Dibattito Franco e Aperto

- Sosteniamo da comunisti la lotta del popolo palestinese

mercoledì 14 gennaio 2009.
 

Bologna, 09.01.09

 

Cari compagni,

noi comunisti dobbiamo far funzionare come scuola di comunismo anche la mobilitazione a sostegno della resistenza che il popolo palestinese oppone all’occupazione della Palestina da parte dei sionisti e degli imperialisti, contro l’aggressione che i sionisti d’Israele il 27 dicembre hanno lanciato come rappresaglia di stampo nazista contro la popolazione della Striscia di Gaza e contro il sostegno politico, economico e militare che il governo della banda Berlusconi, lo Stato italiano e  il Vaticano danno allo Stato sionista d’Israele. Far funzionare come scuola di comunismo questa mobilitazione è quello che distingue noi comunisti da tutti gli altri gruppi e personaggi che con motivazioni e a titoli diversi partecipano alla mobilitazione e anche la promuovono. È anche quello che permette a noi comunisti di apprezzare e valorizzare la partecipazione nonostante le motivazioni più varie di gruppi e individui: tutti quelli che partecipano rafforzano la mobilitazione e grazie alla nostra azione la loro partecipazione li sollecita ad elevare il loro impegno nella lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Quanto più ampia è la partecipazione, tanto meglio è, per arretrate ed elementari che siano le motivazioni. Infatti tanto più larga ed efficace è la scuola di comunismo che noi comunisti possiamo fare, maggiore l’incoraggiamento alla lotta dato al popolo palestinese e alle masse popolari del nostro paese e maggiore la pressione sui nemici del popolo palestinese.

Ma cosa vuol dire fare della mobilitazione una scuola di comunismo? Certo molti sono gli aspetti di questa scuola che possiamo sviluppare, a secondo delle condizioni concrete in cui siamo. Per sapere quali sono, rimando alla magistrale illustrazione di cosa vuol dire scuola di comunismo data nel Manifesto Programma del (n)PCI a pag. 262 (nota 30). Un aspetto è il tipo di propaganda che facciamo.

A proposito di propaganda, sottopongo ai lettori della pagina DFA due esempi opposti di propaganda fatta nel contesto della mobilitazione da due organismi che entrambi si dichiarano comunisti. Li  allego e vi chiedo di pubblicarli come allegati a questa mia nota: uno come esempio positivo e uno come esempio negativo.

Il primo è il Comunicato della sezione di Bologna della Rete dei Comunisti. Il secondo è il Comunicato dello Slai Cobas di Taranto, organismo diretto da Rosso Operaio (alias Proletari Comunisti, alias Partito Comunista maoista).

Il primo, positivo, illustra, a mio parere magistralmente, due aspetti della mobilitazione in corso a Bologna. 1. La partecipazione degli immigrati arabi e le forme specifiche della loro partecipazione. 2. Le parole d’ordine a favore della resistenza del popolo palestinese all’occupazione sionista della Palestina, che a Bologna hanno caratterizzato la mobilitazione.

Il secondo, negativo, propone come motivo della mobilitazione principalmente, anzi unicamente la pietà di fronte alle sofferenze che i sionisti d’Israele infliggono alla popolazione di Gaza. Il Comunicato dello Slai Cobas presenta alle masse popolari italiane il popolo palestinese principalmente come un popolo sofferente, anziché come un popolo che combatte eroicamente, come un esempio per le classi sfruttate e i popoli oppressi di tutto il mondo, come un popolo che riesce a resistere, che è riuscito a impedire la vittoria dei sionisti e degli imperialisti benché le loro forze siano soverchianti sul piano militare, economico e diplomatico. Immaginate gli autori del Comunicato al tempo della Resistenza. Cosa avrebbero consigliato ai Partigiani? Di non toccare i nazisti per non “provocare rappresaglie”? Oppure di attaccare in ogni modo i nazisti e i fascisti fino alla vittoria? Per gli oppressi, cosa è più importante? Combattere fino alla vittoria o sottomettersi per non provocare le ire e le rappresaglie degli oppressori? Quale insegnamento noi comunisti dobbiamo trarre e proporre alle masse popolari del nostro paese di fronte alla lotta del popolo palestinese? Il popolo palestinese è al centro della nostra mobilitazione non come un caso di “sofferenza umana”, ma come un esempio insigne di ribellione, di resistenza e di avanzamento verso la vittoria!

Per non dire delle fregnacce del Comunicato dello Slai Cobas! Ne addito due. Presenta le forze armate della resistenza palestinese che col passare del tempo riescono a mettere a punto armi e tecniche di combattimento via via più avanzate e danno più filo da torcere ai sionisti, come “alcuni militanti palestinesi che tentano di rompere l’assedio” (gli spontaneisti sguazzano nelle menzogne!). Nasconde l’impunità che “la storia dal dopoguerra a oggi ha assicurato” allo stato degli imperialisti USA (e ad altri stati imperialisti) tanto e più ancora (neanche una mozione di condanna del Consiglio di sicurezza dell’ONU) che allo stato sionista d’Israele!

Insomma una propaganda che va in senso contrario a quella necessaria per fare della mobilitazione una scuola di comunismo! Cosa c’è nel Comunicato dello Slai Cobas (Rosso Operaio, Proletari Comunisti, PCm, ecc.) che non potrebbe stare in un comunicato di preti e di suore sensibili al dolore del prossimo? Cosa vedono i suoi autori nella realtà di questi giorni di diverso da quello che vede anche la più semplice delle persone compassionevoli, ben lungi dal pretendere di essere comuniste?

Insomma un esempio negativo di propaganda che incita alla sottomissione e promuove la paura, ricorrendo persino alle menzogne.

 

Valorizziamo l’eroica lotta del popolo palestinese! Ricaviamo e propagandiamo gli insegnamenti che essa dà al mondo! L’aiuto maggiore che possiamo dare al popolo palestinese consiste nello sviluppare la lotta per fare del nostro paese un paese socialista! Far versare con un proprio Comunicato qualche lacrima in più, a cosa serve?

 

Con i più calorosi auguri di un efficace lavoro lungo il nuovo anno, il vostro affezionato compagno Stefano.

 


Allegato 1

lo schiaffo del 3 gennaio

Rete dei Comunisti - Bologna

contropianobologna@yahoo.it

via barbieri n. 95 Bologna

www.contropiano.org

 

Bologna 5 gennaio 2009

 

Lo schiaffo del 3 gennaio

considerazioni sulla manifestazione a Bologna in solidarietà con la Palestina

 

Le manifestazioni che hanno attraversato l’Europa in questi giorni in solidarietà con la lotta del popolo palestinese, hanno due importanti elementi comuni di novità.

Da una parte c’è stata una massiccia partecipazione delle comunità arabe e dall’altra la difesa senza se e senza ma della resistenza palestinese.

 

Anche a Bologna c’è stato un grosso corteo che ha visto la massiccia partecipazione della comunità araba locale, scesa in piazza assumendo parole d’ordine molto più avanzate della stessa sinistra italiana.

La comunità araba ha dato una dimostrazione di forza e compattezza notevoli, ed è miope valutare le forme e le espressioni che si sono viste dentro la manifestazione (slogan e preghiera collettiva in piazza, davanti a San Petronio, chiesa transennata da diversi anni per proteggerla da presunti attentati islamici) unicamente sotto il profilo religioso. Bisogna considerare cosa rappresenta l’aspetto religioso per la stragrande maggioranza della comunità araba: un elemento di identità e di collettività. Manifestare in piazza la preghiera collettiva è stato affermare la dignità della comunità arabo-mussulmana, cosi spesso calpestata dall’arroganza occidentale. Arroganza che si manifesta non solo sul livello culturale, la presunta superiorità dei valori occidentali, ma in una vera e propria divisione di classe. La maggior parte di quelle stesse persone che hanno partecipato al corteo e alla preghiera collettiva in piazza, sono gli operai che puliscono le strade e costruiscono le case a Bologna, cosi come sono facchini, metalmeccanici, badanti, addetti delle pulizie di uffici... Sono una delle porzioni sociali che maggiormente subiscono l’arroganza padronale e istituzionale. Si è svelato, in quella preghiera di massa in piazza, alla città di Bologna che esiste un’altra città. A chi ha partecipato alla manifestazione non è sfuggito lo stordimento nei visi della sinistra cittadina, quasi intimoriti dalla forza che emanava un simile corteo e una simile rappresentazione in piazza. Non servivano impianti né fischietti, il corteo era un susseguirsi di slogan e canti, vi era una gara a chi reggeva striscioni e bandiere.

Per troppo tempo cullati dentro un esasperato occidentalismo e in un antirazzismo “peloso”, non si è osservato come la società si trasformava. All’interno del corteo, vi erano moltissimi giovani e giovanissimi arabi e arabe, che parlavano di Palestina per parlare della loro condizione, del loro disagio.

 

Un secondo elemento importante è stata la qualità delle parole d’ordine, che riaffermavano in modo deciso una solidarietà diretta con il popolo e la resistenza palestinese, rifiutando una perversa equiparazione tra invasori (Israele) e invasi (Palestina). Uno degli slogan più sentiti è stato quello che parlava di Palestina come stato unico. La Palestina è un’unica terra, dove hanno convissuto per centinaia di anni diverse religioni e culture. Il sionismo (vera e propria ideologia di superiorità razziale) ha distrutto tutto ciò. L’unica vera soluzione di pace per i popoli che vivono in Palestina è mettere al centro la costruzione di uno stato unico.

Come comunisti sosteniamo la sinistra palestinese e i movimenti progressisti, ma consideriamo anche le altre forze che oggi combattono il sionismo come organizzazioni antimperialiste. Quelle stesse forze che a Gaza in modo democratico hanno vinto le elezioni. E’ singolare osservare come le forze occidentali utilizzino in modo alquanto variabile la presunta “democrazia elettorale”: in alcuni casi bombardano perché ciò non avviene, in altri perché avviene...

 

I comunisti e i movimenti popolari e sociali devono capire cosa sta accadendo e intervenire per dare voce e forza a queste porzioni sociali. Questo non con il solito “eurocentrismo”, ma capendo l’essenza di classe di queste manifestazioni politiche della comunità araba. Per fare ciò, da un parte occorre promuovere la difesa intransigente degli interessi di classe di queste porzioni sociali, dall’altra infittire la reciproca conoscenza e crescita tra le sinistre e i comunisti delle due sponde del mediterraneo.

 

I compagni e compagne della Rete dei Comunisti parteciperanno in modo attivo a tutte le manifestazioni in solidarietà con la lotta del popolo palestinese, dalla promozione di una manifestazione nazionale per la Palestina, a iniziative di protesta contro i trattati commerciali tra la Regione Emilia Romagna e Università con Israele e contro la disinformazione dei media sul massacro a Gaza.

 


Allegato 2

I rastrellamenti sociali per pulire le sacche di disobbedienza in qualche valle o nei paraggi di qualche discarica non sono poi che operazioni secondarie di pulizia e polizia

Slai Cobas per il Sindacato di classe

cobasta <cobasta@fastwebnet.it>

 

7 gennaio 2009

Stop al massacro in Palestina

SOLIDARIETÀ CON LA PALESTINA

 

In queste ore la Striscia di Gaza è stata trasformata in una trappola mortale: l’esercito israeliano ha già fatto centinaia di morti e migliaia di feriti che moriranno nelle prossime ore, perché gli ospedali sono al collasso già da due anni a causa dell’ embargo che ha bloccato anche i medicinali. I palestinesi di Gaza sono chiusi da ogni lato, dai militari israeliani e da quelli egiziani, sottoposti a micidiali bombardamenti e impediti a uscire da questo nuovo “ghetto di Varsavia” per cercare rifugio, alimenti, assistenza medica e protezione.

Gaza è assediata per terra e per mare da due anni: sono chiusi in trappola un milione e ottocentomila persone. La tregua non è stata rotta da Hamas o dalle altre organizzazioni palestinesi attive nella Striscia di Gaza, come dice la maggior parte dell’informazione occidentale, ma dalle autorità israeliane che durante la tregua hanno ucciso 25 palestinesi, effettuato arresti e rastrellamenti in Cisgiordania, mantenuto chiusi i valichi impedendo ai palestinesi di Gaza di entrare, uscire o ricevere i rifornimenti necessari per sopravvivere. Lanciare dei razzi è stata la carta che alcuni militanti palestinesi hanno tentato per rompere l’assedio, visto che la marina israeliana ha bloccato, tentando di speronarla, l’ultima delle navi pacifiste che portava a Gaza generi di prima necessità. Ogni equivalenza tra il lancio di razzi palestinesi a dicembre e i feroci bombardamenti israeliani è una ingiuria alla verità e alla giustizia.

Va precisato che il conflitto israelo-palestinese non è né millenario né religioso e non ha nulla a che vedere con la sopravvivenza della popolazione ebraica: la Palestina è una terra dove numerose etnie e religioni hanno sempre coesistito (per esempio, un quarto della popolazione palestinese è cristiana) e non si può usare l’argomento dell’Olocausto, dato che i palestinesi non hanno nulla a che vedere con le atrocità della Germania nazista e dell’Italia fascista. Ma la funzione di sentinella strategica dell’Occidente consente ai governi israeliani di infischiarsi dal 1947 di qualsiasi risoluzione ONU, mentre per l’Iraq ignorarne una è stato pretesto formale per scatenare una guerra. Non solo, nelle ultime settimane non c’è nemmeno, da parte delle Nazioni Unite, una delle solite condanne retoriche e senza conseguenze pratiche nei confronti dello Stato di Israele.

Motivo contingente dell’operazione militare israeliana è il tentativo di instaurare un governo collaborazionista a Gaza: il ministro israeliano Tzipi Livni  ha confermato che l’offensiva militare  andrà avanti fino a quando non ci sarà un nuovo equilibrio di potere funzionale agli interessi israeliani. Sulla situazione in Palestina, inoltre, emergono le gravissime complicità dell’Egitto, che è arrivato a schierare le forze armate ai confini, facendo sparare contro i palestinesi che cercavano di fuggire dalla trappola di Gaza cercando rifugio e protezione in Egitto. Anche gli stati arabi sostanzialmente coprono l’operazione israeliana, mentre la popolazione di quei paesi, scende in massa in piazza per dimostrare la propria solidarietà nei confronti dei palestinesi (3 milioni di persone solo in Marocco)

I governi europei (incluso quello italiano) hanno preso posizioni formalmente equidistanti sulla mattanza in corso. Hanno però accettato e sostenuto l’embargo contro i palestinesi di Gaza ed hanno mantenuto i rapporti di collaborazione militare, scientifica, economica con le istituzioni israeliane. Il governo israeliano ha messo non solo l’Europa ma anche la nuova amministrazione USA di fronte al fatto compiuto, potendo godere di un livello di impunità per i propri crimini di guerra e contro l’umanità che la storia dal dopoguerra a oggi non ha assicurato a nessun altro stato.

Fino a quando vedremo, sentiremo e leggeremo nei mezzi di comunicazione che tutto ciò che sta accadendo oggi a Gaza, ieri in Cisgiordania e prima in Libano è colpa di coloro che sono aggrediti e massacrati e non dell’esercito israeliano, che cerca in tutti i modi di far scomparire dalla faccia della terra la Palestina?

Fino a quando continuerà la campagna per “giustificare l’ingiustificabile”, chiamando terroristi i membri di Hamas, gli unici vincitori delle elezioni più trasparenti che si sono celebrate in Medio Oriente?

Fino a quando ascolteremo quelle voci ipocrite che dicono di cercare “una soluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese” senza dire alcunché sulla politica dello Stato d’Israele, preferendo creare la teoria dell’equidistanza, che mette sullo stesso piano sia i carnefici che le vittime?

Fino a quando lasceremo morire la Palestina, occupata da un esercito i cui metodi sono di una ferocia inaudita, senza dire nulla?

Il popolo palestinese vive un momento estremamente difficile dal quale potrebbe uscire ridotto ad una esclusiva questione umanitaria che negherebbe la sua aspirazione ad avere i diritti che spettano a ogni popolo.

Chiediamo che il massacro in corso cessi immediatamente, che si assicurino ai palestinesi i diritti che spettano a ogni popolo, che sia ristabilita la corretta informazione.

Invitiamo tutte le associazioni, i partiti, i collettivi e le realtà organizzate presenti sul territorio a firmare questo appello.