La Voce 24

Le forze ausiliarie della rivoluzione

mercoledì 28 marzo 2007.
 


Nel nostro paese esistono numerose organizzazioni e molti personaggi che denunciano i mali presenti che affliggono e opprimono le masse popolari, si schierano su questioni particolari in difesa dei diritti dei lavoratori, delle classi sfruttate, dei popoli oppressi, contro l’aggressione imperialista, il saccheggio dell’ambiente, l’inquinamento e altri “mali del capitalismo”, ma propongono soluzioni diverse da quella di fare dell’Italia un nuovo paese socialista o comunque hanno concezioni, linee e metodi arretrati, in larga misura mutuati dalla borghesia o dai primordi del movimento comunista. Per fare alcuni esempi, pensiamo a organizzazioni come Emergency di Gino Strada e Medicina Democratica, ai Comitati anti-TAV, agli ecologisti coerenti, ai Disobbedienti di Casarini e a vari sindacati “alternativi” e centri sociali, a gruppi politici come il Partito Umanista e le FSRS, ai sindacalisti combattivi del tipo di Giorgio Cremaschi, a democratici come Giulietto Chiesa o Lucio Manisco, ai pacifisti convinti, a deputati come Francesco Caruso, ecc. Sarebbe sbagliato trascurare la loro attività e ancora più sbagliato considerarne solo l’aspetto negativo: la divisione e dispersione di forze e risorse e le concezioni sbagliate. Complessivamente, ai fini della lotta contro il governo Prodi-D’Alema-Bertinotti, dobbiamo considerare queste organizzazioni e questi personaggi come forze intermedie. Se operiamo in maniera abbastanza giusta, diventeranno forze ausiliarie della rivoluzione.

Le soluzioni che esse propongono sono varie.

Alcune si comportano come se la soluzione consistesse nel convertire tutti gli operai o addirittura tutte le masse popolari alla concezione del mondo che esse professano.

Altre aspirano a generalizzare una lotta rivendicativa su piattaforme di “obiettivi che tutti i lavoratori non possono che condividere”, di “obiettivi unificanti”, di “obiettivi mobilitanti” (senza chiedersi perché simili piattaforme non hanno mai né unificato né mobilitato i lavoratori, neanche quelli sindacalmente già attivi, benché siano comunemente e da sempre lanciate da numerosi gruppi arretrati, di ispirazione (consapevole o meno) trotzkista, sindacalista, economicista, ecc.). (1)

Altre propongono genericamente una lotta continua contro lo stato delle cose.

Altre sono convinte che occorra e basti diffondere una conoscenza migliore della situazione reale o creare nella classe dirigente una comprensione delle soluzioni giuste che essa dovrebbe dare ai problemi nell’ambito dell’attuale ordinamento della società.

In breve, si comportano come se i mali della società attuale dipendessero da limiti nella comprensione anziché dall’ordinamento sociale, come se la classe dirigente opprimesse le masse popolari perché non capisce anziché a causa dei suoi interessi. In breve, come se fosse in atto uno scontro tra il vero e il falso anziché uno scontro tra portatori di interessi di classi antagoniste.

Varia è anche l’origine di queste organizzazioni e di questi personaggi.

In parte sono il prodotto della decadenza e del disfacimento del vecchio movimento comunista. In parte sono l’espressione di nuovi strati e gruppi sociali che si destano alla lotta di classe. In parte sono il risultato degli sforzi compiuti dalla borghesia per influenzare le masse popolari, per creare nella classe operaia e nelle altre classi delle masse popolari movimenti, tendenze, correnti e orientamenti ad essa utili.

Una parte di queste organizzazioni e di questi personaggi (i senatori che si sono opposti a continuare l’aggressione dell’Afghanistan, ecc.) si sono aggregate nel circo Prodi assieme alle forze genuine della borghesia imperialista e ora costituiscono l’opposizione interna al circo. Un’altra parte (Cobas di Bernocchi, Disobbedienti, Campo Antimperialista, ecc.) si è più o meno efficacemente opposta al circo Prodi e si oppone al governo Prodi-D’Alema-Bertinotti.

Quale linea deve avere il nostro Partito verso queste forze e questi personaggi?

Per adempiere al suo ruolo di promotore e dirigente della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, il Partito in questa fase deve contribuire a mobilitare i lavoratori e le masse popolari perché lottino contro il governo Prodi-D’Alema-Bertinotti almeno con lo stesso vigore con cui hanno lottato contro il governo Berlusconi-Bossi-Fini, in misura sufficiente a impedirgli di realizzare il “programma comune” della borghesia imperialista. La lotta contro il governo Prodi-D’Alema-Bertinotti è tuttavia uno scontro di livello superiore rispetto alla lotta condotta e vinta contro il governo Berlusconi-Bossi-Fini. Lo scontro che le masse popolari devono ora affrontare “richiede una maggiore diffusione della concezione del mondo più avanzata (quella del movimento comunista); richiede una maggiore adesione a un obiettivo politico più definito e più lungimirante (“fare dell’Italia un nuovo paese socialista”); richiede una più ramificata e forte organizzazione delle masse popolari autonoma dalla borghesia (cioè connessa, sia pure nei modi più vari, al Partito comunista)”. In particolare le masse popolari non possono più contare sui partiti della sinistra borghese, sui sindacati di regime e su altre organizzazioni della sinistra borghese, che in una certa misura hanno invece contribuito alla lotta contro la banda Berlusconi. Il fatto che il Partito definisca e metta in pratica una linea giusta nei confronti delle forze intermedie diventa quindi un fattore decisivo per l’esito della lotta.

A questo fine dobbiamo combinare la nostra concezione materialista dialettica del mondo con l’analisi concreta della situazione concreta e di ogni organizzazione concreta. Essere materialisti dialettici è essenziale per affrontare giustamente il problema. Il materialismo dialettico ci insegna che ogni cosa, che giustamente distinguiamo dalle altre per conoscerla e trasformarla, è in realtà anche connessa a tutte le altre; che ogni cosa si trasforma continuamente mossa dalle sue contraddizioni interne in modo però diverso a secondo delle condizioni esterne in cui avviene la trasformazione. In breve dobbiamo imparare ad usare meglio il metodo materialista dialettico di conoscere e di operare.

Ognuna delle organizzazioni intermedie di cui parliamo ha la sua storia, la sua composizione di classe e generazionale, è promossa e diretta da personaggi ognuno dei quali ha la sua storia politica, professa e propaganda determinate idee, incarna nella sua pratica una concezione più o meno coerente del mondo, realizza uno specifico rapporto tra la sua teoria e la sua pratica. Essa conta nella lotta politica perché riflette gli interessi e le aspirazioni di una parte delle masse popolari, perché organizza, raccoglie o influenza una parte delle masse popolari, perché una parte di esse le dà il proprio consenso o addirittura vi aderisce. Quindi ogni organizzazione o personalità intermedia è in una certa misura soggetta alle masse popolari. Se si stacca dalle masse oltre una certa misura, perde la sua importanza, non ha più alcun ruolo nel determinare il comportamento delle masse e quindi nel fare la storia. In linea generale ogni organizzazione intermedia è unità di opposti: da una parte è portatrice di arretratezze o di errori e veicola tra le masse popolari l’influenza della borghesia. Dall’altra deve rispondere ad alcune esigenze reali e ad alcune aspirazioni reali di quella parte delle masse popolari che vi aderisce e che costituisce la sua forza.

Sulla base di queste caratteristiche generali deve svolgersi la nostra analisi concreta di ogni concreta forza intermedia e la definizione della nostra linea nei suoi confronti, per valorizzare al massimo il contributo che può dare nella lotta politica in corso e neutralizzare al massimo il suo ruolo negativo.

È utile in proposito riflettere sul seguente passo dello scritto A proposito dell’esperienza storica della dittatura del proletariato pubblicato dal Partito comunista cinese il 5 aprile 1956, quando iniziava la lotta aperta contro il revisionismo moderno capeggiato da Kruscev (che allora si presentava come “lotta contro il culto della personalità di Stalin”). (2)

“La classe operaia e gli altri settori del popolo, guidati dal marxismo-leninismo, hanno vinto la rivoluzione, hanno conquistato il potere statale. La vittoria della rivoluzione e l’instaurazione del potere rivoluzionario hanno aperto orizzonti sconfinati allo sviluppo del marxismo-leninismo. Eppure, poiché il marxismo appare a tutti come l’ideologia guida nel nostro paese dopo la vittoria della rivoluzione, parecchi dei nostri propagandisti, facendo in misura indebita leva sul potere amministrativo e sul prestigio del partito, diffondono il marxismo-leninismo tra le masse come un dogma, invece di lavorare sodo, di esaminare con ordine una serie di fatti, di usare il metodo marxista-leninista di analisi, di impiegare la lingua del popolo per spiegare in modo convincente l’unità che lega la verità universale del marxismo-leninismo e la situazione concreta in Cina.

In questi ultimi anni noi abbiamo compiuto alcuni passi avanti nelle ricerche filosofiche, nell’analisi dell’economia, nella storia e nella critica letteraria e artistica: ma, generalmente parlando, si verificano molti fenomeni non giusti. Molti dei nostri ricercatori hanno ancora una mentalità dogmatica, pensano meccanicamente, mancano di indipendenza di pensiero e di spirito creativo e, in taluni casi, sono effettivamente influenzati dal culto della personalità di Stalin. Bisogna che sia chiaro che le opere di Stalin saranno ancora studiate seriamente, come lo sono state fino a oggi. Tutto ciò che vi è di buono nelle sue opere, specialmente in moltissimi dei suoi scritti dedicati alla difesa del leninismo e all’esposizione dell’esperienza sovietica di costruzione socialista, dovranno essere considerati da noi come una eredità storica importante. Agire diversamente sarebbe un errore. Ma vi sono due metodi di studio delle sue opere: il metodo marxista e il metodo dogmatico. Alcuni trattano le opere di Stalin dogmaticamente con la conseguenza di non riuscire ad analizzare ciò che è giusto e ciò che non è giusto e fanno anche di ciò che è giusto una panacea che essi applicano senza discernimento. È inevitabile che questi compagni commettano degli errori.

Ad esempio, Stalin formulò il giudizio secondo cui in diversi periodi rivoluzionari lo sforzo principale doveva essere diretto a isolare le forze sociali e politiche intermedie di quel periodo. Noi dobbiamo esaminare questa teoria di Stalin adeguandoci alle circostanze da un punto di vista critico marxista. In taluni casi può essere giusto isolare tali forze, ma non è sempre giusto isolarle in ogni circostanza. Basandoci sulla nostra esperienza, lo sforzo maggiore deve essere diretto, durante la rivoluzione, contro il nemico principale per isolarlo. Nei confronti delle forze intermedie noi dobbiamo adottare sia la politica di unirci a loro, sia quella di combatterle, o per lo meno di neutralizzarle, sforzandoci, quando le circostanze lo permettono, di farle passare da una posizione neutrale a una posizione di alleanza con noi, in modo da poter aiutare lo sviluppo della rivoluzione.

C’è stato un periodo (i dieci anni della seconda Guerra civile rivoluzionaria fra il 1927 e il 1936) durante il quale alcuni dei nostri compagni hanno rigidamente applicato questa formula di Stalin alla rivoluzione cinese dirigendo l’offensiva principale contro le forze intermedie, considerandole come il nostro nemico più pericoloso. Il risultato fu che invece di isolare il vero nemico, noi isolavamo noi stessi e subivamo delle forti perdite, mentre il nemico ne traeva vantaggio. Avendo di mira questo errore dogmatico, per poter sconfiggere gli aggressori giapponesi il Comitato centrale del Partito comunista cinese, durante gli anni della Guerra di resistenza contro il Giappone (1936-1045), sostenne il principio di “sviluppare le forze progressive, guadagnare le forze intermedie e isolare le forze dure a morire”. Le forze progressive cui ci si riferiva erano le forze degli operai, dei contadini e degli intellettuali rivoluzionari guidate o influenzabili dal Partito comunista cinese. Le forze intermedie erano la borghesia nazionale, tutti i partiti democratici e i senza partito. Le forze dure a morire erano le forze dei compradores e le forze feudali capeggiate da Chiang Kai-shek, che seguivano una linea di resistenza passiva all’aggressione giapponese e di lotta contro i comunisti. L’esperienza nata dalla pratica ha dimostrato che questa politica sostenuta dal Partito comunista cinese si adattava bene alle circostanze della rivoluzione cinese ed era corretta.

La realtà è che il dogmatismo è sempre apprezzato soltanto dalle persone pigre. Ben lungi dall’essere di qualche utilità, il dogmatismo reca un danno incalcolabile alla rivoluzione, al popolo e al marxismo-leninismo.

Per poter elevare la coscienza delle masse popolari, stimolare il loro dinamico spirito creativo e realizzare il rapido sviluppo del lavoro pratico e teorico, è ancora necessario distruggere la superstiziosa fiducia nel dogmatismo.”

Che il dogmatismo sia un pericolo che ancora minaccia noi comunisti e anche quelli che si proclamano maoisti, credo sia più che evidente a molti lettori. L’appello lanciato ultimamente dal Partito comunista del Nepal contro il dogmatismo lo conferma. Per scoprire il dogmatismo, basta chiedere a chi parla di spiegare quello che ha appena detto, di illustrarlo con esempi pratici. Il dogmatismo è stato ed è uno dei limiti più gravi di molti sinceri comunisti, che giustamente vogliono difendere il patrimonio teorico del movimento comunista. Ma la difesa dogmatica è una difesa perdente. (3)

In positivo le affermazioni che Mao fa nel brano riportato, ci rendono consapevoli di una linea che il movimento comunista cosciente e organizzato ha costantemente praticato quando ha guidato con successo la causa della rivoluzione: mobilitare in ogni battaglia contro il nemico principale tutte le forze che possono essere mobilitate, creare in ogni circostanza la più vasta unità possibile contro il nemico principale, far dare a ognuno il contributo che può dare e neutralizzare gli effetti negativi della sua azione, pur mantenendo ferme la strategia del Partito e la sua autonomia. Lo stesso Stalin, al di là degli errori compiuti al riguardo in questo o quel caso e ovviamente al di là degli errori compiuti in suo nome dai dogmatici, ha dato grandi esempi di applicazione di questo metodo materialista dialettico di operare. Basta pensare alla pazienza con cui il Partito comunista russo da lui diretto ha trattato per lunghi anni Trotzki, Zinoviev, Bukharin e altri fomentatori di deviazioni che erano addirittura interni al partito, finché non si misero a cospirare contro il movimento comunista.

Venendo al presente e ai nostri compiti, il marxismo-leninismo-maoismo ci insegna che nell’attuale situazione in linea generale il rapporto che dobbiamo avere con le forze intermedie è un rapporto di unità e lotta. Dobbiamo di ognuna valorizzare il suo lato positivo e combattere o almeno neutralizzare il lato negativo, mobilitandola nella lotta contro il nemico principale, il governo Prodi-D’Alema-Bertinotti. Dobbiamo in ognuna individuare, mobilitare e rafforzare la sinistra, perché unisca a sé il centro e isoli la destra. Il fatto che una organizzazione raccolga il consenso di una parte delle masse popolari e recluti (solo per questo può svolgere un ruolo positivo o negativo nella lotta che le masse popolari devono condurre), ci assicura che in essa una sinistra esiste. È quindi possibile mobilitarla in modo da ottenere che l’intera organizzazione contribuisca alla comune lotta contro il governo Prodi-D’Alema-Bertinotti. Nella lotta contro un’organizzazione intermedia, dobbiamo aver sempre presente qual è il nemico principale contro cui è diretta la lotta delle masse popolari e la nostra lotta. In ogni forza intermedia noi abbiamo sicuramente un fattore che lavora per noi: il bisogno che quella forza intermedia ha di avere il consenso e l’appoggio delle masse popolari. Su questo dobbiamo far leva.

Ovviamente per riuscire a svolgere in modo efficace questo lavoro, ad individuare il lato positivo e il lato negativo, ad applicare fruttuosamente il nostro metodo di lavoro, occorre che il Partito raggiunga un buon livello sia nell’assimilazione creativa della nostra concezione del mondo, della nostra analisi generale e della nostra linea, sia nell’inchiesta sulla realtà concreta. Nessuna linea può essere applicata e produrre effetti positivi, se il Partito non è fermo nel perseguimento della sua strategia. Se non esistesse il Partito, le nostre iniziative tattiche non avrebbero senso, non sarebbero giuste, non produrrebbero i risultati positivi che producono. La flessibilità tattica invocata da chi non ha una strategia o non la persegue con fermezza, è solo giustificazione dell’opportunismo, del navigare a vista, del movimentismo, dell’opposizione al Partito. Senza il Partito, non è possibile svolgere un lavoro di massa fruttuoso, tanto meno è possibile far lavorare in modo positivo le forze intermedie. Noi oggi possiamo farlo, perché abbiamo definito la nostra strategia per la rivoluzione socialista e la nostra linea per consolidare e rafforzare il Partito. Ogni forza intermedia può svolgere un lavoro positivo, perché esiste il Partito. In sostanza: alcune di esse continuano a scuotere gli alberi a caso e a volte addirittura a casaccio, senza progetto e obiettivi, ma il Partito raccoglie i frutti che esse non raccolgono. Alcune mobilitano gruppi delle masse che noi non saremmo in grado di mobilitare direttamente. Alcune accendono e rafforzano nelle masse aspirazioni, ma esse non sono in grado di condurre le masse a soddisfarle, mentre noi lo siamo. Alcune non si danno i mezzi per realizzare gli obiettivi che propagandano. Persino le bugie che alcune di esse diffondono possono essere fatte diventare utili, perché rafforzano attese e creano aspettative che la rivoluzione può soddisfare. Prima o piuttosto che mettere in risalto che mentono o che non sono in grado di soddisfare le aspirazioni che alimentano, bisogna rafforzare nelle masse le aspirazioni che quelle organizzazioni destano e alimentano e indicare la strada che le masse devono percorrere per soddisfarle. 

Alcune forze intermedie sono consapevolmente legate al Partito o almeno disposte a collaborare col Partito. Altre sono decisamente ostili al Partito. In modo diverso, il Partito può fare in modo che le une e le altre contribuiscano alla rivoluzione. Con le prime ha una grande importanza il rapporto di critica-autocritica. Il rapporto con queste forze è più facilmente fruttuoso. Con le seconde ha grande importanza applicare la linea di massa e far leva sulle aspirazioni delle masse popolari che fanno la forza di quelle organizzazioni. Promuovere la partecipazione di tutte le forze intermedie alla rivoluzione non vuol dire avere atteggiamenti di compiacenza, di condiscendenza. Assolutamente non significa accettare qualunque loro proposta. Se seguiremo una loro strada sbagliata, comprometteremo la nostra causa e perderemo ogni capacità di dirigerle. Non significa sopportare tutti i colpi che esse rivolgono contro le masse popolari e contro il Partito. Non sono la nostra complicità o la nostra bontà che porteranno una forza intermedia a svolgere un ruolo positivo. Sono principalmente la forza e il successo del Partito nell’indicare la strada che le masse devono seguire in ogni situazione concreta per arrivare alla vittoria nella concreta battaglia in corso.


 

Ernesto V.

NOTE


 

1.  Il metodo delle piattaforme rivendicative unificanti, mobilitanti, ecc. è un metodo estraneo, anzi contrario al marxismo-leninismo, per non parlare del marxismo-leninismo-maoismo. Vorrebbe portare le masse alla lotta non puntando sulla mobilitazione della sinistra e sul suo lavoro per unire il centro e isolare la destra. Vorrebbe sfruttare la mentalità sindacalista e rivendicativa, che in sostanza è ancora una mentalità borghese, per portare le masse alla lotta contro la borghesia. Come metodo generale è sterile e la pratica lo ha più volte dimostrato. Mentalità borghese significa soggezione all’influenza della borghesia e l’influenza della borghesia divide i lavoratori e rende difficile, quando non impossibile, ai lavoratori lottare collettivamente ed efficacemente contro la borghesia. Il risultato generale di questa influenza è la sistemazione individuale, la lotta corporativa, ecc. Appunto ciò che un lavoratore può fare di compatibile con la mentalità borghese. Le piattaforme rivendicative unificanti, in realtà dividono i lavoratori. Perché alimentano e mantengono anche i più avanzati sotto l’influenza della borghesia. E ogni lavoratore che non vede o perde di vista il suo interesse strategico che lo unisce realmente a tutti i lavoratori (“fare dell’Italia un nuovo paese socialista), si riduce al suo interesse individuale o di piccolo gruppo (corporazione). Quindi si divide dagli altri e genera divisioni e contrapposizioni nelle masse. In generale non riesce a raggiungere neanche il suo interesse individuale o di gruppo, perché la borghesia cede qualcosa a qualcuno solo quando si sente sotto la minaccia dell’azione delle masse o concede qualcosa solo a quel numero relativamente ridotto di lavoratori (aristocrazia operaia) che si prestano a collaborare contro la massa dei lavoratori (e in questo periodo cerca di tagliare i viveri anche all’aristocrazia operaia - vedasi le velleità di lotta della banda Berlusconi contro le Cooperative, la CGIL e lo “strapotere dei sindacati”).

Il metodo delle piattaforme rivendicative generali, sindacali e politiche, essendo un metodo arretrato, riviene “spontaneamente” a galla quando il movimento comunista è debole e l’influenza della borghesia sui lavoratori prevale e ogni gruppo riparte da zero, non tiene conto dell’esperienza del movimento comunista e degli insegnamenti già consolidati, cioè della concezione marxista-leninista-maoista. Molti compagni sprecano ancora oggi tempo, risorse ed energie nel compilare piattaforme rivendicative e, di fronte al fatto che queste piattaforme di “obiettivi unificanti che tutti condividono” non mobilitano né uniscono, ripiegano sulla conclusione disfattista che “le masse sono arretrate”. Non vogliono o non riescono a capire che sono loro arretrati, nonostante la generosità e la persistenza dei loro sforzi.

Il metodo delle “piattaforme unificanti” deriva da una concezione sbagliata della politica comunista (di come i comunisti conducono la lotta politica rivoluzionaria). È l’idea di “unificare e mobilitare le masse attorno a una piattaforma rivendicativa” (una specie di “programma minimo”: vedere in proposito gli articoli di Nicola P. in La Voce n. 2 e di Rosa L. in La Voce n. 5). Le rivendicazioni non unificano i lavoratori oltre una certa misura, perché nella società borghese matura per il socialismo, quale è la società italiana, il successo di una rivendicazione soddisfa una necessità di una parte delle masse, ma contemporaneamente peggiora la condizione di altre, a volte anche quella della stessa parte sotto un altro aspetto, diverso da quello soddisfatto dal successo della rivendicazione. Non è vero che le masse capiscono solo le rivendicazioni, che non capiscono gli obiettivi politici e sociali dei comunisti (riassunti nella parola d’ordine “fare dell’Italia un nuovo paese socialista”). Ciò che unifica, riassume, sintetizza e dà forza a tutte le mobilitazioni particolari non è una piattaforma rivendicativa, ma la parola d’ordine “fare dell’Italia un nuovo paese socialista” (ovviamente a condizione che questa parola d’ordine non resti un guscio vuoto: in proposito un grande contributo viene dall’opuscolo Un futuro possibile recentemente pubblicato dalle Edizioni Rapporti Sociali).

Capita a volte che dei compagni oscillano tra il diffuso errore politico di marca seconda-internazionale e trotskista (“c’è bisogno di opposizione” - unificare le rivendicazioni specifiche in una piattaforma generale rivendicativa che dovrebbe mobilitare tutti perché a loro parere contiene obiettivi che “tutti capiscono e tutti condividono”) e la concezione comunista, marxista della lotta politica rivoluzionaria (combinare particolare e generale, rivendicazioni e lotta politica rivoluzionaria, obiettivi rivendicativi e “fare dell’Italia un nuovo paese socialista”; fare di ogni lotta rivendicativa una scuola di comunismo).

In alcuni casi si tratta di un normale, ingenuo cedimento alla “tattica menscevica delle fasi di triste memoria” (detta anche, da noi, “teoria delle ciliegie: una ciliegia tira l’altra”) così diffusa e che Lenin ha ben smascherato e denunciato parlando dei limiti di Rosa Luxemburg (anche in questo campo i trotskisti infatti hanno semplicemente assunto, conservato e perpetuato e riproducono e ripropongono le arretratezze della seconda internazionale), ad esempio nello scritto A proposito dell’opuscolo di Junius del 1916 ( Opere vol. 22). Quelli della seconda internazionale, salvo la sua ala sinistra (Lenin & C), non avevano capito che il mondo era cambiato, che in Europa erano maturate le condizioni oggettive e soggettive del socialismo: continuavano a ballare sulla musica del “programma minimo”. Quelli di loro che in qualche modo sentivano, in qualche misura accettavano il fatto che la situazione era matura per instaurare il socialismo, pensavano che le masse non avrebbero mai capito quello che essi orecchiavano e che bisognava attirarle alla rivoluzione socialista allettandole con il programma minimo (che i trotzkisti ribattezzarono programma transitorio). Pensavano inutile propagandare tra le masse gli obiettivi reali del movimento (che essi stessi avevano mal compreso, perché non vi dedicavano il tempo e le energie necessarie). Credevano di portare le masse a combattere per instaurare il socialismo senza parlare ad esse del socialismo, della natura dei compiti ravvicinati che dovevano risolvere, delle difficoltà che avrebbero dovuto affrontare, di quello che dovevano fare per superarle. Credevano di dover attirare le masse nella lotta per instaurare il socialismo senza che esse se ne rendessero conto, allettandole tramite “obiettivi incompatibili” col capitalismo che le masse avrebbero dovuto abbracciare perché, secondo questi arditi “pensatori”, erano obiettivi conformi ai pregiudizi e ai luoghi comuni borghesi diffusi tra le masse.

A giusto titolo, il metodo delle “piattaforme rivendicative unificanti” merita di entrare nell’elenco dei metodi sbagliati, alla pari del famigerato metodo dei “coordinamenti intergruppo”.

 

2.  A proposito dell’esperienza storica della dittatura del proletariato
in Opere di Mao Tse-tung , Edizioni
Rapporti Sociali, vol. 13, pag. 132.

 

3.  Ovviamente, come ogni cosa, anche il dogmatismo ha lati positivi.
Come ben dice Gramsci ( Quaderni del carcere , Einaudi tascabili, pag. 1388): “Quando non si ha l’iniziativa nella lotta e la lotta stessa finisce quindi con l’identificarsi con una serie di sconfitte, il determinismo meccanico diventa una forza formidabile di resistenza morale, di coesione, di perseveranza paziente e ostinata. “Io sono sconfitto momentaneamente, ma la forza delle cose lavora per me a lungo andare ecc.”. La volontà reale si traveste in un atto di fede, in una certa razionalità della storia, in una forma empirica e primitiva di finalismo appassionato che appare come un sostituto della predestinazione, della provvidenza, ecc., delle religioni confessionali.”. Ma il dogmatismo non porta dalla sconfitta alla vittoria e se è adottato da una forza vincente, la porta alla sconfitta.