Martin Lutero - Supplemento al n. 3 de La Voce

07 Il processo controrivoluzionario in Italia

Comunicato
mercoledì 15 maggio 2002.
 

[I commenti e i chiarimenti aggiunti dal curatore nel testo sono tra parentesi quadre. La titolazione, i corsivi, i neretti e le note sono del curatore.]

 

[7. Il processo controrivoluzionario in Italia]

In Italia, il processo controrivoluzionario avviato a partire dai primi anni ’80 ha inciso in profondità. Esso ha assunto prioritariamente la veste dell’attacco alle forze rivoluzionarie e in particolare al ruolo delle Brigate Rosse e alla loro proposta strategica, in quanto elemento che in Italia caratterizzava lo sviluppo dell’autonomia di classe. Il processo controrivoluzionario ha combinato lo scontro militare con una strategia politica complessiva relativa allo scontro di classe. Questa strategia mirava 1. a separare il piano della lotta di classe dal piano rivoluzionario, 2. a sfruttare le contraddizioni interne al Movimento Rivoluzionario e alle stesse BR.

Queste contraddizioni erano espressione delle tendenze alla crisi da sempre presenti nel movimento operaio e proletario ed espressione soggettiva del carattere contraddittorio del ruolo della classe operaia nei rapporti sociali capitalisti. Tendenze al soggettivismo, all’economicismo, all’idealismo che si sono espresse come opposizione al passaggio politico-organizzativo allora in corso, cioè alla costruzione del Partito Comunista Combattente. Le contraddizioni furono aggravate dalla difficoltà incontrata nel distinguere i caratteri della proposta politica delle BR inerenti al fatto che le BR erano nate nel corso di un ciclo di lotte fortemente offensivo, dagli elementi strategici che facevano della proposta politica delle BR un salto in avanti nel rendere la strategia della rivoluzione proletaria adeguata alle forme di dominio e ai caratteri economico-sociali dell’imperialismo in questa fase storica.

Nel corso dello scontro e secondo la dinamica pratica/teoria/pratica le BR-PCC ridefinirono allora i termini dell’impianto politico-strategico delle BR [dicembre 1981, Risoluzione della Direzione Strategica n. 5]. Ciò costituì da parte rivoluzionaria un approfondimento della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione, ma l’opera delle BR-PCC si è scontrata con le contraddizioni storiche che presiedono alle condizioni della fase della Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie (RFR) all’interno della più generale fase di Ritirata Strategica (RS). Di conseguenza si è prodotta una discontinuità nel percorso rivoluzionario.[D]

Il rafforzamento delle posizioni della borghesia realizzato con l’affermazione di questo duplice processo controrivoluzionario [sconfitta della Lotta Armata per il Comunismo e crollo del campo socialista], sul finire degli anni ’80 comincia a riversarsi sul piano complessivo delle relazioni politiche tra le classi. L’attività contro-rivoluzionaria è stata infatti il piano su cui le forze politico-istituzionali hanno avviato il loro riposizionamento intorno agli interessi della frazione dominante della BI, modificando il riflesso sulle stesse delle trasformazioni che lo sviluppo del movimento di classe aveva prodotto nei caratteri generali dello scontro politico. Il riposizionamento ha riguardato principalmente le rappresentanze istituzionali della classe operaia. [PCI, CGIL]

Fino alla fine degli anni ‘80 la necessità di evitare la congiunzione tra la lotta rivoluzionaria [condotta dalle BR] e la lotta del proletariato [che quindi esiste indipendentemente dalle BR] aveva limitato l’attacco della BI alle condizioni complessive del proletariato. La vittoria della controrivoluzione crea le condizioni adatte per riversare l’offensiva su tutto il proletariato. Ora i passaggi necessari per governare l’economia in conformità ai caratteri attuali dell’accumulazione capitalista, potevano avvenire in un quadro di governabilità del conflitto di classe: questa è perlomeno l’ipotesi della BI.

In quegli anni i nuovi termini della concorrenza tra monopoli e le contraddizioni aperte dall’approfondirsi della crisi, aggravate dalla debolezza dell’Italia legata al posto da essa occupato nella divisione internazionale del lavoro, impongono una ridefinizione degli interessi della frazione dominante della BI. Le linee di politica economica che avevano accompagnato la risposta dello Stato all’offensiva della classe operaia e all’offensiva rivoluzionaria non sono in grado di sostenere l’accumulazione capitalista nelle nuove condizioni e non consentono sufficienti margini di governo del conflitto di classe: quindi entrano in crisi.

Fino alla fine degli anni ‘80 a sostegno della domanda interna e della produzione e come fattore su cui costruire equilibri sociali intorno agli interessi della BI lo Stato italiano aveva usato la leva del debito pubblico. Ora questa leva tese a saturarsi per i livelli raggiunti e per gli effetti del movimento dei capitali che divennero tali da incrementare il deflusso di risorse a favore dell’accumulazione finanziaria ed estera, anziché sostenere la produzione e il mercato interno.

Fino alla fine degli anni ‘80 come fattore di compensazione competitiva rispetto alle economie degli altri paesi dominanti lo Stato italiano aveva usato la svalutazione monetaria. Ora il ruolo di questo strumento venne ridimensionato 1. per l’aumento della spesa per interessi comportato dalla svalutazione, 2. per i riflessi delle politiche di unificazione monetaria e 3. per l’interesse della frazione dominante della BI a favorire processi di concentrazione e centralizzazione di capitale e della borghesia nel suo complesso a ricercare la competitività del sistema economico.[BC] Tutto ciò non ha peraltro impedito di ricorrere a svalutazioni che hanno portato (1992) la lira fuori dallo Sistema Monetario Europeo fino a quattro anni orsono.

Anche il ruolo dello Stato come capitalista reale è stato ridimensionato, a fronte delle politiche di liberalizzazione corrispondenti 1. alle spinte alla concorrenza, 2. alla concentrazione monopolistica multinazionale e 3. al recupero di settori fino allora sottratti alla competizione internazionale.

La frazione dominante della BI espressa dal capitale monopolistico italiano ha premuto sul quadro politico affinché questo si facesse carico 1. di sostenere i nuovi termini di concorrenza connessi all’avanzamento del progetto di Unione Monetaria Europea, 2. più complessivamente, di collocarsi all’interno delle politiche centrali dell’imperialismo connesse alla modificazione degli equilibri internazionali. Infatti in questo contesto il ruolo dello Stato sul piano internazionale diventava ancora più importante per sostenere gli attuali termini di concorrenza intermonopolistica.

Questi elementi, connessi all’avvenuta modifica dei rapporti di forza tra rivoluzione e controrivoluzione, nel contesto di un ciclo recessivo hanno fatto assumere all’azione dei soggetti politici della borghesia, e in particolare all’azione dei diversi Esecutivi che si sono succeduti [dal 1992, quindi ai governi Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi e D’Alema] 1. un connotato offensivo e complessivo rispetto ai rapporti con il proletariato e 2. i caratteri di un sempre maggiore attivismo politico-militare nel quadro della NATO.

La crisi delle leve consolidate e strutturate, grazie alle quali le forze di governo negli anni precedenti avevano costruito equilibri sociali e politici intorno agli interessi della frazione dominante della BI, spingeva a un riadeguamento dell’azione politica degli Esecutivi e si riversò anche 1. sugli assetti istituzionali, 2. sul ruolo dei poteri esecutivo, legislativo, giudiziario, 3. sul ruolo delle forze politiche, 4. sulle forme di rappresentanza. Ciò, connesso agli esiti dell’offensiva contro-rivoluzionaria, assumeva il carattere di una crisi della mediazione politica fino allora esistente e imponeva di definirne una diversa.

La mediazione politica è la sintesi, in una determinata fase storica, del rapporto di forza e politico tra borghesia e proletariato riferita 1. al piano dei rapporti di produzione, 2. al piano del rapporto tra il proletariato e lo Stato, 3. al piano dello scontro tra rivoluzione e controrivoluzione.

Quindi la mediazione politica è una sintesi dei caratteri storici che definisce gli aspetti di fondo di una fase: cioè i connotati delle strutture politiche e delle forme dei soggetti politici istituzionali. Anche le linee e i progetti devono essere conformi a questa sintesi per essere realizzabili.

Il sistema politico-istituzionale del secondo dopoguerra [cioè del periodo 1945-1990] aveva esercitato il suo ruolo controrivoluzionario e antiproletario attraverso l’istituzionalizzazione e la massima rappresentanza in sede parlamentare degli interessi in conflitto. Esso ricercava nella sede parlamentare equilibri politico-istituzionali rappre-sentativi di equilibri politici generali, che consentissero il governo dell’economia e il governo del conflitto di classe e si avvaleva del ruolo dello Stato nell’economia per sostenere forze politiche e maggioranze di governo funzionali alla tutela degli interessi della frazione dominante della BI.

I nuovi termini del governo dell’economia, collegati all’approfondirsi della crisi che aveva già eroso la capacità delle forze politiche storicamente al governo di essere rappresentative, hanno reso necessario 1. ridurre la misura di rappresentatività con cui si dovevano andare a comporre maggioranze di governo e 2. accentuare il ruolo del potere esecutivo rispetto agli organi legislativi. Inoltre la modificazione degli interessi della frazione dominante della BI, premendo per un’azione offensiva antiproletaria degli Esecutivi, obbligava a selezionare maggiormente gli interessi rappresentabili in sede politica decisionale.

La ridefinizione della mediazione politica non ha assunto la tendenza ad accantonare la democrazia rappresentativa, ma la tendenza a ridefinire i caratteri particolari che la democrazia rappresentativa aveva in Italia in relazione ai caratteri dello scontro tra le classi e della lotta tra rivoluzione e controrivoluzione.

Rispetto agli aspetti fin qui indicati, è risultato impossibile per le forze politiche fare una ridefinizione organica del sistema politico-istituzionale e dei poteri dello Stato passando dal sistema politico-istituzionale espressione della fase storica precedente a un nuovo sistema politico-istituzionale adatto alle condizioni della fase attuale e creando quindi gli equilibri necessari per compiere poi una complessiva riforma economico-sociale e in particolare una riforma complessiva del contenuto e del ruolo dello Stato sociale. Come venne verificato che questo percorso era impercorribile?

Sul finire degli anni ’80 entrarono in crisi le politiche economiche che avevano consentito sia di sostenere l’accumulazione capitalista sia di governare il conflitto di classe come offensiva controrivoluzionaria. Fu allora che l’approfondimento della crisi accentuò la pressione del capitale monopolistico nazionale perché fossero adottate politiche controtendenziali che a livello internazionale si affermavano già come forme di sviluppo della crisi. Questa pressione fu indotta anche dalla necessità di sostenere i nuovi termini della concorrenza intermonopolistica che si andavano definendo. Essi hanno costretto la frazione dominante della borghesia europea a premere sugli Stati perché adottassero politiche economiche aperte ai processi di concentrazione e di centralizzazione del capitale monopolistico. È nell’anno 1987 che i responsabili della politica economica dei governi europei 1. sanciscono l’asimmetria degli accordi di cambio nello SME, quindi l’impegno alla stabilità valutaria solo per le monete sottoposte a svalutazione e non per quelle che si rivalutano e 2. assumono gli accordi di Basel-Nyborg sulla liberalizzazione del movimento dei capitali e sull’uso della politica dei tassi di interesse come strumento per stabilizzare i cambi tra le monete nazionali.

Nel contempo, con le iniziative di Gorbaciov, si era aperta la prospettiva di ridefinire gli equilibri internazionali estendendo la penetrazione capitalista nei paesi del blocco socialista.