Ritorna all'indice dei contributi al DFA
(n)PCI (nuovo)Partito comunista italiano

   Comitato Centrale
                        Sito: http://www.nuovopci.it
                        e.mail: lavocenpci40@yahoo.com

    Delegazione
                        BP3  4, rue Lénine   93451 L'Île St Denis (Francia)
                        e.mail: delegazionecpnpci@yahoo.it

Avviso ai naviganti n. 3
Presentazione di La Voce 39

Scaricate le istruzioni per utilizzare il sistema di criptazione PGP e TOR


Avviso ai naviganti 4

15.12.2011

(versione Word dell'avviso ai naviganti)

Sotto forma di lettera aperta a Paolo Brini, membro del CC della Fiom Cgil

  

Dal sito della Rete 28 aprile ho raccolto e letto con piacere il tuo articolo Fiom: contro il regime di Marchionne, costruiamo la nostra lotta partigiana! di cui raccomando la lettura: per questo lo trascrivo in appendice a queste mie poche righe. Sottopongo a te e agli altri lettori di questa lettera aperta, due questioni e due domande.

 

1. Tu dici: “... come rilevato da alcuni compagni, attualmente la combattività operaia nel gruppo Fiat non è quella che servirebbe.” Credo che la stessa cosa potresti dirla per molti altri settori delle masse operaie e popolari.

La scarsa combattività delle masse è spesso, in circostanze e ambienti diversi, addotta come motivo che giustifica l’abbandono della lotta o la sconfitta. È ovvio che per condurre la lotta contro i padroni e il loro Stato, occorre che le masse lottino. Non sono le operazioni commando che risolvono una guerra: le operazioni commando possono avere solo un ruolo ausiliario e complementare. Ma io chiedo: da dove viene la combattività delle masse? Come si suscita, si incoraggia, si alimenta la combattività delle masse? O all’opposto: come si smorza, si deprime, si soffoca la combattività delle masse? Solo rispondendo a queste domande in modo soddisfacente risolviamo il problema che ci sta di fronte. Poco importa discutere se le masse sono più o meno combattive. Se le organizzazioni che ci sono, se i dirigenti che ci sono disperdono e sterilizzano l’attività delle masse, se scoraggiano e seminano disfattismo e pessimismo, se le masse sono combattive finiranno per esserlo meno. Ma direi di più. I dirigenti non sono a fianco delle masse: devono essere alla testa. Se le organizzazioni che ci sono e i dirigenti che ci sono non elaborano piani realistici e buoni, se non mobilitano le forze di cui dispongono in lotte vincenti, se non si danno i mezzi della propria politica, mai e poi mai susciteranno e tanto meno alimenteranno la combattività delle masse. Finiranno per smorzare anche quella che c’è. Da dove nasce la combattività delle masse? Cade forse dal cielo? È l’effetto di combinazioni astrali? O si sviluppa perché nel mezzo di condizioni intollerabili di oppressione e di sfruttamento gruppi e individui d’avanguardia elaborano un’analisi e una linea giuste, sulla base di esse raccolgono le forze disponibili e le guidano in lotte che hanno come obiettivo la mobilitazione e la raccolta delle forze e sulla base delle forze raccolte e dei risultati ottenuti rilanciano una lotta di livello superiore?

Della combattività delle masse va chiesto ragione ai dirigenti, non alle masse. Oggi è il primo problema che deve porsi il CC della Fiom e, nel CC della Fiom Cgil, gli esponenti della sinistra. La storia dei paesi imperialisti negli ultimi 150 anni è zeppa di individui che, parlando della esperienza loro o dell’esperienza di altri, concludono che le  masse popolari (la classe operaia) non hanno fatto la rivoluzione perché le masse erano poco combattive. Noi del (nuovo) PCI rispondiamo che il principale motivo reale per cui le masse popolari non hanno fatto la rivoluzione socialista è il livello inadeguato dei partiti comunisti. Uno degli aspetti di questa inadeguatezza è il livello morale e intellettuale dei dirigenti. La coscienza necessaria a promuovere e dirigere la rivoluzione socialista non è insegnata nelle scuole e non è patrimonio comune. A un certo livello di conoscenza delle cose ci si arriva solo se si ha la volontà di lottare e si lotta con decisione: quindi il risultato intellettuale (la profondità della comprensione, della conoscenza) dipende dalla morale, dal comportamento e dalla volontà. Chi non cerca, chi è indolente, chi si accontenta dei minuti piaceri della vita animale che pur esistono in quanto siamo certamente anche animali, non approfondisce la conoscenza della realtà. In definitiva nelle società imperialiste i dirigenti hanno condizioni di vita migliore della parte più sfruttata delle masse popolari e meno male! Ma come usano dei loro privilegi intellettuali, morali ed economici? Perché le masse siano combattive, perché la combattività delle masse non si esaurisca, bisogna che le masse abbiano dirigenti e organismi capaci di indicare una linea giusta, che le masse abbiano dirigenti capaci di organizzarle e dirigerle in modo da vincere, dirigenti (individui e organismi) che si diano i mezzi della propria politica. La scarsa combattività delle masse è un allarme per i dirigenti. Deve essere un motivo di autocritica per i dirigenti, deve spingere gli elementi d’avanguardia a unirsi su una linea e in un’organizzazione per poter dirigere le masse in modo da crescere e vincere, partendo dal livello a cui sono. Da qui deve partire chi vuole risalire la china: dal bilancio della propria attività, dall’analisi della situazione, dalla linea politica e dalla dedizione dei dirigenti alla causa.

Per vincere, un esercito deve anzitutto avere un comando che vuole vincere e capace di fare la guerra. Senza questo, anche l’esercito più combattivo, prima o poi si sbanda o viene fatto a pezzi.

Come la FIOM guida oggi i nuclei più combattivi degli operai? Li guida a vincere o lascia che si isolino e si esauriscano?

 

2. Seconda questione. Scrivi: “riteniamo non più rinviabile l'elaborazione di una linea strategica complessiva sul futuro dell'industria dell'auto e della Fiat (Auto e Industrial) nel nostro paese. Una proposta da utilizzare come strumento per creare coscienza, dibattito, consapevolezza tra i lavoratori ma anche nel resto della società. Una proposta che veda nella difesa senza quartiere, fino all'occupazione, degli stabilimenti dalla minaccia di delocalizzazione e che contrapponga all'idea del “lavorare di più in meno” avanzata da Marchionne quella del “lavorare meno, lavorare tutti”. Una proposta che all'agonizzare senza futuro e prospettive della maggior parte degli stabilimenti (a partire da Maserati, ma anche Pomigliano, Mirafiori, ecc.) contrapponga l'esproprio e la nazionalizzazione sotto controllo dei lavoratori come unica via per far prevalere le ragioni dei lavoratori e della collettività su quelle del mercato.”

Non è questa proposta un esempio di proposta campata in aria, di creare un corpo senza gambe? Ogni lavoratore di buon senso obietterà che per attuare una politica industriale ci vuole anzitutto un governo che la voglia attuare, che la politica industriale è questione che si può attuare e quindi che ha senso elaborare se si assicurano, almeno a livello di paese, le condizioni per una economia pianificata. Che la linea industriale di un settore, è realistica solo se combinata con la linea industriale e con un piano economico che riguarda almeno tutto il paese e tiene conto delle condizioni economiche e ambientali generali. Che ha senso solo se si propone anche di creare le condizioni politiche per attuarla.

Serve produrre più auto oggi in Italia se non si vendono? Se anche elaborasse un bel piano di produzione auto,  cosa se ne farebbe la Fiom se non si pone con successo il compito di instaurare un governo che lo voglia attuare? Si pone la Fiom tale compito? Come e con chi? È della produzione di auto o del governo del paese che devono oggi occuparsi gli operai del settore auto?

 

Queste sono questioni a cui oggi deve rispondere chi vuole uscire dal pantano in cui siamo. In particolare chi è preoccupato della combattività delle masse. Se le masse dei lavoratori potessero organizzarsi, mobilitarsi e combattere senza organizzazioni e senza dirigenti, che ci starebbero a fare organizzazioni e dirigenti?

Le risposte a queste domande sono indispensabili a ognuno dei destinatari di questa lettera, quindi anche a te. Conto quindi di riceverle e porgo cordiali saluti.

 

Giuseppe Maj

redattore di La Voce e membro del CC del (nuovo) Partito comunista italiano

lavocenpci40@yahoo.com - http://www.nuovopci.it

 

Appendice

Fiom: contro il regime di Marchionne, costruiamo la nostra lotta partigiana!

Mercoledì 7 dicembre 2011

di Paolo Brini (Comitato centrale Fiom Cgil)

 

La scelta della Fiat di disdettare i contratti, nazionale ed aziendali, applicati nei propri stabilimenti a partire dal 1 gennaio 2012 e sostituirli con l'estensione a tutti i dipendenti dell'accordo di Pomigliano ha una portata epocale. Con questa decisione, come più volte spiegato negli scorsi mesi, non solo si peggiorano pesantemente le condizioni di lavoro, ma vengono cancellati diritti fondamentali come quello di sciopero e di libera iscrizione al sindacato. Dal primo gennaio 2012, la Fiom, assieme a tutti i sindacati che non hanno firmato quell'accordo, non potrà più essere rappresentata in FIAT. Non ci saranno più delegati sindacali, non ci saranno più agibilità (permessi sindacali ecc), saranno cancellate le iscrizioni (11mila 500 per la sola Fiom) e le relative trattenute sindacali.

Data la velocità con cui si stanno susseguendo gli avvenimenti è probabile che alla fine dell'anno prossimo non ci troveremo con due contratti nazionali, quello del gruppo Fiat e quello del resto dei metalmeccanici. Ci troveremo con la più grande multinazionale italiana che imporrà il nuovo contratto nazionale a tutta la categoria e, di conseguenza, a tutto il mondo del lavoro. Non a caso sta prendendo piede l'ipotesi che l'accordo Fiat duri solo fino a fine 2012, data di scadenza anche del contratto nazionale separato di Fim e Uilm. Le ultime dichiarazioni di elogio alle scelte operate dalla Fiat da parte di Bombassei, vice presidente di Confindustria, stanno ad indicare che quello è l'obiettivo. Deve passare ovunque il concetto che o sei un sindacato filo-aziendalista o non hai diritto di esistere ed essere riconosciuto.

 

È necessaria una discussione approfondita in Fiom

 

La Fiom si trova ora in una situazione senza precedenti. Dal dopoguerra, nemmeno negli anni più difficili, come dopo la sconfitta alle elezioni per le commissioni interne a Mirafiori del 1955, il sindacato più forte e rappresentativo delle tute blu era stato escluso fisicamente dal Lingotto. Questo contesto pone non solo noi della Fiom, ma il movimento operaio tutto, di fronte all'interrogativo storicamente più complicato: "Che fare?".

Se da un lato non ci sono dubbi che la linea generale del "No all'accordo di Pomigliano" deve essere confermata e rafforzata, dall'altro le nuove condizioni in cui ci troveremo impongono una discussione complessiva per capire  come declinare concretamente la nostra battaglia.

Gli ultimi due Comitati Centrali della Fiom hanno visto un abbozzo iniziale di questa discussione che ci si è presi l'impegno di fare in maniera più organica nei primi mesi dell'anno prossimo.

La sola posizione già cristallizzata è quella della Cgil e dalla minoranza interna Fiom del compagno Fausto Durante, che brandisce il 28 giugno come strumento per proporre alla multinazionale di Torino e a Fim e Uilm una soluzione allo scontro a cui da tempo assistiamo. Una soluzione che assicura la non esclusione della Fiom dagli stabilimenti, ma garantisce in cambio il rispetto delle clausole di responsabilità previste nel 28 Giugno.  Dunque una soluzione assolutamente inaccettabile.

Nel resto della Fiom l'unico elemento su cui nessuno ha dubbi è che da un lato non possiamo accettare il ricatto impostoci da Fiat, ovvero lo scambio tra rappresentanza e governabilità, cioè limitazione al diritto di sciopero. Il punto ora è capire “che fare?”.

 

Organizziamo la nostra lotta partigiana!

 

Se, come rilevato da alcuni compagni, attualmente la combattività operaia nel gruppo Fiat non è quella che servirebbe. Se ad oggi l'appoggio ottenuto dalla Fiom si è limitato, per lo più (ma con eccezioni e controtendenze come gli scioperi di questi giorni alla Ferrari - Modena), ad un sostegno passivo, ad un “consenso” che non si è tradotto in una sufficiente capacità di lotta, allora proprio questo deve essere il fulcro, non più eludibile, della nostra discussione. Come costruiamo i rapporti di forza negli stabilimenti per battere Marchionne?

Siamo consapevoli che tra i lavoratori Fiat in questa fase, assieme alla rabbia, convivono paura e disorientamento. Questo è vero sia negli stabilimenti in crisi e afflitti dalla cassa integrazione, sia in quelli che lavorano a pieno regime. Tuttavia crediamo si debbano tener presente anche le contraddizioni che l'accordo Fiat creerà. Il peggioramento devastante delle condizioni di vita e di lavoro porteranno la situazione a divenire intollerabile nel giro di non molto tempo, generando un contesto di rabbia diffusa ed esplosiva. A questo si deve aggiungere che anche la situazione sociale complessiva del nostro paese, ben sintetizzata dal successo enorme della manifestazione del 15 ottobre 2011, necessariamente avrà un impatto sui lavoratori Fiat.

Per questo la discussione da fare non è solo nel gruppo dirigente, ma soprattutto con i nostri delegati e militanti, che vivono quotidianamente e conoscono nel profondo la realtà delle proprie fabbriche.

È centrale, innanzitutto, che il coordinamento nazionale del Gruppo Fiat assuma caratteristiche più strutturate e periodiche. Un luogo in cui la nostra base contribuisca fin dalla fase di elaborazione alla costruzione della nostra controffensiva. Coordinamenti di uguale natura dovrebbero costituirsi in tutti quei territori in cui sono presenti più stabilimenti del gruppo. Da questo punto di vista la campagna “Io voglio la Fiom in Fiat” lanciata all'ultimo Comitato Centrale per raccogliere sottoscrizioni in sostegno delle lotte da fare, può senz'altro rappresentare una prima occasione per coinvolgere i tanti militanti, giovani, studenti, scesi in piazza fin dal 16 ottobre del 2010 contro la Fiat.

Per parte nostra, in queste poche righe, vorremmo dare il nostro modesto contributo alla discussione avanzando alcune proposte. Due ci paiono i piani su cui è necessario strutturare l'azione della Fiom.

Per prima cosa riteniamo non più rinviabile l'elaborazione di una linea strategica complessiva sul futuro dell'industria dell'auto e della Fiat (Auto e Industrial) nel nostro paese. Una proposta da utilizzare come strumento per creare coscienza, dibattito, consapevolezza tra i lavoratori ma anche nel resto della società. Una proposta che veda nella difesa senza quartiere, fino all'occupazione, degli stabilimenti dalla minaccia di  delocalizzazione e che contrapponga all'idea del “lavorare di più in meno” avanzata da Marchionne quella del “lavorare meno, lavorare tutti”. Una proposta che all'agonizzare senza futuro e prospettive della maggior parte degli stabilimenti (a partire da Maserati, ma anche Pomigliano, Mirafiori, ecc.) contrapponga l'esproprio e la nazionalizzazione sotto controllo dei lavoratori come unica via per far prevalere le ragioni dei lavoratori e della collettività su quelle del mercato.

In secondo luogo dobbiamo portar avanti l'iniziativa politico-sindacale diretta, quotidiana. A tal fine riteniamo necessario coinvolgere tutti i lavoratori e militanti disponibili fin da ora. Organizzare l'iniziativa della Fiom, dentro e fuori la fabbrica, attraverso la costituzione dei comitati degli iscritti e simpatizzanti, e/o dei cassintegrati. Puntare a costruire iniziative in fabbrica (di lotta, di propaganda, ecc. a seconda delle condizioni concrete) là dove si lavora e costruire iniziative più di impatto e visibilità generale là dove per lo più si è in cassa integrazione. In poche parole, utilizzare tutti gli strumenti e percorrere tutte le strade che si ritengono opportune per tenere il più alto possibile la tensione e la conflittualità in Fiat: in ogni stabilimento, in ogni territorio. Dobbiamo basarci sulla nostra forza e risorsa più grande, la militanza attiva e diretta dei nostri compagni di base. Coscienti del fatto che dal primo gennaio 2012 non avremo più le RSU, non ci saranno più permessi sindacali né agibilità che consentano un rapporto diretto ed immediato con i lavoratori sulle linee.  Consapevoli che, proprio per questo, i nostri compagni saranno costretti a svolgere una attività per lo più “clandestina”. Per questo, con una buona dose di sfrontatezza, ci permettiamo di parlare di “lotta partigiana”. Quella medesima voglia di libertà e giustizia che mosse allora i nostri nonni  deve oggi farci portare avanti con forza e determinazione questa nostra battaglia campale.

6 dicembre 2011