La Voce 9

Contro l’economicismo e alcune deviazioni derivate

venerdì 18 maggio 2001.
 
(Rielaborazione di un estratto dal Documento base (1984) - edizione 2000 Rossoperaio - gennaio 2000)

 

È chiaro che i comunisti non possono confondere l’economicismo con l’intervento necessario nelle lotte economiche, sia per guidarle nell’interesse della maggioranza del proletariato e delle masse sfruttate, sia come uno del terreni di sviluppo dell’agitazione e iniziativa politica (scuola di comunismo).

La lotta sindacale di classe, collocata all’interno della strategia del partito marxista-leninista-maoista, è uno dei fronti necessari per dirigere l’esperienza delle larghe masse ed elevare la loro coscienza per la rivoluzione.

Ma l’economicismo, prevalente nel movimento rivoluzionario degli anni scorsi e tuttora fortemente presente, spinge a concentrare - con posizioni controproducenti anche per le lotte economiche - le forze nella lotta economica delle masse, come se fosse il terreno unico o principale dello sviluppo dell’organizzazione politica e del lavoro rivoluzionario. Questo trasforma gradualmente le organizzazioni rivoluzionarie in strutture di supporto di quel lavoro, burocratizzandole e svuotandole di tensione e militanti rivoluzionari. L’economicismo impoverisce di contenuti i legami con le masse abbassando l’attività dei rivoluzionari a sindacalismo e tradeunionismo.

L’economicismo non si esprime soltanto nel primato della lotta economica, ma in un generale ’culto della spontaneità’ e in generale adeguamento alla coscienza ’media’ in ogni tipo di movimento di massa, con la tendenza costante a non considerare gli interessi immediati alla luce degli interessi strategici.

Due sono le forme principali dell’economicismo.

1. Il gradualismo, che considera la lotta e l’organizzazione politica del proletariato come uno stadio della lotta di classe che sarebbe possibile solo sulla base di un movimento economico di massa. Il gradualismo nella sostanza fa restare le organizzazioni sul terreno della lotta economica o della lotta politica rivendicativa (tradeunionista), dato che la lotta politica, tranne che in alcune circostanze particolari, non è né può essere il frutto dell’evoluzione della lotta economica.

2. Il neo anarchismo dell’Autonomia Operaia che, attribuendo alle lotte sui "bisogni proletari" un carattere immediatamente antagonista e anticapitalista, arriva a negare ogni distinzione fra lotta sindacale di classe e lotta politica rivoluzionaria, finendo così per svolgere un ruolo politico disgregante verso le stesse lotte economiche reali, che vengono immediatamente caricate di contenuti politici generali e di compiti rivoluzionari.

Simili concezioni rendono impossibile una effettiva e sistematica attività di denuncia e mobilitazione politica su tutti gli aspetti dell’imperialismo, della politica guerrafondaia dei gruppi borghesi e dello sviluppo dei processi reazionari, sul ruolo e l’azione delle diverse classi e dei partiti che ne sono l’espressione politica, non permettono l’utilizzo degli avvenimenti e delle situazioni politiche per sviluppare il movimento politico rivoluzionario del proletariato.

Oltre che in queste due forme, l’economicismo a volte si esprime in una profonda concezione legalitaria della lotta di classe, cioè nel rifiuto più o meno mascherato di tutte quelle forme della lotta delle masse che fuoriescono dai limiti imposti dallo Stato borghese e dagli ambiti della concezione democratico-borghese (contrattualismo, compra-vendita, mercato).

L’economicismo spinge a mantenere e rivolgere l’attenzione degli operai e in generale dei proletari solo su se stessi, sulla propria situazione contingente e sui contrasti che sorgono nel corso dello sviluppo del movimento spontaneo (e che la borghesia favorisce e alimenta) con il conseguente rigetto del problema dell’elaborazione di una tattica per lo sviluppo della politica rivoluzionaria della classe operaia. In periodi di crisi acute, proprio perché fanno leva solo sugli interessi immediati e diretti dei lavoratori, gli economicisti tendono ad allearsi ognuno con la borghesia del “suo” paese contro gli operai degli “altri” paesi.

Il prevalere dell’economicismo ha favorito, per contrasto, che in settori giovanili e ribelli di orientamento rivoluzionario si affermassero alcune concezioni apparentemente opposte ma altrettanto incapaci di costruire un’autentica organizzazione rivoluzionaria e di sviluppare in termini rivoluzionari la lotta del proletariato.

1. Il disprezzo della lotta quotidiana dei proletari e del lavoro sistematico di agitazione e organizzazione di massa a favore di una attività episodica e ristretta di propaganda spesso a carattere settario e sloganistico. È un atteggiamento che non tiene conto del fatto che le masse apprendono tramite la loro esperienza e si educano nel fuoco della lotta di classe e, di conseguenza, non si pone il problema di una tattica per guidare e stimolare questa esperienza, elevando, in questo processo, strati sempre più vasti delle masse alla coscienza di classe.

2. Contro il gradualismo si è sviluppata una concezione soggettivista del processo rivoluzionario, che non valuta le condizioni oggettive e non analizza i rapporti di forza, con l’esito di portare a valutazioni superficiali ed errate delle fasi politiche e con la tendenza a vedere dietro ad ogni crisi della borghesia e a ogni fase di avanzamento del movimento di massa un’anticamera della rivoluzione. Questo si traduce in incapacità di fare politica rivoluzionaria, in disprezzo della necessità di una tattica e in incapacità di formare autentici quadri rivoluzionari. Ciò ha impedito e impedisce di strappare settori di avanguardia del proletariato all’egemonia del riformismo. Queste concezioni soggettiviste originano sia forme di avventurismo politico (armato e non), sia, quando queste forme falliscono, posizioni che ingigantiscono le difficoltà causate dalla repressione: posizioni che hanno portato e portano spesso alla rassegnazione e al liquidazionismo.

3. In reazione al legalitarismo si è sviluppato, a volte, il mito delle forme di lotta, in particolare della lotta armata, come unica forma di politica rivoluzionaria e di organizzazione rivoluzionaria. Questa tendenza, in questa fase della lotta di classe, ha finito per aprire la strada al classico terrorismo che facilmente è andato poi a cercare sostegno teorico in altre correnti estranee al marxismo-leninismo-maoismo.

Queste posizioni, pur volendo contrastare l’economicismo, arrivano agli stessi effetti pratici: lasciare il movimento proletario senza una politica rivoluzionaria, allo stadio della lotta economica e della lotta spontanea, disgregate e subordinate all’influenza ideologica e politica dei diversi partiti e sindacati borghesi.