La Voce 9

Il governo Berlusconi deve ancora superare la prova

venerdì 18 maggio 2001.
 

Gli attentati di martedì 11 settembre hanno, almeno momentaneamente, levato le castagne dal fuoco per Berlusconi. Hanno fatto dimenticare il colpo di forza tentato da Berlusconi e Fini a Genova e miseramente fallito grazie alle grandi proteste di piazza. Gli attentati hanno dato anche alla sinistra borghese, ai partiti del centro-sinistra, un plausibile pretesto per lasciare cadere le loro rimostranze per il colpo di forza tentato a Genova e le violenze delle squadre del regime. Già prima degli attentati, essi avevano condannato la “violenza dei dimostranti” e si erano dissociati dalle manifestazioni di piazza di protesta contro il governo. Con questo avevano ridotto la loro opposizione alle rimostranze in Parlamento dove Berlusconi ha una comoda maggioranza. Gli attentati hanno eliminato anche questo fastidio delle schermaglie istituzionali.

La “guerra al terrorismo” lanciata da Bush presenta però a tutta la borghesia italiana un vecchio problema che è diventato già oggetto delle contese tra i gruppi in cui essa è divisa. Gli sviluppi della politica internazionale hanno confermato e messo in rilievo la caratteristica specifica del nostro paese che intralcia l’azione anche del governo Berlusconi: la debolezza politica e militare del paese. Non si tratta della favola dello “imperialismo straccione” come si diceva un tempo, intendendo con ciò l’azione della borghesia imperialista di un paese povero di risorse naturali. L’evoluzione della situazione ha dimostrato che le risorse naturali in termini di giacimenti minerari e di terra in realtà contano poco (a questa stregua l’imperialismo giapponese dovrebbe essere più straccione dell’imperialismo italiano). La caratteristica specifica del nostro paese è che la borghesia non è riuscita a riunire il potere sovrano in un unico centro, avendo lasciato sopravvivere il Vaticano e gli agrari feudali del sud e che quel poco che essa aveva fatto in questo campo lo ha demolito proprio quel suo movimento che aveva fatto del nazionalismo la sua bandiera, il fascismo. Nonostante le migliaia di soldati inviati all’estero (oramai sono quasi 10.000), il governo italiano non riesce a farsi accettare come un potenza politica e militare perché non ha il potere sovrano di una potenza. In questa situazione anche lo schieramento nella “crociata al terrorismo” e le relazioni internazionali intrecciate alla sua ombra sono diventate soprattutto un argomento di politica interna. Il governo Berlusconi si è accodato agli ordini di Bush nella sua “crociata contro il terrorismo”, senza chiedere in cambio neanche le informazioni sull’attentato di piazza Fontana o sulla strage di Ustica (il processo si trascina nel silenzio a Roma) e la fine di esercitazioni come quella del Cermis. Il Vaticano resta per ora molto riservato, avendo fatto capire che ha poca fiducia nel governo americano. Ha persino lasciato dichiarare da suoi esponenti che “tutti i documenti originali sequestrati dagli inquirenti USA ai presunti terroristi sembrano fatti apposta per far ricadere la colpa sull’Islam”. Ogni gruppo cerca di rafforzarsi nella lotta contro gli altri acquisendo protezioni all’estero.

Nonostante questo nuovo capitolo di contesa, gli attentati potrebbero aiutare Berlusconi anche a superare la prova dell’autunno. Proseguendo la lotta per rafforzare il suo governo e trasformarlo in regime, Berlusconi ha fatto molto per soddisfare i suoi mandanti. Per convincere i padroni che da nessun governo potrebbero ottenere i favori che ricevono dal suo, con una serie di provvedimenti ha beneficato tutti i grandi gruppi imperialisti, mafiosi e clericali. Le riduzioni fiscali della Tremonti bis, la ripresa degli appalti pubblici e delle tangenti su grande scala del piano di lavori pubblici Lunardi, le agevolazioni per il falso in bilancio e per i fallimenti di comodo, gli ostacoli frapposti alle rogatorie internazionali, il condono dell’evasione fiscale per i capitali detenuti all’estero, le facilitazioni al riciclaggio di denaro sporco, l’eliminazione delle imposte sulle grandi eredità e donazioni, la liberalizzazione dei contratti a termine sono i regali fatti dal governo nei suoi primi 100 giorni.

Alla Chiesa cattolica poi, per renderla convinta di aver trovato il suo nuovo “uomo della Provvidenza”, ha fatto intravedere l’egemonia in campo scolastico e ospedaliero e l’esclusiva in campo assistenziale, ha concesso al Vaticano il diritto di emettere euro, ha fornito ogni tipo di assistenza statale alle attività del Vaticano. Ai gruppi razzisti ha dato la nuova legge antimmigrati. Ai clan fascisti o semplicemente reazionari delle Forze Armate e dei corpi di polizia e di repressione ha dato nuove leggi e leggine che allargano i loro poteri e le ha beneficate nell’opera di epurazione che il suo governo sta alacremente portando avanti per assicurarsi la fedeltà della Pubblica Amministrazione.

Certamente con questi provvedimenti Berlusconi ha beneficato anche se stesso e gli amici al suo seguito. Ma sarebbe sbagliato ritenere che questo sia stato l’obiettivo principale di Berlusconi.

Berlusconi deve ancora affrontare l’eliminazione o sterilizzazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (giusta causa nei licenziamenti individuali) e la confisca del TFR (liquidazione) a favore dei fondi pensione senza suscitare una vasta e diffusa conflittualità nelle aziende.

Con il primo provvedimento i padroni creerebbero le condizioni legali per perseguitare gli attivisti sindacali e politici o, secondo un altro progetto, per dividere in ogni azienda gli anziani, tutelati almeno legalmente dalla giusta causa, dai giovani non più tutelati. Con la seconda i lavoratori subirebbero una decurtazione del reddito disponibile dell’ordine del 5 - 8 % che passerebbe nelle mani dei re della finanza e di chi ne saprebbe approfittare.

A quest’opera già preventivata, dopo gli attentati di settembre si sono aggiunte le operazioni che si stanno facendo in tutti i paesi imperialisti in nome della “sicurezza contro il terrorismo”: rafforzamento degli organi della controrivoluzione preventiva, limitazioni legali e di fatto dei diritti individuali, persecuzioni particolari contro i lavoratori immigrati di razza araba o asiatica, licenziamenti massicci e precarizzazione dei rapporti di lavoro in nome della crisi economica, aumento degli stanziamenti pubblici per le Forze Armate e le forze di repressione. È istruttivo osservare come la borghesia, mentre lancia alte grida contro “i terroristi islamici che non hanno alcun rispetto per la vita umana”, non abbia nulla da eccepire quando si tratta di sacrificare ai suoi affari la vita di migliaia di lavoratori. In nome dei bilanci in attivo i padroni buttano sulla strada centinaia di migliaia di lavoratori come pezze vecchie, come “esuberi”. Questo è l’uso che la borghesia fa del “rispetto della vita umana”: un’arma di lotta contro i suoi avversari, da usare quando serve a imbrogliare le masse, da gettare quando intralcia gli affari.

Il clima creato dalla borghesia prendendo spunto dagli attentati può aiutare a far passare le misure già previste assieme alle nuove. Può però anche succedere che le nuove misure rendano più difficile al governo far passare anche le vecchie.

I padroni sono ancora in attesa di verificare se davvero Berlusconi e la sua banda di mafiosi, di fascisti, di razzisti e di avventurieri è capace di far passare tutto questo “ben di dio”, le misure già prese e quelle promesse, senza suscitare quella conflittualità diffusa nelle aziende e nelle piazze che la borghesia non può tollerare. I partiti del centro-sinistra e l’aristocrazia operaia annidata nelle direzioni dei sindacati di regime avevano promesso fiamme e fuoco contro le misure ventilate da Berlusconi. Ma anche su questo lato gli attentati potrebbero aiutare Berlusconi e salvare la faccia ai suoi “oppositori”. Grandi pagliacciate e schiamazzi in Parlamento, dove Berlusconi ha la maggioranza assicurata. Grandi appelli a Ciampi che si para dietro un ignoto passato di partigiano per esaltare “l’onestà dei ragazzi di Salò” e tenere il sacco a Berlusconi. Ma dissociazione sdegnate dal “terrorismo dei fondamentalisti islamici”, silenzio sulla persecuzione razzista cui sono sottoposti molti immigrati e sugli arresti arbitrari selezionati sulla base della razza, condanna delle “violenze di piazza” e “solidarietà” col governo e con i golpisti americani.

Più la situazioni si fa seria, più la sinistra borghese e l’aristocrazia operaia legata ad essa si distaccano dalle masse e diventano fautrici della mobilitazione reazionaria.

La nuova aggressione imperialista, lo sviluppo degli armamenti, i nuovi trattati segreti imperialisti conclusi dietro le quinte, tutto ciò non induce i capi dei partiti del centro-sinistra a suonare l’allarme e a chiamare le masse a protestare e a dimostrare. Anzi tutto questo provocherà inevitabilmente, nell’opposizione di regime, attriti e divisioni più o meno dello stesso tipo di quelle che si manifestano nella maggioranza. La ragione della inevitabilità di questo fenomeno è che la solidarietà dei partiti del centro-sinistra con la maggioranza è per la sinistra borghese un vincolo insuperabile.

Ciò vale anche per l’aristocrazia operaia annidata nelle direzioni dei sindacati di regime. È inevitabile che in un periodo di crisi generale i partiti riformisti diventino uno strumento per rafforzare le contraddizioni tra paesi, nazioni e etnie di vario genere. È una legge universale. In quanto riformisti, illudono che gli interessi immediati e diretti dei lavoratori siano slegati dagli interessi generali dei lavoratori. In quanto riformisti e non rivoluzionari, legano la sorte dei lavoratori alla sorte della borghesia del loro paese. Come risultato, essi portano i lavoratori di ogni paese a coalizzarsi con la borghesia del proprio paese e sostenerla nella lotta contro le borghesie degli altri paesi, lotta che mira a conquistare per i padroni un parte maggiore del bottino estorto ai lavoratori, a partecipare con più autorità e forza alla spartizione. Ogni gruppo riformista proclama o lascia intendere che la sorte dei lavoratori del suo paese migliorerà solo se migliora la sorte della borghesia dello stesso paese.

Solo una forte mobilitazione nelle aziende che costringa l’aristocrazia operaia, che non può perdere le aziende, a fare da centro promotore delle manifestazioni di piazza che si salderebbero con quelle del “popolo di Seattle” contro la guerra, possono ancora costituire un ostacolo a Berlusconi e dissuadere i suoi mandanti dalla scelta fatta. Ovviamente l’ostacolo principale alla mobilitazione nelle aziende è la mancanza tra gli operai avanzati di un orientamento politico autonomo dalla borghesia.

Da qualunque lato si guardi la situazione del nostro paese, essa indica a noi comunisti un compito preciso: costituire al più presto possibile il nuovo partito comunista italiano.

Rosa L.