La Voce 18

07 - Ristrutturazioni di aziende e paesi
Le aziende sono in dissesto, perché il sistema capitalista nonfunziona più

venerdì 2 febbraio 2007.
 

 

La vicenda dell’Alitalia in Italia e dell’Opel in Germania ha riproposto su grande scala la questione delle aziende in dissesto. Una dopo l’altra, da vent’anni a questa parte le autorità borghesi hanno dichiarato in dissesto centinaia e migliaia le aziende. Con questa scusa hanno imposto ai lavoratori licenziamenti, prepensionamenti, riduzione dei diritti salariali e contrattuali conquistati, aumento dell’orario e dei carichi di lavoro, riduzione dei posti di lavoro (che, anche se non attuati buttando fuori i lavoratori già in forza, si traducono sempre in più ricatti contro di loro, più disoccupazione, più concorrenza tra lavoratori), peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Molte aziende sono completamente scomparse.

L’elenco comprende aziende di ogni tipo, pubbliche e private e di ogni settore: AlfaRomeo, Olivetti, FIAT, Ferrovie, Poste, SIP, Montedison, Italsider, Telecom e tanti nomi che non esistono neanche più. Non è qualcosa che avviene solo nel nostro paese. È un corso di cose che colpisce i lavoratori e le masse popolari di tutti i paesi imperialisti.

Ogni azienda ha la sua storia particolare, ogni dissesto viene presentato come un caso a sé. Ogni volta si ripete il gioco della ricerca dei responsabili e delle cause particolari del dissesto. La realtà è che le aziende sono in dissesto perché il sistema non funziona più. L’ordinamento capitalista fa acqua da tutte le parti. Cercare di far sopravvivere il capitalismo, è come voler contenere l’acqua in un recipiente sfasciato, voler misurare la distanza tra le stelle col metro, voler tener un uomo nelle sue vesti da bambino, voler far scorrere un traffico centuplicato imbottigliato nella rete stradale di cinquant’anni fa. Le aziende riprenderanno ad essere in buona salute quando le prenderanno in mano i lavoratori associati. Ma allora ogni azienda sarà gestita nell’ambito di una attività economica nazionale tutta amministrata dai lavoratori in base ad un piano di produzione e di circolazione e consumo. Ogni azienda sarà incaricata di produrre beni e servizi per il benessere della popolazione. Beni e servizi non saranno più prodotti come merci per fare profitti (per valorizzare il capitale del padrone), ma come beni e servizi che la popolazione riconosce come utili e che vuole avere a disposizione.

Pianificare l’attività di centinaia e migliaia di aziende perché producano beni o servizi e li consegnino a quelli che li devono usare o consumare è oramai cosa semplice a farsi. I primi paesi socialisti lo hanno mostrato, anche se sono tutti partiti da condizioni molto più arretrate di quelle in cui siamo noi oggi. Per decenni i primi paesi socialisti hanno fatto enormi progressi materiali e spirituali grazie alla pianificazione dell’uso delle risorse per il benessere delle masse popolari. Solo quando i dirigenti revisionisti, da Kruscev nel 1956 in Unione Sovietica a Teng Hsia-ping nel 1976 nella Repubblica Popolare Cinese, hanno cercato di imitare metodi e criteri di gestione dei paesi capitalisti, i primi paesi socialisti hanno iniziato a perdere colpi e a decadere. I lavoratori e tutte le masse popolari ne hanno pagato le conseguenze. Per l’Unione Sovietica e i paesi socialisti dell’Europa orientale questa via è arrivata fino allo sfacelo in cui si dibattono da quindici anni a questa parte. La Repubblica Popolare Cinese è diventata campo libero delle scorribande di tutti gli imperialisti del mondo che la stanno riducendo ad una officina-galera e immondezzaio del mondo, imposto al popolo cinese con le esecuzioni sommarie di quanti si ribellano.

Nei paesi imperialisti il mantenimento dell’ordinamento capitalista significa aziende in dissesto una dietro l’altra. Nei paesi socialisti la sua restaurazione significa il dissesto generale dei paesi, l’uno dietro l’altro.