Indice degli scritti di A. Gramsci scritti di A. Gramsci


Antonio Gramsci

Uomini o macchine?

(Articolo non firmato, Avanti!, ediz. piemontese, 24 dicembre 1916, sotto la rubrica “La scuola e i socialisti”)

 

La breve discussione svoltasi nell'ultima seduta consiliare fra i nostri compagni e qualche rappresentante della maggioranza a proposito dei programmi per l'insegnamento professionale, merita di essere commentata, anche se brevemente e compendiosamente. L'osservazione del compagno Zini (“La corrente umanistica e quella professionale si urtano ancora nel campo dell'insegnamento popolare: occorre riuscire a fonderle, ma non bisogna dimenticare che prima dell'operaio vi è ancora l'uomo, al quale non bisogna precludere la possibilità di spaziare nei più ampi orizzonti dello spirito, per asservirlo subito alla macchina”) e le proteste del consigliere Sincero contro la filosofia (la filosofia trova specialmente degli avversari quando afferma delle verità che colpiscono gli interessi particolari) non sono dei semplici episodi polemici occasionali: sono scontri necessari tra chi rappresenta dei principi fondamentalmente diversi.

1. Il nostro Partito non si è ancora affermato su un programma scolastico concreto che si differenzi da quelli soliti. Ci siamo finora accontentati di affermare il principio generale della necessità della cultura sia elementare, che professionale, che superiore, e questo principio abbiamo svolto, abbiamo propagandato con vigore ed energia. Possiamo affermare che la diminuzione dell'analfabetismo in Italia non è tanto dovuta alla legge sull'istruzione obbligatoria [legge Coppino 15 luglio 1877 - Michele Coppino 1822-1901, più volte ministro della pubblica istruzione nel periodo 1867-1888, ndr] quanto alla vita spirituale, al sentimento di certi determinati bisogni della vita interiore, che la propaganda socialista ha saputo suscitare negli strati proletari del popolo italiano. Ma non siamo andati più in là. La scuola in Italia è rimasta un organismo schiettamente borghese, nel peggior senso della parola.

La scuola media e superiore, che è di Stato, e cioè è pagata con le entrate generali, e quindi anche con le tasse dirette pagate dal proletariato, non può essere frequentata che dai giovani figli della borghesia, che godono dell'indipendenza economica necessaria per la tranquillità degli studi. Un proletario, anche se intelligente, anche se in possesso di tutti i numeri necessari per diventare un uomo di cultura, è costretto a sciupare le sue qualità in attività diversa, o a diventare un refrattario, un autodidatta, cioè (fatte le dovute eccezioni) un mezzo uomo, un uomo che non può dare tutto ciò che avrebbe potuto, se si fosse completato ed irrobustito nella disciplina della scuola. La cultura è un privilegio. La scuola è un privilegio. E non vogliamo che tale essa sia. Tutti i giovani dovrebbero essere uguali dinanzi alla cultura. Lo Stato non deve pagare coi denari di tutti la scuola anche per i mediocri e deficienti, figli dei benestanti, mentre ne esclude gli intelligenti e capaci, figlioli dei proletari. La scuola media e superiore deve essere fatta solo per quelli che sanno dimostrare di esserne degni. Se è interesse generale che essa esista, e sia magari sorretta e regolata dallo Stato, è anche interesse generale che ad essa possano accedere tutti gli intelligenti, qualunque sia la loro potenzialità economica. Il sacrificio della collettività è giustificato solo quando esso va a beneficio di chi se lo merita. Il sacrificio della collettività perciò deve servire specialmente a dare ai valenti quella indipendenza economica, che è necessaria per poter tranquillamente dedicare il proprio tempo allo studio e poter studiare seriamente.

2. Il proletariato, che è escluso dalle scuole di cultura media e superiore per le attuali condizioni della società che determinano una certa specializzazione degli uomini, innaturale, perché non basata sulle diverse capacità, e quindi distruttrice ed inquinatrice della produzione, deve riversarsi nelle scuole collaterali: tecniche e professionali. Quelle tecniche, istituite con criteri democratici dal ministro Casati [legge Casati 1859 - Gabrio Casati 1798-1873, ministro della pubblica istruzione nel periodo 1867-1888, ndr], hanno subito per le necessità antidemocratiche del bilancio statale, una trasformazione che le ha in gran parte snaturate. Sono ormai in gran parte diventate superfetazioni delle scuole classiche, e uno sfogatoio innocente della impiegomania piccolo-borghese. Le tasse di iscrizione in continua ascensione, e le possibilità determinate che danno per la vita pratica, hanno fatto anche di esse un privilegio, e del resto il proletariato ne è escluso, nella sua grandissima parte, automaticamente, per la vita incerta ed aleatoria che è costretto  a condurre il salariato; vita che non è certo la più propizia per seguire con frutto un corso di studio.

3. Al proletariato è necessaria una scuola disinteressata. Una scuola in cui sia data al fanciullo la possibilità di formarsi, di diventare uomo, di acquistare quei criteri generali che servono allo svolgimento del carattere. Una scuola umanistica, insomma, come la intendevano gli antichi e i più recenti uomini del Rinascimento. Una scuola che non ipotechi l'avvenire del fanciullo e costringa la sua volontà, la sua intelligenza, la sua coscienza in formazione a muoversi entro un binario a stazione prefissata. Una scuola di libertà e di libera iniziativa e non una scuola di schiavitù e di meccanicità. Anche i figli dei proletari devono avere dinanzi a sé tutte le possibilità, tutti i campi liberi per poter realizzare la propria individualità nel modo migliore, e perciò nel modo più produttivo per loro e per la collettività. La scuola professionale non deve diventare una incubatrice di piccoli mostri aridamente istruiti per un mestiere, senza idee generali, senza cultura generale, senza anima, ma solo dall'occhio infallibile e dalla mano ferma. Anche attraverso la cultura professionale può farsi scaturire, dal fanciullo, l'uomo. Purché essa sia cultura educativa e non solo informativa, o non solo pratica manuale. Il consigliere Sincero, che è un industriale, è troppo gretto borghese quando protesta contro la filosofia.

Certo, per gli industriali grettamente borghesi, può essere più utile avere degli operai-macchine invece che degli operai-uomini. Ma i sacrifici cui tutta la collettività si assoggetta volontariamente per migliorarsi e per far scaturire dal suo seno i migliori e i più perfetti uomini che la innalzino ancor più, devono riversarsi beneficamente su tutta la collettività e non solo su una categoria o una classe.

È un problema di diritto e di forza. E il proletariato deve stare all'erta, per non subire un'altra sopraffazione dopo le tante che già subisce.