Progetto di Manifesto Programma - Capitolo I

1.4. La prima crisi generale del capitalismo, la prima ondata della rivoluzione proletaria e il leninismo

martedì 29 agosto 2006.
 

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1.4. La prima crisi generale del capitalismo, la prima ondata della rivoluzione proletaria e il leninismo

All’inizio del secolo XX il modo di produzione capitalista si scontrò per la prima volta col suo limite intrinseco, che Marx aveva indicato: la sovrapproduzione assoluta di capitale.

Crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale


Riferimenti: K. Marx, Il capitale, libro 3, cap. 15.


La crisi per sovrapproduzione di capitale è trattata in vari articoli della rivista "Rapporti Sociali":
-  n. 0 (1985), La crisi attuale: crisi per sovrapproduzione di capitale;
-  n. 1 (1987), Crack di borsa e capitale finanziario;
-  n. 5/6 (1990), Ancora sulla crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale;
-  n. 8 (1990), Marx e la crisi per sovrapproduzione di capitale;
-  n. 9/10 (1991), Sulla situazione rivoluzionaria in sviluppo;
-  n. 12/13 (1992), La seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale;
-  n. 16 (1994-1995), La situazione attuale e i nostri compiti;
-  n. 17/18 (1996), Per il dibattito sulla causa e la natura della crisi attuale.

Il capitale accumulato era ormai talmente grande che, nelle condizioni esistenti, l’impiego nella produzione di tutto il capitale accumulato avrebbe comportato la diminuzione della massa del profitto e, d’altra parte, per quanto fosse grande la massa del plusvalore estorto ai lavoratori, essa non era sufficiente a valorizzare l’intero capitale. Solo una parte del capitale accumulato poteva essere impiegato come capitale produttivo. Da qui la lotta tra i gruppi capitalisti perché ognuno vuole valorizzare il suo capitale. D’altra parte la sovrapproduzione di capitale significava sovrapproduzione di tutte le cose in cui il capitale si materializza: sovrapproduzione di mezzi di produzione, sovrabbondanza di materie prime, sovrapproduzione di beni di consumo, sovrabbondanza di forza-lavoro (disoccupazione, esuberi), sovrabbondanza di denaro. Quindi tutta la vita di tutte le classi ne viene sconvolta.

Esplose allora la prima crisi generale del capitalismo (1910-1945), che partendo dall’economia si trasformò necessariamente in crisi politica e culturale, in situazione rivoluzionaria di lunga durata, in guerre imperialiste e in rivoluzione proletaria. Essa ebbe fine solo grazie alle distruzioni delle forze produttive e agli sconvolgimenti degli ordinamenti, delle istituzioni e della cultura culminati nella Seconda guerra mondiale.

All’inizio della prima crisi generale il mondo era stato già tutto diviso tra i gruppi imperialisti e i loro Stati. La borghesia imperialista difendeva ferocemente, in ogni paese e a livello internazionale, gli ordinamenti esistenti (il sistema coloniale, il sistema monetario mondiale, gli ordinamenti giuridici e legislativi, ecc.) come forme del proprio potere. Ma d’altra parte il capitale in generale aveva oramai occupato tutti gli spazi di espansione che gli erano possibili nell’ambito di quegli ordinamenti e non poteva più espandersi senza sovvertirli. Ogni singolo gruppo imperialista quindi poteva allargare i suoi affari e aumentare i suoi profitti solo occupando lo spazio di un altro gruppo imperialista. Le difficoltà incontrate dall’accumulazione del capitale sconvolgevano l’intero processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza dell’intera società, tutta la struttura economica della società e la sua sovrastruttura politica e culturale. I rapporti tra borghesia imperialista e masse popolari dispiegarono tutto il loro antagonismo. La classe dominante non poteva più regolare i rapporti tra i gruppi che la componevano né tenere a bada le masse con i vecchi sistemi, né le masse potevano accettare la disgregazione e le sofferenze cui la crisi generale le portava.

Iniziò allora una situazione rivoluzionaria di lungo periodo:

La teoria della situazione rivoluzionaria di lungo periodo è uno degli apporti del maoismo al pensiero comunista.


Riferimento: Sulla situazione rivoluzionaria in sviluppo; in Rapporti Sociali n. 9/10 (1991).

il mondo doveva cambiare, interessi acquisiti e consolidati dovevano essere eliminati, la rete di relazioni commerciali e finanziarie doveva essere dissolta, un nuovo ordine doveva essere instaurato. Nessun individuo, gruppo, partito, singola classe era in grado di far uscire la società dalla crisi in cui lo sviluppo oggettivo del capitalismo l’aveva condotta: solo una mobilitazione generale delle ampie masse poteva eliminare rapporti, abitudini e prassi consolidate e stabilirne di nuovi. Costrette dalla situazione oggettiva le grandi masse si sarebbero mobilitate per instaurare una nuova società. La mobilitazione delle masse era un evento oggettivo, come in montagna il deflusso delle acque verso valle durante un temporale; era un evento le cui cause motrici non risiedevano nell’iniziativa e nella coscienza degli individui e dei partiti.

In gioco e oggetto della lotta politica tra classi, partiti e individui era se la mobilitazione delle masse sarebbe stata diretta da qualche gruppo della borghesia imperialista e volta all’instaurazione di un nuovo ordine mondiale ancora capitalista tramite la distruzione di una parte del capitale accumulato e delle forze produttive che lo impersonavano (mobilitazione reazionaria delle masse) o se la mobilitazione delle masse sarebbe stata diretta dalla classe operaia tramite il suo partito comunista e volta all’instaurazione della società socialista che toglieva da subito almeno alla parte più importante delle forze produttive esistenti il carattere di capitale (mobilitazione rivoluzionaria delle masse).

Il movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese e i compiti delle Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista, in "Rapporti Sociali" n. 12/13 (1992).

La mobilitazione delle masse non è generata dal gruppo, partito o classe che la dirige, ma non c’è mobilitazione delle masse che non abbia una direzione: già fin dall’inizio al suo interno vi è lotta per la direzione tra le due classi, le due vie e le due linee e la mobilitazione delle masse realizza il suo obiettivo solo sotto la direzione di una delle due classi antagoniste.

Nel movimento comunista la comprensione più alta della trasformazione che l’umanità stava compiendo e delle forze che in essa si scontravano fu espressa da Lenin (1870-1924). Il leninismo divenne la seconda superiore tappa del pensiero comunista, il marxismo dell’epoca in cui la borghesia si avvia al tramonto e si sviluppano le prime rivoluzioni proletarie vittoriose.

Dapprima prevalse la mobilitazione reazionaria: la borghesia imperialista aveva dovunque già in mano il potere e l’azione dei revisionisti all’interno della II internazionale aveva con successo ostacolato la sinistra nell’accumulazione delle forze rivoluzionarie da parte della classe operaia. La borghesia precipitò tutti i popoli in un periodo di sconvolgimenti, di distruzioni, di sofferenze e di massacri di dimensioni fino allora inaudite che durarono più di trent’anni. L’Europa e l’Asia furono messe a ferro e a fuoco, le due Americhe, l’Africa e l’Oceania furono spremute perché contribuissero alla guerra. In ogni paese emersero gruppi borghesi che in nome della salvezza degli interessi generali della propria classe, ne presero la direzione sottomettendo ai propri interessi quelli degli altri gruppi e si misero alla testa della mobilitazione reazionaria delle masse.

La mobilitazione reazionaria delle masse assunse, e non poteva che assumere la forma della guerra tra Stati e della guerra civile: la borghesia imperialista non aveva altro modo per "decidere" quali interessi particolari dovevano essere sacrificati alla salvezza della classe e quali dovevano imporsi come nuovi interessi generali di tutta la classe, né per reprimere la rivoluzione. In ogni paese imperialista per contrastare l’instabilità del regime politico che derivava dalla crisi, lo Stato della borghesia imperialista doveva impiegare i suoi mezzi per aprire nel mondo nuovi spazi all’espansione degli affari dei gruppi capitalisti del paese. I contrasti economici tra gruppi imperialisti e tra borghesia e masse popolari erano diventati antagonisti e si trasformavano in contrasti tra Stati imperialisti e in contrasti politici all’interno di ogni paese. Il corso della società capitalista aveva posto all’ordine del giorno l’alternativa guerra o rivoluzione. La borghesia imperialista mobilitò quindi grandi masse, su scala mai vista prima, contro altre masse, straniere o dello stesso paese e la guerra assunse il carattere di guerra di sterminio di massa.

I primi anni della crisi generale furono dedicati alla preparazione politica, militare, economica e psicologica della guerra. Poi la borghesia lanciò le masse nella Prima guerra mondiale. Ma già nel corso della Prima guerra mondiale la classe operaia riuscì in una serie di paesi a trasformare la mobilitazione reazionaria in mobilitazione rivoluzionaria: masse che la borghesia imperialista aveva mobilitato e gettato fuori dal corso tradizionale della loro vita perché dessero il loro sangue e le loro forze per far prevalere i suoi interessi, si voltarono contro chi le dirigeva e cambiarono di campo.

Solo tra tutti i partiti della II Internazionale, il Partito Operaio Socialdemocratico della Russia, guidato da Lenin, risultò preparato ad affrontare la situazione e riuscì a trasformare la guerra imperialista in rivoluzione vittoriosa, nel primo "assalto al cielo" della classe operaia e delle masse sfruttate. Nel 1917 la classe operaia diede il via alla conquista del potere politico in Russia che concluse nel 1921 con la vittoria sulle armate bianche e contro la prima aggressione imperialista e con la fondazione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) nel 1924. Anche se le altre rivoluzioni proletarie scoppiate in Europa (Germania, Austria, Ungheria, Finlandia, Paesi Baltici, ecc.) vennero sconfitte e in altri paesi (Italia, Romania, Polonia, Francia, ecc.) il fermento rivoluzionario non riuscì neanche a trasformarsi in inizio della conquista del potere, dalla vittoria della Rivoluzione d’Ottobre ebbe inizio la prima ondata della rivoluzione proletaria che ha sconvolto il mondo e ha aperto una nuova epoca per tutta l’umanità.

Da allora la mobilitazione reazionaria ebbe costantemente due direttrici guida: la guerra tra gruppi imperialisti e la repressione della rivoluzione ed essa fu indebolita ogni volta che le due direttrici entravano in conflitto e i gruppi imperialisti si dilaniavano sulla priorità tra esse.

La mobilitazione reazionaria delle masse si concretizzò nella creazione di regimi terroristici di massa come il fascismo, il nazismo e il franchismo, nell’invasione giapponese della Cina e di altri paesi asiatici (1936-1945), nello scatenamento della Seconda guerra mondiale (1939-1945).

La mobilitazione rivoluzionaria trasse nuova forza dalla vittoria conseguita in Russia. La classe operaia, tramite i suoi partiti comunisti creati nell’ambito della Internazionale Comunista (1919-1943), in vari paesi coloniali e semicoloniali prese la direzione delle lotte antimperialiste di liberazione nazionale che culminarono nella fondazione della Repubblica popolare coreana e nella conquista del potere in Cina (1949) con la fondazione della Repubblica popolare cinese (RPC); condusse con forza in molti paesi la lotta contro il fascismo, il nazismo e il franchismo; difese con successo i propri ordinamenti politici instaurati in Unione Sovietica dai ripetuti assalti delle potenze imperialiste coalizzate (1918-1921 e 1941-1945) e dai sabotaggi, dai blocchi economici, dall’aggressione furibonda della borghesia imperialista che non arretrò di fronte ad alcun delitto; riuscì a scoraggiare i progetti aggressivi dei gruppi imperialisti anglo-americani che meditavano una seconda aggressione e a impedire la loro confluenza con i gruppi imperialisti tedeschi; con la grande vittoria contro l’aggressione dei nazisti e dei loro alleati (1945) riuscì a creare nuovi paesi socialisti in Europa orientale e centrale: le democrazie popolari di Polonia, Germania, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Albania e Jugoslavia; avviò la transizione al comunismo di più di un terzo della popolazione mondiale; sviluppò le forze rivoluzionarie in tutto il mondo; acquisì una grande esperienza nel campo del tutto inesplorato della transizione dal capitalismo al comunismo, sintetizzata nelle opere di Lenin, di Stalin (1879-1953) e di Mao Tse-tung (1893-1976).

Durante la prima crisi generale del capitalismo la classe operaia non fu tuttavia ancora abbastanza cosciente ed organizzata da vincere la borghesia anche nei paesi dove questa era più forte, nei paesi imperialisti. In questi paesi la classe operaia non aveva ancora espresso una sua direzione né abbastanza consapevole dei compiti strategici né, di conseguenza, abbastanza capace di individuare e realizzare sistematicamente i compiti tattici relativi all’accumulazione delle forze della rivoluzione e alla conquista del potere.

I partiti socialisti esistenti in questi paesi all’inizio della crisi generale avevano accettato prese di posizione contro la guerra che la borghesia stava preparando (come il Manifesto del congresso internazionale di Basilea - 1912), ma le dichiarazioni rivoluzionarie mascheravano una linea politica, una tattica e un’organizzazione riformiste, tutte interne al movimento politico borghese, impregnate di illusioni nel carattere ancora democratico della borghesia. Questi partiti erano quindi del tutto impreparati ad assumere la direzione della mobilitazione delle masse e nel 1914 furono sommersi dall’opportunismo e dal socialsciovinismo.

I partiti comunisti costituiti nei paesi imperialisti nell’ambito dell’Internazionale Comunista costituirono dovunque un salto in avanti rispetto ai partiti socialisti, ma non riuscirono a mettersi all’altezza della situazione. Rimasero forti le correnti di destra, impregnate di illusione nel carattere ancora democratico della borghesia e di sfiducia nella capacità rivoluzionaria della classe operaia e delle masse popolari. La sinistra non comprese la natura della crisi generale in corso, né le caratteristiche della situazione rivoluzionaria di lungo periodo e non riuscì di conseguenza a sviluppare una linea giusta per l’accumulazione delle forze rivoluzionarie. Il fascismo, il nazismo, le guerre e in generale la mobilitazione reazionaria delle masse furono da essa in generale considerati come eccezioni ed emergenze, mentre in realtà la rivoluzione procede suscitando contro di sé una controrivoluzione potente, solo vincendo la quale le forze rivoluzionarie diventano capaci di fondare la nuova società.

"Il progresso rivoluzionario non si fece strada con le sue tragicomiche conquiste immediate, ma, al contrario, facendo sorgere una controrivoluzione serrata, potente, facendo sorgere un avversario, soltanto combattendo il quale il partito dell’insurrezione raggiunse la maturità di un vero partito rivoluzionario".


K. Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, (1850), in Opere complete, vol. 10.

Invano Stalin enunciò in quegli anni la legge che la lotta di classe diventa più acuta man mano che la classe operaia avanza verso la vittoria.

Di conseguenza la destra ebbe buon gioco a imporre una linea riformista, in cui il partito comunista fungeva da ala sinistra di uno schieramento politico diretto da gruppi borghesi e la classe operaia rinunciava a cercare di prendere il potere per sé. I partiti comunisti dei paesi imperialisti diedero in generale questa interpretazione di destra alla linea del Fronte popolare antifascista, lanciata dall’Internazionale Comunista nel suo settimo congresso (luglio-agosto 1935). In alcuni di questi paesi le masse popolari, guidate dai rispettivi partiti comunisti, condussero grandi lotte e dispiegarono un grande eroismo nella lotta contro il fascismo, il nazismo e il franchismo e la reazione in generale, lotte che hanno accumulato un grande patrimonio di esperienze e che tuttora costituiscono il punto più alto finora raggiunto dalla classe operaia di quei paesi nella sua lotta per il potere. La borghesia riuscì a impedire che la prima ondata della rivoluzione proletaria avesse successo anche nei maggiori paesi imperialisti, ma dovette pagare un caro prezzo nelle riforme che le masse popolari riuscirono a strappare.

Nei paesi coloniali e neocoloniali la linea della rivoluzione di nuova democrazia,

Rivoluzione di nuova democrazia


Dopo che il capitalismo è entrato nella sua fase imperialista, la borghesia è diventata incapace di dirigere la rivoluzione democratico-borghese che si svolgeva o doveva ancora svolgersi nei paesi ancora feudali o semifeudali. Questa rivoluzione dovette essere diretta dalla classe operaia tramite il suo partito comunista. Essa è quindi chiamata rivoluzione di nuova democrazia per distinguerla dalla vecchia rivoluzione democratico-borghese diretta dalla borghesia. La teoria della rivoluzione di nuova democrazia è uno degli apporti del maoismo al pensiero comunista.


Riferimento: Mao Tse-tung, Sulla nuova democrazia, in Opere di Mao Tse-tung, vol. 7.

con cui la classe operaia tramite il suo partito comunista assumeva la direzione della rivoluzione democratico-borghese, fu adottata e applicata solo da alcuni dei partiti comunisti, in particolare dal Partito comunista cinese e dal Partito del lavoro coreano, con grandi successi. In altri paesi coloniali e semicoloniali prevalse la linea di lasciare la direzione della rivoluzione democratico-borghese in mano alla borghesia nazionale che la condusse al fallimento. Benché fallite, le rivoluzioni democratico-borghesi portarono tuttavia alla scomparsa del vecchio sistema coloniale e alla trasformazione delle colonie in semicolonie o in paesi relativamente indipendenti.