Lenin

Due linee - 14 febbraio 1905 (Opere complete, vol. VIII)

lunedì 3 settembre 2007.
 

Fin dall’inizio del movimento operaio di massa in Russia, cioè all’incirca già da dieci anni, si sono manifestati fra i socialdemocratici profondi dissensi sulla questione della linea. Come è noto, sono stati appunto dissensi di questo genere che hanno dato vita, nella seconda metà degli anni novanta, alla corrente dell’economicismo, che ha condotto alla scissione tra l’ala opportunistica (del Raboceie Dielo ) e l’ala rivoluzionaria (della vecchia Iskra ) del partito. Ma l’opportunismo socialdemocratico russo si distingueva da quello dell’Europa occidentale per alcune sue caratteristiche peculiari. Esso rifletteva con straordinario rilievo le posizioni, o meglio la mancanza di qualsiasi posizione autonoma, dell’ala intellettuale del partito. Questa si entusiasmava sia delle parole di moda della tendenza di Bernstein sia dei risultati immediati e delle forme del movimento operaio puro [rivendicativo, non politico, ndr]. Questo entusiasmo ebbe come risultati il diffuso tradimento dei marxisti legali, che passarono al liberalismo, e l’elaborazione, ad opera di socialdemocratici, della famosa teoria della “tattica-processo”, che valse ai nostri opportunisti il nomignolo di codisti. Costoro si trascinavano impotenti alla coda degli avvenimenti, oscillavano da un estremo all’altro, smorzavano in tutti i casi lo slancio del proletariato rivoluzionario e la fiducia nelle sue forze, mentre, soprattutto e più spesso, dissimulavano tutto ciò richiamandosi all’iniziativa autonoma del proletariato. È strano, ma è un fatto. Nessuno come i fautori del Raboceie Dielo ha parlato tanto di iniziativa autonoma degli operai e nessuno l’ha tanto circoscritta, ridotta, menomata con la sua propaganda. “Parlate un po’ meno di “elevare l’attività delle masse operaie””, dicevano gli operai coscienti, d’avanguardia, ai loro zelanti, ma poco intelligenti, consiglieri. “Attività ne diamo molto più di quanto non pensiate e sappiamo difendere con la lotta aperta nelle piazze anche le rivendicazioni che non offrono alcun “risultato tangibile”! E non sta a voi “elevare” la nostra attività, perché voi stessi non siete abbastanza attivi. Non prosternatevi tanto dinanzi alla spontaneità e pensate un po’ di più, signori, ad elevare la vostra attività di partito!” Ecco come si dovette definire l’atteggiamento degli operai rivoluzionari verso gli intellettuali opportunisti ( Che fare ?, p. 55) .

I due passi indietro compiuti dalla nuova Iskra in direzione del Raboceie Dielo hanno fatto risorgere questo atteggiamento. Dalle pagine dell’ Iskra si è riversata daccapo la predicazione del codismo, dissimulato dagli stessi nauseanti giuramenti: nel tuo nome, signore, credo nell’iniziativa autonoma del proletariato e la professo. In nome dell’iniziativa autonoma del proletariato Axelrod e Martynov, Martov e Liber (del Bund) hanno difeso al congresso [del partito, ndt] il diritto dei professori e dei liceali di considerarsi membri del partito, senza far parte di nessuna sua organizzazione. In nome dell’iniziativa autonoma del proletariato si è elaborata la teoria dell’“organizzazione-processo”, che giustifica la disorganizzazione e glorifica l’anarchia intellettuale. In nome dell’iniziativa autonoma del proletariato si è inventata la non meno famosa teoria del “tipo superiore di dimostrazione”, sotto forma di un accordo, fra una deputazione operaia, passata al setaccio di elezioni a tre gradi, e i membri degli zemstvo su una manifestazione pacifica che non incutesse timor panico [alle Autorità e ai signori, ndr]. In nome dell’iniziativa autonoma del proletariato si è deformata e semplificata, si è svilita e confusa l’idea dell’insurrezione armata.

Vorremmo richiamare l’attenzione del lettore su quest’ultima questione, data la sua enorme importanza pratica. Lo sviluppo del movimento operaio s’è preso crudelmente giuoco dei sapientoni della nuova Iskra. Non avevano ancora fatto in tempo a diffondere in Russia la prima lettera, nella quale, in nome del “processo di sistematico sviluppo della coscienza di classe e dell’iniziativa autonoma del proletariato”, si raccomandava, come tipo superiore di dimostrazione, la “consegna a domicilio di una dichiarazione degli operai e il lancio di un considerevole numero di copie nella sala delle riunioni dello zemstvo ”; non avevano ancora fatto in tempo a inviare in Russia la seconda lettera, nella quale si faceva la scoperta addirittura sbalorditiva che nell’attuale “momento storico la scena politica è completamente occupata [!] dalla contesa fra la borghesia organizzata e la burocrazia” e che “il significato obiettivo di qualsiasi [udite, udite!] movimento rivoluzionario negli strati inferiori si riduce semplicemente [!] ad appoggiare le parole d’ordine di quella fra le due [!!] forze che è interessata alla demolizione del regime esistente” (gli intellettuali democratici si sono proclamati una “forza”!); gli operai coscienti non avevano ancora fatto in tempo a leggere queste magnifiche lettere e a riderne di cuore, che le vicende della lotta effettiva del proletariato spazzarono di colpo tutto questo ciarpame politico dei pubblicisti neoiskristi nel fosso delle immondizie. Il proletariato ha fatto vedere che c’è una terza (in sostanza, certo, non la terza, ma la seconda nell’ordine e la prima per capacità combattiva) forza, la quale non solo è interessata a demolire, ma è pronta ad accingersi a demolire effettivamente l’autocrazia. Con il 9 gennaio, il movimento operaio si trasforma dinanzi ai nostri occhi in insurrezione popolare.

Esaminiamo dunque in che modo i socialdemocratici, che ne avevano discusso in anticipo come di una questione di linea, hanno valutato questo passaggio all’insurrezione, e in che modo gli stessi operai si sono accinti a risolvere in pratica questa questione.

Ecco che cosa si diceva or sono tre anni dell’insurrezione, come parola d’ordine che precisava i nostri immediati compiti pratici: “Si pensi a un’insurrezione popolare. Tutti riconosceranno, certo, che oggi dobbiamo pensarci e prepararci. Ma come ? Come potrebbe il Comitato centrale inviare fiduciari in tutte le località per preparare l’insurrezione? E, anche se avessimo un Comitato centrale che prendesse tale misura, non riusciremmo a niente nelle condizioni attuali della Russia. Invece, una rete di fiduciari che si fosse formata da sé, lavorando alla creazione e alla diffusione di un giornale comune, non si accenterebbe di “attendere con le mani in mano” la parola d’ordine dell’insurrezione, ma svolgerebbe un’attività regolare che le garantirebbe le maggiori probabilità di successo in caso di insurrezione. E proprio tale attività rafforzerebbe i legami con le grandi masse operaie e con tutti gli strati della popolazione malcontenti dell’autocrazia. Il ché è della massima importanza per l’insurrezione. E proprio nel corso di una tale attività si svilupperebbe l’attitudine a valutare esattamente la situazione politica generale e quindi a scegliere il momento favorevole per l’insurrezione. Proprio nel corso di una tale attività tutte le organizzazioni locali imparerebbero a reagire simultaneamente ai problemi, agli incidenti o agli avvenimenti che commuovono tutta la Russia, a rispondere agli “avvenimenti” nel modo più energico, più uniforme c più razionale possibile, perché, in conclusione, l’insurrezione è la “risposta” più energica, più uniforme e più razionale di tutto il popolo al governo. Proprio nel corso di una tale attività le organizzazioni rivoluzionarie di tutti gli angoli della Russia imparerebbero, infine, a mantenere fra loro rapporti più regolari e, in pari tempo, più clandestini, rapporti che creano, di fatto, lunità del partito e senza i quali è impossibile sia discutere collettivamente un piano per l’insurrezione che prendere, alla vigilia di quest’ultima, le necessarie misure preliminari, sulle quali deve essere mantenuto il massimo segreto.

In una parola, il “piano di un giornale politico per tutta la Russia” non è l’opera teorica di persone affette da dottrinarismo e da mania letteraria (come hanno potuto credere coloro che non vi hanno abbastanza riflettuto); è, al contrario, il mezzo più pratico per ottenere che da ogni parte ci si metta senza indugio al lavoro e ci si `prepari all’insurrezione, senza dimenticare neppure per un istante il lavoro quotidiano ” ( Che fare? ).

Le ultime parole, da noi messe in corsivo, danno una chiara risposta all’interrogativo sul modo come i socialdemocratici rivoluzionari hanno concepito la preparazione dell’insurrezione. Ma, per quanto chiara sia questa risposta, la vecchia tattica codista non poteva non rivelarsi anche su questo punto. Martynov ha pubblicato recentemente l’opuscolo Due dittature, che la nuova Iskra (n. 84) raccomanda in particolar modo. L’autore, dal più profondo del suo cuore di seguace del Raboceie Dielo, è indignato per il fatto che Lenin abbia potuto parlare della “preparazione, della data e del compimento dell’insurrezione armata di tutto il popolo”. Il terribile Martynov atterra il nemico: “La socialdemocrazia internazionale, sulla base dell’esperienza storica e dell’analisi scientifica della dinamica delle forze sociali, ha sempre riconosciuto che solo le rivolte di palazzo e i pronunciamenti possono essere fissati in precedenza e compiuti con successo secondo un piano prestabilito, e proprio perché non sono rivoluzioni popolari, cioè rivoluzioni dei rapporti sociali, ma solo rimaneggiamenti della cricca dirigente. La socialdemocrazia ha riconosciuto sempre e dappertutto che una rivoluzione popolare non può essere fissata in precedenza, che essa non si prepara artificialmente, ma si compie da sé”.

Può darsi che il lettore, dopo aver letto questa tirata, dica che Martynov “non è” un avversario serio e che è anzi ridicolo prenderlo sul serio. Saremmo pienamente d’accordo con il lettore. Gli diremmo perfino che non c’è al mondo tormento più amaro che prendere sul serio tutte le teorie e tutte le disquisizioni dei nostri neoiskristi. Ma il guaio è che queste sciocchezze compaiono anche negli articoli di fondo dell’ Iskra (n. 62). E un altro grosso guaio è che vi sono nel partito, e non sono pochi, quelli che si infarciscono la testa di simili sciocchezze. Siamo quindi costretti a parlare di cose non serie, come siamo costretti a parlare della “teoria” di Rosa Luxemburg, che ha scoperto l’“organizzazione-processo”. Siamo costretti a spiegare a Martynov che non si deve confondere l’insurrezione con la rivoluzione popolare. Siamo costretti a spiegare che i suoi meditati richiami alla rivoluzione dei rapporti sociali, quando si tratta di risolvere il problema pratico dei metodi per abbattere l’autocrazia russa, sono degni soltanto di Kifa Mokievic [personaggio delle Anime morte di Gogol, che rappresenta il tipo dell’uomo immerso in questioni oziose e assurde, ndr]. Questa rivoluzione si è già iniziata in Russia fin dalla caduta della servitù della gleba, ed è appunto l’arretratezza della nostra sovrastruttura politica, rispetto alla rivoluzione prodottasi nei rapporti sociali, che rende inevitabile il crollo della sovrastruttura; inoltre è pienamente possibile che questo crollo avvenga d’un tratto, per un sol colpo, poiché la “rivoluzione popolare” in Russia ha già inferto allo zarismo cento colpi, e non si può sapere se sarà il centunesimo o il centodecimo il colpo fatale. Solo degli intellettuali opportunisti, che addossano il loro filisteismo ai proletari, possono in un momento simile, mentre si discute cioè dei metodi pratici per vibrare uno dei colpi del secondo centinaio, far mostra delle loro cognizioni da studenti liceali sulla “rivoluzione dei rapporti sociali”. Solo gli opportunisti della nuova Iskra possono lanciare grida isteriche sul terribile piano “giacobino”, nel quale, come abbiamo visto, il centro di gravità è posto su un’agitazione di massa rivolta in tutte le direzioni mediante un giornale politico!

È vero che non si può fissare la data di una rivoluzione popolare. Non si può fare a meno di lodare Martynov e l’autore dell’editoriale del n. 62 dell’ Iskra (“Ma di quale preparazione dell’insurrezione in genere si può parlare nel nostro partito?”, domandava, urlando contro gli “utopisti”, i1 fedele commilitone o discepolo di Martynov) per aver reso nota questa verità. Ma è del tutto possibile fissare la data dell’insurrezione, quando l’insurrezione popolare sia stata effettivamente preparata e sia realizzabile per i rivolgimenti già compiutisi nei rapporti sociali. Cercheremo di spiegarlo ai neoiskristi con un semplice esempio. È possibile fissare il momento del movimento operaio? No, non è possibile, perché esso è composto di mille atti singoli, generati dalla rivoluzione nei rapporti sociali. È possibile fissare il momento di uno sciopero? È possibile, sebbene - immaginate un po’, compagno Martynov -, sebbene ogni sciopero sia il risultato di una rivoluzione nei rapporti sociali. Quando si può quindi fissare il momento di uno sciopero? Quando l’organizzazione o il gruppo che ne fissa la data godono di un’influenza fra la massa di quei determinati operai e sanno rettamente valutare l’istante in cui il malcontento e l’irritazione degli operai hanno raggiunto il culmine. Avete capito adesso di che si tratta, compagno Martynov e compagno “editorialista” del numero 62 dell’ Iskra ? Se avete capito, datevi la pena di confrontare l’insurrezione con la rivoluzione popolare. “Una rivoluzione popolare non può essere fissata in precedenza”. La data dell’insurrezione può essere fissata quando coloro che la fissano godono di un’influenza fra le masse e sanno rettamente valutare il momento.

Per fortuna, l’iniziativa degli operai d’avanguardia è andata molto più lontana della filosofia codista della nuova Iskra. Infatti, mentre questa partorisce a fatica teorie, le quali dimostrano che il momento dell’insurrezione non può essere fissato da chi la prepara, organizzando il reparto d’avanguardia della classe rivoluzionaria, gli avvenimenti dimostrano che chi non si è preparato può fissare ed è costretto a fissare il momento dell’insurrezione.

Ecco un proclama inviatoci da un compagno di Pietroburgo. Gli operai stessi, dopo essersi impadroniti il 10 gennaio a Pietroburgo di una tipografia legale, lo hanno composto, stampato e diffuso in più copie.

“Proletari di tutti i paesi, unitevi!

Cittadini! Ieri abbiamo visto la ferocia del governo autocratico! Abbiamo visto il sangue inondare le strade! Abbiamo visto uccidere centinaia di combattenti per la causa operaia, abbiamo visto la morte, abbiamo udito i gemiti delle donne ferite e dei bambini indifesi! Sangue e pezzi di cervello di operai macchiavano quella stessa strada che gli operai avevano costruito con le loro mani. Chi ha rivolto l’esercito, i fucili e le pallottole contro il petto degli operai? Lo zar, i granduchi, i ministri, i generali e la canaglia di corte.

Essi sono degli assassini! A morte! Alle armi, compagni, impadronitevi degli arsenali, dei depositi e dei magazzini di armi. Demolite le prigioni, compagni, liberate i combattenti per la libertà. Devastate gli uffici della gendarmeria e della polizia e tutti gli uffici statali. Rovesciamo il governo zarista e instauriamo il nostro governo. Evviva la rivoluzione, evviva l’Assemblea costituente dei rappresentanti del popolo! Il partito operaio socialdemocratico di Russia.

L’appello all’insurrezione dovuto all’iniziativa di questo pugno di operai d’avanguardia non ha avuto successo. Non ci stupiremo, né ci perderemo d’animo, se alcuni appelli all’insurrezione falliranno, o se qualche volta il momento dell’insurrezione sarà stato “fissato” senza successo. Lasceremo che la nuova Iskra disserti, a questo riguardo, sulla necessità della “rivoluzione nei rapporti sociali” e giudichi con magniloquenza l’“utopismo” degli operai che hanno gridato: “Instauriamo il nostro governo!”. Solo degli incorreggibili pedanti e dei confusionari possono vedere in questo grido in centro di gravità dell’appello. Per noi è importante rilevare e sottolineare il modo stupendo e intrepido con cui si è praticamente affrontata la soluzione del problema che ci sta ora immediatamente dinanzi.

L’appello degli operai di Pietroburgo non è stato raccolto, né poteva esserlo, così presto come essi avrebbero voluto. Questo appello sarà ripetuto più di una volta, e il tentativo di insorgere potrà ancora, e più di una volta, non riuscire. Ma il semplice fatto che gli stessi operai pongano questo compito ha un’importanza straordinaria. La conquista che il movimento operaio ha compiuto, prendendo coscienza dell’urgenza pratica di questo compito e mettendolo, allo scoppio di qualsiasi agitazione popolare, al primissimo posto, questa conquista non può con nessun mezzo essere più strappata al proletariato.

Già tre anni or sono i socialdemocratici avevano lanciato, in base a considerazioni generali, la parola d’ordine della preparazione dell’insurrezione. Il proletariato, di sua iniziativa, ha elaborato la stessa parola d’ordine, sotto l’influenza delle lezioni dirette della guerra civile. Ma c’è iniziativa e iniziativa. C’è l’azione del proletariato rivoluzionario e c’è l’azione del proletariato arretrato e condotto per mano; c’è l’azione coscientemente socialdemocratica e c’è l’azione di Zubatov [personaggio dei servizi segreti zaristi che faceva in Russia quello che nello stesso periodo la Chiesa Cattolica faceva in Europa Occidentale, soprattutto in Germania e in Francia: approfittavano della vecchia autorità e dei mezzi del regime per organizzare gli operai e sottrarli all’influenza dei socialisti, ndr]. Vi sono socialdemocratici i quali, perfino nel momento attuale, contemplano con venerazione proprio questa seconda specie di iniziativa, i quali pensano che ci si può sottrarre a una risposta diretta alle questioni del giorno, ripetendo un numero infinito di volte la parola “ classista ”. Prendete il n. 84 dell’ Iskra : “Perché - ci grida in faccia con aria di trionfo il suo ‘editorialista’ - la spinta al movimento di questa valanga [9 gennaio] non è stata data da una ristretta organizzazione di rivoluzionari professionali, ma dall’Assemblea degli operai? Perché questa Assemblea era effettivamente [udite!] una vasta organizzazione fondata sull’iniziativa autonoma delle masse operaie ”. Se l’autore di questa frase classica non fosse un adoratore di Martynov, capirebbe forse che l’Assemblea ha reso un servigio al movimento del proletariato rivoluzionario solo nel momento e nella misura in cui dall’iniziativa di tipo zubatovista è passata a un’iniziativa socialdemocratica (dopo di che ha cessato immediatamente di esistere come assemblea legale).

Se i neoiskristi o i nuovi seguaci del Raboceie Dielo non fossero dei codisti, vedrebbero che proprio il gennaio ha dimostrato che aveva ragione chi aveva predetto: “La legalizzazione del movimento operaio avvantaggerà in fin dei conti noi e non gli Zubatov” ( Che fare? ). Proprio il 9 gennaio ha mostrato ancora una volta tutta l’importanza del compito ivi formulato: “Preparate i mietitori che sappiano oggi strappare il loglio” (cioè paralizzare l’attuale corruzione del movimento fatta da Zubatov) “ e domani raccogliere il grano ” (dirigere cioè in maniera rivoluzionaria il movimento che mediante la legalizzazione ha fatto un passo avanti). E gli Ivan della nuova Iskra si appellano all’abbondante raccolto di grano per menomare l’importanza di una salda organizzazione dei mietitori rivoluzionari!

Sarebbe criminoso - prosegue lo stesso editorialista neoiskrista - “attaccare la retroguardia della rivoluzione”. Cosa significhi esattamente questa proposizione lo sa solo Allah. In quali rapporti essa stia con la generale fisionomia opportunistica dell’Iskra lo diremo, certamente, un’altra volta. Per il momento basta mostrare che l’effettivo significato politico della frase è uno solo: l’autore striscia dinanzi alla retroguardia della rivoluzione e arriccia il naso con disprezzo parlando dell’avanguardia “ristretta” e “giacobina” della rivoluzione.

Quanto più la nuova Iskra si dà da fare nello spirito di Martynov, tanto più la linea del codismo e la linea della socialdemocrazia rivoluzionaria si rivelano diametralmente opposte. Abbiamo già dimostrato, nel n. 1 del Vperiod, che l’insurrezione deve inserirsi sui movimenti spontanei. E quindi non dimentichiamo affatto l’importanza, per servirci di un paragone militare, di “assicurarsi d’avere la retroguardia”. Abbiamo parlato nel n. 4 della giusta tattica dei membri del comitato rivoluzionario di Pietroburgo, i quali hanno fatto fin dall’inizio ogni sforzo per sostenere e sviluppare gli elementi rivoluzionari del movimento spontaneo pur avendo un atteggiamento riservato e diffidente verso il retroterra oscuro, zubatovista, di questo movimento spontaneo. Finiremo ora con un consiglio, che dovremo dare ancora molte volte ai neoiskristi: non menomate i compiti dell’avanguardia della rivoluzione, non dimenticate che dobbiamo sostenere quest’avanguardia con la nostra iniziativa organizzata. Pronunciate meno frasi fatte sullo sviluppo dell’iniziativa autonoma degli operai - gli operai danno prova di tanta iniziativa rivoluzionaria, di cui voi non vi accorgete! -, badate piuttosto a non corrompere gli operai arretrati col vostro stesso codismo.

 

Vperiod n. 6

14 (1) febbraio 1905