Progetto di Manifesto Programma - Capitolo I

1.3. L’imperialismo, ultima fase del capitalismo

domenica 11 giugno 2006.
 

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1.3. L’imperialismo, ultima fase del capitalismo

Nei decenni successivi alla Rivoluzione europea del 1848 si crearono le condizioni materiali che rendono necessaria la società comunista e in parte si crearono anche le condizioni spirituali necessarie per avviare la transizione dalla società capitalista alla società comunista, cioè per l’instaurazione di una società socialista.

Nel corso del secolo XIX, costretta prima da una serie ciclica di crisi economiche (1815, 1825, 1836, 1847, 1857, 1867) e poi dalla Grande Depressione (1873-1895), per ostacolare la caduta del tasso del profitto la borghesia europea ed americana sviluppò su grande scala le forze produttive della società ed estese il suo raggio d’azione a tutti i continenti. Questo significò accrescere fortemente il carattere collettivo dell’attività economica. La concorrenza tra molti capitalisti lasciò il posto ai monopoli di un pugno di grandi gruppi capitalisti. Il capitale bancario e il capitale produttivo

Fin dall’inizio del modo di produzione capitalista le banche davano denaro in prestito ai capitalisti che con esso costituivano parte o tutto il loro capitale produttivo. Il capitale produttivo è il capitale che si accresce percorrendo e ripercorrendo il processo Denaro - Merci (mezzi di produzione, materie prime, forza-lavoro) - Lavorazione - Nuove Merci - Più Denaro (D - M - L - NM - PD). Nell’epoca imperialista la combinazione tra il capitale bancario e il capitale produttivo divenne così stretta che nacque un nuovo genere di capitale, il capitale finanziario (società per azioni, consorzi, ecc.) su cui è cresciuto il castello della Borsa, della speculazione finanziaria e del parassitismo imperialista che soffoca l’economia reale e dà luogo alle crisi finanziarie.


Riferimento: V.I. Lenin, L’imperialismo, fase suprema del capitalismo (1916), in Opere, vol. 22.

si fusero nel capitale finanziario che in varie forme (depositi, assicurazioni, prestiti, ipoteche, società per azioni, obbligazioni, ecc.) assunse il controllo anche dei risparmi e delle proprietà delle altri classi. La borghesia europea e americana estese a tutto il mondo la sua rete commerciale, colonizzò e sottomise a uno spietato sfruttamento i popoli dei paesi non ancora capitalisti (la maggioranza della popolazione mondiale) e divise il mondo in paesi capitalisti e paesi arretrati e sfruttati, cercò campi di investimento e fonti di rendite in ogni angolo del mondo. Essa creò così un organismo produttivo unitario che direttamente o indirettamente e a gradi diversi di completezza inglobava gran parte della popolazione mondiale.

Verso la fine del secolo XIX l’evoluzione delle società borghesi arrivò a un punto tale da determinare nella storia dell’umanità una svolta: la divisione della società in classi e il loro antagonismo avevano cessato di essere la condizione favorevole allo sviluppo delle forze produttive degli uomini ed erano diventati un freno ad esso. Erano quindi maturate le condizioni oggettive per una superiore organizzazione sociale, il comunismo, basata sul possesso comune e sulla gestione collettiva delle forze produttive della società da parte dei lavoratori associati.

Il corso oggettivo aveva anche fatto sorgere nella classe operaia, in contrasto con l’ideologia e le abitudini proprie della condizione servile cui soggiaceva, i sentimenti, la coscienza, le abitudini, le attitudini e le capacità organizzative necessarie alla nuova società. La società aveva seguito il percorso che qualche decennio prima Marx ed Engels avevano messo in luce.

Il mondo era entrato nella fase imperialista del capitalismo, la fase della decadenza del capitalismo e della rivoluzione proletaria, nella quale ci troviamo tuttora. Questo comportava una serie di cambiamenti importanti in campo economico, politico e culturale, rispetto alla fase di ascesa del capitalismo.

Per conservare la proprietà individuale capitalista delle forze produttive la borghesia da allora dovette fare i conti con il carattere già collettivo di queste. Essa dovette in continuazione mettere in campo forme di gestione collettiva delle forze produttive, pur restando sul terreno della proprietà individuale capitalista di esse, quelle forme che Marx aveva chiamato Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (FAUS):

Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (FAUS)


Le FAUS sono istituzioni e procedure con cui la borghesia cerca di far fronte al carattere collettivo oramai assunto dalle forze produttive, restando però sul terreno della proprietà e dell’iniziativa individuali dei capitalisti e quindi in contraddizione con i rapporti di produzione capitalisti. Sono mediazioni tra il carattere collettivo delle forze produttive e i rapporti di produzione che ancora sopravvivono. Sono ad esempio FAUS le banche centrali, il denaro fiduciario, la contrattazione collettiva dei rapporti di lavoro salariato, la politica economica dello Stato, i sistemi previdenziali, ecc.


Riferimenti: K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica (Grundrisse). Il capitolo del denaro, in Opere complete, vol. 29.
Le forme antitetiche dell’unità sociale, in "Rapporti Sociali" n. 4 (1989).

società per azioni, associazioni di capitalisti, cartelli internazionali di settore, banche centrali, banche internazionali, sistemi monetari fiduciari, politiche economiche statali, enti economici pubblici, contratti collettivi di lavoro, sistemi assicurativi generali, regolamenti pubblici dei rapporti economici, enti sovranazionali, fino al capitalismo monopolistico di Stato e al sistema monetario fiduciario mondiale. Le FAUS assunsero un ruolo sempre più importante nella struttura economica della società che restava però nella sua massa composta da una miriade di capitalisti individuali, di produttori individuali (piccolo-borghesi) e di venditori e compratori di merci e di forza-lavoro in concorrenza tra loro. Essa restava quindi ingovernabile. Piano del capitale, cartello capitalistico unico mondiale, governo mondiale dell’economia capitalista, ecc. restarono e restano illusioni o imbrogli. Una direzione stabile e su grande scala dell’economia capitalista da parte dello Stato o di consorzi bancari è stata spesso promessa e dichiarata, ma si è sempre rivelata precaria e velleitaria.

Piano del capitale


A partire dalla seconda metà del secolo scorso vari teorici e uomini politici, borghesi e revisionisti, hanno sostenuto che oramai la borghesia aveva raggiunto la capacità di governare il movimento economico della società secondo un suo piano. Alcuni sostenevano che lo avrebbero governato le banche, altri che lo avrebbero governato gli Stati. Tutte queste pretese si sono rivelate o illusioni o imbrogli.


Riferimento: Don Chisciotte e i mulini a vento - A proposito della parola d’ordine "lotta contra il piano della borghesia per uscire dalla crisi", in "Rapporti Sociali" n. 0 (1985).

Le FAUS restano inevitabilmente sovrastrutture fragili, precarie e di limitata efficacia. Esse tuttavia sono un indizio della necessità del comunismo, mostrano la sua praticabilità e creano alcuni strumenti materiali e alcune premesse per il comunismo. Lenin in particolare fece notare che il capitalismo monopolistico di Stato costituiva la preparazione materiale più completa per il socialismo, benché tra esso e il socialismo fosse necessario il salto costituito dalla rivoluzione socialista, cioè che il potere e la direzione della società passasse dalla borghesia imperialista alla classe operaia.

La borghesia dovette insomma creare in continuazione associazioni di capitalisti che costituissero una mediazione della proprietà individuale capitalista delle forze produttive con il loro carattere collettivo e che fossero in qualche modo e provvisoriamente atte a superare gli effetti più devastanti creati dalla sopravvivenza dei rapporti di produzione capitalisti nonostante il carattere già collettivo delle forze produttive.

Contemporaneamente la lotta contro l’avanzata del comunismo e la conservazione degli ordinamenti esistenti divennero compiti imprescindibili dell’attività della borghesia. Questo però inevitabilmente portava la borghesia anche alla difesa e al recupero delle anticaglie del passato in qualche modo sopravvissute alla rivoluzione borghese (le istituzioni feudali, le chiese, le pratiche oscurantiste, le società segrete, ecc.) e ad altre attività in contrasto con la valorizzazione del capitale. Ricupero che diventa fonte di nuove contraddizioni e crisi: rapporti di dipendenza personale, organizzazioni criminali, la sostituzione della concorrenza economica con la violenza e la corruzione, la prevalenza della discrezionalità dei governi, delle pubbliche amministrazioni e dei relativi esponenti sulle leggi, la conseguente corruzione e combinazione dei pubblici funzionari e degli uomini politici con i grandi capitalisti, l’eliminazione dei concorrenti, la guerra tra gruppi capitalisti i cui rapporti non possono più essere mediati da leggi e istituzioni a loro comuni, ecc.

Nella società si erano in una certa misura già formate anche le forze soggettive motrici della rivoluzione socialista. La Lega dei comunisti (1847-1852) aveva creato le condizioni della nascita del marxismo. La I Internazionale, l’Associazione Internazionale dei Lavoratori (1864-1876), aveva risolto vittoriosamente la lotta del marxismo contro le concezioni anarchiche e piccolo-borghesi del socialismo e aveva diffuso il marxismo tra i lavoratori avanzati e i comunisti di tutto il mondo. La prima rivoluzione proletaria, la Comune di Parigi (1871), benché selvaggiamente soffocata dalla borghesia, aveva mostrato per la prima volta la classe operaia al potere, aveva fornito grandi insegnamenti sulla necessità del partito comunista della classe operaia e aveva fatto conoscere il socialismo agli oppressi di tutto il mondo. Nei partiti socialisti e socialdemocratici della II Internazionale (1889-1914) il proletariato dei maggiori paesi capitalisti, in particolare europei, aveva in una certa misura acquistato in massa la coscienza che le conquiste delle sue lotte rivendicative potevano diventare durature solo con la trasformazione socialista della società ed aveva acquistato un’ampia egemonia sulle altre classi popolari. Esso era diventato la forza politica che incarnava e personificava l’esigenza oggettiva del passaggio al comunismo ed aveva creato istituzioni atte a formare ed esprimere la volontà della nuova classe: il proprio partito politico, i sindacati, le altre organizzazioni di massa.

La borghesia divenne per forza conservatrice e reazionaria. Era definitivamente finita l’epoca della democrazia borghese e del ruolo progressivo della borghesia. L’estensione al proletariato, alle masse dei paesi imperialisti e ai popoli delle colonie dei diritti della democrazia borghese, del riconoscimento formale dell’eguaglianza, dell’eguale diritto a determinare l’indirizzo dello Stato e a governare si scontrava infatti con la necessità, inscritta nei rapporti economici, di mantenere la dittatura della borghesia imperialista su di essi. In ogni paese borghese quanto ai rapporti economici, lo Stato deve anzitutto difendere e promuovere gli interessi della borghesia: infatti se i capitalisti non fanno buoni profitti tutta l’attività economica del paese va in rovina e con essa viene sconvolta anche la vita di tutte le altre classi. In ogni società capitalista, la dittatura politica della borghesia è economicamente necessaria, benché le forme che essa assume cambino a secondo delle circostanze concrete. Finché il proletariato era debole la borghesia era stata rivoluzionaria, aveva lottato per la democrazia, per la libertà, per la sovranità popolare contro il feudalesimo, l’assolutismo monarchico e l’oscurantismo clericale; da quando il proletariato divenne forte e in grado di far valere effettivamente i diritti prima solo proclamati, la borghesia è diventata per forza di cose il centro di raccolta di tutte le forze reazionarie e il suo Stato si è trasformato nella controrivoluzione preventiva organizzata.

Stante la sopravvivenza della proprietà capitalista delle forze produttive, la collaborazione della massa dei proletari nell’organismo unitario della produzione sociale non poteva realizzarsi nella forma dell’universale consapevole partecipazione alla gestione degli affari sociali. Nel capitalismo il proletario è giuridicamente libero, non è legato né alla terra né ad alcun padrone: egli può andare a chiedere lavoro nell’azienda di uno o dell’altro capitalista. Però non può essere libero rispetto alla borghesia nel suo insieme. Privo dei mezzi di produzione, egli è obbligato a cercare di vendere la sua forza-lavoro e a subire perciò il giogo dello sfruttamento. La borghesia ha bisogno della libertà del venditore e del compratore di merci, ma d’altra parte deve impedire che i proletari si coalizzino e riducano il loro sfruttamento sia elevando il loro salario al di sopra del valore della loro forza-lavoro sia riducendo la differenza tra il tempo effettivo di lavoro e il tempo di lavoro necessario a produrre un valore pari a quello della forza-lavoro. Quindi deve ostacolare la crescita della coscienza e dell’organizzazione della massa dei proletari e, vista l’impossibilità di impedirla in assoluto, deve deviare e periodicamente stroncare e ricacciare indietro le organizzazioni e la coscienza dei proletari.

Con l’ingresso nell’epoca imperialista, la borghesia nel campo culturale retrocesse in secondo piano la ricerca e la diffusione della comprensione del mondo fisico e dei processi sociali e pose in primo piano la cultura d’evasione e l’elaborazione e la diffusione di teorie che occultavano i rapporti sociali effettivi, difendevano l’ordine esistente e ne proclamavano l’eternità. Le teorie religiose e le relative chiese, contro cui la borghesia un tempo si era battuta, vennero dalla borghesia ripescate e imposte nuovamente alle masse nello sforzo di conservare la loro collaborazione e arrestarne lo sviluppo politico: esemplare per l’Italia la riforma Gentile della scuola. La borghesia assunse la religione come strumento necessario di dominio sulle classi e sui popoli oppressi. Le istituzioni e le autorità religiose che la rivoluzione borghese non aveva ancora eliminato, dal Papa al Dalai Lama, vennero rimesse a nuovo e insignite del ruolo di difensori dell’ordine costituito e di guida delle masse: in Italia il Papato venne eretto in Stato indipendente, munito di ricchezze e immunità. La borghesia atea impose nelle scuole l’istruzione religiosa e costituì le religioni in religioni di Stato.

Anche i rapporti tra i membri e i gruppi della classe dominante subirono un cambiamento qualitativo: i rapporti democratici e regolati da leggi e norme pubblicamente accettate vennero via via sostituiti dal dominio di un pugno di esponenti del capitale finanziario sul grosso della borghesia e da rapporti antagonisti tra i rappresentanti delle frazioni in cui il capitale complessivo della società è diviso. La militarizzazione dell’attività statale, la manipolazione dell’informazione e dell’opinione pubblica, la subordinazione delle istituzioni politiche e sociali sia alla corruzione del capitale finanziario sia al controllo e all’infiltrazione degli organi repressivi, le trame della diplomazia segreta e dei servizi segreti, la formazione di bande armate che si sottraggono agli ordinamenti e alle leggi ufficiali divennero pratiche correnti per la borghesia imperialista in ogni paese, le residue società segrete (massonerie, mafia, ordini cavallereschi, ecc.) si trasformarono in società finanziarie e criminali.

Da quando il capitalismo è entrato nella sua fase imperialista la transizione al comunismo diventò un percorso oggettivamente necessario, inscritto cioè nel carattere oggettivo assunto dalle forze produttive della società. Questo non nel senso che la trasformazione sarebbe stata rapida e facile, ma nel senso che era diventata l’unico possibile percorso di progresso e che, finché esso non fosse stato imboccato e percorso, l’umanità avrebbe vissuto "i travagli del parto" incompiuto, come gli avvenimenti da allora succedutisi hanno confermato. Una volta realizzate le condizioni materiali che rendono necessaria la società comunista, il fattore determinante sono diventate le condizioni soggettive: quelle cioè che rendono la classe operaia capace di dirigere le masse popolari ad abbattere il potere della classe dominante e a dare inizio alla transizione dal capitalismo al comunismo.

Allora il movimento comunista fu oggettivamente posto davanti a una svolta: come affrontare la nuova situazione? In esso si aprì uno scontro a livello mondiale tra due linee antagoniste. "La lotta tra le due tendenze principali del movimento operaio, il socialismo rivoluzionario e il socialismo opportunista, riempie tutto il periodo che va dal 1889 al 1914".

Lenin, L’opportunismo e il fallimento della II Internazionale (1916), in Opere, vol. 22.

In ogni partito socialista esisteva una sinistra, ma solo nel Partito Operaio Socialdemocratico della Russia essa aveva raggiunto una comprensione sufficiente del fatto che era terminata l’epoca dello sviluppo progressivo della borghesia, della democrazia borghese, "dello sviluppo più o meno pacifico del capitalismo".*(18) Su scala mondiale quindi nel movimento comunista prevalse la destra, costituita dall’aristocrazia operaia e da intellettuali provenienti da altre classi. Il socialismo opportunista ebbe la sua base teorica nel revisionismo di E. Bernstein (1850-1932). Questi sosteneva che era possibile una trasformazione graduale e pacifica della società capitalista in società socialista perché il capitalismo aveva di fatto imboccato una strada diversa da quella che Marx aveva indicato, aveva cioè imboccato la strada dell’attenuazione degli antagonismi di classe, dell’estensione illimitata dei diritti democratici alle masse e del governo razionale del movimento economico della società da parte dello Stato democratico. La resa dei partiti socialdemocratici alla borghesia nel 1914 segnò l’ingloriosa fine della II Internazionale e la fine di ogni pretesa scientifica del revisionismo di Bernstein. Il movimento comunista rinacque più forte da un’altra parte.