L’unico futuro possibile per l’umanità è il socialismo!

Lotta per instaurare il socialismo e lotte rivendicative

La lotta per instaurare il socialismo deve guidare ogni altra lotta!
martedì 1 luglio 2008.
 
Comunicato del 1° luglio 2008

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Udienza Preliminare dell’Ottavo Procedimento Giudiziario a carico della “carovana” del (n)PCI, Bologna

Contro l’economicismo, per la lotta politica rivoluzionaria per il comunismo!


Indice:


Con le elezioni di aprile la sinistra borghese ha fatto un altro tonfo. Prima si era scissa in due parti. La parte maggiore aveva tirato la conclusione giusta che in questa fase la sinistra borghese non serve più a nessuno, né alla borghesia né alle masse popolari, era passata armi e bagagli alla destra e aveva costituito il PD. La parte minore aveva cercato di sopravvivere creando la Sinistra l’Arcobaleno che è appunto naufragata nelle elezioni. Gli sforzi in corso per rimetterla in vita, con congressi, patti, ristrutturazioni, accordi e costituenti, pensate di vecchi guru alla Rossana Rossanda o alla Mario Tronti, approderanno a ben poco. Perché effettivamente in questa fase la borghesia non ha bisogno della sinistra borghese e le masse popolari non ne possono più cavare alcun guadagno. Il governo Prodi-D’Alema-Bertinotti lo ha mostrato su grande scala. La sinistra borghese era quella parte del mondo politico borghese che, per conservare la Repubblica Pontificia, per decenni ha mediato tra la borghesia imperialista e le masse popolari, moderando le voglie e gli appetiti della prima e concedendo qualcosa alle seconde. Da alcuni anni non è più il momento delle mediazioni e delle concessioni! La sinistra borghese oramai sopravviveva al ruolo sociale che aveva effettivamente svolto nel passato. La forza che le restava era il residuo della forza conquistata dal movimento comunista nella lotta contro il fascismo, nella Resistenza e nella lotta condotta nel dopoguerra contro l’instaurazione della Repubblica Pontificia. I revisionisti moderni (Togliatti, Berlinguer & C) con un lavoro astuto, lungo e paziente erano riusciti a stravolgere la forza del movimento comunista e a ritorcerla a favore della Repubblica Pontificia. Da anni la sinistra borghese non viveva quindi di forza propria: viveva di rendita. Per questo oggi non ha le forze per riprendersi dal tonfo fatto con le elezioni di aprile.

La borghesia imperialista, la Corte Pontificia con il suo clero, le Organizzazioni Criminali all’interno e i padrini esterni dell’attuale regime, gli imperialisti USA e i gruppi sionisti d’Israele, marciano verso destra, verso la mobilitazione reazionaria delle masse popolari, la guerra infinita e la reazione più nera. Con oscillazioni e titubanze perché è ancora viva la memoria di come per loro è finita male con il fascismo e il nazismo, ma quella è la direzione in cui i loro interessi e la loro natura li spingono.

Le masse popolari non hanno altra via d’uscita dall’attuale marasma economico, politico, sociale, morale, intellettuale e ambientale che instaurare il socialismo e riprendere a un livello superiore la strada indicata dai primi paesi socialisti.

Queste sono le due direzioni alternative, entrambe possibili e realistiche, per il nostro paese. In entrambi i casi nulla da fare per la sinistra borghese. Ma quale delle due direzioni prevarrà?

Nessuna delle due direzioni traccia un percorso che inevitabilmente gli avvenimenti seguiranno. Nessuno può garantire che le cose andranno in un modo piuttosto che nell’altro, perché il percorso che effettivamente gli avvenimenti seguiranno sarà determinato in primo luogo dall’azione che noi comunisti svilupperemo, dalle forze che riusciremo a mobilitare e a organizzare in primo luogo tra gli operai e in secondo luogo tra le altre classi delle masse popolari, da quanto svilupperemo con creatività e concretezza la guerra popolare rivoluzionaria che è la sola via per instaurare il socialismo, dallo sviluppo della resistenza delle masse popolari dei paesi oppressi e dalla rinascita del movimento comunista nel mondo, dall’atteggiamento del governo e delle varie componenti della borghesia, del Vaticano, degli imperialisti USA e dei vari altri attori del campo della borghesia imperialista.

Il maggior ostacolo a che le masse popolari imbocchino con decisione la strada dell’instaurazione del socialismo sta nelle arretratezze di noi comunisti, nei nostri limiti intellettuali e morali: della nostra comprensione delle caratteristiche, delle forme e dei risultati della lotta di classe in corso a livello nazionale e internazionale e della nostra determinazione e audacia nello spingerla in avanti.

Uno dei grandi limiti dei comunisti è il peso che ha l’economicismo nelle nostre file. Molti di noi ancora oggi non fanno una netta distinzione tra lotte rivendicative e lotta per instaurare il socialismo. Quindi tanto meno le combinano in maniera giusta. Alcuni che pur onestamente si credono comunisti vanno addirittura proclamando che gli operai e il resto delle masse popolari arriveranno a instaurare il socialismo sviluppando lotte rivendicative sempre più larghe, sempre più coordinate, sempre più combattive. Che compito principale dei comunisti sarebbe promuovere lo sviluppo di lotte rivendicative. Che i comunisti raccoglierebbero e formerebbero forze rivoluzionarie principalmente se non unicamente tramite le lotte rivendicative. Che la via alla rivoluzione socialista consisterebbe nel “politicizzare le lotte rivendicative”. Che le lotte rivendicative giunte a un dato grado di sviluppo quantitativo, di generalizzazione e di forza, si trasformerebbero inevitabilmente in lotta politica per instaurare il socialismo.

Questa è la concezione che chiamiamo economicismo.

Questa concezione è già stata più volte messa alla prova dei fatti nei paesi imperialisti durante la prima ondata della rivoluzione proletaria e nel nostro paese anche negli anni ’70. Si è sempre rivelata fallimentare. La via alla rivoluzione consiste nel conquistare gli operai avanzati e gli esponenti avanzati delle altre classi delle masse popolari alla lotta per instaurare il socialismo. L’esperienza storica e l’analisi della società borghese hanno più volte dimostrato che i comunisti possono compiere questa impresa, ci forniscono sufficienti insegnamenti per farlo ancora e ci mostrano anche il ruolo importante ma ausiliario che le lotte rivendicative hanno in questa impresa. Per marciare con sicurezza verso la vittoria dobbiamo farci forti dell’esperienza del movimento comunista e liberarci dalla concezione economicista della lotta di classe. Volere per sé una parte maggiore di quello che la società borghese offre oggi a chi ha i soldi per pagarlo, non porta allo stesso tipo di attività e di organizzazione a cui porta volere una società comunista. La concezione economicista della lotta di classe è opposta a quella del movimento comunista cosciente e organizzato sintetizzata oggi nel marxismo-leninismo-maoismo. L’economicismo inquina il movimento comunista cosciente e organizzato fin dalle sue origini e non a caso si è riprodotto sotto vesti un po’ cambiate nonostante i suoi fallimenti pratici e nonostante le ripetute confutazioni teoriche che ne hanno fatto numerosi dirigenti comunisti, tra i quali ricordiamo Lenin ( Che fare? 1902) e Gramsci (nella sua polemica contro Trotski e i suoi seguaci).

 

Quali sono le basi storiche dell’economicismo?

A seguito dell’affermarsi del modo di produzione capitalista, nella società si sono formate due grandi classi contrapposte: la borghesia e la classe operaia.

Al principio la lotta tra queste due classi assunse la forma di lotta economica. Un gruppo di operai si organizzava e scendeva in lotta contro un solo capitalista, ora in una ora in un’altra fabbrica, per alleviare le proprie condizioni. Questa lotta riguardava solo la distribuzione del prodotto e le condizioni di lavoro. Non coinvolgeva ancora le basi del sistema di sfruttamento (il sistema di produzione) e la sovrastruttura politica e culturale che lo difende. L’obiettivo delle lotte degli operai non era di eliminare lo sfruttamento, ma di attenuarlo, di aumentare il salario e migliorare le condizioni di lavoro.

Benché limitata nei suoi obiettivi, dal punto di vista di tutte le classi dominanti questa lotta collettiva, aperta e organizzata sconvolgeva tuttavia “l’ordine naturale delle cose”: la soggezione degli sfruttati ai loro sfruttatori. Contro di essa scesero quindi in campo non solo i padroni direttamente interessati, ma tutte le potenze dell’ordinamento sociale, in primo luogo lo Stato con la sua forza e il clero con le sue prediche, i suoi anatemi, i suoi ricatti e le sue subdole manovre. Da parte loro i capitalisti, oltre a far ricorso a ricatti e licenziamenti, svilupparono su scala crescente metodi e tecniche di divisione tra gli operai. Contrapposero individui e piccoli gruppi alla massa dei lavoratori, alle loro organizzazioni di lotta e alla loro solidarietà di classe. La lotta puramente economica unisce gli sfruttati per lottare con successo contro i padroni. Ma essa può anche dividere gli sfruttati, portare alcuni ad accaparrarsi il favore dei padroni o a migliorare le proprie condizioni a danno di altri. La borghesia cerca sistematicamente di trasformare ogni contraddizione tra sé e gli sfruttati in contraddizioni tra gruppi di sfruttati.

Sono quindi evidenti i limiti e gli ostacoli che incontrava questa prima forma di lotta degli operai. Storicamente essa svolse tuttavia un ruolo importante, perché educò gli operai a lottare contro i capitalisti e li spinse ad organizzarsi. E proprio i suoi limiti contenevano le premesse per il superamento della sua forma primitiva.

L’intervento dello Stato e del clero a difesa dei capitalisti nella lotta economica, aiutò (e ancora aiuta) gli operai a comprendere che la loro lotta doveva assumere carattere politico e stravolgere l’intero ordinamento della società. La borghesia aveva aperto in un certo senso la strada agli operai: tramite propri organismi rappresentativi aveva imposto limiti alla libera attività dello Stato e leggi favorevoli alle proprie attività. Anche gli operai dovevano imporre allo Stato nemico leggi e regole a proprio favore (lotta politica per le riforme) e resistere alla sua repressione. Per difendere il loro potere, le classi sfruttatrici presentavano il loro Stato come un’istituzione al di sopra delle classi, espressione dell’intera società e depositario responsabile degli interessi generali della società. In effetti lo Stato democratico è al di sopra di ogni singolo capitalista ed è espressione dell’intera borghesia. Quindi gli sfruttati cercavano di obbligare lo Stato della borghesia a limitare lo sfruttamento e la repressione tramite leggi e regole. Per lottare liberamente, gli operai dovevano scuotersi di dosso l’influenza intellettuale e morale del clero.

È quello che è avvenuto in ogni paese man mano che esso diventava borghese. Con la mentalità (la filosofia) che lo sviluppo dell’economia mercantile e capitalista crea nella popolazione dei paesi borghesi o in via di divenirlo, gli operai potevano e dovevano condurre lotte rivendicative. A questo fine essi dovevano associarsi, costituirsi in sindacati, rivendicare collettivamente questo o quello dai proprietari e dalle Autorità.

In questo contesto Marx ed Engels elaborarono la concezione comunista del mondo. Le ricerche scientifiche, storiche e sociali dell’epoca avevano già messo in luce l’esistenza delle classi e le loro lotte. Gli storici borghesi avevano descritto lo sviluppo storico della lotta tra le classi nella società moderna. Gli economisti borghesi avevano descritto l’anatomia economica della borghesia e del proletariato. Marx ed Engels andarono oltre. Essi mostrarono che l’esistenza delle classi è legata puramente a determinate fasi storiche di sviluppo della produzione, che la lotta delle classi conduce necessariamente alla dittatura del proletariato e che questa dittatura non costituisce altro che il passaggio all’abolizione di tutte le classi e a una società senza classi.

Con il contributo di Marx ed Engels la classe operaia ebbe a sua disposizione la concezione comunista del mondo, grazie alla quale riconoscere il suo ruolo di classe dirigente del processo di superamento della società capitalista e di transizione verso il comunismo. La sua lotta particolare contro i padroni diventava la parte decisiva della lotta generale dell’umanità per andare oltre il capitalismo. La classe operaia era la classe promotrice e dirigente di questa lotta.

Da allora in poi l’economicismo divenne una controtendenza del movimento comunista, una concezione che si opponeva al marxismo, una concezione che sopravvalutava il ruolo delle lotte rivendicative a scapito della lotta politica rivoluzionaria per instaurare il socialismo, una concezione che contrapponeva le lotte rivendicative spontanee, ossia che nascevano anche sulla base della concezione borghese del mondo, alla lotta per instaurare il socialismo che si sviluppava solo sulla base dell’assimilazione della concezione comunista del mondo.

 

Perché l’economicismo ha continuato ad esistere e a riprodursi?

L’economicismo è contemporaneamente 1. la concezione spontanea del proletario che già non si rassegna più ai maltrattamenti cui è sottoposto, ma che è ancora ideologicamente succube della borghesia (ha ancora la mentalità propria della società borghese) e 2. la politica borghese (promossa dalla borghesia) per questi proletari. Da qui la sua persistenza e il suo riprodursi in mille forme diverse.

L’economicismo è la concezione “spontanea” del proletario. Il proletario educato dalla società borghese, con la mentalità (la filosofia spontanea) che assorbe dalla società borghese, con la mentalità creata e resa naturale dalla pratica mercantile, del vendere e comperare, arriva alla lotta rivendicativa. Il proletario è un venditore di forza lavoro, il padrone la vuole pagare il meno possibile, il proletario cerca di venderla al prezzo più alto possibile. E scopre la forza dell’associazione come mezzo atto a questo fine. Questo è l’organizzazione aziendale o professionale, il sindacato e da qui ha avuto origine e continuamente si rigenera la lotta sindacale, rivendicativa, come che la si chiami, dentro e fuori la fabbrica.

L’economicismo è l’ambito intellettuale e morale in cui la borghesia cerca di confinare il proletario quando le condizioni generali della civiltà sono tali che è impossibile impedire la lotta delle classi proletarie contro i padroni e vietare la loro associazione professionale a questo scopo. In Italia è stata la filosofia su cui sono nate e vissute la CISL, la UIL, le ACLI, i sindacati gialli e corporativi: “l’operaio ha diritto a stare meglio e finché si limita a questo la sua lotta è legittima”. Ci sono paesi come la Germania dove per legge e per contratto è proibito alle organizzazioni aziendali e professionali di proletari di occuparsi d’altro. Nei paesi anglosassoni (USA, Gran Bretagna, Australia, ecc.) da decenni oramai, nell’ambito di regimi di controrivoluzione preventiva, i proletari hanno condotto lotte rivendicative anche accanite, organizzate da sindacati borghesi o comunque diretti da economicisti (a volte anche molto combattivi) e le organizzazioni aziendali e professionali di proletari non vanno oltre le rivendicazioni salariali e normative.

Le lotte rivendicative sono indispensabili alle classi proletarie. Ai padroni che spingono il salario più in basso possibile, che in ogni campo cercano di spremere il più possibile i lavoratori, alle Autorità che estorcono tasse, impongono restrizioni ed eliminano conquiste, i proletari oppongono lotte rivendicative, usano la forza dell’organizzazione e del numero, fanno leva sul bisogno che il padrone ha di essi come classe (può fare a meno di uno o dell’altro operaio, ma non di tutti), del consenso e dei voti di cui le Autorità si avvalgono, per esigere salari, condizioni di lavoro e condizioni generali migliori. Fin qui noi comunisti e gli economicisti siamo tutti d’accordo. Fin qui i disaccordi sono con chi invece sostiene la concertazione, la compatibilità, la collaborazione dei lavoratori con i padroni, le politiche dei sacrifici, la rassegnazione al meno peggio.

La divergenza tra noi comunisti e gli economicisti incomincia da questo punto. Gli economicisti sostengono che gli operai tramite le lotte rivendicative prima o poi arrivano alla lotta politica.

In che cosa consista la lotta politica, ecco il primo tema su cui molti economicisti sono reticenti o ambigui. Lotta contro il governo e le Autorità per indurli a fare leggi e norme favorevoli o almeno meno inique, a stanziare sussidi, a costruire case popolari, ecc., oppure lotta per prendere il potere e instaurare il socialismo? Gli economicisti di casa nostra, quelli che magari onestamente si credono comunisti (quelli, per fare esempi concreti, che dirigono Proletari Comunisti (RossOperaio), Rete dei Comunisti, ecc. che costituiscono varie gradazioni di economicisti) non vi diranno che per loro la lotta politica si limita alla prima cosa. Ma di fatto agli operai parlano solo della prima cosa, lasciano nell’ombra le questioni della strategia e della tattica per la conquista del potere, mischiano sindacato e partito, organizzazioni per la lotta rivendicativa e organizzazioni per la lotta politica, le organizzazioni che costruiscono sono adatte solo per il primo tipo di lotta politica.

I capi di Rete dei Comunisti vi dicono anche esplicitamente che compito dell’organizzazione politica è fare da sponda politica (cioè nelle istituzioni borghesi) alle lotte rivendicative dei lavoratori, spingere le autorità borghesi a fare leggi e norme favorevoli ai lavoratori, sostenere le lotte rivendicative e le relative organizzazioni con il prestigio e l’autorità delle cariche istituzionali.

Gli economicisti più vicini a noi comunisti, come esempio citiamo Proletari Comunisti (RossOperaio), non negano che il compito dei comunisti è promuovere nei lavoratori una adeguata coscienza che occorre instaurare il socialismo e imparare a costruirlo, ma sostengono che le lotte rivendicative sono la via unica o principale attraverso cui gli operai arrivano a capire che devono lottare per impadronirsi del potere e instaurare il socialismo. “Vogliamo portare gli operai a lottare per instaurare il socialismo? Promuoviamo lotte rivendicative, organizziamoli perché conducano lotte rivendicative sempre più spinte, sempre più generali, sempre più combattive (“militanti”), con obiettivi sempre più ambiziosi e vedrete che prima o poi gli operai ci arriveranno a capire che bisogna farla finita con i padroni e prendere in mano il potere”. Perché lo Stato interviene in mille modi nelle lotte rivendicative a sostegno del padrone: cosa certamente vera. Perché in molte lotte rivendicative lo Stato stesso è direttamente il padrone, è la principale parte nemica in causa. Infatti le condizioni normative e in alcuni casi anche economiche dei proletari dipendono dalla politica dello Stato. Cosa certamente vera e tanto più vera e importante nei paesi imperialisti dove l’economia è altamente collettiva, dove borghesia e Stato sono fusi nel capitalismo monopolistico di Stato. Basta considerare la speculazione che in questo periodo sta portando alle stelle il prezzo dei carburanti, degli alimentari, di altri beni di consumo e di molti servizi, rovinando i lavoratori dipendenti, i pensionati e molti lavoratori autonomi. “Quindi, è la conclusione che traggono gli economicisti, chi vuole instaurare il socialismo deve promuovere e fomentare lotte rivendicative. Gli operai ne capiscono la necessità, mentre non capirebbero niente se parlassimo loro di comunismo e di socialismo. Facendo lotte rivendicative andranno a sbattere il naso contro lo Stato e saranno costretti a rendersi conto che la lotta politica è indispensabile. Non bisogna parlare agli operai di comunismo e di socialismo. Si spaventerebbero, si allontanerebbero da noi, non ci starebbero neanche ad ascoltare. Parliamo invece di salari, di condizioni di lavoro. Queste sono cose “concrete”: queste sono cose che gli operai capiscono perché le sperimentano direttamente (cioè, diciamo noi comunisti, ci arrivano anche spontaneamente, anche senza di noi comunisti). Se noi organizziamo delle rivendicazioni vittoriose, gli operai saranno con noi e potremo poco per volta portarli a lottare anche per instaurare il socialismo”. Su questo nocciolo nascono le mille varianti di economicismo che inquinano il movimento comunista. In certi periodi e paesi arrivano fino a soffocarlo, perché i comunisti non combattono l’economicismo abbastanza energicamente ed efficacemente.

Nel nostro paese i sindacati di regime, in particolare la CGIL e i sindacati di base (alternativi) sono pieni di comunisti sostenitori (fautori) di una specie di “lunga marcia verso il comunismo tramite le lotte rivendicative”. Le FSRS sono imbevute di economicismo. Proletari Comunisti (RossOperaio) proclama che “solo la lotta sindacale è concreta”. Che per essere un dirigente comunista bisogna essere “un riconosciuto dirigente sindacale”. Anche le nostre file non ne sono esenti. Quando un compagno arriva in un nuovo posto di lavoro, è “naturale”, è “inevitabile” che cerchi di organizzare qualche rivendicazione. Se non sono in corso lotte rivendicative, in fondo (benché ripeta mille frasi del Partito che dicono il contrario) gli pare che lì “non c’è lotta di classe”, che “tutti sono arretrati”. Quando un organismo deve stabilire cosa fare, spesso il pensiero corre solo alle lotte rivendicative che si possono promuovere. E ce n’è sempre in abbondanza di lotte rivendicative utili e necessarie, sia per gli operai sia per le altre classi delle masse popolari, tante sono le malefatte dei padroni e delle Autorità. In questo periodo più ancora che negli anni scorsi. Tanto che ogni organismo comunista dovrebbe chiedersi quale lavoro di massa fa oltre che promuovere lotte rivendicative.

 

Le lotte rivendicative e la lotta dei comunisti

In effetti da soli gli operai già fanno lotte rivendicative e fa loro comodo che i comunisti li aiutino. Ma è questo l’aspetto centrale del compito dei comunisti? È vero che le lotte rivendicative si estendono e si rafforzano e prima o poi diventano inevitabilmente lotta politica per trasformare l’ordinamento sociale?

L’esperienza mostra cose ben diverse da quelle che dicono gli economicisti. Anzitutto ci sono i lavoratori dei paesi anglosassoni, i paesi capitalisti più avanzati del mondo e anche lavoratori di altri paesi ivi compreso il nostro, che hanno condotto e conducono lotte rivendicative accanite, ma non sono arrivati e sono ancora lungi dall’arrivare ad avere coscienza che per risolvere i loro guai e smettere di dibattersi nella stessa rete (con alterne fortune, un passo avanti oggi e un passo indietro domani se non due, in balia all’iniziativa dei padroni, degli speculatori, dei banchieri, del clero e dei loro governi), devono instaurare il socialismo e ancora più lungi dall’aver costruito un’organizzazione adeguata allo scopo.

Dunque dove i comunisti non conducono un’azione specifica per promuovere quella coscienza e creare quell’organizzazione, le lotte rivendicative non portano gli operai né alla coscienza né all’organizzazione di cui parliamo.

Viceversa ci sono numerosi esempi di paesi e di periodi storici in cui i comunisti hanno svolto il lavoro di propaganda e di organizzazione che diciamo noi, combinandolo con le lotte rivendicative contro i padroni, con le lotte politiche contro i governi e le Autorità per avere riforme e con ogni altri tipo di lotta per obiettivi circoscritti e immediati e usando ognuna di esse come scuola di comunismo. Qui i comunisti sono più volte riusciti a creare un vasto movimento di operai e di membri di altre classi delle masse popolari con la coscienza e l’organizzazione adatte a lottare per instaurare il socialismo. Basti pensare da noi al Biennio Rosso (1919-1920) e alla Resistenza (1943-1945) con gli anni immediatamente successivi prima che i revisionisti moderni prendessero il sopravvento nel partito comunista e un po’ alla volta, con molto sforzo, tatto e accortezza, lo trasformassero in un partito della sinistra borghese (che si occupa di lotte rivendicative, ma non di socialismo e anzi denigra il movimento comunista). Basti pensare alla Rivoluzione d’Ottobre e all’Unione Sovietica, alla rivoluzione cinese e alla Repubblica Popolare, alle tante altre rivoluzioni socialiste e di nuova democrazia che i comunisti hanno diretto nel secolo scorso e a quelle che ancora dirigono oggi.

Consideriamo ora più attentamente le cose. Per quanto siano avanzati e grandi le richieste che facciamo ai padroni e le rivendicazioni che avanziamo, per quanto siano combattive le lotte rivendicative che conduciamo, queste restano sempre una cosa qualitativamente diversa dal volersi impadronire del potere, eliminare i padroni, instaurare il socialismo e costruire una società senza padroni e senza più divisione in classi. Sono due ordini di cose diverse. C’è un salto tra le due. I movimenti rivendicativi quindi differiscono dalla lotta per il socialismo anzitutto per l’obiettivo.

La storia di tutti i paesi attesta che la classe operaia con le sue sole forze, con la mentalità che la società borghese forma negli operai, è in grado di elaborare soltanto una coscienza rivendicativa, cioè la convinzione della necessità di unirsi in sindacati, di condurre la lotta contro i padroni, di reclamare dal governo questa o quella legge necessaria agli operai, ecc. La dottrina del socialismo e del comunismo è sorta da teorie filosofiche, storiche, economiche che furono elaborate dai rappresentanti colti delle classi possidenti, gli intellettuali e rielaborate da Marx ed Engels. È una concezione del mondo che gli operai assimilano solo grazie ad un’azione specifica condotta dai comunisti.

La storia di tutti i paesi moderni mostra però anche che gli operai sono più ricettivi delle altre classi alla teoria comunista (al marxismo). È facile capire il perché. Gli operai costituiscono, con la borghesia, una delle due classi della grande produzione e la società moderna si fonda sulla grande produzione, sulle forze produttive collettive, sulla divisione sempre più spinta del lavoro tra unità produttive e reparti e sulla loro combinazione. Il comunismo nel senso moderno, attuale del termine, riprende e continua lo sviluppo intellettuale, morale e pratico portato dalla borghesia nella storia umana e supera le contraddizioni che la borghesia, l’ultima delle classi sfruttatrici, non può superare, le contraddizioni (in campo economico, politico, sociale, intellettuale, morale, ambientale) in cui si dibatte oggi l’umanità e che mettono in gioco la sua stessa sopravvivenza. Gli operai per la loro posizione sono in grado di capire tutto questo più di qualsiasi altra classe, nonostante la condizione intellettuale e morale in cui la borghesia li tiene, perché il percorso che i comunisti propongono è anche la loro particolare emancipazione dalla borghesia che essi vanamente cercano con le lotte rivendicative alle quali arrivano anche spontaneamente, ovviamente con la spontaneità propria di un lavoratore della società borghese.

 

La lotta politica rivoluzionaria per il socialismo e il comunismo

La sostituzione del comunismo al capitalismo è una legge oggettiva della società capitalista. L’umanità non può perseverare indefinitamente nel capitalismo: il marasma in cui la borghesia imperialista ha condotto l’umanità lo conferma. Questa legge è stata scoperta da Marx ed Engels studiando la natura del capitalismo e fa parte della concezione comunista del mondo. La necessità di tale sostituzione non è dettata dalle concezioni e dai sentimenti degli uomini: è dettata dalle relazioni pratiche che essi vivono. Queste hanno fatto sorgere le concezioni e i sentimenti necessari per realizzare la sostituzione. La classe operaia attua questa legge, trasforma la realtà in conformità a questa legge con il suo partito comunista, le sue organizzazioni di massa, le sue lotte, la sua direzione sul resto del proletariato e delle masse popolari. Solo il partito comunista però è in grado di dare alla classe operaia un orientamento rivoluzionario e rende la rivoluzione socialista un’impresa possibile. L’esperienza pratica spinge la classe operaia ad assumere il ruolo di dirigente di tutte le altre classi delle masse popolari nella loro lotta contro la borghesia imperialista. Ma l’esperienza pratica diventa coscienza e linea d’azione sistematica e su larga scala solo attraverso passaggi che, per la condizione sociale a cui la borghesia la relega, la classe operaia non può compiere spontaneamente e in massa. Gli operai che si mobilitano a questo scopo, gli operai avanzati, devono organizzarsi nel partito comunista. Il partito comunista, che così diventa il reparto d’avanguardia e organizzato della classe operaia, è l’espressione, al più alto livello di coscienza e di organizzazione, del ruolo dirigente della classe operaia e porta il complesso della classe a svolgere questo ruolo verso il resto delle masse popolari. Esso fa leva in modo scientifico e organizzato sull’esperienza pratica della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari per sviluppare la loro coscienza e la loro organizzazione fino a renderle capaci di instaurare il socialismo.

Gli economicisti, come tutti gli spontaneisti, negano o sottovalutano il ruolo dell’elemento cosciente e organizzato nello sviluppo della lotta degli operai, si affidano unilateralmente alla spontaneità anziché elaborare l’esperienza dei movimenti spontanei, cioè predicano e soprattutto praticano lo spontaneismo e lasciano alla borghesia il monopolio in campo ideologico, non lottano perché le masse assimilino su scala crescente la concezione comunista del mondo e questa diventi la guida della loro attività.

Ovviamente nel campo della lotta per il socialismo ci sono diversi livelli di coscienza e diversi gradi di organizzazione. Anche noi comunisti ne siamo uno e il Partito comunista si propone di essere il livello più alto di coscienza e il grado più alto di organizzazione. Per questo mette in opera una conseguente politica di reclutamento, di formazione dei propri membri, di selezione dei propri dirigenti, di epurazione del propri ranghi, pratica al suo interno la critica-autocritica-trasformazione e la lotta tra le due linee e funziona secondo il principio del centralismo democratico. Chiede insomma ai membri del Partito anzitutto una coscienza, cioè l’adesione alla concezione comunista del mondo. In secondo luogo chiede una condotta, uno sforzo, un impegno e una dedizione alla causa del tutto eccezionali anche tra gli operai. Tutto ciò è attinto dall’esperienza del movimento comunista che oramai dura da 160 anni e ha raggiunto grandi successi, senza confronti nel corso della storia umana, anche se negli ultimi decenni del secolo scorso ha subito rovesci e sconfitte. Di fronte ad essi i comunisti non si sono persi d’animo. Hanno cercato i motivi di questi rovesci e hanno corretto gli errori e superato i limiti che avevano indebolito il movimento comunista al punto che la borghesia e il clero che erano in declino, hanno ripreso il sopravvento. La rinascita del movimento comunista in corso nel mondo e anche nel nostro paese, all’insegna del marxismo-leninismo-maoismo e seguendo la strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, conferma e verificherà la bontà delle scoperte fatte e delle correzioni apportate. I successi raggiunti dal Partito comunista del Nepal (maoista) sono un segnale incoraggiante in questa direzione e un esempio importante.

La lotta per il socialismo e il comunismo non è quindi la lotta rivendicativa più avanzata, più radicale e più generale: il socialismo e il comunismo non sono affatto rivendicazioni. C’è la differenza che corre tra un ragazzo che reclama ed esige questo o quello dalla mamma e un adulto che si emancipa dalla mamma e fa la sua strada. Il comunismo e il socialismo sono prima di tutto un sogno, un sogno a occhi aperti, un sogno realista come i sogni di Pisariev di cui parla Lenin nel Che fare? (il trattato classico contro l’economicismo, scritto più di cento anni fa: lo citiamo a riprova di quanto sia “nuovo” l’economicismo).

"C’è contrasto e contrasto - scriveva Pisariev a proposito del contrasto fra il sogno e la realtà. - Il mio sogno può precorrere il corso naturale degli avvenimenti, ma anche deviare in una direzione verso la quale il corso naturale degli avvenimenti non può mai condurre. Nella prima ipotesi, non reca alcun danno; anzi, può incoraggiare e rafforzare l’energia del lavoratore. ... In quei sogni non c’è nulla che possa pervertire o paralizzare la forza operaia; tutto al contrario. Se l’uomo fosse completamente sprovvisto della facoltà di sognare in tal maniera, se non sapesse ogni tanto andare oltre il presente e contemplare con l’immaginazione il quadro compiuto dell’opera che è abbozzata dalle sue mani, quale impulso, mi domando, l’indurrebbe a cominciare e a condurre a termine grandi e faticosi lavori nell’arte, nella scienza e nella vita pratica? ... Il contrasto tra il sogno e la realtà non è affatto dannoso se chi sogna crede sul serio al suo sogno, se osserva attentamente la realtà, se confronta le sue osservazioni con le sue fantasticherie, se, in una parola, lavora coscienziosamente per attuare il suo sogno. Quando vi è un contatto tra il sogno e la vita, tutto va per il meglio".

Il comunismo e il socialismo sono quindi un sogno, ma sono anche una scoperta scientifica fatta da Marx ed Engels, i fondatori del movimento comunista. Una scoperta la cui realtà è convalidata dall’esperienza di circa 160 anni di lotta pratica.

Gli economicisti negano agli operai questo sogno e questa scoperta. Vorrebbero che non parlassimo agli operai di essi, proprio mentre ne hanno un assoluto bisogno. Sono immersi nel marasma economico, politico, sociale, intellettuale, morale e ambientale in cui la borghesia li ha sospinti e nessuno altro parla loro di comunismo e di socialismo, salvo che per demoralizzarli ancora di più denigrando le grandi imprese compiute dal movimento comunista. Noi comunisti invece poniamo quel sogno e quella scoperta al centro dei nostri discorsi e delle nostre aspirazioni. Diciamo agli operai e alle altre classi delle masse popolari non quello che già sanno e fanno, ma quello che hanno bisogno di sapere per porre fine alle sofferenze di oggi e che nessun altro dice loro. La nostra abilità si misura da quanto riusciamo a farci ascoltare.

 

Altre importanti differenze tra comunisti ed economicisti

Ma i comunisti non si differenziano dagli economicisti solo perché promuovono fra i lavoratori fin da subito l’assimilazione della concezione comunista del mondo e la lotta per instaurare il socialismo, mentre gli economicisti promuovono solo lotte rivendicative. Proprio da qui seguono altre importanti differenze.

Infatti i movimenti rivendicativi e la lotta per il socialismo non si differenziano solo per l’obiettivo. Anche la struttura di una organizzazione rivendicativa, le relazioni su cui è costruita, gli statuti che la reggono sono per forza di cose diversi dalla struttura dei partiti comunisti che hanno come loro scopo centrale la lotta contro la borghesia e il suo Stato per prendere il potere e instaurare il socialismo. Proprio perché i due tipi di organizzazione hanno obiettivi diversi. Le caratteristiche dei membri e dei dirigenti, le attitudini richieste ad essi e la loro formazione sono differenti nei due tipi di organizzazione, perché diverse sono le lotte che devono condurre, le situazioni che devono affrontare, i compiti che devono svolgere.

L’organizzazione per la lotta rivendicativa è “spontanea”. Non occorre avere acquisito la concezione comunista del mondo per partecipare e promuovere lotte rivendicative. Quindi tutti i proletari possono partecipare alle organizzazioni sindacali, a condizione che osservino le norme statutarie che devono essere solo quelle necessarie alla lotta rivendicativa. Per sua natura il sindacato e ogni organizzazione fatta per lotte rivendicative deve essere ampia e aperta alla più larga partecipazione. Dovunque vi sono o occorrono lotte rivendicative, bisogna costruire organizzazioni adatte a promuoverle.

L’organizzazione per instaurare il socialismo si costruisce invece anche quando e dove non vi sono lotte rivendicative, perfino dove non possono esserci lotte rivendicative. I comunisti costruiscono cellule di partito perfino in campo nemico: nelle forze armate, nella polizia, nei carabinieri, tra i magistrati, tra le guardie carcerarie, tra i funzionari dello Stato borghese, dovunque. Il comunista che entra in un ambiente, non cerca anzitutto e sempre quale lotta rivendicativa può promuovere. Cerca chi in quell’ambiente è più accessibile agli ideali del comunismo, più capace di capirli e abbastanza generoso per aderirvi e arruolarsi nella lotta per farli valere.

In ogni ambiente il comunista cerca gli elementi più avanzati e li mobilita a partire da ciò che sono, raccogliendo il contributo che possono dare, favorendo la loro formazione: facendo cioè di ogni lotta e di ogni iniziativa una scuola di comunismo.

Chi sono gli elementi avanzati? A grandi linee possiamo distinguere quattro categorie di operai avanzati e di elementi avanzati delle altre classi delle masse popolari:

1. quelli che impersonano la tendenza a ricostruire il partito comunista: è una tendenza che si esprime in vari modi: nell’aderire disinteressatamente a un partito anche se non soddisfatti della sua attività, nello sforzo di inquadrare ogni problema particolare in un quadro generale di trasformazione-riforma della società, nella consapevolezza che "bisogna essere uniti", ecc.;

2. quelli che esercitano disinteressatamente un ruolo dirigente sui loro compagni nelle lotte di difesa, siano o non siano membri di organismi sindacali;

3. quelli che in qualche modo si pongono disinteressatamente il compito di unire e mobilitare i propri compagni di classe per risolvere i problemi specifici che via via devono affrontare;

4. quelli che impersonano altre tendenze positive che si sviluppano tra le masse, come ad esempio quelli che cercano di capire come va il mondo, quelli che sono curiosi di conoscere altre situazioni, quelli che sono curiosi di conoscere programmi e metodi degli organismi politici, quelli che vogliono rendersi utili, ecc.

Sono quattro categorie che non si sovrappongono completamente. In ogni situazione il comunista cerca di individuare gli elementi avanzati, capire di ognuno in che senso è avanzato (a quale delle quattro categorie appartiene) e sviluppare il rapporto con lui sulla base del suo aspetto positivo, di portarlo ad assimilare la concezione comunista del mondo e ad arruolarsi nel partito comunista o almeno collaborare con esso.

L’organizzazione comunista infatti richiede ai suoi membri caratteristiche particolari che oggi non sono affatto comuni tra le masse popolari.

Quindi comunisti ed economicisti si differenziano anche per il tipo di organizzazioni che costruiscono. I comunisti costruiscono sia organizzazioni per le lotte rivendicative sia organizzazioni che lottano per instaurare il socialismo: i due tipi di organizzazioni sono diversi e i comunisti le combinano nel modo più opportuno ai fini della lotta per instaurare il socialismo. Gli economicisti o costruiscono solo organizzazioni per le lotte rivendicative oppure mischiano le due lotte nella stessa organizzazione: con questo producono organizzazioni che sono rachitiche come sindacati  e inadeguate come partiti comunisti.

 

Ma vi è altro. Nei paesi imperialisti e in particolare nel corso della crisi generale, si creano condizioni ben precise che ostacolano lo sviluppo su grande scala delle lotte rivendicative al di fuori del contesto della lotta per instaurare il socialismo e impediscono di realizzare conquiste significative e durature e anzi portano all’eliminazione delle conquiste già fatte. Consideriamo due tipi di esse.

1. Nelle società capitaliste più sviluppate, dove il capitalismo ha raggiunto lo stadio più alto del suo sviluppo, la società è oramai combinata in modo tale, la sua struttura economica è tanto collettiva che ogni rivendicazione di una parte lede gli interessi di un’altra o come minimo viene usata dalla borghesia come pretesto per ledere gli interessi di un’altra o ricavarne un vantaggio politico (dividere e contrapporre le masse popolari, assoggettarle a sé, ecc.). Se gli operai della fabbrica X fanno un’efficace opposizione alla chiusura, il padrone chiude la fabbrica Y, magari in un’altro paese e indicagli operai della fabbrica Y gli operai della fabbrica X come responsabili della loro disgrazia. I pensionati che vogliono una pensione dignitosa sono la rovina dell’economia del paese. Se gli incidenti stradali diminuiscono, officine di riparazione, fabbriche d’auto, ambulatori e pompe funebri chiudono e molti lavoratori vengono licenziati. Se diminuisce la gente che fuma, operai e contadini del tabacco e tabaccai sono nei guai. Tutta la società è costruita così.

Orbene nel socialismo c’è un posto e un ruolo dignitoso per chiunque è disposto a contribuire onestamente alla vita della società. Quindi la lotta per instaurare il socialismo unisce i lavoratori e le masse popolari che le lotte rivendicative nell’ambito della società borghese attuale metterebbero gli uni contro gli altri. Quindi permette anche di sviluppare le lotte rivendicative su una scala a cui gli economicisti di fatto non arrivano.

2. In periodi di crisi economica, quando la disoccupazione imperversa, condurre lotte rivendicative diventa più difficile. Spesso si lotta, si sciopera e ci si guadagna poco o niente. L’inflazione mangerà domani l’aumento che strappi oggi. Costringi il padrone a non licenziare e quello dopodomani fallisce o delocalizza. La lotta rivendicativa sembra senza senso.

Proprio in questi periodi la lotta per il socialismo dà un senso anche alle lotte rivendicative, se queste funzionano come efficaci scuole di comunismo e avvicinano alla lotta per instaurare il socialismo gli operai e le masse popolari che partecipano alle lotte rivendicative, rafforzano la loro determinazione a lottare, allargano la loro organizzazione, spingono i migliori ad arruolarsi nel partito comunista. A loro volta la coscienza e l’organizzazione comuniste infondono forza alle lotte rivendicative e sviluppano la solidarietà tra lavoratori e masse popolari di aziende, settori e paesi diversi, uniti contro i padroni, il clero e i loro governi per instaurare il socialismo.

 

Ma c’è di più. In questo periodo si va estendendo anche un’altra importante mobilitazione di una parte delle masse popolari: i lavoratori autonomi. Pescatori, trasportatori, piccoli commercianti, bottegai, allevatori, agricoltori, ecc. Il procedere della crisi e il susseguirsi delle bolle speculative, l’aumento del prezzo del petrolio e le altre manovre che i capitalisti, protetti e favoriti dalle autorità borghesi, compiono, costringono milioni di lavoratori autonomi a dibattersi su due fronti pur di restare a galla. Alcuni di loro possono rivalersi sui proletari aumentando i prezzi, ma vengono colpiti dalla diminuzione delle vendite. Altri non hanno neanche questa valvola di sfogo perché i loro clienti sono i capitalisti. Vi sono quindi ampie condizioni perché anche i lavoratori autonomi si mobilitino su larga scala contro il governo e contro i grandi capitalisti, i finanzieri, gli speculatori con l’obiettivo di imporre una politica economica che tenga conto delle loro difficoltà.

Se è guidata da una strategia rivoluzionaria, derivata dalla concezione comunista del mondo, la classe operaia tramite il suo partito comunista può dirigere il resto delle masse popolari (quindi anche i lavoratori autonomi) a vedere il nemico comune e a unire contro di esso le proprie forze con quelle dei proletari. Se i comunisti riescono a far porre agli operai avanzati l’instaurazione del socialismo come obiettivo centrale della loro lotta, la classe operaia può vedere e far vedere al resto delle masse popolari la soluzione definitiva dei loro problemi nell’unità nella lotta per liberarsi dai capitalisti e dal loro marcio sistema e nella lotta per costruire nuovi paesi socialisti. Tutte cose che la classe operaia non può fare se è dedita solo a lotte rivendicative come vogliono gli economicisti.

Quanto più la classe operaia ha come obiettivo principale della sua lotta la costruzione di una società in cui c’è posto per tutti quelli che sono disposti a lavorare onestamente, tanto più essa può giovarsi delle lotte dei lavoratori autonomi e anzi promuoverle come parte della sua lotta per instaurare il socialismo. In definitiva essa può trascinare nella rivoluzione socialista tutti quelli che per un motivo o l’altro sono malcontenti del capitalismo.

 

Non “politicizzare le lotte economiche”, ma “fare di ogni lotta rivendicativa una scuola di comunismo”

In conclusione noi comunisti ci differenziamo dagli economicisti per l’obiettivo centrale della lotta che conduciamo già oggi e per il tipo di organizzazioni che creiamo. Inoltre proprio grazie a questo, a differenza degli economicisti, possiamo sviluppare lotte rivendicative su grande scala anche nelle condizioni attuali e possiamo allargare l’egemonia della classe operaia anche ai lavoratori autonomi e mobilitarli nella misura più ampia possibile nella lotta per instaurare il socialismo sotto la direzione della classe operaia.

Mentre gli economicisti agitano a vuoto l’obiettivo di grandi lotte rivendicative, elaborano piattaforme rivendicative e “obiettivi unificanti”, lanciano a ogni piè sospinto la parola d’ordine di “generalizzare le lotte rivendicative”, noi comunisti poniamo l’obiettivo di rovesciare la Repubblica Pontificia tramite la Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata e, grazie a questo, organizzeremo anche grandi lotte rivendicative, come già più volte e in molti paesi abbiamo fatto.

Infatti noi comunisti sosteniamo anche lotte rivendicative e lotte politiche rivendicative, iniziative di ogni genere fatte per indurre le Autorità borghesi a fare leggi e stabilire norme favorevoli alle masse popolari, stanziare denaro pubblico a favore delle masse popolari in sussidi, opere pubbliche, scuole, sistema sanitario, ecc. e a ridurre le esazioni fiscali e affini (ticket, bolli, ecc.), a contenere i prezzi che erodono i salari e gli stipendi dei lavoratori dipendenti e taglieggiano i lavoratori autonomi. Ma promuoviamo nei lavoratori la coscienza che loro e le altre classi delle masse popolari hanno bisogno di instaurare il socialismo e li spingiamo con ogni mezzo a organizzarsi nella forma necessaria per realizzare questo obiettivo, spazzando via la Repubblica pontificia instaurata nel dopoguerra.

Noi comunisti vediamo e facciamo vedere alle masse popolari nel socialismo la nascita di un nuovo mondo, il mondo comunista che loro stesse progetteranno con la loro mente e forgeranno con le loro mani, finalmente libere di esplicare a pieno, al livello più alto raggiunto dall’umanità, le attività politiche, sociali, intellettuali e morali che distinguono la specie umana dalle altre specie animali.

Il socialismo non lo realizzeremo “politicizzando le lotte rivendicative” e usando il proletariato come massa di manovra per sovvertire l’ordinamento sociale borghese approfittando della sua opposizione di classe alla borghesia nell’ambito della società borghese stessa. Arriveremo al socialismo facendo leva sul fatto oggettivo che la società borghese ha costruito nei proletari il tipo di uomo più simile all’uomo del futuro che si potesse costruire al di fuori del futuro stesso.

La concezione marxista ha mostrato che gli operai sono destinati a diventare i migliori campioni e i dirigenti delle altre classi sfruttate nella lotta per instaurare un nuovo ordinamento sociale: grazie alla loro “spontanea” opposizione e contesa con la borghesia, grazie all’aggregazione e concentrazione che la loro particolare condizione sociale crea, grazie all’organizzazione che la loro condizione economica li spinge a creare. Nella loro condizione è in germe la condizione dell’umanità futura, un germe che fiorirà man mano che essi si libereranno dall’oppressione e dallo sfruttamento, dall’emarginazione sociale e dall’alienazione che costituiscono l’aspetto negativo, vecchio della loro condizione. Non si tratta per noi comunisti di “politicizzare la lotta economica degli operai”, ma di portare agli operai la coscienza del nuovo mondo che è in germe nella condizione di cui essi soffrono nella società borghese.

Nella loro condizione è in germe il lavoro organizzato, collettivo, l’associazione, la comune reciproca dipendenza e l’eguale dignità sociale, il concorso di tutti a un obiettivo comune, che richiede unità spirituale e pratica per un fine che trascende ogni singolo individuo ma è opera della loro associazione.

Di fronte alle lotte economiche e al resto delle lotte rivendicative, sia politiche (rivolte cioè a indurre le Autorità politiche dello Stato nemico a prendere determinate misure) sia rivolte contro singoli proprietari e altri notabili del regime, la parola d’ordine dei comunisti è “fare di ogni lotta rivendicativa una scuola di comunismo”. La lotta per instaurare il socialismo è il contesto necessario per sviluppare su larga scala e con più successi immediati le lotte rivendicative, oltre che rispondere alle domande che il capitalismo, giunto a un avanzato grado di sviluppo, pone circa il futuro dell’umanità.

 

La lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista è il contesto necessario perché crescano su grande scala la coscienza politica e l’organizzazione delle masse popolari italiane autoctone e immigrate e si sviluppino con forza e con successo la loro lotta per la difesa e l’ampliamento delle conquiste e per un lavoro dignitoso e sicuro per tutti, la loro resistenza al procedere della crisi, la loro lotta contro il carovita, contro gli speculatori e contro la Corte Pontificia e le altre Autorità che li sostengono, contro lo squadrismo fascista e razzista e contro le Organizzazioni Criminali, per la civiltà e il benessere!

 

Che i lavoratori, le donne, i giovani più avanzati si arruolino nelle fila del Partito comunista, degli organismi della resistenza e delle organizzazioni di massa e contribuiscano alla rinascita del movimento comunista!

 

Rafforzare la struttura clandestina centrale del (nuovo)Partito comunista italiano, moltiplicare il numero dei Comitati di Partito clandestini e migliorare il loro funzionamento, sviluppare il lavoro sui quattro fronti indicati dal Piano Generale di Lavoro!

 

Costruire in ogni azienda, in ogni zona d’abitazione, in ogni organizzazione di massa un comitato clandestino del (n)PCI!