbiamo il patrimonio di esperienze del passato. Abbiamo il marxismo-leninismo-maoismo: la visione più avanzata, più coerente e più scientifica del mondo che gli uomini hanno finora elaborato. Abbiamo la convinzione e la fede che la nostra opera è possibile e che è quello di cui le masse popolari hanno bisogno anche se ancora non lo sanno. Abbiamo dal passato la dimostrazione dell’energia con cui le masse popolari realizzeranno la nostra opera quando l’avranno assimilata e riconosciuta come propria. Questo è il partito comunista oggi. L’unione organizzata di quanti condividono questa concezione del mondo e si dedicano a realizzare quest’opera.

 

Rapporto del gruppo di studio A. Gramsci (giugno 2007)

 

Cari compagni,

siamo un gruppo di simpatizzanti del (nuovo)Partito comunista italiano. Da qualche anno studiamo con grande interesse la rivista - inizialmente a titolo individuale, successivamente in maniera sempre più collettiva, fino a formare un gruppo di studio e di dibattito.

Raccogliendo l’appello lanciato dalla redazione a tutti i lettori, abbiamo deciso di scrivervi per esporvi alcune delle riflessioni che abbiamo maturato studiando l’ultimo numero della rivista (il n. 25, pubblicato nel mese di marzo). In particolare sulla lotta contro il governo Prodi-D’Alema-Bertinotti (PAB) che rappresenta, a nostro avviso, l’aspetto principale della rivista.

1. Sulla natura del PAB - L’analisi elaborata dal Partito sul PAB, esposta principalmente nell’articolo Bastonare il cane fino ad affogarlo , ha il merito di mostrare in maniera chiara la linea seguita dal PAB per cercare di realizzare il “programma comune” della borghesia imperialista, le contraddizioni che l’attraversano, il modo per metterlo in ginocchio.

In questo articolo il Partito dimostra che il potere della borghesia imperialista poggia su tre gambe :

Il PAB le muove in base alle sue specificità: sostiene, promuove, incentiva, si serve della destra interna ai sindacati e alle organizzazioni di massa (OdM), in particolare della destra dell’aristocrazia operaia, per cercare di isolare e tenere a bada la sinistra e legare così mani e piedi agli operai e al resto delle masse popolari.

Questo elemento messo in luce dall’analisi sviluppata dal Partito ha un’importanza centrale. Per due motivi:

È una lotta di un livello superiore perché richiede alla sinistra interna ai sindacati e alle OdM un salto di qualità.

Il BBF, attaccando l’aristocrazia operaia tout court , univa la destra e la sinistra interna ai sindacati e alle OdM. Questa dinamica obbligava la destra, che ha in mano la direzione di queste strutture da quando si è affermato il revisionismo moderno in seno al movimento comunista, a svolgere un ruolo “mobilitante” per cercare di contenere la pressione della sinistra. Per molti versi, la sinistra era al carro della destra: se da una lato era essa a stabilire gli equilibri (a spostare a sinistra l’asse all’interno dei sindacati e delle OdM), dall’altro non era essa a dirigere la lotta (a ricoprire il ruolo di centro di organizzazione e di mobilitazione).

Il PAB, a differenza del BBF, fa della destra dell’aristocrazia operaia una parte integrante del suo “equilibrio”. Anzi, una delle sue componenti fondamentali. In questa situazione la sinistra deve necessariamente prendere in mano la direzione della situazione, isolare la destra, elevarsi a centro di organizzazione e di mobilitazione.

Questo è il salto di qualità necessario per vincere la battaglia contro il PAB. Strappare l’egemonia alla destra interna ai sindacati e alle OdM significa colpire il “tallone di Achille” del PAB. La vittoria di questa battaglia permetterà, inoltre, alla sinistra di diventare pienamente cosciente delle sue potenzialità e di liberarsi delle sue arretratezze e incertezze: in altre parole, di vivere una “scuola di comunismo” dalle proporzioni enormi che apre le porte a importanti prospettive per la lotta rivoluzionaria.

 

2. Sull’egemonia - Torniamo però adesso al discorso fatto all’inizio sulle tre gambe su cui poggia il potere della borghesia imperialista: egemonia, assenza di una direzione rivoluzionaria, repressione. “Pace sociale” per la borghesia imperialista significa un giusto rapporto dialettico tra queste tre gambe. “Crisi politica”, invece, corrisponde allo sconvolgimento di questo “equilibrio”.

Strappare l’egemonia alla destra dell’aristocrazia operaia, isolarla dalle masse popolari viene indicato dal Partito come un risultato pari alla perdita del 70% dell’egemonia della borghesia imperialista sulle masse popolari.

Il bilancio della prima ondata della rivoluzione proletaria, da un lato, e lo studio delle dinamiche che muovono i regimi di controrivoluzione preventiva presenti nei paesi imperialisti, dall’altro, mostrano chiaramente che una caduta così grave a livello di egemonia spinge la classe dominante ad intensificare la repressione, fino a farla diventare la principale sintesi della contraddizione borghesia imperialista - masse popolari.

L’intensificazione della repressione ovviamente non avverrà in maniera lineare, progressiva, ma in maniera contraddittoria, con accumuli quantitativi e salti qualitativi, con arretramenti e con violenti avanzamenti. Questa situazione sarà il prodotto di una forte instabilità politica da parte della classe dominante: in altre parole, la premessa alla guerra civile che la borghesia imperialista scatenerà contro le masse popolari come tentativo estremo di salvare il potere.

Scatenare la guerra civile in queste condizioni, dunque senza godere di un’importante egemonia sulle masse popolari è una condizione disastrosa per la borghesia imperialista ed estremamente favorevole per il Partito e il campo rivoluzionario. L’esperienza della Resistenza dimostra pienamente quest’analisi. E non a caso il compagno Mao diceva: “chi vuole prendere il potere deve creare un’opinione pubblica favorevole”.

In seguito allo studio di questo articolo, abbiamo a lungo dibattuto sull’importanza dell’egemonia nella guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. È stata la prima volta che abbiamo affrontato la questione dell’egemonia come un elemento centrale della gpr di ld. Prima dello studio dell’articolo non avevamo mai posto la questione in questi termini. Articoliamo dunque le conclusioni a cui siamo giunti in seguito al dibattito collettivo e, allo stesso tempo, avanziamo alla redazione de La Voce la proposta di realizzare un articolo al riguardo nel prossimo numero della rivista. Riteniamo infatti che fino ad ora nella rivista la questione dell’egemonia non è stata mai trattata come l’argomento principale di un articolo, ma solo all’interno di un articolo avente come aspetto principale un’altra tematica. La sua importanza nella gpr di ld spinge invece a darle un maggiore risalto.

Pensiamo che l’egemonia sia parte integrante della lotta tra i due campi, tra i due poteri che si fronteggiano e scontrano nella gpr di ld. Vedendo le cose da quest’ottica si comprende meglio perché la gpr di ld non è solo una questione di armi. Ridurre la gpr di ld solo allo scontro armato vuol dire non comprendere, non vedere, non concepire le mille attività che il Partito deve sviluppare simultaneamente (“suonare il pianoforte con dieci dita”) per accumulare forze sia in termini di membri del Partito che in termini di Fronte. Si riproduce dunque una visione militarista delle cose: le OCC (Organizzazioni Comunista Combattenti) non vedono le tre gambe su cui poggia il potere delle borghesia imperialista, vedono solo la repressione. Questo le porta a loro volta a camminare su una sola gamba, quella militare.

Certo, saper fronteggiare la borghesia imperialista anche a livello militare permetterà anche di estendere ulteriormente l’egemonia del Partito sulle masse popolari e di accrescere il potere autonomo. La Resistenza anche su questo offre delle lezioni chiare. Mai però l’aspetto militare costituisce l’unico aspetto dell’attività del Partito, anche quando rappresenta l’aspetto principale della sua attività. La rivoluzione cinese non lascia dubbi al riguardo: anche nei momenti di scontro acuto tra i due campi, non veniva tralasciato il lavoro di formazione politica dell’Armata Rossa e di propaganda e di organizzazione tra le masse.

L’egemonia è il risultato della capacità del Partito di ascoltare i bisogni delle masse, di elaborarli, di trasformarli in linea politica efficace per vincere la battaglia particolare in questione e di avanzare nella lotta più generale per il socialismo, della capacità di proporre alle masse questa linea politica, di mobilitarle nella direzione da essa indicata e, infine, di fare un bilancio collettivo della lotta affrontata (secondo la logica “fare di ogni lotta una scuola di comunismo”). Mentre la borghesia imperialista poggia la sua egemonia sulle concezioni, i comportamenti, le paure e le abitudini prodotte da millenni di divisione in classi sociali (“il buon senso” come direbbero i preti e tutti gli educatori reazionari), al contrario l’egemonia del Partito è il frutto della sua capacità di mettersi a capo delle lotta finalizzata a distruggere lo Stato della borghesia imperialista e costruire una nuova unità sociale: il socialismo. L’egemonia del Partito è il frutto della fiducia che il Partito suscita nelle masse attraverso la loro esperienza pratica.

Emerge che la questione dell’egemonia è una delle componenti principali della costruzione del nuovo potere, dunque della gpr di ld.

L’egemonia è legata alla formazione delle masse popolari. Parlare di egemonia significa dunque lottare contro il settarismo, il militarismo e l’economicismo. Il primo praticamente non prende neanche in considerazione le masse. Il secondo le considera come una sorta di pacco da spostare da una posizione ad un’altra se non addirittura come un ostacolo da aggirare e a cui sostituirsi, donde la teoria della “supplenza” (fare a tempo determinato o indeterminato quello che le masse non fanno). Per questo la concezione e la strategia delle OCC non hanno nulla a che fare né con il maoismo né con la strategia della gpr di ld, come è mostrato nell’articolo Guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, lotta armata di OCC e altro pubblicato sempre su La Voce n. 25). Il terzo (l’economicismo) rispetto agli altri due casi ha il merito di intraprendere un maggiore dialogo con le masse. Il problema è che sviluppa questo dialogo con una concezione sbagliata. Vediamola.

L’economicismo vede un solo aspetto della politica rivoluzionaria: la lotta rivendicativa. Vedendo solo questo aspetto lo affronta in maniera unilaterale: in altre parole, anziché “suonare il pianoforte con dieci dita” (dunque connettere tra loro le varie forme presentate e assunte dalla lotta di classe, indicando fase per fase la principale) cerca di “politicizzare la lotta sindacale”. In altre parole, l’economicismo è il tentativo di trasformare l’acqua in vino. In termini di formazione politica delle masse, l’economicismo produce due situazioni: o parlare alle masse “solo di quegli argomenti che le masse possono comprendere” (in altre parole, limitarsi ai problemi e alle rivendicazioni della vita quotidiana, senza formarle alla lotta per il socialismo) o “chiedere ad un idraulico di costruire una bomba atomica per poi rinfacciargli di non essere capace” (chiedere ai lavoratori che scioperano di insorgere, senza averli formati e senza aver costruito il partito ed elaborato una strategia). La concezione di Rossoperaio (Proletari Comunisti) aiuta a comprendere questa deviazione (come è mostrato nell’articolo "La nuova bandiera" e il vecchio economicismo pubblicato sempre su La Voce n. 25).

Per formare le masse e dunque estendere l’egemonia bisogna “suonare il pianoforte con dieci dita”. A nostro avviso il Piano Generale di Lavoro (PGL) di cui il Partito si è dotato per condurre il lavoro di massa nella prima fase della gpr di ld, è uno strumento molto valido per costruire questa egemonia. Esso infatti non tralascia nessun campo di intervento, interviene in tutti i settori per “creare un’opinione pubblica favorevole” alla presa del potere.

 

3. “Far montare la maionese” - Oltre a fornire un’analisi scientifica del PAB, in questo numero della rivista si arricchisce la strategia e la tattica del Partito, dunque si creano i presupposti per vincere contro il PAB. A nostro avviso questi sono i principali arricchimenti della strategia e della tattica:

Questi tre elementi sono ovviamente legati dialetticamente tra loro. Riteniamo però necessario affrontarli singolarmente, date le specificità e gli apporti dati per ognuno dalla rivista.

 

a) A proposito della questione della lotta contro la repressione (primo fronte del PGL), la rivista risolve in maniera positiva la confusione generata dalla prima versione del PGL (2004). Nella formulazione del 2004 veniva infatti inserito nel primo fronte sia un aspetto che riguarda il lavoro di costruzione e funzionamento del Partito (la resistenza del Partito alla repressione e la continuità del suo lavoro quali che siano le condizioni create dalla borghesia imperialista) sia un aspetto riguardante il suo lavoro di massa (mobilitazione delle masse popolari nella lotta contro la repressione e contro il regime di controrivoluzione preventiva). In realtà però il PGL riguarda solo il lavoro di massa del Partito.

Aver individuato e chiarito il limite contenuto dalla formulazione del 2004 sul primo fronte, ha permesso di elevare l’elaborazione su cos’è il primo fronte e come intervenirvi. Ha inquadrato meglio la funzione del Partito, le varie attività che compongono questo fronte (resistenza alla repressione, lotta alla repressione, solidarietà) e le specificità di ognuna di esse, l’insieme dei soggetti che intervengono in questo fronte (Partito e organismi che lottano contro la repressione) e il rapporto tra loro (il Partito ha un ruolo centrale e gli organismi un ruolo indispensabile, si alimentano a vicenda).

Concordiamo pienamente con la nuova formulazione del primo fronte.

Questo salto in avanti in termini di elaborazione e pratica, influenzerà e spingerà in avanti tutti gli organismi che in Italia lottano contro la repressione. Come insegna Lenin, nei fatti (dunque indipendentemente dalla volontà dei soggetti interessati) dirige chi ha una visione più lungimirante, avanzata e audace. È quello che Mao ha sintetizzato nella linea di massa. E che Rossoperaio (Proletari Comunisti) indica invece come una sorta di “delirio di onnipresenza” del (n)PCI (vedere La nuova bandiera n. 1 - articolo di critica del (n)PCI).

Definire meglio il primo fronte di lotta permette di rafforzare le lotta contro il PAB.

Nell’articolo Operazione Vicenza (che riprende ad un livello superiore quanto detto dal Partito nel comunicato del 13 febbraio 2007), il Partito dimostra che il PAB conduce una repressione più sofisticata e articolata rispetto al BBF. La “caccia alle streghe” messa in campo dal PAB per cercare di far saltare la mobilitazione di Vicenza, denota un livello qualitativo superiore rispetto alla repressione quasi “goffa” del BBF - che, da un lato, era traboccante di arroganza e quindi trasmetteva un messaggio esplicito che generava una ribellione quasi spontanea nelle masse popolari e, dall’altro, non aveva il sostegno della destra dell’aristocrazia operaia... che invece adesso con il PAB risponde a colpi di espulsioni dai sindacati, proposte di scioperi generali contro il “terrorismo” e l’appello aperto alla delazione! L’“operazione Vicenza” è un operazione di alto livello, da manuale, la cui logica viene giustamente paragonata dal Partito alla strategia della tensione manifestatasi nella strage di Piazza Fontana (12 dicembre 1969).

Elevare dunque la lotta sul primo fonte significa rafforzare la lotta contro il PAB ed estendere la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari.

 

b) Il Partito ha indicato che contro il PAB i fronti principali del PGL sono:

Siamo completamente d’accordo. Per mettere in ginocchio il PAB bisogna infatti dividere e contrapporre la destra e la sinistra presente nei sindacati e nelle OdM facendo affermare la direzione della sinistra. Questi due fronti del PGL sono i fronti che più degli altri permettono di sviluppare questo tipo di intervento.

Inoltre, crediamo che la lettera riguardante l’antifascismo inviata da un lettore alla redazione de La Voce e pubblicata nella rivista permetta di arricchire l’analisi sul secondo fronte e, quindi, la lotta contro il PAB. Il compagno che ha scritto questa lettera ha infatti messo in luce che l’antifascismo è un’attività che rientra nel secondo fronte. Questo per i seguenti motivi:

Alcuni compagni potrebbero dire: “ma anche il terzo fronte presenta tutte queste caratteristiche! Perché allora l’antifascismo viene indicato come un’attività del secondo fronte e non del terzo?”. A nostra avviso la risposta a questa domanda (o meglio, la risposta a cui siamo giunti discutendo: anche noi infatti ce la siamo posta) è la seguente. È vero che queste dinamiche sono presenti sia nel secondo che nel terzo fronte, quello che cambia però è il diverso ruolo dei due fronti nella lotta tra mobilitazione rivoluzionaria e mobilitazione reazionaria. In questa lotta il secondo fronte ha un ruolo molto più importante del terzo: la mobilitazione reazionaria è infatti la risposta della borghesia imperialista alla crisi politica che l’attraversa. I fascisti fanno parte delle “possibilità” che la classe dominante sta vagliando per mettere in atto la nuova mobilitazione reazionaria. Sviluppare l’antifascismo significa quindi irrompere in questa dinamica.

Pensiamo però che la lettera in questione sull’antifascismo abbia un limite: ci sembra che riduca l’antifascismo solo allo scontro di piazza, tralasciando la difesa dei valori e dell’esperienza della Resistenza tra le masse popolari. Abbiamo maturato questa riflessione leggendo l’articolo pubblicato su Resistenza di marzo 10 febbraio giornata del ricordo , in particolare la parte riguardante l’attività antifascista condotta dalla sezione di Cecina del Partito dei CARC. Questo articolo infatti, partendo dal bilancio dell’esperienza, mette bene in luce la necessità di unire nell’antifascismo lo scontro di piazza e la difesa dei valori e dell’esperienza della Resistenza tra le masse popolari.

c) Il Partito indica cosa bisogna fare per elevare il lavoro di massa:

Riteniamo che l’elaborazione di questa linea sintetizzi ad un livello superiore quanto elaborato fin qui dalla “carovana” del (n)PCI. Ci spieghiamo meglio.

Nella “carovana” si è sempre sostenuta la necessità di lavorare per “esempi-tipo”, ossia: utilizzare sistematicamente lo strumento del bilancio, sviluppare lo scambio di esperienze partendo dal bilancio, lavorare per ricavare dall’esperienza specifica e particolare le leggi generali. Questo metodo di lavoro ha dato un importante impulso nello sviluppo del lavoro della “carovana”, alla formazione dei suoi membri e all’accumulazione di forze intorno ad essa.

Questa concezione adesso si combina con un elemento che il Partito recentemente ha messo in luce in maniera scientifica (articolo Concentramento di forze e dispersione di forze pubblicato ne La Voce n. 24) e che piano piano si sta facendo strada all’interno della “carovana”: l’importanza dei concentramenti di forze e la necessità di combinare al meglio il lavoro condotto nei concentramenti di forze con il lancio di appelli generali su ampio raggio.

La combinazione di questi due elementi pone le basi per un ulteriore sviluppo del lavoro di massa del Partito e della “carovana”.

Analizzando le cose partendo da quest’ottica, riteniamo che sia utile l’articolo L’attività del CAP (n)PCI-Parigi pubblicato sulla rivista e che sia giusto l’invito a studiare l’opuscolo Bilancio di un’irruzione nel secondo fronte - l’esperienza della Lista Comunista di Roccasecca dei Volsci pubblicato dalla Casa Editrice Rapporti Sociali.

Ci permettiamo di avanzare alla redazione de La Voce una nuova proposta: tenendo conto di quanto detto fin qui, riteniamo che sarebbe molto interessante, in termini di scambio dell’esperienza e di esempi-tipo, se in un prossimo numero della rivista venisse pubblicato un articolo o una lettera realizzata da un Comitato clandestino di Partito (CdP) in cui si mostrano i tratti generali dell’attività che questo CdP svolge. Ciò sarebbe senza dubbio un contributo utilissimo sia per arricchire l’attività dei CdP esistenti, sia per promuovere la formazione di altri CdP.

Avanziamo questa proposta perché il Partito chiarifica che in questa fase della lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista il consolidamento e rafforzamento del Partito continua ad essere l’aspetto principale per continuare ad avanzare. Il lavoro di massa deve quindi servire alla costruzione del Partito.

 

Tutti questi elementi, mostrano che la lotta contro il PAB ha un ruolo molto importante nella guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata in corso nel nostro paese. La vittoria contro il PAB permetterà infatti, per tutti i motivi fin qui illustrati, di fare un importante salto di qualità in avanti: sia in termini di elevazione politica della sinistra presente nelle masse popolari, sia in termini di accumulazione di forze nel Fronte, sia in termini di accumulazione di forze nel Partito.

 

Queste le nostre principali considerazioni sul numero 25 de La Voce.

Ci auguriamo che vengano ben accolte dalla redazione e che, chissà, possano offrire qualche utile spunto.

A noi, senza ombra di dubbio, il lavoro sviluppato per organizzare le nostre idee in un documento-lettera ci ha permesso di elevare il livello di dibattito del nostro gruppo di studio. Riteniamo che il lavoro di elaborazione di un documento di questo tipo costituisce un importante strumento per quanto riguarda la formazione e siamo certi che il lavoro svolto rafforzerà anche la nostra pratica militante: la teoria rafforza infatti la pratica (e viceversa).

 

Salutiamo a pugno chiuso i compagni della redazione del La Voce e li ringraziamo per il contributo che stanno dando alla lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista.

 

Viva il (n)PCI!

Facciamo dell’Italia un nuovo paese socialista!

Gruppo di studio A. Gramsci

(giugno 2007)

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