La Voce 28 - marzo 2008

04.01 - Sulla strategia e sulla tattica: tre principi, due limiti e tre soluzioni frutto del bilancio dell’esperienza

Problemi di strategia
mercoledì 5 marzo 2008.
 

Sulla strategia e sulla tattica: tre principi, due limiti e tre soluzioni frutto del bilancio dell’esperienza

Tre importanti principi politico/militari

La dialettica attraverso cui si sviluppano i fenomeni è: “accumulazione quantitativa e salto qualitativo”.

Questo principio ideologico si traduce in tre importanti principi politico/militari, distinti ma legati dialetticamente tra loro. Vediamoli.

1. “Per vincere la guerra bisogna vincere tante battaglie tattiche. Allo stesso tempo, la vittoria della singola battaglia tattica è determinata dalla riuscita delle varie operazione che la compongono”.

La guerra innanzi tutto è l’accumulazione quantitativa di battaglie tattiche. La sua vittoria è il salto qualitativo, in termini strategici, prodotto dall’accumulazione quantitativa di vittorie in numerose battaglie tattiche.

Allo stesso tempo, ogni singola battaglia tattica è composta da diverse operazioni. La sua vittoria è il salto qualitativo prodotto dalla riuscita di queste diverse operazioni (accumulazione quantitativa).

Il generale (vittoria strategica) è quindi legato al particolare (riuscita della singola operazione che compone la battaglia tattica). La vittoria della singola battaglia tattica è a sua volta il “passaggio intermedio” di questa dialettica tra il generale e il particolare.

Questo primo principio, con tutta la concezione che sintetizza, è la linea di demarcazione tra noi e i massimalisti (“ma quale accumulazione quantitativa: tutto e subito!”)

2. “Per vincere la guerra non basta accumulare vittorie tattiche. Bisogna inquadrare questa accumulazione in una giusta strategia”.

Come abbiamo visto, la vittoria della guerra è il salto qualitativo prodotto dall’accumulazione quantitativa di vittorie tattiche (che a loro volta sono il prodotto, il salto qualitativo, della riuscita delle varie operazioni che compongono ogni singola battaglia). Allo stesso tempo però per vincere la guerra questo elemento da solo non basta. In altre parole, per vincere la guerra non basta “combattere e vincere molte battaglie tattiche”, non basta “accumulare una cosa a fianco dell’altra”. Per vincere la guerra bisogna “accumulare con metodo”.

Così come “senza teoria rivoluzionaria, il movimento spontaneo non si sviluppa oltre un livello elementare”, allo stesso modo “senza una giusta strategia, l’accumulazione quantitativa di vittorie tattiche non porta alla presa del potere”.

Per vincere la guerra l’aspetto principale è la strategia.

Come dimostra innanzi tutto l’esperienza accumulata dai comunisti nei paesi imperialisti, la strategia universale della rivoluzione proletaria è la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata (GPR di LD). Questa è l’unica strategia che permette di effettuare il salto qualitativo in termini strategici: trasformare l’accumulazione quantitativa di vittorie tattiche in presa del potere.

Questo secondo principio, con tutta la concezione che sintetizza, è la linea di demarcazione tra noi e i movimentisti e spontaneisti (“il movimento, l’azione sono il fine e non il mezzo”), tra noi e i meccanicisti (“per vincere basta sviluppare l’accumulazione”), tra noi e la concezione di Rosa Luxemburg (“tattica-processo” ossia la strategia è secondaria rispetto alla tattica, navigare a vista cogliendo le occasioni che si presentano, “non sappiamo come evolverà la situazione”).

3. “Ogni cosa ne contiene una seconda, una terza e a volte una quarta: suoniamo il pianoforte con dieci dita!”.

La realtà è composta da vari aspetti, distinti ma legati dialetticamente tra loro. Questi aspetti si influenzano reciprocamente: lo sviluppo di uno si ripercuote sugli altri e viceversa. Questa dinamica è spontanea , ossia si sviluppa anche se non siamo noi a dirigerla.

Allo stesso tempo, imparare a dirigerla è per noi necessario per rafforzare il lavoro di accumulazione di forze rivoluzionarie. Vediamo perché.

Quante volte ci siamo resi conto che la lotta anti-fascista, la lotta in campo elettorale, la lotta contro l’Ottavo Procedimento Giudiziario (OPG) e contro la repressione in generale, la lotta per la celebrazione del 90° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre e per la difesa e la valorizzazione dell’esperienza dei primi paesi socialisti, la lotta anti-imperialista, la lotta per il rinnovamento del movimento sindacale si influenzano tra loro, spontaneamente ?

La risposta è: molte volte.

E quante volte abbiamo constatato che la lotta condotta in uno di questi campi ha rafforzato la lotta portata avanti in uno degli altri campi (o addirittura in più campi), anche se non siamo stati noi a programmare questa inter-connessione ed essa è avvenuta spontaneamente ?

Anche qui la risposta è: molte volte.

La domanda da porsi quindi è: imparare a dirigere in maniera più scientifica e sistematica questa inter-connessione tra le varie battaglie tattiche quanto può rafforzare il lavoro che conduciamo per accumulare le forze rivoluzionarie?

Il (n)PCI ritiene che questo passaggio sia necessario per procedere con passo più spedito nell’accumulazione di forze rivoluzionarie.

Il Piano Generale di Lavoro (PGL) di cui il Partito si è dotato per accumulare le forze rivoluzionarie in questa prima fase della GPR di LD è composto da quattro fronti di lotta ed è la sintesi dei vari aspetti che compongono la lotta di classe nel nostro paese.

Il (n)PCI interviene simultaneamente nei quattro fronti, adottando il principio “suonare il pianoforte con dieci dita”: in altre parole, il Partito, in proporzione con le sue forze, conduce simultaneamente battaglie tattiche nei quattro fronti di lotta. Allo stesso tempo, il Partito conduce simultaneamente diverse battaglie tattiche anche all’interno dello stesso fronte.

Il bilancio dell’esperienza evidenzia però la necessità di elevare la qualità con cui sviluppiamo questo intervento simultaneo.

Sostanzialmente, il bilancio dell’esperienza ha dimostrato che non basta applicare il principio: “suonare il pianoforte con dieci dita”. È necessario elevarlo, attraverso la combinazione sistematica e scientifica con un altro principio ad esso legato: “ogni cosa ne contiene una seconda, una terza e a volte una quarta”.

Che cosa significa?

Non basta condurre simultaneamente battaglie tattiche nei diversi fronti, così come non basta condurre diverse battaglie tattiche all’interno dello stesso fronte. In sintesi: non basta “accumulare una cosa a fianco dell’altra” (come si fa per costruire un muro: “mattone dopo mattone”).

Dobbiamo imparare a vedere e a valorizzare sistematicamente le connessioni che esistono tra le battaglie tattiche condotte nei diversi fronti e, allo stesso tempo, le connessioni che esistono tra le diverse battaglie tattiche condotte all’interno dello stesso fronte.

Riprendiamo l’esempio-tipo visto precedentemente. Come metodo di lavoro dobbiamo porci (e far porre ai compagni che dirigiamo) sistematicamente le due seguenti domande:

- come la battaglia che conduciamo, ad esempio contro l’OPG, è rafforzata già spontaneamente dalla lotta anti-fascista, dalla lotta per la celebrazione del 90° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre e per la difesa e la valorizzazione dell’esperienza dei primi paesi socialisti, dalla lotta anti-imperialista, dalla lotta per il rinnovamento del movimento sindacale?

- come possiamo rendere più efficace questa inter-connessione?

In altre parole, dobbiamo imparare ad intervenire coscientemente in ciò che avviene già spontaneamente, per elevarlo. Dobbiamo imparare ad utilizzare scientificamente il nuovo e superiore principio: “Ogni cosa ne contiene una seconda, una terza e a volte una quarta: suoniamo il pianoforte con dieci dita!”.

Analizzando la GPR di LD attraverso questo principio, vediamo in modo ancora più chiaro che:

- la GPR di LD poggia sulla capacità del Partito di combinare le diverse battaglie tattiche condotte nei diversi fronti e anche all’interno dello stesso fronte;

- è esattamente questa combinazione che permette al Partito di accumulare le vittorie tattiche necessarie per sviluppare l’accumulazione di forze rivoluzionarie e fare così il salto qualitativo in termini strategici: la presa del potere.

Emerge chiaramente che il principio “ogni cosa ne contiene una seconda, una terza e a volte una quarta: suoniamo il pianoforte con dieci dita!”, con tutta la concezione che sintetizza, è la linea di demarcazione:

· tra noi e le concezioni schematiche e meccaniciste, che poggiano sul principio ideologico “o bianco o nero” e che, quindi, applicano la linea del “mattone dopo mattone”, del “mettere una cosa a fianco dell’altra”;

· tra noi e gli economicisti, i quali, non capendo che la politica rivoluzionaria in questa prima fase della GPR di LD è la sintesi di quattro fronti di lotta, si ostinano a cercare di “politicizzare le lotte rivendicative”, di “trasformare l’acqua in vino”;

· tra noi e gli elettoralisti, i quali, alla stregua degli economicisti, non vedono i quattro fronti e riducono il loro operato all’attività elettorale, svuotandola così di fatto della sua funzione rivoluzionaria e diventando un’appendice della sinistra borghese (“gli amici degli amici”);

· tra noi e i militaristi, i quali, alla stregua degli economicisti e degli elettoralisti, non vedono i quattro fronti e, quindi, riducono la mobilitazione delle masse popolari alla mobilitazione armata. Pur parlando di GPR di LD, riducono la loro pratica ad un “operetta”: quanto hanno da imparare questi compagni dal Partito Bolscevico, dal Partito Comunista Cinese del compagno Mao e dal Partito Comunista Filippino!

In sintesi: “La rivoluzione si organizza”

Questi tre principi politico/militari in cui si articola il principio ideologico “accumulazione quantitativa e salto qualitativo”, si sintetizzano a loro volta nel principio politico/militare: “la rivoluzione si organizza”. La rivoluzione “non scoppia”.

Questo è il principio centrale della politica rivoluzionaria e l’applicazione più alta del materialismo dialettico alla scienza rivoluzionaria.

La trattazione fin qui condotta dimostra infatti che la presa del potere può avvenire soltanto attraverso la GPR di LD e che questa guerra, data la sua complessità, non può svilupparsi spontaneamente. La GPR di LD è possibile solo attraverso la direzione di un vero partito comunista armato del marxismo-leninismo-maoismo.

Questo centro dirigente per essere all’altezza della situazione deve essere in grado di vedere e valorizzare le connessioni esistenti tra i vari aspetti che compongono la lotta di classe, al fine di accumulare le vittorie tattiche necessarie per sviluppare l’accumulazione di forze rivoluzionarie e fare così il salto qualitativo in termini strategici: la presa del potere.

Il principio “la rivoluzione si organizza”, principio centrale della politica rivoluzionaria e applicazione più alta del materialismo dialettico alla scienza rivoluzionaria, è quindi la linea di demarcazione tra scienza e utopia, tra noi e i “duri e puri”, tra noi e gli “intellettuali da salotto”, tra noi e i “praticoni”.

Allo stesso tempo, “la rivoluzione si organizza” significa che i problemi che riscontriamo oggi sono principalmente il prodotto dei nostri limiti e che questi sono superabili attraverso una giusta conoscenza (analisi e sintesi) della situazione, una conseguente linea politica che faccia leva sui nostri aspetti positivi e un adeguato piano di lavoro.

In altre parole, il principio “la rivoluzione si organizza” sintetizza in sé (a conferma del fatto che “ogni cosa ne contiene una seconda, una terza e a volte una quarta”) un altro importante principio politico/militare: “Se abbiamo una giusta linea avremo uomini se avremo bisogno di uomini, strumenti logistici se avremo bisogno di strumenti logistici, armi se avremo bisogno di armi”.

Forti di questa concezione e facendo leva sui tre principi politico/militari affrontati nel capitolo precedente, rilanciamo quindi da un livello superiore l’analisi dei due principali limiti che riscontriamo nel condurre le nostre battaglie tattiche: siamo noi che determiniamo il nostro futuro!

I nostri due principali limiti nel condurre le battaglie tattiche e tre soluzioni frutto del bilancio dell’esperienza

Il bilancio dell’esperienza evidenzia che due sono i principali limiti che riscontriamo nel condurre le battaglie tattiche nei quattro fronti del PGL e anche all’interno dello stesso fronte:

1. non applichiamo sistematicamente la linea “l’irruzione è sempre su due gambe”;

2. non inquadriamo sistematicamente in una campagna le battaglie tattiche di lungo respiro.

Questi due limiti sono distinti (ossia hanno caratteristiche specifiche) ma allo stesso tempo sono legati dialetticamente tra loro (ossia hanno un’origine comune e si influenza reciprocamente).

Per essere più precisi, ad unirli è la non adeguata assimilazione e applicazione dei tre principi politico/militari illustrati nel primo capitolo, che data la specificità di ogni limite si manifestano in maniera diversa.

Approfondiamo il discorso.

 

1. Come abbiamo visto nel corso di questa trattazione (in particolare nell’affrontare il terzo principio), la realtà è composta da diversi aspetti, distinti ma legati tra loro, che si influenzano reciprocamente.

Ogni battaglia tattica è la sintesi di due principali fattori: la mobilitazione della masse popolari e le reazioni che questa produce all’interno della classe dominante. Per essere ancora più precisi, in ogni battaglia tattica si riscontra che il nostro operato, quando produce una mobilitazione delle masse popolari e quando applichiamo scientificamente la linea di massa, innesca uno “spostamento a sinistra” dell’asse politico sia all’interno delle masse popolari (elementi avanzati e FSRS), sia all’interno della borghesia. In particolare in un regime di controrivoluzione preventiva, che per sua natura ha nella masse popolari il suo “tallone d’Achille”, questa dinamica avviene con maggiore rilievo.

Il nostro limite principale è che, pur coscienti di questa dinamica, non adottiamo sistematicamente una linea conseguente: non interveniamo sistematicamente nei due ambiti (mobilitazione delle masse popolari e intervento nelle contraddizioni che questa produce nella classe dominante), individuando fase per fase quale dei due aspetti costituisce l’elemento principale. In sintesi, non adottiamo sistematicamente la linea “l’irruzione è sempre su due gambe”.

Il processo di trasformazione da FSRS a partito comunista (ancora in corso: ed è per questo che il (n)PCI indica come attuale “collo di bottiglia” della lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista la costruzione dell’unità ideologica all’interno del Partito) ci porta ad oscillare tra due deviazioni:

- l’essere unilaterali: sviluppare soltanto la mobilitazione delle masse popolari o intervenire soltanto nelle contraddizioni nel campo nemico;

- l’essere meccanistici: mettere una cosa a fianco dell’altra (“un po’ di questo e un po’ di quello”) seguendo la linea del “mattone dopo mattone”.

Facciamo un esempio-tipo, ancora abbastanza diffuso, purtroppo.

Consideriamo il caso in cui abbiamo organizzato una mobilitazione su una tematica sentita da tutte le FSRS (ad esempio una protesta contro il “nuovo Torquemada” Paolo Giovagnoli e il suo articolo 270 bis), ma che, nonostante questo, tutte le FSRS la boicottano per via degli interessi di bottega che prevalgono su una sana e conseguente concezione e linea rivoluzionarie.

Perché questo avviene?

La risposta immediata è: “Perché oggi la direzione della maggior parte delle FSRS è in mano alla destra interna, dati i limiti di concezione e di linea della sinistra interna”. Questo è vero. Ma allo stesso tempo è l’aspetto secondario.

L’assenza delle FSRS alla mobilitazione è stata prodotta principalmente dal fatto che non abbiamo applicato la linea “l’irruzione è sempre su due gambe”.

In altre parole, la causa è che non abbiamo messo al centro del lavoro di preparazione della manifestazione la mobilitazione degli elementi avanzati delle masse popolari.

Per “spostare a sinistra” le FSRS non basta sviluppare i rapporti bilaterali con loro. Per “spostarle a sinistra” bisogna principalmente mobilitare le masse popolari. Solo in questo modo la sinistra interna alle FSRS avrà elementi oggettivi per contrastare la direzione delle destra e far passare momentaneamente in secondo piano i propri limiti ideologici e politici. In sintesi: il rapporto tra noi e le FSRS si gioca principalmente sul terreno della mobilitazione degli elementi avanzati delle masse popolari.

Supponiamo anche che nessun elemento delle “correnti radicali” della sinistra borghese abbia partecipato a questa mobilitazione (cosa altrettanto frequente), benché la rivendicazione avanzata nella mobilitazione sia una rivendicazione di cui a volte le correnti “più radicali” della sinistra borghese si fanno portatrici, per tenere la loro base elettorale.

Perché questa assenza?

Per lo stesso motivo da cui dipende l’assenza delle FSRS (anche se ovviamente parliamo di due campi diversi): perché non abbiamo mobilitato gli elementi avanzati delle masse popolari.

Per intervenire nelle contraddizioni presenti all’interno della classe dominante e “spostare a sinistra” le correnti “più radicali” della sinistra borghese, dobbiamo promuovere la mobilitazione delle masse popolari (aspetto principale) e adottare una linea specifica di intervento (aspetto secondario) nei loro confronti.

In sintesi: la linea “l’irruzione è sempre su due gambe” è valida sia nei rapporti con le FSRS, sia nei rapporti con le “correnti radicali” della sinistra borghese. È la mobilitazione delle masse popolari che “sposta a sinistra” l’asse politico.

“La linea “l’irruzione è sempre su due gambe” per quale dei quattro fronti è valida?”.

Analizzando l’esempio-tipo qui presentato, si riscontra che la dinamica che esso sintetizza si manifesta indistintamente in tutti e quattro i fronti di lotta.

Questo è dovuto al fatto che siamo in un regime di controrivoluzione preventiva e che in questa forma di regime il “tallone d’Achille” della classe dominante (quindi l’elemento principale che determina lo spostamento dell’asse politico) sono le masse popolari.

La risposta alla domanda quindi è: nel regime di controrivoluzione preventiva la linea “l’irruzione è sempre su due gambe” è la linea generale per lo sviluppo di tutti e quattro i fronti del PGL. Essa deve essere applicata sistematicamente in tutti e quattro i fronti di lotta.

 

2. Allo stesso tempo, l’analisi di questa ipotetica mobilitazione (e il suo risultato in termini di partecipazione) fa emergere un’altra domanda: nell’organizzarla abbiamo applicato il principio “ogni cosa ne contiene una seconda, una terza e a volte una quarta: suoniamo il pianoforte con dieci dita”?

In altre parole, nell’organizzarla è stato valorizzato nel giusto modo il legame esistente già spontaneamente tra la rivendicazione da noi avanzata e la lotta che conduciamo in campo elettorale, la lotta contro l’OPG e contro la repressione in generale, la lotta per la celebrazione del 90° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre e per la difesa e valorizzazione dell’esperienza dei primi paesi socialisti, la lotta anti-imperialista, la lotta in campo sindacale?

Per essere ancora più precisi, dobbiamo rispondere a questa domanda: è stata tracciata una linea per valorizzare il legame già esistente spontaneamente tra queste diverse battaglie tattiche, al fine di rafforzarlo e far convogliare verso la mobilitazione a) gli elementi avanzati che hanno partecipato in un modo o nell’altro alle varie battaglie o che hanno simpatizzato per esse (aspetto principale); b) le FSRS con cui si è instaurato un rapporto nel corso delle varie lotte; c) gli esponenti della “corrente radicale” della sinistra borghese con cui esistono rapporti?

Anche il principio “ogni cosa ne contiene una seconda, una terza e a volte una quarta: suoniamo il pianoforte con dieci dita” è valido per tutti e quattro i fronti del PGL.

3. Come adottare la linea “l’irruzione è sempre su due gambe” quando la battaglia tattica che si sta conducendo è di lungo respiro?

Alla luce di quanto detto fin qui, emerge che per affrontare una battaglia tattica di lungo respiro bisogna impostarla come una campagna su “due gambe” e non come delle iniziative sporadiche condotte in modo spontaneista e movimentista, in cui si sviluppa in maniera disordinata e casuale a volte il lavoro di mobilitazione e a volte l’intervento nelle contraddizioni in campo nemico (“un po’ di questo e un po’ di quello, come viene viene”) o, addirittura, si lavora in maniera unilaterale e disordinata solo su uno dei due ambiti di intervento (“solo mobilitazione - perché non ci va di sporcarci le mani con i borghesi” o “solo intervento nelle contraddizioni del nemico - perché tanto le masse sono arretrate”).

Perché è importante impostare la battaglia tattica di lungo respiro come una campagna su due gambe?

Perché una battaglia tattica di questo tipo attraversa varie tappe e fasi. Le operazioni che la compongono sono numerose. Per affrontarla e dirigerla nel giusto modo è necessario tracciare una linea che permetta di affrontare le varie fasi, che sviluppi nella fase 1 le condizioni per affrontare la fase 2. Bisogna individuare fase per fase gli obiettivi da raggiungere in funzione dell’obiettivo finale della campagna (i cosi detti “passaggi intermedi”). Dobbiamo scomporre il complesso (l’insieme della battaglia) in varie parti (le operazioni che è necessario condurre per vincere la battaglia), individuare il legame che le unisce e gli aspetti da sviluppare fase per fase per raggiungere l’obiettivo finale, sintesi dei passaggi intermedi, salto qualitativo dell’accumulo quantitativo. Quello che oggi non è, sarà domani se individueremo nell’oggi gli embrioni del nuovo e sapremo svilupparli con una linea adeguata, correggendo il tiro, quando necessario, attraverso il bilancio dell’esperienza.

Emerge il netto contrasto con la concezione movimentista e spontaneista che riduce una battaglia tattica di lungo respiro ad iniziative sporadiche e disordinate: concezione questa che porta a “chiamare alla guerra e a non dare battaglie”. Questa tendenza oggi produce tre principali tendenze:

1. lanciare appelli generali ad ampio raggio senza unirli alla mobilitazione delle masse popolari;

2. sviluppare sporadiche e disordinate iniziative di mobilitazione (assemblee, sit-in, ecc.) senza inquadrarle in un Piano di Lavoro (PdL) che poggi sull’applicazione scientifica delle “due gambe” (in sintesi: “il movimento è tutto, il fine nulla”, “quello che conta è innescare la dinamica e poi tutto va da sé”);

3. intervenire nelle contraddizioni del nemico in maniera sporadica e disordinata senza inquadrare questo intervento in un PdL e sull’applicazione scientifica delle “due gambe” (anche qui, “il movimento è tutto, il fine nulla”, “quello che conta è innescare la dinamica e poi tutto va da sé”).

Emerge che una battaglia di lungo respiro richiede invece l’applicazione scientifica del principio “la rivoluzione si organizza”: analisi scientifica della situazione, pianificazione del lavoro e sistematico bilancio dell’esperienza. Solo in questo modo si può applicare efficacemente il principio “ogni cosa ne contiene una seconda, una terza e a volte una quarta: suoniamo il pianoforte con dieci dita!” e il principio “l’irruzione è sempre su due gambe”.

In sintesi, una battaglia di lungo respiro può essere vinta solo se si applica con scienza il materialismo dialettico, concezione del mondo, metodo di conoscenza e guida per l’azione dei comunisti.

La campagna contro l’estradizione dei compagni Maj, Czeppel e D’Arcangeli da questo punto di vista fornisce importanti elementi di studio e riflessione e invitiamo i compagni a studiare i vari articoli di bilancio pubblicati su La Voce n. 25, 26 e 27.

Conclusioni

Le tre soluzioni indicate in questo articolo per superare i due limiti che si riscontrano nel modo con cui conduciamo le battaglie tattiche quindi sono:

1. adottare sistematicamente nei quattro fronti del PGL la linea “l’irruzione è sempre su due gambe”;

2. adottare sistematicamente nei quattro fronti del PGL il principio “ogni cosa ne contiene una seconda, una terza e a volte una quarta: suoniamo il pianoforte con dieci dita!”

3.  nei quattro fronti del PGL bisogna impostare sistematicamente le battaglie tattiche di lungo respiro come delle campagne su due gambe.

Per rendere queste soluzioni “teoriche”, frutto del bilancio dell’esperienza, i nostri criteri guida per l’azione, è necessario fare un salto di qualità in termini di concezione del mondo. Dobbiamo applicare sistematicamente il principio “la rivoluzione si organizza” e renderlo l’effettivo motore della nostra attività. All’apparente complessità della lotta di classe dobbiamo far fronte con un lavoro “a tavolino” più sistematico: inchiesta, studio della situazione, elaborazione della linea da seguire, stesura di piani di lavoro (sia politici che economici), divisione dei compiti, utilizzo sistematico dello strumento dei profili, bilancio collettivo e sistematico dell’attività. Solo in questo modo possiamo metterci alla testa degli eventi e trasformare ogni lotta in una scuola di comunismo sia per noi (verificare nella pratica la nostra teoria e attraverso il bilancio dell’esperienza rafforzarla) sia per le masse popolari che orientiamo.

“Facile a dirsi, difficile a farsi” potrebbero obiettare alcuni compagni. In effetti il lavoro che conduciamo è articolato e spesso richiede un notevole sforzo per cercare di intervenire nel giusto modo nelle varie lotte e contraddizioni che compongono la seconda crisi generale e la connessa situazione rivoluzionaria in sviluppo. Per molti aspetti, questa difficoltà è prodotta dal numero ridotto delle nostre forze.

Questo aspetto costituisce però l’aspetto principale? Certo che no. L’aspetto principale è la concezione e il metodo con cui operiamo. Non dobbiamo avere la pretesa di intervenire in tutte le lotte. Alla complessità dobbiamo rispondere con un lavoro mirato, di selezione. Dobbiamo darci delle priorità: scomporre il complesso nelle sue varie parti, individuare la principale ed intervenirvi. In sintesi: “dobbiamo fare, ma con metodo”. Meglio seguire una lotta ed effettuare un lavoro di qualità anziché rincorrerne dieci e non raccogliere nulla.

Non dobbiamo infatti accontentarci di intervenire, di seminare. Dobbiamo lavorare per raccogliere. Il nostro obiettivo è accumulare forze. Il nostro lavoro si misura principalmente in base ai risultati che otteniamo in termini di reclutamento. La trasformazione da FSRS a Partito passa esattamente attraverso l’assimilazione di questo principio.

Tornando all’obiezione “facile a dirsi, difficile a farsi”, il raggiungimento di questo obiettivo (raccolta) è forse legato alla quantità delle nostre forze? Ancora una volta: certo che no! Per unire a noi i nostri colleghi di lavoro, i nostri compagni di scuola, i componenti del comitato di lotta o della sezione “dissidente” del PRC o PdCI, il vicino casa, i giovani (o meno giovani) anti-fascisti, gli anti-capitalisti, i sinceri democratici che ci circondano e che in un modo o nell’altro vedono in noi un punto di riferimento, dobbiamo forse attendere il momento in cui “saremo in tanti”? E quando diventeremo in tanti se non reclutiamo oggi? E’ evidente che questa concezione produce la classica situazione del “cane che si morde la coda”, propria degli economicisti e degli opportunisti che non si fanno carico dei compiti che la situazione pone ai comunisti.

Per raggiungere l’obiettivo possibile della raccolta dobbiamo migliorare il metodo con cui facciamo l’inchiesta, lo studio della situazione, l’elaborazione della linea da seguire, la stesura di piani di lavoro (sia politici che economici), la divisione dei compiti, l’utilizzo dello strumento dei profili, il bilancio collettivo e sistematico dell’attività. Non è possibile infatti raccogliere quello che si semina se non adottiamo questo metodo, frutto della concezione materialista dialettica.

Dobbiamo vedere la raccolta come il salto qualitativo di un accumulo quantitativo di condizioni. Queste condizioni sono quelle appena viste (inchiesta, analisi della situazione, elaborazione della linea, piani di lavoro, divisione dei compiti, profili, bilancio dell’attività). Se viene a mancare uno di questi aspetti, difficilmente si produrrà il salto qualitativo della raccolta. Non si può costruire una casa se non si raccolgono tutti gli elementi necessari e se non si elabora un progetto scientifico che tenga conto delle forze in campo, delle leggi della fisica, delle risorse economiche a disposizione. In sintesi: non si può costruire se non si ha una giusta concezione e un giusto metodo di lavoro. Ma, al contrario, con una giusta concezione, una giusta linea e un giusto metodo di lavoro si può costruire anche se non “si è in tanti” (come diceva Mao Tse-Tung: “Se abbiamo una giusta linea avremo uomini se avremo bisogno di uomini, strumenti logistici se avremo bisogno di strumenti logistici, armi se avremo bisogno di armi”).

Il materialismo dialettico è la nostra concezione, il nostro metodo di conoscenza e la nostra guida per l’azione. E’ per questo che il rafforzamento della sua assimilazione nelle fila del Partito è oggi il “collo di bottiglia” per avanzare nell’accumulazione di forze per fare dell’Italia un nuovo paese socialista e contribuire così alla seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo.

Claudio G.