La Voce 13

Conquistare l’appoggio degli operai avanzati alla clandestinità del partito comunista

(prima puntata)
mercoledì 3 gennaio 2007.
 

(Consultate la seconda puntata)


 

La settima discriminante (il nuovo partito comunista italiano deve essere costruito dalla clandestinità) oggi costituisce ancora una questione che molti dei compagni che si dichiarano favorevoli alla ricostruzione del partito comunista (e probabilmente la maggior parte lo sono anche sinceramente) evitano di affrontare, non solo nella stampa pubblica, ma anche nei loro dibattiti riservati. Noi che decisamente condividiamo la settima discriminante e la pratichiamo, constatiamo giorno dopo giorno che anche i compagni che hanno preso posizione a favore della settima discriminante (e nella maggior parte dei casi si tratta di una convinzione sincera), incontrano molte difficoltà a passare nella pratica al lavoro clandestino. Non si tratta principalmente delle difficoltà diciamo così tecniche che il lavoro clandestino comporta. In un certo senso queste difficoltà, una volta costituito un primo nucleo nella clandestinità (e questa è l’importante conquista realizzata nel ’99 e nei mesi successivi), per quelli che vengono a ingrossarlo sono relative. Si tratta delle difficoltà morali e psicologiche che incontrano i singoli compagni a portare nella pratica una decisione che pure ritengono giusta.

Queste due considerazioni ci convincono che oggi il reclutamento per il lavoro clandestino non va condotto principalmente come una lotta contro l’opportunismo dei singoli compagni che vogliamo reclutare, perché facciano una scelta coerente con le loro convinzioni rivoluzionarie. In altre parole oggi sarebbe sbagliato porre nel novero degli opportunisti tutti i compagni che si dichiarano favorevoli alla settima discriminante, ma non se la sentono di passare a lavorare nella clandestinità e quindi scartarli dal nostro lavoro come compagni inaffidabili. Si tratta piuttosto di creare nelle FSRS e tra i lavoratori avanzati (e in primo luogo tra gli operai avanzati) una opinione pubblica e una disposizione d’animo favorevoli a che il nuovo partito comunista venga costruito dalla clandestinità. Solo quando questo sarà in una certa misura ottenuto, allora per i singoli individui il passaggio o meno alla clandestinità sarà una scelta personale tra opportunismo e coerenza rivoluzionaria. Oggi per il singolo il passaggio alla pratica della clandestinità è ancora principalmente un problema di autonomia soggettiva, cioè di capacità di vivere e praticare con serenità e senza staccarti dalle masse, senza acquisire una mentalità da 007 e da avventuriero, un’attività che la stragrande maggioranza della tua classe e dell’ambiente di compagni cui appartieni non solo non condivide ma neanche concepisce e capisce. Si tratta di una maturità ideologica e politica (di concezione del mondo e di orientamento politico) combinata con doti personali: una combinazione oggi abbastanza rara. Questo spiega la lentezza dello sviluppo del nucleo clandestino, che ha due aspetti. Uno è la difficoltà di reclutare nuovi compagni all’attività clandestina. L’altro è le difficoltà da superare per ottenere che i compagni che svolgono attività clandestina non perdano la sensibilità e il senso di appartenenza alla classe e alle masse popolari, non acquisiscano una mentalità da 007 e da banditi e quindi non perdano di slancio rivoluzionario a favore di una specie di esaltazione della bravura individuale, di affermazione individuale e di spirito di avventura che prima o poi sfocia nell’abbandono delle nostre fila. Infatti un avventuriero e uno 007 oggi facilmente trovano altre collocazioni. Questa deviazione tra i compagni che svolgono lavoro clandestino è tanto più facile che prenda piede perché tra i pochi compagni che si dedicano a questa attività, oltre a quelli che hanno una buona “autonomia soggettiva”, non mancano quelli che aderiscono alla richiesta di passare a svolgere un lavoro clandestino perché non hanno difficoltà a staccarsi dal loro lavoro abituale, dal loro ambiente e dai loro compagni. Ma non hanno difficoltà a staccarsi perché già, pur vivendoci dentro, hanno pochi e deboli legami, sono dei solitari, sono sentimentalmente piuttosto aridi, in alcuni casi anche sentimentalmente frustrati: cosa che, beninteso, non è né un marchio indelebile né un vizio vergognoso, ma solo una disgrazia e una mutilazione tra le tante con cui la borghesia affligge le masse popolari. Queste caratteristiche facilitano lo sviluppo della deviazione di cui parlavo, se non se ne tiene adeguatamente conto.

La conclusione è che oggi l’aspetto principale del nostro lavoro per far valere la settima discriminante, reclutare compagni all’attività clandestina e quindi costruire il nuovo partito comunista a partire dalla clandestinità consiste nel “propagandare l’importanza e la necessità” del lavoro clandestino tra le FSRS e tra i lavoratori avanzati, chiarire i vari aspetti della questione, mostrare i legami tra questa linea e la loro esperienza pratica e quotidiana, convincere. Mentre “lottare contro l’opportunismo” dei singoli compagni che non accettano di svolgere lavoro clandestino, che recalcitrano a dare la loro opera o anche solo la loro collaborazione, è solo l’aspetto complementare.

Per questo in questa fase ha un ruolo importante anche l’opera di quei “vecchi comunisti” che spiegano e propagandano l’importanza e la necessità del lavoro clandestino e del carattere clandestino del partito comunista a partire dalla loro esperienza personale nel vecchio movimento comunista e nella prima ondata della rivoluzione proletaria o dalla storia del movimento comunista o dall’analisi della controrivoluzione preventiva che caratterizza le società imperialiste. Senza che questo implichi in generale una loro partecipazione personale all’attività clandestina.

Creare nelle FSRS e tra i lavoratori avanzati una “opinione pubblica” favorevole alla clandestinità, che riconosce la necessità che il nuovo partito comunista venga costruito a partire dalla clandestinità, non solo faciliterà il reclutamento di compagni per il lavoro clandestino, ma creerà anche mille possibilità di preziose collaborazioni al lavoro clandestino da parte di compagni e lavoratori che non si dedicano sistematicamente al lavoro clandestino. Inoltre questa opinione pubblica, man mano che si forma, ci aiuterà anche a prevenire e combattere la deviazione individualista dei compagni che svolgono già il lavoro clandestino.

Con quanto detto ho risposto, credo esaurientemente, a quei compagni che ci dicono: “Ma se proprio si deve fare un lavoro clandestino, perché dirlo pubblicamente e non farlo in segreto e basta?”. Il lavoro clandestino dei comunisti, come le altre loro forme di lotta e di attività, è una forma di lotta e di attività della classe operaia, anche se di fatto, come altre, è praticata solo da una sua parte d’avanguardia. Tutte queste forme di lotta e di attività possono svilupparsi e funzionare nel modo giusto solo se sono sostenute dalla classe operaia. La borghesia costruisce polizie segrete, logge clandestine, cricche e mafie segrete, ecc. di cui tiene segreta anche l’esistenza e le finalità. Solo gli affiliati e i mercenari ne conoscono l’esistenza, come per Gladio. Fa parte delle caratteristiche psicologiche e morali dei suoi membri e deriva dal modo specificamente suo (reclutamento mercenario) in cui la borghesia mobilita gli uomini e le donne al suo servizio. Corrisponde al ruolo sociale della classe a cui appartengono. Per questo ruolo le associazioni segrete, le sette, le società segrete sono utili. Noi comunisti non possiamo procedere così neanche se lo volessimo. Noi riusciamo a procedere solo se conquistiamo la solidarietà della classe operaia e delle masse popolari per il lavoro che facciamo. Solo così il nostro lavoro può svilupparsi e diventa una componente proficua della lotta della classe operaia e delle masse popolari per la loro emancipazione dalla tutela della borghesia, dalla condizione di inferiorità sociale in chi sono relegate nella società borghese. E la costituzione del partito comunista è infatti il primo passo sulla via di questa emancipazione, mentre l’instaurazione del socialismo sarà il secondo. È una questione di concezioni del mondo diverse e di nature diverse delle due classi.

La classe operaia può comprendere e accettare e anche volere che il suo partito sia costruito dalla clandestinità, la storia del movimento comunista lo ha dimostrato. Può aderire ad un tale partito, sostenerlo e difenderlo con forza e inflessibilità da spie e traditori. Può riconoscere e accettare la sua direzione. Perché capisce dalla sua esperienza e dal lavoro di educazione svolto dal partito, che così è necessario per lottare con successo contro la borghesia imperialista. È in questo modo che la classe operaia “vota” per il suo partito clandestino. È invece incompatibile con la sua emancipazione la pretesa che essa si lasci manovrare da una forza oscura di cui non conosce neanche l’esistenza, di cui non conosce né concezioni, né programma, né obiettivi, né linea, né metodi. Insomma una potenza sociale imperscrutabile! I compagni fautori di un partito clandestino costruito segretamente hanno della lotta politica proletaria la stessa concezione che Lenin criticava nel suo scritto A proposito dell’opuscolo di Junius del luglio 1916, riferendosi alla sinistra rivoluzionaria dei socialdemocratici tedeschi e in particolare a Rosa Luxemburg. “Sembra che Junius ... abbia voluto applicare qualche cosa di simile alla “teoria delle fasi” di triste memoria, sostenuta dai menscevichi. Ha voluto realizzare il programma rivoluzionario incominciando dalla parte “più accessibile”, più “popolare”, più accettabile dalla piccola borghesia. Una specie di piano per “giocare d’astuzia con la storia”, per giocare d’astuzia i conformisti. ... Una volta accettato, questo programma condurrebbe di per sé, si dice, alla fase seguente, alla rivoluzione socialista. È certo che sono stati ragionamenti del genere a portare, più o meno consapevolmente, Junius alla linea che ha enunciato. È inutile dire che simili ragionamenti sono sbagliati. Nell’opuscolo di Junius si sente l’isolato, che non lavora gomito a gomito con compagni in seno a un’organizzazione illegale, abituata a elaborare fino in fondo le parole d’ordine rivoluzionarie e a educare sistematicamente le masse secondo il loro spirito. Ma questo difetto - sarebbe una profonda ingiustizia dimenticarlo - non è un difetto personale di Junius, ma è il risultato della debolezza di tutta la sinistra tedesca, circondata da ogni parte dall’ignobile rete delle concezioni kautskiane ipocrite, pedanti, in mille modi condiscendenti verso gli opportunisti”. Per quanto riguarda il presente del nostro paese, la linea sbagliata del partito comunista clandestino costruito in segreto nasce come una delle reazioni, nobile e onorevole anche se sbagliata, al pantano di disfattisti-liquidatori-dissociati-pentiti in cui la deviazione militarista aveva condotto negli anni ’80 il movimento rivoluzionario. Non c’è da dubitare che l’esperienza e il bilancio dell’esperienza porteranno sulla strada maestra del movimento comunista, al marxismo-leninismo-maoismo, quei tra i suoi seguaci che persisteranno nella ricerca di una via alla rivoluzione socialista. Oppressi dalla sconfitta del militarismo e nauseati dal pantano di disfattisti-liquidatori-dissociati-pentiti, i fondatori di questa linea hanno però dimenticato che l’Italia era il paese in cui il partito comunista aveva resistito vittoriosamente al fascismo, il paese della Resistenza, un paese in cui il comunismo era diventato talmente popolare che per battere il comunismo persino la borghesia aveva dovuto travestirsi un po’ da comunista. Nel nostro paese non occorre “giocare d’astuzia” per trovare partigiani del comunismo, non occorre camuffare la bandiera del comunismo per vincere radicati pregiudizi anticomunisti.

“Ma se la borghesia sa che esiste un partito clandestino, lo eliminerà”. Questa è un’altra obiezione che ci viene fatta. Niente affatto. La possibilità di esistenza, di sviluppo e di azione di un partito comunista clandestino non dipende dalla tolleranza, dagli errori o dall’ignoranza della borghesia. Dipende dal suo legame con la classe operaia, dall’aderenza del suo programma e della sua linea agli interessi strategici della classe operaia e dal suo legame organizzativo con la classe operaia (dal fatto che esso fa parte della classe operaia ed è legato alle sue organizzazioni pubbliche). Anche se ci limitiamo a considerare i paesi imperialisti e non consideriamo quindi la lotta vittoriosa di partiti clandestini come il partito comunista cinese, vietnamita o coreano, partiti comunisti clandestini hanno continuato ad operare anche sotto il nazismo e sotto il fascismo benché, a causa di una analisi sbagliata della situazione, si fossero fatti sorprendere impreparati dalla mobilitazione reazionaria delle masse (in una sola notte, tra il 27 e il 28 febbraio 1933 in Germania furono arrestati o trucidati più di 10.000 membri del partito comunista e pochi giorni dopo venne arrestato anche il suo segretario nazionale, Ernst Thälmann). Il partito di Lenin era clandestino e il regime zarista sapeva bene che esisteva. Il partito propagandava la sua linea, il suo programma, le sue parole d’ordine e la sua esistenza. Lenin e i suoi dal 1906 al 1914 condussero una lotta aperta sulle riviste del partito, nei congressi e nelle riunioni e, nelle cento forme in cui fu possibile, anche su riviste legali e in riunioni legali contro i liquidatori del partito clandestino, contro i fautori di “coordinamenti operai” al posto del partito comunista, contro i fautori “sinceri” del partito comunista legale. I compagni che oggi in buona fede sostengono che non dovremmo propagandare con ogni mezzo, come cerchiamo di fare, tra le FSRS, tra i lavoratori avanzati e in generale tra le masse popolari la necessità di costruire il partito dalla clandestinità, se sono realmente in buona fede e se rivendicano continuità col movimento comunista, devono spiegare perché oggi non sarebbe necessario e addirittura sarebbe sbagliato fare quello che i partiti comunisti clandestini hanno sempre e dovunque fatto. Devono spiegare perché oggi i comunisti dovrebbero seguire quella “teoria delle fasi” di cui parla Lenin nell’articolo citato, propagandare tra le masse una concezione del mondo e della lotta politica e obiettivi eguali a quelli propagandati dai fautori “sinceri” di un partito comunista legale e riservare il comunismo e tutto quello che riguarda la strategia per la rivoluzione socialista solo alle loro ristrette riunioni segrete.

Ma c’è di più: noi sosteniamo senza paura di essere smentiti che se una società segreta lavora con una certa continuità per un po’ di tempo, la polizia politica (e quindi tutte le forze del regime interessate) conosce inevitabilmente la sua esistenza (e spesso non solo l’esistenza, ma questa è un’altra questione). Mentre gli operai avanzati e le FSRS continuano spesso a ignorare l’esistenza della società segreta e ancora più ad ignorare programma, linea, ecc. Insomma cade nella situazione nefasta per un’organizzazione rivoluzionaria di “nota alla polizia e ignota alle masse”. A quel punto la polizia ha libertà d’azione per montare provocazioni e manovre a secondo dei suoi bisogni. Cioè le società segrete si trovano nella condizione peggiore possibile: esposte all’aggressione e alle manovre della polizia politica e non protette dalla solidarietà delle masse. Cosa ne sarebbe stato, ad esempio, di Georgi Dimitrov, militante clandestino dell’Internazionale Comunista, arrestato nel marzo 1933 con l’accusa di avere incendiato il Parlamento di Berlino, se fosse stato membro di un organismo ignoto alle masse?

Infine una società segreta lavora in condizioni in cui le deviazioni, se non sono già dominanti fin dall’inizio, è inevitabile che prima o poi prendano il sopravvento. Il legame tra i membri della società segreta è basato unicamente sulle relazioni organizzative proprie della società stessa. Inoltre esso non è subordinato al legame della società segreta con le masse, ma è proprio il contrario. Questo fa dipendere dagli individui tutta la costruzione organizzativa. Quando ad esempio Amadeo Bordiga (Partito Comunista d’Italia) nel 1930 o Jacques Doriot (Partito Comunista Francese) nel 1934 ruppero con l’Internazionale Comunista, l’impatto del loro tradimento sul partito dipese principalmente dai legami del partito con le masse, non dal ruolo eminente che essi avevano ricoperto nel partito. Invece per le caratteristiche proprie della società segreta, il legame tra essa e ogni organizzazione pubblica, di massa, che la società segreta crea o dirige è costituito non dalla linea della società segreta (che l’organizzazione pubblica non conosce) né dal sistema organizzativo (che non ha una sua unità), ma dal legame personale del leader dell’organizzazione pubblica con la società segreta. Questo di per se stesso, oltre a rendere fragile tutto il sistema, tende a perpetuare nelle organizzazioni pubbliche il sistema del circolo, gruppo raccolto attorno a un leader e la cui forza e coesione non sta nel funzionamento collettivo, ma nelle capacità e nelle doti del leader. Facilita i legami (basta convincere il leader), ma li mantiene fragili. Insomma anche da qui si conferma quello che Marx ed Engels dicevano delle società segrete (diffuse nella fase nascente del movimento comunista) e che è già illustrato nel n. 1 di La Voce (pag. 43-46): il loro sviluppo è inversamente proporzionale allo sviluppo dell’associazione operaia.

Questo non vuol dire che nella nostra situazione una società segreta non possa continuare a vivere per anni restando ignota alle masse. Basta che la polizia non abbia interesse a svelarne l’esistenza. Essa può certamente anche trovare modo di reclutare membri, come reclutano anche le Organizzazioni Comuniste Combattenti. Ma l’opera di educazione che essa svolge tra la classe operaia resta mutilata dal fatto che essa tra le masse agita solo quelle parole d’ordine che crede già “popolari” e “comprensibili” per le masse. Ciò è confermato dal fatto che, nella misura in cui i membri di simili organizzazioni segrete svolgono un lavoro tra le masse, sono costretti a scavalcare le direttive della loro organizzazione (ad esempio in questa fase lanciano la parola d’ordine della ricostruzione del partito comunista che è popolare e dà prospettiva, unità e continuità a tutto il lavoro immediato), ma nello stesso tempo a lasciarle sospese in aria (per stare all’esempio citato, non propongono un piano pratico e chiaro per la ricostruzione del partito comunista).

In conclusione una società segreta non svolge tra le masse un’opera efficace per imprimere alle loro forze, ai vari tipi di forze che esse oggi esprimono, una direzione di lavoro efficace ai fini dell’instaurazione del socialismo e promuovere la formazione della coscienza più elevata possibile e corrispondente a questo compito. Non le educa insomma nello spirito delle parole d’ordine dell’organizzazione clandestina.

Al contrario la propaganda del carattere clandestino del partito eleva la coscienza delle FSRS e dei lavoratori avanzati sulla natura del regime e sul modo di abbatterlo

( continua )

 

Ernesto V.

 


manchette:

La Voce sulla settima discriminante

Nei prossimi numeri della rivista affronteremo altre questioni che i lettori ci hanno posto a proposito della settima discriminante

La Voce sulle FSRS e sulle OCC