La Voce 13

Comitati di Partito e centralismo democratico

giovedì 27 marzo 2003.
 

Cresce il numero dei compagni che aderiscono al “piano in due punti” per costituire il partito comunista. Il primo passo che compiono i membri di Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista e i lavoratori avanzati che condividono il “piano in due punti” è costituire un Comitato di Partito. La costituzione di un CdP è la rottura pratica con l’atteggiamento attendista e opportunista circa la ricostruzione del partito che consiste in sperare e auspicare che si ricostruisca il partito e non fare subito quello che personalmente un compagno può fare per la ricostruzione del partito.

Un comitato clandestino non si costituisce con chiacchieroni, né con personaggi dalle aspirazioni vaghe e dal carattere incostante, né con persone che si conoscono superficialmente, solo o principalmente per le dichiarazioni che fanno quando per caso ci si trova in un’assemblea o in una manifestazione. Un Comitato di Partito non è un’aggregazione di individui di buoni sentimenti che vogliono prendere qualche iniziativa politica o rivendicativa e si associano nella misura necessaria per farlo. Un Comitato di Partito è creato da compagni che, quali che siano i loro limiti e difetti attuali, vogliono e si impegnano per la vita a diventare comunisti. Il carattere del compagno è più importante dell’ampiezza delle sue conoscenze, in particolare se si tratta di un operaio. La costituzione di un comitato implica e presuppone una conoscenza abbastanza profonda e di lunga data tra i compagni che lo costituiscono. Ovviamente se non esistono queste condizioni, un compagno non sta con le mani in mano sperando in Dio, ma le costruisce. Stabilisce con i compagni che gli sembrano adatti dei rapporti personali e dei rapporti di lavoro politico legale e di lavoro sindacale con lo scopo specifico di approfondire direttamente e indirettamente la conoscenza per verificare compagno per compagno se è adatto a costituire un Comitato di Partito. Il comitato si costituisce solo quando e solo con i compagni per i quali la verifica ha dato esito positivo e i compagni sono tutti in grado di assumere seriamente il loro impegno. Non occorre che il singolo compagno abbia grandi doti e grande esperienza. La forza del partito comunista non sta nella genialità dei suoi membri o dei suoi capi, ma nella coesione dei compagni che lo compongono e nella aderenza del loro orientamento agli interessi strategici della classe operaia. Non si devono fare pressioni morali su un compagno per farlo aderire e tantomeno accettare nel comitato uno che aderisce di malavoglia. Meglio un amico fidato e un simpatizzante della causa che collabora saltuariamente e per compiti limitati, che un membro del comitato che manca di convinzione e di slancio. Queste sono premesse perché un comitato possa svolgere il suo lavoro. Procedere diversamente vuol dire perdere tempo, creare confusione e prepararsi dei guai.

Una volta costituito un Comitato di Partito, il passo successivo è il lavoro che il comitato svolge. Si tratta di darsi un piano di lavoro orientato in modo giusto, ma anche proporzionato alle forze attuali del comitato. L’importante non è fare subito tante cose, ma rafforzarsi e crescere: come esperienze e capacità oltre che come numero. Dobbiamo aver fiducia che è in corso in tutto il paese in tanti punti un movimento capillare di trasformazione analogo a quello che ognuno di noi compie. Non siamo solo noi a lavorare per la nostra causa. Ognuno di noi è uno tra tanti e sempre più sarà così. Purtroppo non è possibile vederlo e vincere così, empiricamente, la sfiducia e la diffidenza che ereditiamo e che il nemico di classe alimenta. Ma se riflette, ognuno ha a sua disposizione buoni motivi per convincersi che è così. La mobilitazione delle masse cresce e ha un orientamento politico via via più unitario, con parole d’ordine più giuste. Non è una cosa che cade dal cielo. Certamente è frutto anche delle conclusioni a cui per la sua personale esperienza diretta e quotidiana arriva autonomamente il singolo lavoratore, la donna o il giovane schiacciato dall’ordinamento capitalista della società. Ma alla loro presa di posizione contribuisce anche l’opera capillare di orientamento e di organizzazione che svolgono i comunisti e i lavoratori avanzati che in un modo o nell’altro sono già oggi legati al lavoro di ricostruzione del partito comunista. Ciò non vuol dire che si è già creata una rete di comitati e un’organizzazione di base del partito nettamente definita e centralizzata. Vuol dire però che siamo su questa strada. Del resto, se ci pensiamo, ciò è nella logica delle cose ed è inevitabile. La situazione a cui ogni comunista si confronta è la stessa e la sua verità (la strada giusta da prendere per uscirne) è una sola. Una volta che essa è scoperta e viene propagandata, essa un po’ alla volta inevitabilmente prevale sulle tante menzogne e mezze verità che creano la confusione e la nebbia. Tutti i compagni seri (quelli non seri meglio lasciarli perdere) che cercano realmente una strada, l’afferrano, la fanno propria e la usano. Parafrasando Troisi, possiamo dire che le idee “sono di chi le usa”. Su questa base si creano anche i legami che porteranno alla necessaria unità organizzativa. Così facendo, contemporaneamente le persone serie si distinguono dagli opportunisti che non cercano realmente una strada, ma dei se e dei ma per giustificarsi e non imboccarla. E distinguendosi isolano gli opportunisti. Tra un po’ sarà come se questi personaggi che si aggirano nei movimenti avessero una divisa o la targa. Non è vero che nel nostro paese non esistono persone serie tra gli operai e gli altri lavoratori. Non dobbiamo attribuire agli operai e in generale ai lavoratori italiani l’opportunismo, la debolezza di carattere, la vigliaccheria e la superficialità che storicamente caratterizzano la borghesia dell’Italia unita e che in queste settimane hanno la loro espressione plateale e alla vista di tutti nell’attività e nel disorientamento del governo della banda Berlusconi. Certo il carattere della classe dominante influenza anche le masse popolari, perché essa domina anche moralmente e intellettualmente. Ma le influenza solo fino ad un cero punto, perché la loro esperienza pratica è ben distinta da quella della classe dominante. Ricordiamo sempre che mentre la borghesia italiana dall’unità d’Italia (1861) a oggi non è mai riuscita a mettere insieme consistenti forze armate di un certo valore ed è conosciuta in mezzo mondo come protagonista di un “imperialismo straccione” che si è sempre accodato in posizione subordinata al Vaticano e ora a questo ora a quel gruppo imperialista straniero (prima Napoleone III, poi il Reich tedesco, poi l’Intesa, poi Hitler, poi gli USA), gli operai italiani col partito comunista e l’Internazionale Comunista hanno fatto la Resistenza e pur senza partito hanno comunque fatto la lotta armata degli anni ’70: due avvenimenti la cui fama ha fatto il giro del mondo.

In conclusione un CdP deve darsi un piano di attività limitato, su misura delle sue forze, ma conforme alle possibilità di sviluppo del movimento comunista che le masse popolari, la classe operaia, i lavoratori avanzati, le FSRS della sua zona e i suoi membri presentano. Non deve partire solo e spontaneisticamente da quello che i compagni che lo compongono fanno già, ma deve rimettere in discussione tutto alla luce del compito che il CdP si assume. Deve tener conto sia della gamma di attività che generalmente un CdP svolge (non sto a ricordarle: rinvio all’articolo Il lavoro dei Comitati di Partito pubblicato nel n. 8 di La Voce - luglio 01), sia della sua situazione particolare. Dalla considerazione di questi due elementi ogni CdP deriva l’ordine di priorità delle attività da svolgere e la distribuzione delle proprie forze tra di esse. Usare il tempo e dedicare gli sforzi necessari per seguire questi criteri non è perdere tempo. È imparare a lavorare bene, a non disperdere energie, a non fare “tanto per fare qualcosa”, a non fare perché “si deve fare”, a fare un lavoro proficuo di cui si valutano attentamente e periodicamente (sebbene non empiricamente né semplicisticamente) i risultati. Per questo ogni CdP deve imparare a vedere i risultati del suo lavoro. Deve non limitarsi ai risultati più evidenti. L’orientamento giusto, le parole d’ordine giuste, il metodo di lavoro giusto, la maggiore capacità di iniziativa che il CdP acquisisce e genera nei suoi membri e intorno a sé sono anch’essi risultati importanti del lavoro del CdP. Man mano che un CdP migliora il suo lavoro, si allarga la sua influenza diretta e indiretta nell’ambiente circostante e questo migliora il lavoro di tutte le FSRS rafforzando in ognuna la sinistra e rafforza qualitativamente e quantitativamente il ruolo che già oggi i lavoratori avanzati svolgono nel loro ambiente di lavoro e d’abitazione. Ogni CdP deve valutare con cura tutti i risultati del proprio lavoro: spesso solo così comprende le leggi che il movimento delle masse segue nel suo sviluppo, alcune delle quali sono diverse da quelle seguite in altri tempi e in altri paesi. Nella valutazione dei risultati del proprio lavoro un CdP deve tener presente tutti questi vari aspetti, quanti più ne riesce a considerare.

Come indicato nell’articolo appena citato, il lavoro di un CdP comprende attività relative al suo funzionamento, attività di formazione dei suoi membri, attività rivolte al suo esterno (rapporti con la CP, inchiesta sulla situazione economica, culturale e politica delle masse popolari, di singoli settori e di singoli, propaganda, agitazione, promozione della costituzione di organizzazioni pubbliche di ogni tipo, inchiesta, orientamento e direzione di organizzazioni pubbliche di ogni tipo, di FSRS e di lavoratori avanzati). Ogni CdP deve definire quali attività incomincia a svolgere e con quali priorità e, in ogni campo di attività scelto, individuare le iniziative che intende svolgere in un dato periodo e attribuire le responsabilità (fare insomma un piano di lavoro e un calendario di iniziative). Nella situazione attuale e date le nostre caratteristiche nazionali, la chiave per avanzare, l’anello della catena a cui dobbiamo afferrarci per far girare tutta la catena, è la formazione dei compagni del comitato. Detta così è però una cosa vaga: tutti siamo d’accordo, ma non cambia il nostro orientamento e le nostre abitudini e quindi non migliora il nostro lavoro. Più concretamente si tratta 1. di instaurare nel comitato uno stile di lavoro giusto e di creare il giusto clima e 2. di far in modo che ogni compagno, sia pure nei limiti legati alle caratteristiche individuali, acquisisca la concezione comunista del mondo e la linea del partito, ma la acquisisca sulla base della propria esperienza in modo che acquisti tutta l’autonomia di cui per le sue caratteristiche è capace. Ogni comitato deve dedicare tutto il tempo necessario a creare queste condizioni. Ma vediamo cosa significa più in concreto.

Anzitutto bisogna svolgere ogni attività in conformità all’obiettivo di creare nel comitato queste condizioni e considerare ogni attività e iniziativa principalmente come l’occasione per rafforzare queste condizioni. Per un po’ di tempo ciò ridurrà la quantità di cose che facciamo, “farà perdere tempo”. È come la differenza tra imparare bene uno stile di nuoto o nuotare in qualche maniera. All’inizio imparare bene lo stile fa “perdere tempo”, ma alla lunga fa esprimere a ognuno il meglio di cui per le sue caratteristiche è capace. E noi abbiamo davanti a noi un compito di grande respiro, che possiamo assolvere solo se impariamo a fare cose che oggi non sappiamo ancora fare e se sappiamo lavorare con continuità sul lungo periodo. Il movimentismo non è una cosa buona per un comunista. Ci sono, è vero, periodi in cui è decisivo “non perdere neanche una battuta”. Ma noi oggi ci stiamo formando per quei periodi. Chi considera risolutivo lo scontro di oggi, chi pensa che gli scontri di oggi siano lo scontro risolutivo, ha un’idea riduttiva del compito storico che dobbiamo assolvere. Noi abbiamo chiaramente detto che, anche se avrà successo la lotta attualmente in corso per abbattere il governo della banda Berlusconi e sconfiggere il progetto di tutta la borghesia imperialista per la cui attuazione essa ha affidato il potere a quella banda, il governo del paese resterà ancora nelle mani della borghesia imperialista, solo che si aprirà una fase diversa di lotta nella quale noi entreremo con forze maggiori. L’esistenza e l’opera di un collaudato partito comunista sono una condizione indispensabile per una svolta decisiva nella nostra opera. Ogni volta che si sono nutrite speranze nel successo di una rivoluzione proletaria senza partito comunista, come alla fine della prima guerra mondiale e nel periodo immediatamente successivo (1918-1921), oppure come negli anni ’70, la classe operaia è andata incontro a grandi delusioni. Solo dove si è costruito un partito comunista adeguato, la rivoluzione c’è stata e ha avuto successo. E i successi di quei paesi e di quei partiti ci hanno fatto capire meglio cosa vuol dire un partito adeguato a preparare e guidare la rivoluzione socialista alla vittoria. È una lezione che oramai dobbiamo acquisire.

Seguire la linea sopra indicata, oggi e da subito vuol dire sostanzialmente due cose. 1. far valere nel Comitato di Partito il centralismo democratico e 2. fare svolgere a ogni membro del CdP una certa attività di studio finalizzato all’obiettivo collettivo della fase attuale.

 

1. Il centralismo democratico

 

Sostenere che bisogna far valere nel proprio CdP il centralismo democratico può sembrare banale. Chi è mai contro il centralismo democratico? Da noi è diventata un’espressione quasi rituale. Ma la sua pratica è inversamente proporzionale alla quantità di omaggi di rito. Proprio l’abitudine ostacola la sua attuazione. Io sostengo che oggi noi pratichiamo ben poco il centralismo democratico inteso nell’accezione a cui già il vecchio movimento comunista era arrivato a intenderlo, accezione verificata e confermata nella pratica al di là di ogni ragionevole dubbio e da cui quindi noi dobbiamo partire. Mi spiego e credo che alla fine ogni compagno converrà con me che si tratta di introdurre nel suo comitato un modo di agire che non è affatto già abituale e radicato.

Cosa è il centralismo democratico? Il centralismo democratico è il principio direttivo della struttura organizzativa del partito comunista. Esso è caratterizzato da quattro punti:

1. elettività di tutti gli organi dirigenti dal basso in alto;

2. obbligo di ogni organo di partito di rendere periodicamente conto della sua attività sia all’organizzazione che lo ha eletto sia agli organi superiori;

3. severa disciplina di partito e subordinazione della minoranza alla maggioranza;

4. le decisioni degli organi superiori sono incondizionatamente obbligatorie per gli organi inferiori.

Cosa vuole dire questo nelle concrete condizioni attuali di un Comitato di Partito clandestino? Quali sono le caratteristiche principali delle “condizioni attuali” ai fini del tema che stiamo trattando?

Le caratteristiche principali sono due.

In primo luogo non esiste ancora una struttura di base del partito. Non esistono ancora organismi che svolgono il vero lavoro di base del partito comunista. Questo è il lavoro che i lavoratori comunisti organizzati in cellula conducono nel loro reparto, nella loro azienda, nel loro caseggiato, verso compagni di lavoro e vicini di casa a cui sono legati dalla pratica della vita corrente di ogni giorno e che conoscono uno per uno. È il lavoro di organizzazione, di orientamento, di direzione, di inchiesta e di raccolta delle opinioni, degli stati d’animo e delle esperienze delle masse che essi conducono quotidianamente e l’uso di questa raccolta per arricchire e far progredire la concezione del partito e il suo lavoro di organizzazione, di orientamento, di direzione. La costruzione dell’organizzazione di base del partito è direttamente connessa al rafforzamento del legame tra il partito e i lavoratori avanzati (beninteso, uso l’espressione “lavoratori”, ma in primo luogo si tratta di “operai”, però nel significato indicato dalla nostra analisi di classe - PMP). Si tratta di un compito che sarà al centro del nostro lavoro nel secondo dei tre stadi che ho indicato nell’articolo omonimo pubblicato sul n. 9 di La Voce (novembre 01) che ogni CdP deve avere presente nell’impostare il proprio programma. Non possiamo porre la costruzione dell’organizzazione di base del partito come nostro compito centrale oggi. Né un CdP di regola può svolgere direttamente un simile lavoro, proprio degli organismi che costituiranno la struttura di base del futuro partito.

In secondo luogo la centralizzazione del lavoro dei Comitati di Partito è in una fase del tutto transitoria e precaria e tale resterà finché non ci sarà il congresso di fondazione del partito e l’elezione del Comitato Centrale del partito. La centralizzazione avviene attraverso organismi di fatto, attraverso organismi non eletti: la Commissione Preparatoria e i suoi fiduciari e attraverso canali che dipendono da essi: la rivista La Voce , i Comunicati, l’attività editoriale della redazione della rivista, la corrispondenza, i contatti tramite i fiduciari. Tutti organismi e canali che non corrispondono al primo dei punti del centralismo democratico e quindi non corrispondono neanche al quarto. E questo pone dei problemi: transitori ma pur sempre dei problemi che dobbiamo risolvere bene per uscire dalla fase transitoria. Trattare bene questi problemi non è questione che riguarda solo la CP, riguarda anche i Comitati di Partito. I soggetti attivi, gli attori e protagonisti del “trattamento”, e quindi i responsabili del buon esito del trattamento, sono due: a un capo sta la CP con i suoi fiduciari, all’altro capo stanno i CdP.

A un capo, da parte della CP, si tratta di stabilire contatti e solidi canali di comunicazione con ogni CdP (un lavoro i cui risultati e la cui esperienza saranno presi poi in mano dal futuro CC e dai suoi organismi di lavoro), di fare tutto lo sforzo di cui è capace per raccogliere e riflettere nella sua attività quanto di più avanzato vi è nei CdP, di sviluppare, pur nei limiti delle sue capacità, il dibattito politico con i CdP e tra i CdP.

All’altro capo, da parte dei CdP, si tratta di seguire con cura e attenzione tutti gli aspetti non compartimentati dell’attività svolta dalla CP, di sostenerla con consigli, proposte, contributi, uomini e donne, risorse logistiche e finanziarie, di criticarne con chiarezza e fermezza gli errori e metterne in luce i limiti.

L’esperienza accumulata anche solo praticamente (e tanto più quella anche già tradotta consapevolmente in criteri e regole) in questo campo dai due lati sarà un patrimonio prezioso per il futuro partito. Credo che per quanto riguarda i punti primo e quarto del centralismo democratico nei rapporti tra CP e CdP questo sia tutto.

Dai punti due e tre viene invece la necessità di rapporti periodici ed esaurienti su tutti gli aspetti del lavoro che non sono compartimentati. Anche la pratica di fare rapporti regolari ed esaurienti è un patrimonio che conferiremo al futuro partito. I rapporti non devono limitarsi a esporre quello che si è fatto. Devono contenere anche informazioni sulle circostanze di una certa importanza emerse durante il lavoro, sulla situazione delle masse, sul loro stato d’animo e sui loro movimenti nella zona in cui il CdP opera e che hanno motivato le iniziative svolte e i metodi adottati o che possono contribuire a modificare o migliorare il nostro lavoro. Devono contenere le proposte dei miglioramenti di cui ci siamo resi conto durante il lavoro e notizie più esaurienti e dettagliate possibile sulle forze politiche, sulle organizzazioni pubbliche e sulle forze ostili con cui si è avuto a che fare direttamente o indirettamente. La severa disciplina di partito in questo campo riguarda la regolarità e puntualità delle relazioni, l’osservanza delle regole e dei criteri cospirativi e l’accurata salvaguardia della clandestinità.

Per quanto riguarda ogni singolo CdP al suo interno, il punto uno del centralismo democratico vuol dire la cura nella scelta del segretario, nel sostenerlo, criticarlo e proteggerlo, nella divisione del lavoro e nell’assegnazione degli incarichi all’interno del CdP. L’elezione non può essere un fatto formale. Scegliere le persone giuste passando sopra alle relazioni personali, ai sentimenti personali, all’abitudine e al quieto vivere, esaminare con cura e franchezza l’operato dei propri dirigenti: sono questioni di responsabilità e di coscienza verso il partito che stiamo costruendo, verso la causa per cui combattiamo e verso la classe operaia e le masse popolari la cui sorte dipende dal partito che costruiamo. Il segretario, oltre a dare l’esempio con una critica fraterna ma ferma e fatta pubblicamente nel collettivo verso ognuno dei membri del CdP, deve per primo esigere che ogni membro del CdP abbia verso di lui un atteggiamento non reticente, ma franco e aperto. Bisogna imparare a distinguere le critiche relative ad aspetti concreti del lavoro che possono essere immediatamente e definitivamente corretti, dalle critiche relative ad abitudini e modi di sentire e di pensare di un compagno che, pur con tutta la sua buona volontà, il compagno può correggere solo passo dopo passo, gradualmente, attuando un programma di rieducazione nel corso del quale va guidato e sorretto con critiche e incoraggiamenti circostanziati. Se non distinguiamo tra questi due tipi di critiche, o siamo ostili e insofferenti verso i compagni che non cambiano di colpo o evitiamo di porre il problema per non mettere in discussione la loro personalità.

Si tratta insomma di introdurre sistematicamente seppur gradualmente l’abitudine alla critica-autocritica-trasformazione: una pratica che libera le potenziali energie creative dei singoli e del collettivo dalle inibizioni, dai freni e dalle incrostazioni delle relazioni imposte dalla borghesia alle masse popolari e diventate in ogni individuo radicate abitudini, costumi e modi di pensare: parte costitutiva della sua personalità.

Occorre inoltre distinguere la critica- autocritica-trasformazione dalla lotta tra le due linee nel partito. La prima deve diventare un aspetto della pratica quotidiana e costante di ogni CdP e di ogni collettivo di partito. Invece la lotta tra le due linee (tra l’aderenza agli interessi strategici della classe operaia e l’influenza della borghesia, tra il nuovo e il vecchio, tra il vero e il falso) matura gradualmente e inavvertitamente nel corso del tempo e della lotta e diventa di attualità ad ogni cambiamento di fase, quando “l’uno si divide in due”: la concezione, la linea, il metodo seguiti con successo nella fase che termina non sono più adeguati nella fase che subentra, devono essere cambiati e si pone il problema di quale strada prendere.

Come si vede si tratta di creare in ogni CdP un costume di partito che oggi in generale non esiste ancora nei CdP e che non esiste assolutamente nelle FSRS. Le FSRS hanno un costume e una storia da circoli, sono costruite attorno a un leader o a un gruppetto di leader storici e tradizionali, riposano in gran parte sul loro ascendente e sul loro prestigio. La forza e la vita di un CdP, come di ogni singolo organismo del partito e del partito nel suo complesso, devono invece riposare principalmente sul costume di lavoro collettivo dell’organismo, sull’esame collettivo della situazione e le decisione collettive della linea da seguire e delle parole d’ordine da adottare, sulla chiara divisione del lavoro e sulla responsabilità individuale nell’esecuzione. Ai fini del successo della nostra causa, ciò è più importante della genialità e della fantasia individuali. Nella storia del movimento comunista sono varie volte comparsi per un certo tempo personaggi brillanti, ma che non sono riusciti a diventare veri membri del partito e hanno fatto una brutta fine: Trotzki è il più famoso. La genialità, la fantasia e lo spirito d’iniziativa individuali hanno certamente un loro ruolo nella lotta del partito, sono importanti, ma devono esplicarsi all’interno di questo sistema collettivo di lavoro e servire a rafforzarlo. In caso contrario hanno un effetto negativo, disgregatore, inibitore del nostro legame con la classe operaia e rendono fragile tutto il nostro campo. Uno stile collettivo di lavoro sarà infatti condizione indispensabile per costruire il legame del partito con la classe operaia, per creare la struttura di base del partito e per far diventare il partito l’avanguardia organizzata della classe operaia (il compito principale nel secondo dei tre stadi sopra ricordati). L’operaio tipicamente ha la sua forza sociale principalmente nel numero organizzato. La coesione del collettivo di lavoro, della categoria, della classe è ciò che permette all’operaio, privo di proprietà, di capitali e di un’arte che altri non sappiano esercitare quanto lui, di essere una forza sociale e di avere un ruolo nella vita e nella trasformazione della società. Il partito deve costruire la sua organizzazione in conformità a questo principio consono alla condizione sociale degli operai e che permette ad essi di diventare classe dirigente. È la condizione perché il partito possa diventare il partito degli operai d’avanguardia e l’avanguardia organizzata della classe operaia. Noi comunisti costruiamo fin d’ora un partito capace di diventare l’avanguardia organizzata della classe operaia solo se già oggi, nel primo stadio del nostro lavoro, pieghiamo a questo stile di lavoro con la critica e l’autocritica la concezione del mondo, il modo di sentire, i costumi e le abitudini che ci vengono dalla vita corrente e dall’esperienza di attività politica svolta nelle FSRS. Questo vale quale che sia la classe da cui individualmente veniamo, perché tutte le classi subiscono l’influenza morale e intellettuale della classe dominante. Ovviamente sono concezioni, modi di sentire, abitudini e costumi più forti nei compagni che provengono da classi borghesi o dalla piccola-borghesia: perché la forza sociale e il ruolo sociale di ognuno dei membri di queste classi sono strettamente legati alla quantità di capitale di cui individualmente dispone per quanto riguarda la borghesia e all’abilità individuale per quanto riguarda la piccola-borghesia. Non è un caso che nei circoli e in generale nelle FSRS, che pure sono quanto oggi resta del movimento comunista in quanto movimento consapevole e organizzato, di regola i capi sono compagni che provengono dalla borghesia o dalla piccola-borghesia: perché, se non sono debosciati (ma essere debosciati è solo la negazione dell’efficientismo borghese, non il suo superamento), dal loro ambiente d’origine hanno imparato ad essere efficienti, a dirigere, a prendere decisioni, a organizzare. “Non importa se il gatto è rosso o nero, l’importante è che prenda i topi”, proclamava infatti Teng Hsiao-ping, che ha guidato la Repubblica Popolare Cinese verso il capitalismo. Non che sia male essere efficienti, ma prima di apprezzare l’efficienza, bisogna vedere al servizio di quale causa si è efficienti. E se la concezione di un compagno efficiente è rimasta borghese, lo si vede facilmente: basta chiedersi quale contributo ha dato e dà all’assolvimento del compito principale di questa fase ai fini degli interessi strategici della classe operaia, la ricostruzione del partito comunista. Se, benché sia efficiente, ha dato un contributo molto piccolo o nullo alla ricostruzione del partito, il problema sta nella sua concezione del mondo.

Se nel CdP creiamo questo stile e questo clima, conformi al primo punto del centralismo democratico, l’applicazione del quarto punto verrà da sé, come cosa ovvia. Le linee una volta fissate e le direttive una volta impartite, si attuano. Massima democrazia nella fase di elaborazione e di bilancio dei risultati, obbligo per ogni compagno di dire sinceramente e in modo esauriente le sue opinioni, diritto a conoscere quanto necessario per farsi un’opinione indipendente e dovere di farlo conoscere a ogni compagno, nessuna censura e nessuna reticenza. Ma assoluta disciplina in fase di esecuzione. Tutto il partito deve poter contare con sicurezza che una direttiva impartita sarà eseguita e una linea fissata sarà attuata puntualmente, tempestivamente, lealmente, creativamente e in tutti i dettagli stabiliti. Il modello è l’esercizio del trapezio nel circo: ogni trapezista deve poter contare al di là di ogni dubbio che il compagno sarà al posto stabilito, nel momento stabilito, nella posizione stabilita. Questo in particolare significa che ogni compagno, una volta assunto un impegno di partito, lo deve mettere al di sopra degli impegni familiari, di lavoro e di ogni altro genere. Il lavoro di partito non è né un passatempo né un’occupazione per il tempo libero. Questo non vuol dire che un compagno non deve tener conto degli altri aspetti della vita e che il CdP deve accettare che un compagno non ne tenga conto o deve addirittura spingerlo a non tenerne conto. Vuol dire che ogni compagno deve smettere di vivere spontaneisticamente, di “lasciarsi vivere” e guidare da quello che capita. Deve organizzare i vari aspetti della sua vita, dirigerli subordinandoli all’impegno principale della sua vita. Il CdP deve dirigere ogni suo membro a imparare a farlo e insegnargli come farlo. Buoni strumenti a questo scopo sono tenere un diario delle attività, annotare il tempo che si dedica al lavoro di partito al di fuori di quello che si svolge durante il lavoro fatto per guadagnarsi da vivere (il lavoro in produzione), discutere nel collettivo le proprie scelte di vita.

Il secondo punto del centralismo democratico per quanto riguarda un CdP vuol dire che il segretario e ogni compagno incaricato di un particolare lavoro, in ogni caso in cui ciò non è in contrasto con la compartimentazione deve fare al CdP periodici rapporti orali o scritti con le caratteristiche sopra già indicate e che il CdP deve fare una esauriente discussione collettiva dei rapporti. A prima vista sembra che tutto questo procedere collettivo inciampi e freni il nostro lavoro. I compagni che provengono dalla borghesia da una parte e gli operai da un’altra sono abituati a un procedimento in cui un dirigente o un capo efficiente, e tanto meglio se è anche simpatico e brillante, riunisce il gruppo di lavoro e indica chiaramente, “uno, due tre”, cosa bisogna fare e magari anche perché. Oppure emana una circolare o un ordine di servizio con sopra indicato nero su bianco con precisione cosa ognuno deve fare. Non è più semplice e più veloce? La questione è un’altra. Quello è il costume e il metodo della borghesia, conforme alla divisione dei ruoli sociali che si basa sulla divisione in classi. Vale dove c’è un padrone o un capo investito dal padrone. Vale dove le cose funzionano secondo il criterio: “Qui lei non è pagato per pensare, altri sono pagati per farlo. Lei è pagato per eseguire le direttive che le vengono date” (Taylor). Ognuno fa la sua parte e il padrone tira le fila e gli utili. Lì, nell’ambito di quel rapporto di classe, il capo geniale ed efficiente, con le idee chiare, si misura su quel metro. Nel circolo e nelle FSRS è in qualche misura ancora così. Il prestigio, la genialità, il fascino o il carisma del leader svolge in una certa misura il ruolo del capitale. Nel partito comunista la cosa non funziona. Il partito comunista appartiene a un genere diverso di cose e per il compito storico che deve svolgere, l’emancipazione della classe operaia e con essa l’emancipazione di tutta l’umanità, può funzionare e storicamente ha dimostrato di funzionare bene e di dare risultati superiori a quelli della più efficiente organizzazione borghese o simile. Esso funziona in maniera diversa.

Ho già ricordato che il fattore principale della forza di un partito comunista non sta nella genialità o nel prestigio dei suoi capi (come invece insegna la pubblicistica borghese che vede il mondo con gli occhi della borghesia). Sta nella combinazione dell’aderenza dell’intero partito agli interessi storici della classe operaia con la coesione dei suoi membri e dei suoi organismi: due fattori dialetticamente combinati e interdipendenti.

Una volta che, pur svolgendo un’attività politica ancora riservata a una piccola minoranza quale sono i comunisti, adottiamo e impariamo a praticare quel metodo, esso dimostra tutta la sua potenza e flessibilità e dimostra anche di essere adatto a organizzare la classe operaia. Gli operai non si sono mai trovati in massa con un ruolo attivo in un partito diretto dalla borghesia o in un circolo. Hanno invece fatto la forza e costituito la maggioranza dei membri dei partiti comunisti che funzionavano con lo stile di lavoro e la cui organizzazione era costruita secondo i principi finora illustrati.

L’applicazione del centralismo democratico è un passaggio importante sulla strada che dai circoli porta al partito. Pensare di percorrerla con un salto solo, è un’illusione. L’applicazione è il risultato di un lavoro tenace e paziente di trasformazione. Essa pone oggi le basi del futuro partito e pone le premesse indispensabili per costruire e rafforzare il nostro legame con la classe operaia fino ad arrivare a costruire i primi nuclei dell’organizzazione di base del partito. Introdurre il centralismo democratico, imparare a funzionare in conformità al centralismo democratico è un aspetto indispensabile del lavoro che dobbiamo compiere nel primo dei tre stadi del nostro lavoro per instaurare il socialismo.

Da ultimo la severa disciplina: ogni membro del CdP deve essere un libro aperto o diventare un libro aperto per il CdP. La compartimentazione, nella misura del necessario, può riservare certe conoscenze al segretario o al responsabile dell’organizzazione. Ma, con questa salvaguardia, un membro del CdP non può avere segreti per il suo CdP. Non sono ammessi risposte reticenti, sotterfugi, angoli oscuri relativi alla vita personale, alle relazioni sociali, al reddito, alle proprie origini, alle motivazioni delle proprie azioni e dei propri comportamenti. L’appartenenza a un CdP non vuol dire mettere in comune solo quel tempo in cui un compagno “fa attività politica” e quelle risorse che di sua iniziativa il compagno destina all’attività politica. Come se fosse un borghese che entra a far parte di una società a responsabilità limitata o di una società per azioni solo per la parte del denaro che vi investe. Diventare membro di un CdP è stringere un legame per la vita, un legame d’onore, un legame totale che si stabilisce tra i membri dello stesso partito comunista, votati anima e corpo al successo della stessa causa. La discrezione, la tolleranza, la comprensione sono qualità che ogni compagno e il collettivo devono applicare nei confronti di ogni compagno, così come la solidarietà morale e materiale in ogni circostanza della vita. Ma tutto ciò deve essere subordinato alla chiara definizione dei compiti, all’assoluta lealtà del compagno verso l’organizzazione, alla fiducia di ogni compagno verso il collettivo e allo sforzo sincero e tenace per trasformarsi in conformità alle esigenze della causa per cui combattiamo. La subordinazione della minoranza alla maggioranza, dell’individuo al collettivo, la franca esposizione delle proprie vedute, le critiche aperte per ogni aspetto di un qualche rilievo che nuoce alla nostra causa, sono logici corollari del rapporto che ho sopra descritto.

Alcuni compagni pensano di non avere una cultura adeguata a essere dei buoni comunisti. Ma non si tratta di cultura. Il partito comunista è innanzitutto il partito dei membri delle classi che la borghesia esclude dalla cultura e a cui impedisce di acquisire doti e capacità di direzione e di organizzazione. Il partito insegna (e deve insegnare) ai suoi membri la cultura e li guida ad acquisire doti e capacità di direzione e di organizzazione. Il partito comunista non è una società a responsabilità limitata o una società per azioni in cui ognuno mantiene la quota che corrisponde alla percentuale del capitale che ci ha messo. Il partito forma. Non è importante quanto oggi si ha e si porta nel partito. Principale è la ferma e coerente decisione di lavorare per la causa del comunismo e di assimilare e usare il patrimonio del movimento comunista per farla trionfare. Un CdP che costruisce se stesso su queste basi, che si conforma a questi principi dettati dall’esperienza del movimento comunista, confermati dalle vittorie conseguite nella prima ondata della rivoluzione proletaria dai partiti che li hanno meglio praticati e derivati dal bilancio di quella esperienza, è la prima pietra dell’edificio del partito. Ma già fin da subito l’esistenza e l’attività di simili CdP influenzerà direttamente e indirettamente tutto il lavoro delle FSRS e dei lavoratori avanzati e, attraverso questi, l’intero movimento delle masse popolari.

 

2. Lo studio

 

Il partito comunista non è solo un’organizzazione di lotta. Per essere una organizzazione di lotta adeguata al suo compito storico deve essere qualcosa di più. Ogni membro del partito deve condividere la concezione comunista (proletaria, materialista-dialettica, marxista) del mondo e il corrispondente metodo nell’agire e nel pensare. Quindi deve trasformare la concezione del mondo e il metodo di agire e pensare che si trova ad avere, che sono il risultato “spontaneo” della combinazione della sua esperienza diretta e delle influenze che ha subito, in particolare dell’influenza della classe dominante.

Basta la pratica della lotta di classe per trasformare la propria concezione del mondo? No, non basta. In caso contrario ogni operaio avrebbe spontaneamente una concezione comunista del mondo. Non basta neanche solo la pratica del lavoro di partito. Bisogna combinare il bilancio dell’esperienza con lo studio. Come? L’adempimento dei compiti di partito è un potente e indispensabile strumento per assimilare la concezione comunista del mondo, a condizione che non sia un adempimento cieco e burocratico (adempiere senza chiedersi il perché delle cose). La partecipazione alla lotta di classe è un potente e indispensabile strumento per assimilare la concezione comunista del mondo a condizione che non sia una partecipazione codista e movimentista (andare dietro alle cose, partecipare senza capire e guardare). Il bilancio dell’esperienza relativa all’adempimento dei compiti di partito e alla partecipazione alla lotta di classe è un potente e indispensabile strumento per assimilare la concezione comunista del mondo a condizione che non sia semplicistico e empirista (cioè del tipo “funziona, non funziona”). Per evitare questi limiti, occorre che ogni compagno dedichi una parte del suo tempo allo studio, come parte del suo lavoro di partito. Lo studio permette di assimilare in modo critico e consapevole la concezione del mondo, le analisi e la linea del partito e di contribuire alla loro elaborazione. È però essenziale che lo studio non sia libresco, cioè limitato ad assimilare quello che c’è scritto nei libri, nei giornali, nei comunicati e nelle circolari. Deve giungere a usare quello che si studia per analizzare la propria situazione particolare e dirigere il lavoro a cui si partecipa. L’esame per verificare l’assimilazione, non consiste nel vedere se un compagno sa ripetere quello che ha letto, sa raccontarlo ad altri. Consiste nel vedere se un compagno sa usare quello che ha letto nell’analizzare la sua esperienza e l’esperienza del suo CdP e nel tracciare la linea da seguire. Questa è la combinazione tra studio e bilancio dell’esperienza.

Lo studio ha inevitabilmente un aspetto individuale che è l’aspetto principale e un aspetto collettivo che è l’aspetto dirigente. L’aspetto individuale vuol dire che uno legge, riflette e prende delle note da solo o in gruppi molto piccoli, due o tre persone al massimo. È l’aspetto principale perché, salvo casi speciali e quando è necessario per insegnare a un compagno a studiare, lo studio va fatto individualmente. L’aspetto collettivo è dirigente in due sensi. In primo luogo è il collettivo che deve indicare al compagno quali testi studiare o, almeno, il collettivo deve essere al corrente di cosa ogni compagno studia e perché e approvare il suo “piano di studio”. Ogni membro deve mettere il collettivo al corrente dei suoi piani di studio e lettura e spiegarne i motivi, gli obiettivi che si propone e riportare nel collettivo i risultati che consegue nel suo studio. Il collettivo deve fare un bilancio dei risultati a cui un compagno è arrivato col suo studio e assimilare i risultati positivi. Quello che non può essere fatto collettivamente, il collettivo deve delegare a farlo un gruppo più ristretto o anche solo un compagno a cui chi ha studiato riferirà dei suoi studi e dei risultati cui è arrivato. In secondo luogo ogni compagno deve studiare per partecipare attivamente allo svolgimento dei compiti del collettivo: sia alla comprensione della situazione in cui il CdP opera e alla definizione della linea che il CdP deve seguire sia alla redazione del Manifesto Programma del partito.

La prima questione è ovvia. Se il CdP non agisce in modo movimentista e abitudinario, deve capire sempre più a fondo la situazione in cui lavora, nei suoi aspetti generali comuni ad altre zone del paese e nei suoi aspetti particolari. Deve inoltre tracciare la linea da seguire, sia nel senso di applicare la linea generale alla situazione concreta sia nel senso di definire le linee particolari specifiche per la sua zona. Ogni membro del CdP deve dare il suo contributo.

La seconda questione rientra nel contributo che ogni CdP deve dare all’elaborazione del Manifesto Programma del partito, in vista del congresso di fondazione. È necessario che ogni membro di un CdP studi e assimili la concezione comunista del mondo espressa nel Progetto di Manifesto Programma e nei documenti che via via sono stati elaborati ( La Voce , Supplementi, Comunicati, ecc.). Assimilazione non vuole dire l’apprendimento a memoria dei nostri testi. Non vuole dire neanche solamente la capacità di farne una parafrasi ed esporli ad altri. Un compagno può ritenere di aver assimilato quei documenti quando è in grado di usarli per analizzare la situazione concreta e per definire la linea da seguire nel particolare per trasformarla. Che un compagno sappia a memoria l’analisi di classe esposta nel PMP è una premessa eccellente se poi procede a classificare secondo la classe di appartenenza i compagni e le persone con cui ha a che fare e con cui deve avere a che fare, e in questo individua anche le sottoclassi, le divisioni che ci sono in ognuna delle grandi classi indicate nel PMP. Se si limita a saperla a memoria e ripeterla in ogni riunione e assemblea in cui si presenta l’occasione, il risultato che otterrà sarà molto limitato. Il carattere astratto della sua lezione sarà percepito dai suoi ascoltatori e la maggior parte non ne tirerà alcun giovamento. Se ne gioveranno solo quelli che non avevano ancora avuto l’occasione di leggere il PMP. Quanto detto per l’analisi di classe, vale per ogni aspetto del PMP e in generale della nostra teoria: dalla linea di massa alla teoria della crisi generale. Cosa direste di un esperto in geologia che sa tenere lezioni ripetendo morfologia e caratteristiche delle varie classi e famiglie di minerali, ma non vi sa far vedere i sassi che avete sotto gli occhi e insegnarvi a scorgere in essi le cose che insegna? Che un compagno sappia spiegare che in questa fase la ricostruzione del partito è il centro dello scontro tra classe operaia e borghesia imperialista che deciderà del futuro del nostro paese e del suo contributo alla storia mondiale, è una ottima cosa. Ma se non valuta sistematicamente ogni FSRS, ogni organizzazione politica e ogni personaggio politico anzitutto per il ruolo che ha o che può avere per la ricostruzione del partito e non studia ogni avvenimento e ogni iniziativa anzitutto per l’effetto che ha o può avere sulla ricostruzione del partito, la sua assimilazione del PMP è ancora a un livello basso.

Ma come fare ad assimilare in questo modo? Oggi noi non abbiamo ancora un sistema di scuole. Occorre che ogni CdP faccia esperienze-tipo. Provare e riprovare e che i compagni più avanzati insegnino ai più arretrati. Un esercizio sistematico di assimilazione creativa che deve esprimersi anche in contributi alla rivista, in critiche, suggerimenti e proposte. Al fine di dare un metodo a questo lavoro e non condurlo spontaneisticamente, un sistema è che ogni CdP si proponga di stendere un rapporto da inviare alla CP (tramite il fiduciario o via e.mail con le precauzioni già indicate) su ogni numero della rivista che esce, su ogni Comunicato, su ogni Supplemento. Che incarichi un compagno di elaborare il rapporto (e il compagno raccoglierà informalmente opinioni da più compagni e lettori possibile) e che discuta collettivamente il rapporto proposto. Per incominciare, ci si può proporre di rispondere ad alcune semplici domande come: quale è l’articolo che più è entrato nel vivo del lavoro del CdP e perché; quale è l’articolo più estraneo all’esperienza del CdP e perché; quali aspetti non sono stati trattati esaurientemente in questo o quell’articolo; vi sono temi che il CdP vorrebbe fossero trattati sulla rivista, in quale senso e perché; il CdP si propone di fornire una bozza o addirittura un articolo relativo a questo o quel tema. L’elaborazione di un rapporto di questo genere, se diventasse un lavoro abituale del CdP, costituirebbe un filo attorno al quale il CdP un po’ alla volta svilupperebbe un’attività sistematica di studio e di elaborazione teorica, farebbe fare un salto al legame tra il CdP e la CP e tramite esso ai legame dei CdP tra loro, rafforzerebbe in modo oggi inestimabile il lavoro della CP.

Per un movimentista tutto questo è una perdita di tempo. Per noi comunisti è imparare l’unico mestiere che ci può condurre alla vittoria. Correre dietro a questo o a quello senza imparare questo mestiere è quello che chiamiamo movimentismo. Ogni compagno che diventa membro di un CdP, ogni gruppo di compagni che fonda un CdP e lo costruisce passo dopo passo nel senso indicato, contribuisce invece a determinare gli avvenimenti e a costruire il mondo futuro.

 

Umberto C.