Indice degli scritti di Lenin

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Presentazione della redazione di La Voce (luglio 2017)

L’importanza di questa Lettera di Lenin ai fini della lotta che conduciamo in questo periodo sta in questo:

1. Lenin mette ben in chiaro che i partiti comunisti costituitisi nei paesi imperialisti alla conclusione della prima Guerra Mondiale, per la concezione del mondo con cui guidavano la loro attività non erano capaci di fare la rivoluzione socialista: dovevano ancora imparare a farla;

2. Lenin indica sinteticamente ma chiaramente i principi a cui tutti i partiti comunisti dovevano ispirarsi per stabilire ognuno la linea da seguire per conquistare il potere nel proprio paese.

 

1. In primo luogo Lenin nella sua Lettera mette ben in chiaro che i partiti comunisti costituitisi nei paesi imperialisti negli anni ’20 del secolo scorso e riuniti nella IC (Internazionale Comunista) non erano capaci di fare la rivoluzione socialista, nonostante le aspirazioni, la generosità e l’eroismo che già distinguevano la gran parte dei loro membri. Dovevano imparare a farla.

Chi conosce gli avvenimenti degli anni 1920-1950 e la linea seguita dai partiti comunisti dei paesi imperialisti, sa che essi non impararono a fare quello che Lenin anche in questa Lettera dice che dovevano imparare. Per questo la prima ondata della rivoluzione proletaria iniziata con la Rivoluzione d’Ottobre si è esaurita senza aver instaurato il socialismo nel mondo. Alla lunga abbiamo perso anche molto di quello che avevamo inizialmente conquistato. Nello stesso periodo in cui scrisse questa Lettera, nel Rapporto sulla tattica del Partito comunista russo presentato al III Congresso dell’Internazionale Comunista il 5 luglio 1921, Lenin disse (resoconto stenografico): “Quando nel 1917 in Russia abbiamo dato il via alla rivoluzione internazionale, lo abbiamo fatto non perché eravamo convinti di potere determinare noi russi il suo sviluppo, ma perché tutta una serie di circostanze ci spingeva a prendere il potere. Pensavamo: o la rivoluzione degli altri paesi ci verrà in aiuto e allora la nostra vittoria sarà definitiva, o faremo il nostro modesto lavoro rivoluzionario consapevoli che, in caso di sconfitta, avremo tuttavia giovato alla causa della rivoluzione internazionale e la nostra esperienza andrà a vantaggio delle rivoluzioni che verranno dopo. Era chiaro per noi che senza l’appoggio della rivoluzione internazionale mondiale la nostra vittoria non era definitivamente assicurata. Già prima della rivoluzione e anche dopo di essa pensavamo: o la rivoluzione scoppierà subito o almeno molto presto negli altri paesi capitalisticamente più sviluppati, oppure, nel caso contrario, soccomberemo. Proprio per questa consapevolezza abbiamo fatto di tutto per salvaguardare, in tutte le circostanze e a ogni costo, il sistema sovietico, perché sapevamo di lavorare non soltanto per noi, ma anche per la rivoluzione internazionale. Lo sapevamo e abbiamo espresso più volte questa convinzione sia prima della Rivoluzione d’Ottobre sia subito dopo, nel periodo della conclusione della pace di Brest-Litovsk [marzo 1918].

In linea generale, ciò era giusto. Ma in realtà il movimento delle cose non è stato così lineare come ci attendevamo. Negli altri grandi paesi, capitalisticamente più sviluppati della Russia, la rivoluzione finora non è ancora scoppiata. È vero però, e possiamo constatarlo con soddisfazione, che la rivoluzione si sviluppa in ogni angolo del mondo. Soltanto grazie a questa circostanza la borghesia internazionale, economicamente e militarmente cento volte più forte di noi, non è in grado di strangolarci.”

Il Partito comunista russo, guidato prima da Lenin e poi da Stalin, persistette per anni in questa linea, nonostante la lentezza con cui la rivoluzione proletaria procedette nel mondo. Riportò grandi vittorie sia nella difesa dell’URSS, base rossa della rivoluzione proletaria mondiale, dall’aggressione delle potenze imperialiste, sia nell’aiuto alla rivoluzione proletaria che avanzò in tutto il mondo ma in particolare nei paesi coloniali e semicoloniali con in testa la Cina, la Corea, il Vietnam, Cuba, sia facendo progredire in tutti i campi i popoli sovietici e i popoli dei paesi imperialisti. L’URSS incominciò a declinare solo quando la destra del Partito comunista sovietico (PCUS), capeggiata da Kruscev, a partire dal 1956 riuscì a imporre la propria direzione nel PCUS e nell’URSS. E la destra riuscì a imporsi nel PCUS perché nei paesi imperialisti d’Europa e d’America la rivoluzione socialista non avanzava nonostante la vittoria sul nazifascismo e anzi i partiti comunisti avevano adottato una linea di convivenza con la borghesia imperialista. La vittoria della destra nel PCUS portò definitivamente fuori strada i partiti comunisti dei paesi imperialisti e diede l’avvio all’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria che era iniziata nel 1917 con la Rivoluzione d’Ottobre. Infatti il Partito comunista cinese, guidato da Mao Tse-tung, cercò con la Rivoluzione Culturale Proletaria (1966-1976), di far assumere alla Repubblica Popolare Cinese il ruolo che l’URSS aveva svolto nel mondo fino al 1956, ma questo tentativo venne sconfitto alla morte di Mao, con l’avvento al potere, anche nel PCC, della destra capeggiata da Teng Hsiao-ping. L’integrazione di gran parte dei primi paesi socialisti nel sistema imperialista mondiale e il declino di gran parte dei movimenti rivoluzionari che erano in corso in vari paesi hanno aperto nella storia mondiale una nuova fase: la rinascita del movimento comunista è diventato il fattore decisivo per il futuro dell’umanità.

La rinascita del movimento comunista consiste principalmente nel costituire nei paesi imperialisti partiti comunisti capaci di dirigere il proletariato e il resto delle masse popolari a fare la rivoluzione socialista e instaurare il socialismo nel proprio paese, traendo insegnamento dall’esperienza della prima ondata.

2. Cosa è che i partiti comunisti dei paesi imperialisti non impararono a fare nel periodo 1920-1950? Anche su questo punto la Lettera di Lenin ci fornisce una indicazione preziosa, precisamente a proposito della relazione tra la coscienza e l’attività pratica nella rivoluzione socialista, tra il ruolo del partito comunista e l’attività spontanea della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari.

Noi comunisti sfruttiamo ogni mezzo per elevare la coscienza degli operai, ma la loro esperienza pratica di lotta è il fattore principale per elevare la coscienza della classe operaia e quindi anche per la vittoria della rivoluzione socialista: l’esperienza della lotta di classe sostenuta dalla propaganda  del Partito è il fattore principale dell’elevazione della coscienza degli operai. La funzione organizzatrice e dirigente della teoria comunista è svolta principalmente dal Partito comunista. La comprensione avanzata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe è il fattore principale della capacità del Partito comunista di promuovere la rivoluzione socialista e quindi indichiamo la riforma intellettuale e morale come aspetto essenziale del rafforzamento del Partito comunista. Gli idealisti invece dicono che il fattore decisivo della rivoluzione socialista è l’elevamento della coscienza della classe operaia che noi comunisti dovremmo compiere in concorrenza impari con l’opera di confusione, diversione e intossicazione della coscienza delle masse, opera a cui la borghesia e il suo clero si dedicano con tutte le risorse di cui le classi dominanti dispongono.

Lenin critica sia i comunisti che aspettano una rivoluzione che le masse dovrebbero fare di loro iniziativa, una rivoluzione che quindi dovrebbe scoppiare, che i comunisti preparerebbero principalmente con la propaganda e promuovendo lotte rivendicative, sia i comunisti che cercano di impadronirsi del potere con colpi di mano (putsch) e, più in generale, che cercano di sostituire l’attività del Partito all’attività delle masse. Egli indica l’attività politica del Partito che promuove l’attività politica della classe operaia come la via maestra, la forma principale della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti: quella che noi oggi sulla scia del maoismo chiamiamo guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.

In particolare Lenin dice che per il Partito la conquista del grosso degli operai “è possibile anche quando la maggioranza del proletariato formalmente segue ancora i capi della borghesia o i capi che fanno una politica borghese (...), o quando la maggioranza del proletariato tentenna. Tale conquista progredisce ininterrottamente e in tutti i modi nel mondo intero. Prepariamola più saldamente e più accuratamente, non lasciamoci sfuggire nessuna occasione seria in cui la borghesia costringe il proletariato a sollevarsi per lottare, impariamo a determinare con esattezza i momenti nei quali le masse del proletariato non possono non insorgere insieme con noi. Allora la vittoria sarà assicurata, per quanto siano ancora dure le singole sconfitte e le singole tappe della nostra grande marcia.”

Le note inserite nel testo tra parentesi quadre in corpo minore, sono della redazione di La Voce.

 

Lenin - Lettera ai comunisti tedeschi

14 agosto 1921

 

Cari compagni,

avevo intenzione di esporre in un articolo particolareggiato la mia opinione sugli insegnamenti del III Congresso dell’Internazionale Comunista [22 giugno - 12 luglio 1921]. Purtroppo, per ragioni di salute, non sono riuscito finora a iniziare questo lavoro. La convocazione del congresso del vostro partito, del Partito comunista unificato tedesco (VKPD), per il 22 agosto, mi costringe a scrivervi in tutta fretta questa lettera che devo finire in poche ore per non ritardarne l’invio in Germania. [Il VKPD fu costituito nel dicembre 1920 al congresso di unificazione tra il Partito comunista tedesco (KPD) e una forte maggioranza del Partito socialdemocratico indipendente (USPD) che nel congresso di Halle (ottobre 1920) aveva rotto con la minoranza centrista (kautskiana) e aveva aderito all’Internazionale Comunista. Al congresso di Jena (agosto 1921) il VKPD riprese il nome di KPD.]

Per quanto posso giudicare, la situazione del partito comunista è in Germania particolarmente difficile. Ciò è del tutto comprensibile.

Anzitutto e soprattutto, la situazione internazionale della Germania, a cominciare dalla fine del 1918, ha aggravato la crisi rivoluzionaria interna in modo straordinariamente rapido e brusco, spingendo l’avanguardia del proletariato verso la conquista immediata del potere. Nello stesso tempo, sia la borghesia tedesca che tutta la borghesia internazionale, bene armate e organizzate, istruite dall’"esperienza russa”, si sono gettate con odio selvaggio sul proletariato rivoluzionario tedesco. Decine di migliaia dei migliori uomini della Germania, dei suoi operai rivoluzionari, sono stati massacrati e torturati dalla borghesia e dai suoi eroi, Noske [Gustav Noske (1868-1946), dirigente del Partito socialdemocratico (SPD), responsabile degli affari militari nel primo governo repubblicano della Germania, comandò le formazioni paramilitari che massacrarono i comunisti, tra cui Karl Liebnecht e Rosa Luxemburg, insorti all’inizio del 1919 contro un’operazione provocatoria del comandante socialdemocratico della polizia di Berlino] e soci, dai suoi servi diretti, Scheidemann [Philipp Scheidemann (1865-1939), dirigente del Partito socialdemocratico (SPD), presidente del primo governo repubblicano della Germania] e soci, dai suoi ausiliari indiretti e “raffinati” (e perciò particolarmente preziosi), i paladini dell’"Internazionale due e mezzo” [associazione dei socialdemocratici tedeschi, francesi e austriaci centristi (kautskiani), costituita a Vienna nel febbraio 1921 e ironicamente chiamata dai comunisti Internazionale due e mezzo, perché pretendeva di essere a metà strada tra la II Internazionale e la Terza Internazionale (l’Internazionale Comunista)], con la loro vile mancanza di carattere, le loro oscillazioni, la loro pedanteria, il loro spirito piccolo-borghese. La borghesia armata tendeva trappole agli operai disarmati, li assassinava in massa, assassinava i loro capi attirandoli sistematicamente in agguati, uno dopo l’altro e sfruttando in pari tempo a meraviglia le urla controrivoluzionarie che si levavano tra i socialdemocratici di  ambedue le tinte: scheidemanniani e kautskiani.

Ma al momento di questa crisi, gli operai tedeschi, a causa del ritardo della scissione, a causa del giogo della maledetta tradizione dell’“unità” con la massa dei lacchè del capitale, quelli venduti (gli Scheidemann, i Legien, i David e soci) e quelli senza carattere (i Kautsky, gli Hilferding e soci), non avevano un partito veramente rivoluzionario. Ogni operaio onesto e cosciente, che aveva preso il manifesto di Basilea del 1912 [con il manifesto di Basilea tutti i partiti socialdemocratici si erano solennemente impegnati a contrastare con la rivoluzione la guerra imperialista incombente] per moneta buona e non per un pezzo di carta firmato per “formalità” dai mascalzoni di categoria “II” e “II e mezzo”, sentiva sorgere in sé un odio incredibilmente acuto contro l’opportunismo della vecchia socialdemocrazia tedesca. Quest’odio - il più nobile, il più grande sentimento dei migliori uomini delle masse oppresse e sfruttate - accecava gli uomini, impediva loro di ragionare freddamente, di elaborare una loro giusta strategia per controbattere l’eccellente strategia dei capitalisti dell’Intesa armati, organizzati, istruiti dall’“esperienza russa”, appoggiati dalla Francia, dall’Inghilterra, dall’America: li spingeva a insurrezioni premature.

Ecco perché, a cominciare dalla fine del 1918, lo sviluppo del movimento operaio rivoluzionario in Germania ha seguito una via particolarmente difficile e dolorosa. Ma esso ha progredito e progredisce costantemente. Il graduale spostamento a sinistra delle masse operaie, della maggioranza effettiva dei lavoratori e degli sfruttati in Germania, organizzati nei vecchi sindacati menscevichi (cioè al servizio della borghesia) o non organizzati affatto o quasi, è un fatto indiscutibile. Non perdere il sangue freddo e il dominio di se stessi, correggere sistematicamente gli errori del passato, procedere ininterrottamente alla conquista della maggioranza delle masse operaie, sia nei sindacati che fuori dei sindacati, organizzare pazientemente un partito comunista forte e intelligente, capace di dirigere veramente le masse quale che sia la piega presa dagli avvenimenti, elaborare una propria strategia che sia al livello della migliore strategia internazionale della borghesia più avanzata e più “istruita” (istruita dalla esperienza secolare in generale e dall’“esperienza russa” in particolare): ecco quello che si deve fare ed ecco quello che farà il proletariato tedesco. Ecco quello che gli assicurerà la vittoria.

D’altra parte, la già difficile situazione del Partito comunista della Germania, nel momento attuale è aggravata ancora più dal distacco dei mediocri comunisti della sinistra (il Partito comunista operaio tedesco, KAPD [costituito nell’aprile 1920 dai comunisti che nel congresso di Heidelberg dell’ottobre 1919 si erano staccati dal KPD accusando la maggioranza di deviare a destra: il KPAD nel giro di pochi anni finì nel nulla come tutti gli altri rivoli staccatisi dal fiume dell’Internazionale Comunista]) e della destra (Paul Levi con il suo giornalucolo: La nostra via o Il Soviet). [Paul Levi (1883-1930) dirigente della SPD, diventato bolscevico in Svizzera durante la Grande Guerra, capo del KPD dal 1919 dopo l’assassinio di K. Liebnecht e Rosa Luxemburg, si dimise nel febbraio 1921 per divergenze con l’IC sulla linea da seguire verso i centristi. Dopo l’“azione di marzo”, quando la repressione militare era ancora in corso, attaccò pubblicamente il VKPD e l’IC accusandoli di putschismo anarchico (tentativo di conquistare il potere con colpi di Stato come proposto dagli anarchici della corrente di Auguste Blanqui). Per questo Levi fu espulso dal Partito. L’“azione di marzo” consistette nel tentativo senza successo fatto dal VKPD nel marzo 1921 di sollevare in armi contro il governo socialdemocratico tedesco la classe operaia proclamando lo sciopero generale contro un’operazione provocatoria montata dal prefetto socialdemocratico della Sassonia ai danni dei minatori del distretto di Mansfeld-Eisleben.]

I “sinistri”, o “k-a-pisti”, nelle istanze internazionali, a cominciare dal II Congresso dell’Internazionale Comunista [luglio-agosto 1920], hanno ricevuto da noi abbastanza avvertimenti. Fino a quando non si saranno organizzati, almeno nei principali paesi, partiti comunisti abbastanza forti, abbastanza esperti, abbastanza influenti, bisognerà tollerare che elementi semianarchici partecipino ai nostri congressi internazionali e, fino a un certo punto, ciò è anche utile. È utile in quanto tali elementi sono un evidente “esempio premonitore” per i comunisti inesperti e, anche, in quanto essi stessi sono ancora in grado di imparare. L’anarchismo si scinde in tutto il mondo - e non da ieri, ma dall’inizio della guerra imperialista del 1914-1918 - in due correnti: la corrente sovietica e la corrente antisovietica, la corrente che è favorevole alla dittatura del proletariato e la corrente che è contro di essa. A questo processo di scissione dell’anarchismo bisogna lasciare il tempo di maturare. Nell’Europa occidentale mancano quasi del tutto uomini che hanno vissuto rivoluzioni  importanti. L’esperienza delle grandi rivoluzioni è quasi completamente dimenticata e il passaggio dal desiderio di essere rivoluzionari e dai discorsi (e dalle risoluzioni) sulla rivoluzione a un effettivo lavoro rivoluzionario, è molto difficile, lento e doloroso.

È tuttavia ovvio che gli elementi semianarchici possono e devono essere tollerati soltanto fino ad un certo punto. In Germania li abbiamo tollerati per molto tempo. Il III Congresso dell’Internazionale Comunista ha presentato loro un ultimatum a scadenza precisa. Se oggi essi sono usciti di loro iniziativa dall’Internazionale Comunista, tanto meglio. In primo luogo, ci hanno risparmiato la pena di espellerli. In secondo luogo, a tutti gli operai tentennanti, a tutti coloro che, per odio contro l’opportunismo della vecchia socialdemocrazia, si sentivano attratti verso l’anarchismo, oggi è dimostrato nel modo più circostanziato e evidente, è provato con dei fatti precisi, che l’Internazionale Comunista è stata paziente, che essa non ha cacciato gli anarchici subito e senza discussioni, ma li ha ascoltati con attenzione e li ha aiutati a istruirsi.

Oggi bisogna prestare minore attenzione ai k-a-pisti. La nostra polemica serve loro soltanto di pubblicità. Essi sono troppo poco intelligenti. Non è giusto prenderli sul serio e non vale la pena di irritarsi con loro. Essi non hanno e non avranno influenza sulle masse se noi stessi non faremo errori. Lasciamo questa minuscola corrente morire di morte naturale: gli operai stessi si renderanno conto della sua inconsistenza. Svolgiamo una propaganda più minuziosa, applichiamo effettivamente le risoluzioni organizzative e tattiche del III Congresso dell’Internazionale Comunista e facciamo meno pubblicità ai k-a-pisti polemizzando con loro. La malattia infantile dell’estremismo passa e passerà a misura che il movimento si sviluppa.

Allo stesso modo, noi aiutiamo a torto Paul Levi. A torto gli facciamo della pubblicità polemizzando con lui. È proprio quello che egli vuole. Dopo la risoluzione del III Congresso dell’Internazionale Comunista bisogna dimenticarsi di lui, bisogna rivolgere tutta la nostra attenzione, tutte le nostre forze a un lavoro sereno (cioè senza intrighi, senza polemiche, senza riandare dalle contese di ieri), a un lavoro fattivo, positivo, ispirato alla risoluzione del nostro III Congresso. Contro questa risoluzione generale e unanime del nostro III Congresso, pecca non poco, a parer mio, l’articolo del compagno Karl Radek Il III Congresso mondiale sull’azione di marzo e sulla tattica futura (pubblicato nell’organo centrale del Partito comunista unificato di Germania Bandiera Rossa del 14 e del 15 luglio 1921). Quest’articolo, che mi è stato inviato da un compagno dei circoli comunisti polacchi, è rivolto - senza nessuna utilità e anzi con un danno diretto per la causa - non soltanto contro Paul Levi (ciò non avrebbe nessuna importanza), ma anche contro Clara Zetkin. Eppure, proprio Clara Zetkin, a Mosca, durante il III Congresso, ha concluso un “trattato di pace” con il Comitato Centrale (Zentrale) del Partito comunista unificato di Germania, per un lavoro concorde, non frazionista! E questo accordo è stato approvato da tutti noi. Il compagno Karl Radek, nella sua inopportuna foga polemica, è giunto a dire una cosa addirittura falsa. Ha attribuito a Clara Zetkin l’idea di “rimandare ogni azione generale del partito fino al giorno in cui le grandi masse si solleveranno”. È chiaro che il compagno Karl Radek, con simili procedimenti, rende a Paul Levi il migliore dei servizi che questi possa desiderare. È proprio quel che vuole Paul Levi: che le discussioni si protraggano indefinitamente, che in queste discussioni sia attratta più gente, che si cerchi di spingere la Zetkin fuori dal partito trasgredendo con polemiche quel “trattato di pace” che essa stessa ha concluso e che è stato approvato da tutta l’Internazionale Comunista. Il compagno Karl Radek, con il suo articolo, ha dato un esempio eccellente del modo come i “sinistri” aiutano Paul Levi.

Devo spiegare qui ai compagni tedeschi perché ho difeso così a lungo Paul Levi al III Congresso. In primo luogo perché ho conosciuto Paul Levi, per mezzo di Radek, in Svizzera nel 1915 o nel 1916. Già allora Levi era bolscevico e io non posso non sentire una certa diffidenza verso coloro che sono venuti al bolscevismo soltanto dopo la nostra vittoria in Russia e dopo una serie di vittorie del bolscevismo in campo internazionale. Ma questa ragione, s’intende, ha un’importanza relativa, poiché, personalmente, Paul Levi lo conosco ben poco. Incomparabilmente più importante era il  secondo motivo; cioè: Paul Levi aveva sostanzialmente ragione in una grande parte della sua critica dell’azione del marzo 1921 in Germania (certo non aveva ragione quando affermava che quest’azione era un “putsch”: quest’affermazione di Levi è una sciocchezza).

È vero che Levi ha fatto il possibile e l’impossibile per indebolire e infirmare la sua critica, per rendere meno accessibile, a sé e agli altri, il fondo della questione, sommergendola in una quantità di minuzie nelle quali egli ha manifestamente torto. Levi ha dato alla sua critica una forma inammissibile e nociva. Egli, che predica agli altri una strategia cauta e ponderata, ha fatto, da parte sua, sciocchezze che neppure un ragazzino farebbe e si è lanciato nella battaglia così anzitempo, così impreparato, in modo così assurdo e selvaggio, da fargli certamente perdere la “battaglia” (e per molti anni ha scombussolato o reso molto difficile il proprio lavoro), mentre questa “battaglia” poteva e doveva essere vinta. Levi si è comportato come un “anarchico intellettuale” (se non erro in tedesco si dice Edelanarchist), invece di comportarsi come un membro organizzato dell’Internazionale Comunista proletaria. Egli ha inoltre commesso un atto di indisciplina.

Con questa serie di errori incredibilmente grossolani, Levi ha impedito che si concentrasse l’attenzione sul fondo del problema. E il fondo del problema, cioè l’apprezzamento e la correzione di molti errori commessi dal Partito comunista unificato di Germania durante l’azione del marzo 1921, aveva e ha un’importanza immensa. Per mettere in chiaro e per correggere questi errori (che certuni, chissà come, consideravano perle di tattica marxista), durante il III Congresso dell’Internazionale Comunista bisognava schierarsi con l’ala destra. Altrimenti l’Internazionale Comunista avrebbe preso una linea sbagliata.

Ho difeso e dovevo difendere Levi in quanto i suoi avversari, che io vedevo davanti a me, non facevano altro che gridare al “menscevismo” e al “centrismo” e non volevano vedere gli errori dell’azione di marzo e la necessità di metterli in chiaro e di correggerli. Uomini siffatti riducevano il marxismo rivoluzionario a una caricatura, la lotta contro il “centrismo” a un ridicolo sport. Uomini siffatti minacciavano di portare un grandissimo danno a tutta la causa perché “nessuno al mondo è in grado di compromettere i marxisti rivoluzionari se non si compromettono loro stessi”.

Io dicevo a questi uomini: ammettiamo che Levi sia diventato menscevico. Se me lo dimostrate, io, che personalmente lo conosco poco, non m’impunterò, ma finora ciò non è stato dimostrato. Finora è soltanto dimostrato che Levi ha perso la testa. Affermare per questa sola ragione che un uomo è diventato menscevico è una sciocchezza puerile. La formazione di capi di partito esperti e molto influenti è cosa lunga, difficile. E senza di ciò la dittatura del proletariato e “l’unità di intenti” rimarranno vuote frasi. Da noi, in Russia, la formazione di un gruppo di dirigenti è durata quindici anni (1903-1917), quindici anni di lotta contro il menscevismo, quindici anni di persecuzioni da parte dello zarismo, quindici anni, tra i quali gli anni della prima, grande e possente rivoluzione del 1905. E, ciò nonostante, vi sono stati da noi casi penosi di compagni eccellenti che hanno “perso la testa” [Lenin si riferisce a molteplici casi, in particolare all’azione proditoria di Kamenev e Zinoviev nell’Ottobre 1917]. Se i compagni dell’Europa occidentale immaginano di essere garantiti contro “casi penosi” di questo genere, non si può non lottare contro una simile puerilità.

Levi doveva essere espulso per violazione della disciplina. La tattica però doveva essere determinata in base a un’analisi molto particolareggiata e alla correzione degli errori commessi nel corso dell’azione del marzo 1921. Se dopo di ciò Levi si fosse comportato come prima, egli avrebbe confermato che la sua espulsione era giusta e l’assoluta giustezza delle risoluzioni del III Congresso su Paul Levi avrebbe avuto una dimostrazione tanto più efficace, più persuasiva per gli operai esitanti e incerti.

E quanto più ero cauto nel valutare al congresso gli errori di Levi, tanto più sicuramente ora posso affermare che Levi si è affrettato a confermare le peggiori supposizioni. Ho davanti a me il n. 6 del suo giornalucolo: La nostra via (del 15 luglio 1921). Dalla dichiarazione della redazione, stampata in testa al giornale, risulta che le risoluzioni del III Congresso sono note a Paul Levi. Qual è la sua risposta a queste risoluzioni? Povere parole mensceviche sulla “grande  scomunica”, sul “diritto canonico”, sul suo proposito di “esaminare” queste risoluzioni “in piena libertà”. Quale libertà può dunque essere più completa, dal momento che un uomo è liberato dall’appellativo di membro del partito e di membro dell’Internazionale Comunista! Mentre i membri del partito, vedete un po’, scriverebbero per Levi ma anonimamente!

Dapprima si gioca un brutto tiro al partito, lo si colpisce alle spalle, si rovina il suo lavoro. Solo dopo si discute la sostanza delle risoluzioni del congresso. È magnifico!

Ma è proprio in questo modo che Levi si uccide definitivamente.

Paul Levi vorrebbe prolungare la disputa. Sarebbe un grandissimo errore strategico soddisfare questo desiderio. Io consiglierei i compagni tedeschi di proibire la polemica con Levi e con il suo giornalucolo sulla stampa quotidiana del partito. Non bisogna fargli pubblicità. Non bisogna permettergli di distogliere dalle cose importanti l’attenzione del partito che lotta, per concentrarla su cose senza importanza. Nei casi di estrema necessità, bisogna condurre la polemica sui giornali settimanali, mensili o per mezzo di opuscoli e, nella misura del possibile, non procurare agli uomini del partito operaio comunista [KAPD] e a Paul Levi la soddisfazione di essere designati per nome, ma parlare semplicemente di “alcuni critici non molto intelligenti i quali vogliono assolutamente considerarsi comunisti”.

Mi comunicano che all’ultima riunione del Comitato centrale allargato (Ausschuss) persino Friesland, che fa parte della sinistra, è stato costretto a pronunciarsi aspramente contro Maslow che giuoca all’estremismo e vuole esercitarsi nello sport della “caccia ai centristi”. L’irragionevolezza (per parlare gentilmente) della condotta di questo Maslow si è mostrata anche qui a Mosca. In verità, il partito tedesco dovrebbe mandare per un paio d’anni nella Russia sovietica Maslow e due o tre dei suoi seguaci e commilitoni, che dimostrano chiaramente di non voler osservare il “trattato di pace” e che si danno da fare oltre misura. Noi troveremmo loro del lavoro utile. Li trasformeremmo. E l’utilità per il movimento internazionale e per quello tedesco sarebbe evidente.

I comunisti tedeschi debbono troncare, a qualunque costo, la rissa intestina; devono allontanare gli elementi rissosi delle due parti, dimenticare Paul Levi e i k-a-pisti, e lavorare sul serio. E di lavoro da fare ce n’è molto.

 

Le risoluzioni del III Congresso dell’Internazionale Comunista sulla tattica e sulle questioni organizzative [di questa ultima risoluzione, sulle questioni organizzative, Lenin più tardi, nel IV Congresso dell’IC (1922), dirà - vedasi Cinque anni di rivoluzione russa - che è tutta giusta, ma del tutto inadatta per i partiti comunisti dei paesi imperialisti d’Europa e d’America] segnano, secondo me, un grande passo avanti del movimento. Bisogna tendere tutte le forze per applicare effettivamente queste due risoluzioni. Ciò è difficile. Ma può e deve essere fatto.

Per prima cosa, i comunisti dovevano proclamare davanti al mondo intero i loro principi. Ciò è stato fatto al I Congresso dell’Internazionale Comunista (1919). È stato il primo passo.

Il secondo passo è stata la costituzione organizzativa dell’Internazionale Comunista e l’elaborazione delle condizioni di ammissione all’Internazionale stessa, le quali esigono la separazione effettiva dai centristi, dagli agenti diretti o indiretti della borghesia in seno al movimento operaio. Ciò è stato fatta al II Congresso dell’IC (1920).

Al III Congresso dell’IC si doveva iniziare un lavoro costruttivo, determinare concretamente - tenendo conto dell’esperienza pratica della lotta comunista già iniziata - come precisamente, dal punto di vista della tattica e dell’organizzazione, bisognava proseguire il lavoro. E noi abbiamo fatto anche questo terzo passo. Abbiamo un esercito di comunisti in tutto il mondo. Esso è ancora male istruito, male organizzato. Dimenticare questa verità, o aver paura di riconoscerla, sarebbe di grandissimo danno alla nostra causa. Bisogna esercitare su se stessi il controllo più attento e severo, studiare l’esperienza del proprio movimento, lavorare attivamente per educare quest’esercito come si deve, per organizzarlo come si deve, addestrarlo a ogni specie di manovre, in combattimenti diversi, in operazioni offensive e difensive. Senza questa scuola lunga e difficile, non è possibile vincere.

Nell’estate 1921 il “nodo” della situazione nel movimento comunista internazionale consisteva nel fatto che alcune tra  le migliori e più autorevoli sezioni dell’Internazionale Comunista non avevano capito questo problema in modo del tutto giusto, avevano esagerato un tantino la “lotta contro il centrismo”, avevano oltrepassato un tantino il limite oltre il quale questa lotta si trasforma in uno sport, il limite oltre il quale s’incomincia a compromettere il marxismo rivoluzionario.

Questo era il “nodo” del III Congresso.

L’esagerazione non era grande. Ma il pericolo da essa rappresentato era immenso. Lottare contro questa esagerazione era difficile poiché essa era opera degli elementi migliori, che sono effettivamente i più devoti, senza i quali, forse, non esisterebbe neppure l’Internazionale Comunista. Negli emendamenti alle tesi sulla tattica, pubblicati [gli emendamenti] nel giornale Mosca, in tedesco, in francese e in inglese, con la firma della delegazione tedesca, austriaca e italiana, questa esagerazione si è manifestata in modo del tutto preciso, tanto più preciso in quanto gli emendamenti si riferivano a un progetto di risoluzione già terminato (dopo un lavoro di preparazione lungo e multilaterale). Respingendo quegli emendamenti si è raddrizzata la linea dell’Internazionale Comunista, si è riportata una vittoria sul pericolo dell’esagerazione.

E l’esagerazione, se non fosse stata corretta, avrebbe certamente rovinato l’Internazionale Comunista. Perché “nessuno al mondo è in grado di compromettere i marxisti rivoluzionari se non si compromettono essi stessi”. Nessuno al mondo può impedire la vittoria dei comunisti sulla II Internazionale e sull’Internazionale due e mezzo (e, nelle condizioni dell’Europa occidentale e dell’America del secolo XX, dopo la prima guerra imperialista, ciò significa la vittoria sulla borghesia) se gli stessi comunisti non l’impediranno.

Ed esagerare, anche soltanto un tantino, significa appunto impedire la vittoria.

Esagerare la lotta contro il centrismo vuol dire salvare il centrismo, consolidare la sua posizione, la sua influenza sugli operai.

Noi abbiamo imparato a condurre, su scala internazionale, una lotta vittoriosa contro il centrismo nel periodo che va dal II al III Congresso dell’Internazionale Comunista. Ciò è dimostrato dai fatti. Continueremo questa lotta (espulsione di Levi e del partito di Serrati) fino alla fine.

Ma non abbiamo ancora imparato a condurre, su scala internazionale, la lotta contro le esagerazioni della lotta contro il centrismo. Abbiamo tuttavia capito questo nostro difetto, come dimostrano l’andamento e l’esito del III Congresso. E appunto perché abbiamo riconosciuto il nostro difetto, ce ne sbarazzeremo.

E allora saremo invincibili, giacché la borghesia dell’Europa occidentale e dell’America, se non avrà un appoggio in seno allo stesso proletariato (attraverso gli agenti borghesi della II Internazionale e dell’Internazionale due e mezzo), non sarà in grado di conservare il potere.

Una preparazione più accurata, più seria per nuovi combattimenti sempre più decisivi, tanto difensivi quanto offensivi: ecco quello che è essenziale e fondamentale nelle risoluzioni del III Congresso.

Tali sono i punti essenzialissimi della risoluzione del III Congresso sulla tattica.

“... Il comunismo diventerà in Italia un’attiva forza di massa se il Partito comunista italiano lotterà senza tregua, inflessibilmente contro la politica opportunista di Serrati e avrà, nello stesso tempo, uno stretto legame con le masse proletarie nei sindacati, durante gli scioperi, nella lotta contro il movimento controrivoluzionario dei fascisti, se esso unificherà le azioni di massa della classe operaia e trasformerà le esplosioni spontanee in combattimenti accuratamente preparati...”

“...Il Partito comunista unificato della Germania saprà tanto meglio condurre le azioni di massa quanto più adatterà le sue parole d’ordine di lotta alla situazione reale, quanto più accuratamente studierà la situazione e quanto più queste azioni saranno concordi e disciplinate...”

 

 La conquista della maggioranza del proletariato da parte nostra “è il compito principale” (titolo del § 3 della risoluzione sulla tattica).

La conquista della maggioranza non è certamente intesa da noi in modo formale come la intendono i paladini d’ella “democrazia” filistea dell’Internazionale due e mezzo. Quando nel luglio 1921, a Roma, tutto il proletariato - il proletariato riformista dei sindacati e il proletariato centrista del partito di Serrati - ha seguito i comunisti contro i fascisti, è avvenuta la conquista della maggioranza della classe operaia da parte nostra [Probabilmente Lenin si riferisce alla lotta degli Arditi del popolo contro i fascisti che nel luglio 1921 raggiunse grandi risultati, tra cui la vittoria di Sarzana del 21 luglio: fino al divieto diffuso il 7 agosto 1921 dal Comitato Esecutivo del PCd’I i comunisti erano parte decisiva degli Arditi del popolo e trascinavano socialisti, anarchici e senza partito].

Eravamo ancora lontani, ben lontani dalla conquista decisiva; si trattava soltanto di una conquista parziale, momentanea, locale. Ma era la conquista della maggioranza. Tale conquista è possibile anche quando la maggioranza del proletariato formalmente segue ancora i capi della borghesia o i capi che fanno una politica borghese (come tutti i capi della II Internazionale e dell’Internazionale due e mezzo), o quando la maggioranza del proletariato tentenna. Tale conquista progredisce ininterrottamente e in tutti i modi nel mondo intero. Prepariamola più saldamente e più accuratamente, non lasciamoci sfuggire nessuna occasione seria in cui la borghesia costringa il proletariato a sollevarsi per lottare, impariamo a determinare con esattezza i momenti nei quali le masse del proletariato non possono non insorgere insieme con noi.

Allora la vittoria sarà assicurata, per quanto siano ancora dure le singole sconfitte e le singole tappe della nostra grande marcia. I nostri metodi tattici e strategici sono ancora inferiori (guardando le cose sul piano internazionale) all’eccellente strategia della borghesia, la quale ha imparato dall’esempio della Russia e non si lascerà “cogliere di sorpresa”. Ma forze maggiori, immensamente maggiori, sono con noi; noi studiamo la tattica e la strategia; noi abbiamo fatto progredire questa “scienza” in base all’esperienza degli errori commessi durante l’insurrezione del marzo 1921. Noi ci impadroniremo completamente di questa “scienza”.

I nostri partiti - nella stragrande maggioranza dei paesi - sono ancora lontani, molto lontani dall’essere quel che dovrebbero essere, dei veri partiti comunisti, delle vere avanguardie della classe effettivamente rivoluzionaria, dell’unica classe rivoluzionaria; dall’essere, cioè, dei partiti i cui membri partecipano tutti alla lotta, al movimento, alla vita quotidiana delle masse. Ma noi conosciamo questo nostro difetto e lo abbiamo messo in piena luce nella risoluzione del III Congresso sul lavoro del partito. E lo correggeremo.

Compagni comunisti tedeschi, permettetemi di concludere con l’augurio che il congresso del vostro partito, del 22 agosto 1921, metta fine per sempre e con mano ferma alla meschina lotta contro chi ha deviato a destra o a sinistra. Basta con le lotte interne di partito! Abbasso chiunque vorrà ancora protrarle direttamente o indirettamente! Oggi conosciamo i nostri compiti in modo più chiaro, più concreto, più evidente di ieri. Non abbiamo paura di denunciare i nostri errori per correggerli. Consacreremo ormai tutte le forze del partito a una migliore organizzazione, a un miglioramento della qualità e del contenuto del suo lavoro, alla creazione di un legame più stretto con le masse, all’elaborazione di una tattica e di una strategia della classe operaia sempre più giuste e più precise.

Saluti comunisti. N. Lenin