La Voce n. 2
luglio 1999 - anno I

Il bilancio degli anni ’70

venerdì 30 luglio 1999.
 

Il bilancio degli anni ’70

Per fare un giusto bilancio degli anni ‘70 non bisogna partire da quello che i protagonisti pensavano di sé. Bisogna al contrario proporsi di capire da dove essi e il loro pensiero sono venuti, da dove sono sgorgate le loro azioni, il contesto sociale in cui hanno operato, quello che la loro azione ha rappresentato nella lotta delle classi del loro tempo e gli effetti che ha prodotto nelle classi della società italiana (e internazionale).

Certamente alcuni protagonisti della lotta armata per il comunismo degli anni ‘70 e in particolare alcuni esponenti delle Brigate Rosse si risentiranno molto a sentirsi dire che la loro attività, il loro pensiero e i loro sentimenti sono il prodotto delle condizioni in cui la classe operaia, il proletariato e le masse popolari conducono la loro vita e la loro lotta contro la borghesia imperialista, sono il frutto della società e della lotta di classe. Essi ben sanno che il loro raccogliersi in organizzazioni e le loro iniziative sono frutto di riflessioni, di convinzioni, di studi, di decisioni personali. Che la loro attività fa parte di un progetto proposto, studiato, discusso e approvato da individui ben precisi. Ciò è indubbiamente vero. Ma il marxismo insegna 1. che sono le condizioni materiali della loro vita che generano negli uomini sensazioni, sentimenti, desideri, concetti e idee: in generale che sono quelle condizioni che forniscono il materiale su cui si esercitano la capacità di riflessione e di decisione e gli strumenti culturali degli individui; 2. che per capire la vita della società i singoli individui vanno giudicati non in base a quello che essi pensavano di sé e della loro attività e degli obiettivi che si sono posti, ma in base a quello che sono stati e all’attività che effettivamente hanno svolto nella società. In senso lato è la società che genera e modella gli individui che, a loro volta, sono i protagonisti della vita sociale. Se si vuole comprendere sia le origini delle azioni degli individui sia il significato sociale delle loro azioni, non è al loro pensiero e ai loro obiettivi dichiarati che bisogna rifarsi, ma principalmente alle condizioni sociali in cui essi hanno vissuto e operato, di cui sono sia figli sia protagonisti.

Ciò è confermato dal fatto che la lotta armata in generale e l’attività delle Brigate Rosse in particolare sono state negli anni ‘70 l’aspetto culminante e concentrato di un movimento vasto e diffuso della classe operaia, del proletariato e delle masse popolari, a cui hanno pertecipato in vario modo e a vari livelli milioni di persone. Sono stati come il culmine di una piramide alla cui base vi erano milioni di lavoratori, di giovani, di studenti, di donne che hanno in vario modo partecipato alle lotte e alle aspirazioni di quegli anni. Ognuno di essi, a livelli diversi,con forme diverse di intensità, di organizzazione, di forza, ha teso a quello che le BR hanno espresso nella forma più concentrata e più alta. La contiguità con le BR, prima di diventare una categoria giuridica e un titolo d’accusa, era un fatto reale oggettivo per milioni di individui; anche soggettivo, consapevole e voluto per una massa considerevole. L’esecuzione dell’ing. Taliercio responsabile del Petrolchimico di Marghera era la sintesi della definizione “Petrolchimico=fabbrica della morte” data da decine di migliaia di lavoratori della zona di Marghera (definizione vera e tuttora attuale, confermata dalla cronaca). L’accusa alle BR di aver “ucciso il movimento delle masse” ha qualcosa di vero che però smaschera ideologicamente e politicamente chi la formula come opportunista e parolaio, speculatore del movimento delle masse. Il nucleo di verità dell’accusa consiste nel fatto che gli opportunisti che avevano partecipato a gridare “Petrolchimico, fabbrica della morte”, quando le BR tradussero in una iniziativa pratica quell’analisi (combatterono chi combatteva, uccisero chi uccideva) e la polizia di Stato chiese il conto, si ritrassero spaventati. Essi non si chiesero se l’iniziativa delle BR andava bene per trasformare il Petrolchimico da fabbrica della morte in una fabbrica al servizio della vita delle masse, semplicemente dissero che non era affar loro. Quindi furono smascherati, la loro influenza opportunista tra le masse intaccata e il loro carrierismo parlamentare e sindacale alle spalle delle masse messo in difficoltà. Le BR non raggiunsero l’obiettivo dichiarato di trasformare il Petrolchimico in fabbrica al servizio delle masse (a questo fine la loro strategia era ancora inadeguata), ma raggiunsero quello di smascherare gli opportunisti. Quanto alle connessione (dialettiche), non dice nulla il fatto che il PCI raggiunse il massimo di voti (nel 1976) quando le BR erano nella loro fase ascendente, prima della deriva militarista?

Bastano le rassegne elaborate dalla polizia e dagli altri organismi della repressione o i libri bianchi preparati da revisionisti e affini, per vedere la vastità della lotta in quegli anni e le mille connessioni, contribuzioni e collusioni tra l’attività vasta e diffusa di milioni, l’attività delle migliaia di membri e collaboratori diretti delle Organizzazioni Comuniste Combattenti e l’attività delle BR. Circa 50 sono solo le OCC che tra il 1969 e il 1989 hanno dato notizia di sé. Sintetizzando possiamo dire che la classe operaia ha appoggiato le BR finché esse hanno lottato per la costruzione del partito di cui la classe operaia aveva bisogno. Quando le BR hanno deviato (e bisogna capire perché e in che forme) verso il militarismo, un po’ alla volta la classe operaia si è staccata dalle BR e le BR si sono staccate dalla classe operaia e questo ha voluto dire la loro sconfitta. Il fatto che la sconfitta delle BR abbia coinciso con la sconfitta di tutto il movimento dovrebbe perlomeno allarmare ogni persona onesta e farla perlomeno dubitare delle tesi che negano il legame reale tra le BR e tutto il resto del movimento delle masse (ma un legame dialettico, di reciproca influenza, di trasformazione del primo nel secondo e del secondo nel primo).

Nel n. 1 di La Voce la Commissione Preparatoria diceva che “la lotta per il comunismo condotta negli anni ‘70 in Italia è stata la prova generale della prossima rivoluzione socialista”.

Prova generale anzitutto per gli aspetti positivi. Gli opportunisti e i revisionisti a partire dal 1945 avevano disarmato i partigiani e liquidato le organizzazioni e le strutture militari del partito comunista. Non avevano subito negato che la classe operaia avrebbe conquistato il potere con la rivoluzione, con la violenza, con la lotta armata. Avevano sostenuto e avevano educato le nuove generazioni di comunisti alla tesi che la lotta armata per il comunismo nei paesi imperialisti era possibile solo nel contesto di una guerra imperialista o di una insurrezione popolare. Il patrimonio teorico e di esperienze dell’Internazionale Comunista su questo capitolo per i paesi imperialisti non diceva niente di conclusivo.(1) Quindi gli opportunisti e la destra erano riusciti a prevalere con relativa facilità, aiutati anche dalle circostanze del capitalismo dal volto umano.

Quanto alla guerra imperalista, ad un certo punto (nel 20° congresso del PCUS e nell’8° congresso del PCI) i revisionisti avevano sentenziato che non era più inevitabile, che non era più vero che il capitalismo portava in sé la guerra come l’uragano porta in sé la tempesta. Quindi non era questione di prepararsi alla guerra imperialista. Quanto all’insurrezione popolare, essa restava persa in un futuro lontano e nebuloso. Veniva completamente elusa la questione di come nel lavoro presente si preparavano le condizioni dell’insurrezione popolare del futuro e della sua vittoria. Il lavoro quotidiano si riduceva quindi alla lotta parlamentare, alle rivendicazioni, alle lotte e proteste di massa, alle lotte di strada, alla lotta in campo sindacale, alla formazione culturale (la traduzione e pubblicazione dei classici del marxismo è il suo grande monumento positivo), alla formazione di cooperative e di altre organizzazioni di massa. I revisionisti moderni buttavano anche il “mito” dell’insurrezione e teorizzavano la via pacifica e democratica, parlamentare, al socialismo, le riforme di struttura (Togliatti), il compromesso storico con il partito dei finanzieri e della grande borghesia (Berlinguer), la rottura con i paesi socialisti e con i partiti comunisti (l’“ombrello della NATO” scoperto da Berlinguer). Ciò apriva la strada giorno dopo giorno alla disgregazione e alla corruzione delle nostre forze, che raggiunse il suo approdo nel 1989. Era “evidente” che non era una strada al socialismo. La lotta armata per il comunismo condotta negli anni ‘70 e in particolare l’attività delle BR sono in un certo senso ritornate alla fonte: hanno mostrato che anche nei paesi imperialisti è possibile sviluppare una lotta armata per il comunismo, hanno mostrato varie forme che essa assume e le relazioni della varie classi con essa.

La “prova generale” ha messo in luce molte lacune nella preparazione. Si prova proprio per questo, per scoprire le lacune. Bisogna correggere gli errori e continuare la preparazione. Scoraggiarsi perché la prova generale ha mostrato cosa manca ancora per la recita vera e propria è da rinunciatari e da liquidatori, da pentiti. Ma il proletariato non si è pentito, non può pentirsi. Il trattamento che la borghesia imperialista gli ha inflitto e gli infligge dopo la “prova generale”, dal 1978 in qua, non è certo fatto per convincerlo a rinunciare.

Lo sconcerto, la paura, l’orrore, le difficoltà che la “prova generale” ha generato nella borghesia indicano che la prova conteneva già qualcosa della recita vera e propria. Essa ha inciso nella vita della classe dominante e l’ha modificata quanto nessuna campagna di lotte rivendicative forse è mai riuscita a fare. In questo nella nostra storia gli unici precedenti paragonabili sono il Biennio Rosso (1919-1920) e la Resistenza.

Essa ha inciso anche nel campo delle masse popolari, nel proletariato e nella classe operaia. Ha suscitato speranze e delusioni, entusiasmi e ripulse, adesioni convinte e ostilità accese, insegnamenti che fanno storia e tradimenti. Ha insomma diviso: ma perché il nostro campo si trasformi e raggiunga un’unità superiore, perché la classe operaia si trasformi da classe sottomessa in classe dirigente, non occorre forse che anzitutto si divida, che ciò che è positivo si rafforzi e migliori contrapponendosi, isolando ed espellendo ciò che è negativo? Marx ed Engels avevano già indicato (nel 1844-45) che “la rivoluzione è necessaria non solo perché la classe dominante non lascia pacificamente il suo posto, ma anche perché la classe dominata solo nel corso di un movimento pratico può levarsi di dosso tutta la merda accumulata da secoli di asservimento” (L’ideologia tedesca).

La “prova generale” ha realizzato alcuni grandi risultati e dato alcuni insegnamenti in positivo (cosa da fare) e in negativo (errori e deviazioni da evitare).

Studiare quella prova dal punto di vista della classe operaia che lotta per il potere, ricavarne gli insegnamenti utili per questa lotta e valorizzarli in questa lotta è uno dei compiti del nuovo partito comunista.

Umberto C.

15 giugno ‘99

NOTE

1. Sull’argomento vedasi

Lenin, La guerra e la socialdemocrazia russa, La conferenza delle sezioni estere del POSDR, La sconfitta del proprio governo nella guerra imperialista, La sconfitta della Russia e la crisi rivoluzionaria (1914 e 1915), tutti in Opere vol. 21.

Stalin, La teoria e la tattica del patito bolscevico nelle questioni della guerra, della pace e della rivoluzione, cap. 6 della Storia del Partito Comunista (bolscevico) dell’URSS (breve corso), (1938).

Mao Tse-tung, Problemi della guerra e della strategia (1938), nel vol. 7 delle Opere di Mao Tse-tung.