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(n)PCI (nuovo)Partito comunista italiano

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Avviso ai naviganti n. 10
I comunisti e la sinistra borghese

A proposito dell’iniziativa Cambiare si può!

6.12.2012

In occasione dell’Assemblea nazionale dei delegati dei lavoratori della FIOM

Ai comunisti!
Agli operai avanzati!

Comunicato CC - 8 gennaio 2013

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Avviso ai naviganti 11

21.01.2013 - anniversario della fondazione in Italia del primo Partito comunista

(Scaricate il testo in versione PDF o Word)

 

 

La comunità internazionale dei gruppi imperialisti americani, europei e sionisti opprime e terrorizza tutta l’umanità. Con la forza e con l’inganno essa prolunga l’esistenza del sistema imperialista mondiale. Lo stesso sistema di relazioni sociali e di relazioni internazionali che riduce alla miseria e alla disperazione una parte crescente delle masse popolari dei paesi imperialisti e sconvolge la vita e distrugge ogni prospettiva di attività dignitosa e creatrice anche di quella parte della popolazione che non ha già ridotto alla disperazione e alla miseria, lo stesso sistema mette i paesi più ricchi e progrediti del mondo in guerra contro un numero crescente di paesi. La guerra di sterminio non dichiarata che da più di trenta anni la borghesia imperialista conduce contro le masse popolari in ogni angolo del mondo, in un numero crescente di paesi si è già trasformata in guerra aperta. L’invasione del Mali scatenata dal governo francese è l’ultimo episodio che si è aggiunto alla guerra che da quasi un anno la NATO conduce in Siria e all’occupazione della Palestina.

La campagna elettorale in corso nel nostro paese ci offre la possibilità, quasi ci obbliga a fare il punto sul disastro economico, ambientale, intellettuale e morale in cui sprofondiamo ogni giorno un po’ più e sulla rinascita del movimento comunista in Italia. Solo persone credulone o sciocche pensano che i risultati della campagna elettorale indetta dai vertici della Repubblica Pontificia cambieranno il corso delle cose e credono alle promesse di quelli che si candidano a governare per loro conto.

 

La situazione è complessa? È impossibile venirne a capo?

No! È solo che molti che pur sinceramente si dicono comunisti cercano di capirla senza usare gli strumenti necessari!

Molti addirittura vorrebbero trasformarla senza conoscerla!

 

A prima vista la situazione sembra estremamente complessa nel nostro paese e nel mondo. Paesi, classi e gruppi sociali hanno interessi contrapposti. Effettivamente le relazioni proprie della società borghese dividono la popolazione in classi che hanno interessi antagonisti e contrappongono l’uno all’altro paesi che il modo di produzione capitalista stesso ha d’altra parte strettamente legato tra loro. Non solo, ma contrappongono l’una all’altra le varie parti della stessa classe, arrivano fino a contrapporre l’uno all’altro gli individui e addirittura a creare in uno stesso individuo interessi contrastanti e a spingerlo a condotte contrastanti, veri e propri dilemmi. Dilemmi a cui sembra che non si possa sfuggire. Basta pensare a un operaio dell’ILVA di Taranto: ha bisogno che l’ILVA funzioni per avere un salario e ha bisogno che l’ILVA cessi di funzionare per non essere avvelenato.

In effetti è possibile sfuggirvi solo se si passa dal considerare gli interessi contrapposti delle parti, degli individui e nello stesso individuo, al considerare la società in cui quegli interessi si generano, esistono e si contrappongono. Il contesto è la società borghese giunta al più alto grado dello sviluppo a cui per sua natura poteva giungere.

 Ma la società borghese né è eterna né è caduta dal cielo. L’hanno costruita gli uomini e gli uomini possono cambiarla. Ma non è possibile cambiarla a nostro arbitrio. La società borghese ha in sé non solo le contraddizioni che esigono che si trasformi, ma anche i presupposti della società comunista che le succederà, i presupposti che i fondatori del movimento comunista hanno scoperto e illustrato. Tuttavia gli avvenimenti degli ultimi 150 anni hanno dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che “la rivoluzione socialista non scoppia”. Per cambiare la società borghese, dobbiamo comprendere la sua natura e il suo funzionamento. Come per altre cose, anche per la società borghese per comprenderne la natura e il funzionamento bisogna scomporla con il pensiero nelle sue parti costitutive elementari, studiare le relazioni che sussistono tra esse e la storia che ha generato le loro forme attuali. Quindi ricomporle in modo da ricostruire nella nostra mente una sua immagine adeguata a guidare l’attività per trasformarla.

Chi conosce la natura e il funzionamento della società borghese, può dirigere la sua trasformazione. Invece chi agisce d’istinto, chi resta alla sua superficie, chi si accontenta dei fenomeni e delle sensazioni, chi agisce sotto l’impulso dell’impressione che l’esperienza diretta produce in lui, in breve chi non arriva a una conoscenza scientifica della società borghese, difficilmente e solo per un caso fortunato riesce a trasformarla. Al contrario, se conosciamo la natura e il funzionamento della società tali quali sono, con i presupposti, le potenzialità e necessità che le sono propri, diventa del tutto possibile trasformabile.

Non a caso Marx ed Engels, nel Manifesto del partito comunista (1848) per indicare sinteticamente chi sono i comunisti, hanno detto che i comunisti sono quelli che hanno una comprensione più avanzata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe che si svolge nella società borghese e che su questa base spingono sempre in avanti la lotta del proletariato per instaurare il socialismo.

Gli esponenti della sinistra borghese, gran parte dei filosofi, dei sociologi, degli economisti e degli altri intellettuali parlano molto della situazione e del corso delle cose, ma brancolano nel buio. Qualcuno addirittura rivendica come esercizio di libertà il non sottomettersi all’esperienza e alla verifica della pratica, attribuendo alla fatalità e al caso i fallimenti dei tentativi di trasformare la società borghese, ognuno facendo la sua “narrazione” (per dirla alla Vendola) che sarebbe forse apprezzabile opera di fantasia se non fosse spacciata come diagnosi e terapia del reale andamento delle cose: in realtà sembrano persone che cercano di decifrare un testo antico usando una lingua che ha qualche somiglianza con quella con cui è stato scritto ma è sostanzialmente diversa. Niente di strano che il testo appare complesso, indecifrabile.

 

Molti che si dichiarano comunisti, si limitano oggi ancora a invocare l’unità dei comunisti. Sono convinti che la causa dell’impotenza politica sia la mancanza di unità, che l’unità darebbe nuovamente ai comunisti la forza e la capacità necessarie per indirizzare l’umanità verso il superamento del capitalismo. Ma non è la mancanza di unità che nella seconda parte del secolo scorso ha portato il movimento comunista a esaurire la sua capacità propulsiva della trasformazione della società borghese, che ha reso i comunisti politicamente impotenti. Al contrario è la cattiva politica adottata per motivi ben determinati dal movimento comunista dopo le grandi vittorie contro il nazifascismo e contro il colonialismo in Cina e nel resto del mondo, che ha interrotto l’opera per cui esso aveva mobilitato le classi e i popoli oppressi di tutto il mondo e ha anche distrutto quel tanto di unità tra i comunisti, tra le forze progressiste e tra le classi e i popoli oppressi di tutto il mondo che il movimento comunista aveva creato. I comunisti si uniranno e rafforzeranno la loro unità solo sulla base di una concezione  del mondo, di un programma e di una linea politica adeguati al ruolo che devono svolgere. Chi vuole l’unità, deve cercarli fino a scoprirli.

Il nuovo Partito comunista italiano ha dedicato tempo e risorse per fare il bilancio del movimento comunista, della prima ondata della rivoluzione proletaria che ha sollevato e orientato il mondo nella prima parte del secolo scorso. Esso ha riassunto i risultati generali di questa ricerca nel suo Manifesto Programma (2008). Ma la verità è concreta, nel senso che ai fini dell’azione il generale va tradotto nel particolare di ogni paese, zona, settore e situazione e attuato nel concreto.

 

La nostra linea generale è giusta al di là di ogni ragionevole dubbio, ma la dimostrazione su grande scala, che convince e trascina anche chi non studia, può essere data solo dalla pratica. Il punto debole del movimento comunista oggi è la traduzione della linea generale nel particolare e la sua attuazione nel concreto. La traduzione del generale nel particolare dipende a sua volta dall’assimilazione della concezione del mondo e della linea generale da parte dei dirigenti e dei segretari dei Comitati di Partito (CdP). Ne viene che la chiave per avanzare è la formazione dei compagni che si prestano ad essere formati. Dove non avanziamo o se vogliamo avanzare più velocemente, bisogna curare meglio la formazione. I quadri devono aver assimilato la concezione comunista del mondo ed essere convinti che la nostra vittoria è possibile, che essa dipende da noi. Allora faranno la traduzione del generale nel particolare, lo applicheranno nel concreto e avanzeremo, perché il terreno è fertile, la società è gravida, ha bisogno di trasformarsi.

 

Per illustrare l’opera di formazione in corso, riportiamo qui di seguito le considerazioni che il segretario del CdP Anna Maria Mantini ha ricavato dall’esperienza dei corsi che ha tenuto recentemente e che ha steso a uso dei membri del suo Comitato.

 

Dedichiamo questo Avviso ai naviganti alla memoria di Prospero Gallinari, morto in questi giorni e degli altri compagni delle Brigate Rosse. Essi hanno svolto nel nostro paese un’opera pionieristica e generosa per la rinascita del movimento comunista, anche se non sono riusciti a trovare la strada della rinascita. La borghesia e il clero italiani sono convinti di essere riusciti a soffocare le Brigate Rosse grazie alla feroce repressione che scatenarono contro di esse, come a livello internazionale sono convinti che hanno stroncato la prima ondata delle rivoluzione proletaria grazie alla loro forza. In realtà le Brigate Rosse come i promotori della prima ondata della rivoluzione proletaria sono stati vinti dai loro propri limiti nella comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe che non sono riusciti a superare. Il nuovo Partito comunista ha tratto insegnamento anche dalla loro opera.

 

(n)PCI

Comitato Anna Maria Mantini

del (nuovo) Partito Comunista Italiano

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3 gennaio 2013

Note per i membri del CdP

Cari compagni,

vi inoltro alcune note per il vostro lavoro nelle città dove operate e nella regione. Sono note elaborate ai fini di formazione vostra, quindi vi chiedo di studiarle.

  

L’importanza di fare nostra la concezione comunista del mondo

Il Partito insiste in ogni Comunicato sull’importanza di fare nostra la concezione comunista del mondo e di diffonderla. Su questo però ci sono resistenze, sia tra i membri, che tra i simpatizzanti e i collaboratori della Carovana del (n)PCI, sia tra noi. Perché? Ultimamente ho tratto le seguenti considerazioni.

 

1. Atteggiamento rivendicativo.

Nel Manifesto Programma del (n)PCI (MP) si descrivono i passaggi della classe operaia dalla lotta rivendicativa, alla partecipazione alla lotta politica borghese, alla lotta rivoluzionaria. Vi riporto tre passi utili, tra i molti riferimenti all’oggetto.

Con la lotta politica rivoluzionaria la classe operaia assurge a un’altro livello rispetto a quello a cui si trova con la lotta rivendicativa. Questa resta nell’orizzonte della società borghese e della sua economia mercantile. Tramite la sua avanguardia rivoluzionaria, il suo partito comunista, con la lotta politica rivoluzionaria la classe operaia compie un salto di qualità che gli economicisti e gli spontaneisti non comprendono. Questo salto di qualità implica un livello superiore di coscienza e di organizzazione, il partito comunista conforme agli insegnamenti del leninismo. Grazie ad esso la classe operaia assume la direzione di tutte le masse popolari e, grazie a una concezione superiore del mondo e a un metodo di lavoro superiore, le dirige a condurre con successo la guerra popolare rivoluzionaria contro la borghesia imperialista fino all’instaurazione del socialismo. (MP, pag. 288)

Nei partiti socialisti e socialdemocratici della II Internazionale (1889-1914) il proletariato dei maggiori paesi capitalisti, in particolare europei, acquistò in massa la coscienza che le conquiste delle sue lotte rivendicative (economiche e politiche) potevano essere conservate e sviluppate solo con la trasformazione socialista della società e stabilì un’ampia egemonia sulle altre classi popolari. Esso divenne la classe che incarnava e personificava l’esigenza oggettiva del passaggio al comunismo e creò istituzioni atte a formare ed esprimere la volontà della nuova classe: il proprio partito politico, i sindacati, varie altre organizzazioni di massa. (MP, pag. 45)

È tipico degli opportunisti e dei riformisti concepire la lotta di classe come qualcosa che riguarda esclusivamente i rapporti di lavoro e la “distribuzione della ricchezza”, qualcosa che si traduce in contratti e accordi tra capitalisti e operai, tra organizzazioni padronali e sindacati o, al massimo, nella “redistribuzione del reddito” operata dallo Stato. Essi concepiscono e proclamano che le lotte rivendicative sono le uniche “lotte concrete”. I più avanzati di essi concepiscono la lotta politica, però solo come estensione della lotta sindacale (“politicizzare le lotte rivendicative”, “trasformare le lotte rivendicative in lotta politica. (MP, pag. 27)

 

I passaggi dalla lotta rivendicativa alla partecipazione alla lotta politica borghese e alla lotta rivoluzionaria, che la classe operaia ha compiuto nel suo percorso storico, sono ripetuti, o sono da ripetersi, nel movimento comunista in generale a ogni sua ripresa, nei partiti comunisti che si costruiscono e ricostruiscono, negli individui che li compongono.

Si ripetono perché persistono le condizioni materiali che li hanno generati: finché esiste la divisione in classi esisteranno ed è giusto che esistano lotte rivendicative, che per molti dei collettivi e degli individui che saranno artefici della rivoluzione sono punto di partenza per i passaggi successivi (scuola di comunismo).

 Si ripetono a un livello ogni volta superiore, perché arricchito dall’esperienza che ci precede, come ogni essere umano nasce sì in un contesto generale superiore in cui certe condizioni sono maturate grazie allo sviluppo del genere cui appartiene, ma deve comunque seguire individualmente il percorso di maturazione, e cioè passare da bambino ad adolescente ad adulto. In altre parole, in ognuno di essi si ripete il processo di maturazione dall’atteggiamento rivendicativo a quello di dirigente della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata, che negli ultimi due secoli ha portato la classe operaia a passare dalla lotta rivendicativa alla lotta rivoluzionaria.

Però questo passaggio nei paesi imperialisti ha ancora da avvenire. Lo sottolineo perché noi si comprenda che il terreno dove stiamo avanzando è nuovo, mai calpestato o coltivato da altri. Questo se da un lato ci rende la vita difficile, dall’altro è quello che alimenta il nostro “cavalcare come pionieri” nella Carovana del nuovo Partito comunista italiano. Nei paesi imperialisti il movimento comunista a partire dai tempi di Marx ed Engels, 150 anni fa, si è innestato sul movimento operaio rivendicativo e poi (socialdemocrazia tedesca, II Internazionale, laburismo inglese, ecc.) sulla partecipazione degli operai con un proprio partito alla lotta politica borghese. Ma non è mai arrivato, nonostante le pressioni dell’Internazionale Comunista (IC), ad attestarsi autonomamente sul livello della lotta rivoluzionaria. Venuta meno la pressione dell’IC con la fine della II Guerra Mondiale, il movimento comunista nei paesi imperialisti è rifluito al livello della partecipazione degli operai con proprio partito alla lotta politica borghese e delle lotte rivendicative. Con i risultati che abbiamo visto.

 

Il limite che dobbiamo superare non è l’occuparsi di lotte rivendicative e della lotta politica borghese. Questo anzi è un compito doveroso che dobbiamo praticare su scala più ampia di quanto riusciamo già a praticare. La nostra difficoltà non sta nel fatto che abbiamo a che fare con individui e organismi che partono da una concezione rivendicativa della lotta di classe. Il problema sorge quando soggetti che si dichiarano e vogliono essere rivoluzionari restano arroccati in un atteggiamento rivendicativo.

Vediamo i caratteri di questo atteggiamento.

Il soggetto che resta arroccato ad un livello rivendicativo non comprende l’importanza di fare propria la concezione comunista del mondo, che è elemento necessario alla lotta politica rivoluzionaria. In questo soggetto la lotta politica rivoluzionaria resta una proclamazione, non diventa una pratica e, fino a che questo soggetto non cambia atteggiamento, resta fuori dal suo orizzonte. L’atteggiamento rivendicativo quindi è una forma di rifiuto delle parole d’ordine del Partito secondo le quali dobbiamo avanzare nella padronanza e nell’uso della concezione comunista del mondo.

 

1.1. Diana L.

Prendiamo un esempio, la compagna Diana. È un caso estremo, che è utile considerare perché tracce dei suoi limiti ed errori stanno anche in compagni e compagne che per molti alti aspetti sono al suo opposto.

Diana non smette mai di dichiarare che “ci vorrebbe la rivoluzione”, che “ci vogliono le armi”, che “a Cuba sì che c’è il socialismo” e una serie di altre dichiarazioni che lasciano il tempo che trovano. Allo stesso tempo non manca di manifestare il suo disprezzo per la teoria, si vanta della propria ignoranza come se lei sapesse già tutto quello che c’è da sapere, perché lei “si occupa di cose concrete” e non di “astrazioni”. Diana infatti reputa astrazione la concezione comunista del mondo, perché dalla rocca in cui si è installata si nega la possibilità di vedere quello che questa concezione le consentirebbe di vedere e di fare quello che questa concezione le consentirebbe di fare. Dal suo punto di vista quindi la concezione comunista del mondo è sostanzialmente “roba  da intellettuali”. L’unico intellettuale che concepisce è quello accademico, che si ammanta del suo sapere come un generale delle sue medaglie.

Questa concezione, sul piano organizzativo, significa rifiutare di essere interna a un sistema di direzione, dove si è contemporaneamente diretti e dirigenti. È una concezione chiaramente anarchica. Così come non riconosce valore alla concezione che sola consente di acquisire ruolo dirigente, di esercitare con autonomia e iniziativa ruolo dirigente, altrettanto non riconosce chi si pone nei suoi confronti come dirigente (nel caso concreto Betty e Giulio) nè, mancando di una concezione adeguata, lei riesce a dirigere qualcuno. Non riuscendo a dirigere nessuno, dichiara che nessuno merita di essere diretto, cioè che le masse popolari se vogliono la rivoluzione devono farsela da sole. Pensa che se non la fanno significa che o sono arretrate o sono vili, secondo il pregiudizio corrente. È come la volpe, che siccome non riusciva a saltare fino a prendere l’uva, diceva che l’uva non la interessava.

La compagna, insomma, per i motivi detti sopra si ritiene superiore a tutti, superiore ai dirigenti politici dell’ambito dove opera. Rispetto ad essi si crede concreta mentre dichiara che loro sono astratti, cioè dichiara che loro fanno discorsi senza relazione con la realtà. Per i motivi detti sopra si crede superiore alle masse popolari perché non osano ribellarsi all’ordine esistente.

La compagna non perde occasione per sottolineare ogni errore dei dirigenti, ogni loro mancanza, ogni loro ritardo, ecc. Da loro pretende sempre che facciano più di quello che fanno, quello che fanno non è mai abbastanza. Da come si pone, sembra sicura che farebbe molto meglio di loro, se volesse. Perché non lo fa, allora? Perché dice che ha altro di cui occuparsi, altre cose più “concrete” che non il “sogno” di fare dell’Italia un nuovo paese socialista.

Riassumendo, la compagna

 

Questi elementi nel loro complesso sono tutti interni a una concezione del mondo piccolo borghese. Ma qui bisogna distinguere recriminazioni da rivendicazioni: essendo il recriminare più proprio del piccolo borghese, mentre il rivendicare è proprio del proletario e dell’operaio che sono abituati a lavorare sotto un padrone.

La compagna oggi è obbligata a uscire dal guscio in cui è stata nel resto della sua vita perché la crisi mette in gioco i destini di tutti, anche il suo. Perciò non può fare a meno di essere presente in qualche ambito politico. Nel suo caso, questo ambito non può essere altro da quello della Carovana. Se insiste nel suo rinchiudersi in se stessa, bisogna da un lato limitare i danni che può fare e dall’altro fare in modo che contribuisca per quanto può farlo.

  

1.2. Ermes B.

Saltiamo a un caso che è l’opposto del precedente: qui abbiamo un compagno capace di un attivismo intenso, superiore alla norma. Nell’ultimo periodo questo attivismo è cresciuto molto in campo politico. Il compagno dedica molto più tempo all’attività politica di quanto faceva prima. Lo fa, però, appesantito dalla concezione che l’ha animato fino a ora, e quindi con una serie di limiti propri dell’atteggiamento rivendicativo, alcuni dei quali abbiamo iniziato a vedere in Diana.

Diversamente da Diana, il compagno è molto attento alla questione della formazione. A differenza di lei ha studiato ed è convinto che la teoria è importante. Però non ha ancora appreso veramente l’importanza della teoria rivoluzionaria, che è differente dalla teoria che si impara nelle università borghesi. Non ha assimilato la teoria rivoluzionaria, nel senso che non la usa nella sua attività politica. È come un medico che ha studiato e studia medicina ma non usa la sua scienza per curare: quando cura, cura alla vecchia maniera. La teoria rivoluzionaria la impara e l’appende al muro o la mostra in giro come una decorazione. Non ha imparato a usarla come strumento: per vedere, per conoscere e per fare. Lavora a buon senso. Una cosa è la teoria un’altra la pratica. Quindi i risultati non corrispondono alle sue aspirazioni e ai suoi sforzi.

A differenza di Diana è attivo, sempre più impegnato sul terreno politico, ma lavora spesso come se fosse obbligato, giustamente non è soddisfatto del suo lavoro. Ha da ridire su parecchie cose e per quello che fa spesso mette davanti la sua stanchezza, il fatto di non essere abbastanza sostenuto, il fatto che il Partito o i suoi singoli dirigenti non sono del tutto affidabili. Quando gli viene messo a disposizione qualcosa, è qualcosa di meno del dovuto. Manca, generalmente, di passione e di entusiasmo. A fronte dell’entusiasmo e della passione di altri compagni e compagne, è scettico: pensa siano frutto di ingenuità o che siano semplicemente falsi, determinati da volontà di arrivismo o protagonismo, di fare carriera o distinguersi nel Partito, ecc.

Nel caso del compagno, il suo atteggiamento rivendicativo è espressione di arretratezza, come la prima fase della lotta della classe operaia, cioè quella della lotta rivendicativa, è arretrata rispetto alla terza fase, quella della lotta rivoluzionaria. Finché è in questa fase, il compagno non userà la teoria rivoluzionaria che nella terza fase è strumento per la trasformazione della realtà e di se stessi, diffiderà dei dirigenti come l’operaio diffida del padrone o dell’intellettuale borghese, tenderà a giudicare i dirigenti come si giudica un padrone o un intellettuale, diffiderà di ogni tentativo di trasformarlo come intromissione negli affari suoi personali, sarà restio ad accettare le critiche mentre gli parrà di averne accettate anche troppe, seguirà le direttive a collo torto, come chi è obbligato e con l’intento di fare valere le proprie ragioni appena possibile. Essendo capace, è diventato punto di riferimento per compagne e compagni dentro e fuori la Carovana. Questo è positivo, in quanto seguendo lui seguono la Carovana. Non è positivo in quanto entro la Carovana lui si fa rappresentante di ciò che in loro è arretrato.

Lo strumento per l’intervento nei suoi confronti è procedere con la formazione: passare all’assimilazione e all’applicazione della concezione comunista del mondo. In generale, nel suo caso, dobbiamo confidare nella capacità di incidere che ha la teoria rivoluzionaria e tenere conto che la contraddizione che lo riguarda è tra arretrato e avanzato, che non è, cioè, una contraddizione antagonista. Segni di mutamento sono già visibili.

 

1.3. Brunello P.

Conosco meno il suo caso, perché abbiamo avuto pochi ambiti di lavoro collettivo comune. So che mantiene riserve sulla linea della Carovana e in particolare non è convinto dell’efficacia della teoria rivoluzionaria. Infatti  di essa si occupa, quando se ne occupa, come se fosse cosa che già sa, su cui non vede perché si debba insistere tanto. La sua posizione è rivendicativa nel senso che si ritiene uno che ha dato e sta dando abbastanza, per cui non capisce perché si continui a chiedere di più e interpreta questo come accanimento nei suoi confronti.

La sua idea è che i dirigenti chiedono cose impossibili a realizzarsi (in realtà i dirigenti chiedono cose che finora nessuno ha realizzato) e che poi, siccome queste cose non si realizzano, quei dirigenti piuttosto che farsi autocritica per i loro “sogni”, preferiscono conservarseli e trovare qualche capro espiatorio. Quindi nel suo caso i difetti dei dirigenti hanno un effetto particolarmente negativo. Anziché mobilitarsi per correggerli, ne trae motivo per confermarsi nei suoi limiti.

Si mantiene su posizioni rivendicative, e quindi su posizioni arretrate, forse perché non ha preso parte attiva a quelle lotte ideologiche attraverso cui la Carovana del (n)PCI è cresciuta e si è rafforzata.

Il compagno, in particolare, non conosce il senso della prima Lotta Ideologica Attiva, quella che la Carovana ha condotto nel 1997, benché già allora fosse in qualche modo legato alla Carovana (motivo per cui non ci siamo preoccupati di fargli assimilare gli insegnamenti di quella LIA). Mantiene l’economicismo che caratterizzò la destra in quella lotta.

L’economicismo è la deviazione di chi si ferma al primo stadio della lotta della classe operaia, che è appunto la lotta rivendicativa. Fermarsi qui significa difficoltà ad affrontare i temi propri della lotta politica e ignorare quelli della lotta rivoluzionaria, ignorare il ruolo della teoria, della concezione comunista del mondo nella lotta rivoluzionaria, o meglio ridurre la teoria a dogma rispetto a cui inginocchiarsi, non considerarla come arma per vincere, essere restio a usarla perché il suo uso non solo ci consente di cambiare le cose, ma cambia anche noi stessi, e questo è doloroso per tutti.

Per quanto detto sopra e per quanto io ne so, la contraddizione del compagno è quella tra arretrato e avanzato e tra vecchio e nuovo. Anche nel suo caso non è una contraddizione antagonista. Anche nel suo caso, la formazione è lo strumento per farlo avanzare a uno stadio superiore rispetto a quello in cui è: bisogna che chi lo dirige gli mostri nel dettaglio che grazie alla concezione comunista del mondo riesce a vedere quello che altrimenti non vede e riesce a fare quello che altrimenti non riesce a fare.

 

2. “Una cosa è la teoria, un’altra la pratica”.

Questo è uno degli argomenti che ripetono i compagni e le compagne che ancora se ne stanno sul terreno rivendicativo, ma è pregiudizio talmente diffuso che va ben oltre il loro caso, si estende oltre la Carovana e al suo interno investe anche noi e voi che state leggendo. Capita infatti che anche voi diciate che certe direttive è facile darle ma metterle in pratica è un’altra cosa, oppure che diciate che quel che si doveva fare, purtroppo, per l’ennesima volta non si è fatto, per questo o per l’altro motivo contingente: e dato che si tratta di compiti difficili a farsi, un buon motivo c’è sempre.

Compito del CdP è la traduzione del generale, cioè delle direttive del Centro, nel particolare della zona dove si opera. Se si persiste a non saper tradurre il generale nel dettaglio, la teoria nella pratica, il CdP arranca, come infatti succede. Su questo riflettiamo da un pezzo, senza avere trovato una soluzione per cambiare rotta, almeno fino a oggi. Oggi scrivo questo documento a voi, come elemento di formazione. Lo scrivo perché può essere che la formazione nei vostri confronti sia la via per superare la stagnazione.

 

2.1. Kant

Mio compito è esporre la concezione comunista del mondo a compagni e compagne della carovana e ad altri elementi delle masse popolari. Quando lo faccio, spesso ho compagni/e a cui si “accende la fiamma” e altri/e che invece dicono che sì, quello che hanno sentito è interessante, che per tanti versi corrisponde alla realtà, che è internamente coerente, ecc., ma il mondo, la vita, la realtà sono un’altra cosa. Questo ieri mi ha detto Giusy, sostenuto in questa sua idea da Benedetto. Su una simile lunghezza d’onda stanno Ermes e con ogni probabilità anche Brunello e molti altri che non sto qui a ricordare.

Questo tipo di concezione è stata articolata nella storia della filosofia dal celebre filosofo Immanuel Kant (1724-1804). Secondo Kant, l’attività conoscitiva umana era in grado di produrre sistemi coerenti: effettivamente molte conclusioni scientifiche erano confermate dalla realtà, molti metodi scientifici funzionavano. Però, diceva Kant, questo non ci autorizza a ritenere di avere una concezione del mondo, un sapere complessivo della realtà. Infatti spiegava che chi cercava di indagare oltre l’esperienza sensibile, chi voleva comprendere non l’immediata cosa che aveva davanti, ma il mondo nel suo complesso, incappava in contraddizioni, di cui lui ne individuò quattro (ad esempio, dimostrava che il mondo è infinito e che è finito, che ogni cosa è divisibile e indivisibile, ecc.) Queste contraddizioni, secondo lui, destituivano di fondamento il nostro sapere: se non riusciamo a dare una spiegazione non internamente contraddittoria della realtà, vuole appunto dire che il nostro sapere più in là di tanto non può andare. Certo, il mondo fuori di noi esiste e non è un’illusione, come invece diranno dopo di lui altri; ma come è fatto noi non lo possiamo sapere con gli strumenti della logica, perché questi strumenti ci dicono che è fatto in un modo e nel modo contrario, quindi questi strumenti sono contraddittori. Non so se se ne rendeva conto, ma in sostanza lasciava spazio al clero che contestava con forza che gli uomini fossero capaci di creare il mondo, che la ragione eliminasse la fede in dio con cui giustificavano il loro potere.

Rifletteteci sopra, compagni e vedrete come infatti così si lascia campo libero ai preti. Anche loro dicono che la realtà è misteriosa, inspiegabile. Si lascia spazio anche a tutta una serie di opportunisti di vario genere, secondo i quali la realtà è complessa, una cosa è vera ma è vero anche il contrario, e chiunque non è d’accordo con questa loro concezione è un dogmatico o un dottrinario, ecc., motivo per cui alla fine ognuno si sente in diritto di fare quello che vuole e nessuno può dire a qualcun altro quello che deve fare, cioè, in conclusione, un dirigente non può dirigere e quindi non esiste, quindi Betty non può dare direttive a Giusy o Edoardo ad Ermes o Renato a Nicola, ecc.

I nostri compagni diranno quindi che sì, la concezione del mondo che portiamo per molti versi si dimostra corrispondente a quello che per certi versi funziona, è interessante, è bello parlarne, dà sollievo e consola ascoltarla raccontare come consola un bel canto o una bell’immagine, ma che sia una concezione del mondo complessiva, cui fare riferimento per capire quello che abbiamo alle spalle e per pianificare il futuro, uno strumento da usare per capire cosa fare e per farlo, questo no. Il mondo è quello che è, dicono. Molte delle cose che hanno visto fino a oggi smentiscono quello che dice il Partito. Affermano e portano tutta una serie di spiegazioni il cui unico fondamento è che sono parte del senso comune e quindi condivise da moltissime persone.

Per questo ci sono compagni e compagne che, quando diciamo che la padronanza della concezione comunista del mondo è strumento di lotta teorica, di formazione morale, di trasformazione della coscienza, di comprensione del mondo e della sua trasformazione, che bisogna quindi apprenderla, assimilarla e applicarla e che bisogna studiare e diffondere il Manifesto Programma del nuovo Partito comunista  italiano ci guardano come fossimo esaltati, come seguaci di una nuova religione e magari, visto che i credenti in una religione spesso sono fanatici, come se volessimo imporla a loro, e criticano chi cita il MP “come fosse la Bibbia”.

Certo, il materialismo dialettico (MD) è la concezione del mondo dei comunisti, i comunisti sono quelli che o sono membri di un partito comunista o se non c’è un partito comunista lo costruiscono, e bisogna avere come concezione e metodo il MD sia per essere membri di un partito comunista sia per costruirlo dove non c’è. Però il processo di acquisizione del MD è vario e diverso per ciascuno dato che ogni individuo è in un certo senso unico, per cui non è escluso dal Partito chi ha alcune riserve sulla concezione del mondo, sulla sua funzione, su alcune sue parti e alcuni suoi passi, ecc., ma d’altro lato

  1. il Partito non è un fronte, un contenitore dove qualsiasi concezione è ammessa. [1] La comprensione del MD quindi procede per modi e in tempi diversi in ciascuno, ma non può non procedere. Inoltre

  2.  chi nella padronanza della concezione comunista è più avanzato, dirige chi è più arretrato. Questo non perché aderendo al MD dimostra più fedeltà a un dio o a un papa, ma perché il MD è guida per l’azione, è metodo, strumento, arma, e quindi chi sa meglio usarlo sta davanti, indica agli altri la strada e li guida.

 

[1] Il collante, il legame che dà forma al partito comunista, è l’adesione, l’assimilazione e l’applicazione della concezione comunista del mondo. Questo è il principale: le altre caratteristiche sono secondarie: indispensabili, ma secondarie, derivate. Esse si sviluppano con forza sul lungo periodo solo grazie alla prima. Non a caso le rivendicazioni, la lotta sindacale e tutte le forme secondarie della lotta di classe si sono affievolite e sono decadute via via che i partiti comunisti hanno abbandonato la concezione comunista del mondo, che i revisionisti moderni sono prevalsi e che la sinistra borghese ha infine preso il posto dei revisionisti moderni.” (La Voce, n. 41, pag. 44)

 

Infatti è chiaro, tornando a Kant, che chi dichiara che il mondo è inconoscibile, si nega la possibilità di trasformarlo secondo un piano, e se riesce a cambiare qualcosa è per caso o per intuito.

Chi non ha padronanza della concezione comunista del mondo, si nega la possibilità di un piano per il futuro, si nega la possibilità di un bilancio per il passato. Tutto quello che può dire, tutto il concreto che rivendica contro le “astrazioni” di chi, grazie al MD, ha uno “sguardo lungimirante sulle cose del mondo”[2], è quello che c’è qui e ora, che è cosa molto povera. All’opposto il materialista dialettico comprende la realtà che abbiamo davanti perché comprende le contraddizioni che la muovono. Infatti Kant sbagliava, credendo che il sapere nostro fosse contraddittorio perché del mondo e di ogni cosa faceva un’affermazione e la negava al tempo stesso. La contraddizione era nelle cose e nel mondo, non nel nostro modo di vederle.

 

[2] “Guardati dall’inquietudine traboccante che spezza il cuore / getta uno sguardo lungimirante sulle cose del  mondo” (Mao Tse-tung, Opere, Ed. Rapporti Sociali, Milano, 1992, vol 11, pag. 116)

 

2.2. Hegel.

Un altro celebre filosofo borghese, Frederich Hegel (1770-1831), dal canto suo, diceva che Kant aveva spostato come una croce nella nostra coscienza tutta la contraddittorietà della realtà, che così aveva avuto decisamente “troppa tenerezza per le cose del mondo”.

“Troppa tenerezza” ha a che fare con le critiche che Giulia fa a Betty. Questa riferisce: “Durante le riunioni del collettivo manco di autorevolezza o, come dice Giulia, di “pugno di ferro”. Infatti non intervengo immediatamente ogni volta che si manifestano tendenze da “gruppo di amici” o si rivelano inclinazioni liberiste. Mi spiego meglio: le caratteristiche dei membri del mio collettivo non sono quelle di membri disciplinati di un partito comunista; spesso accade che durante la discussione di un argomento, qualcuno interviene sovrapponendosi all’intervento di chi già sta parlando, oppure portando un contributo di esperienza della propria vita, oppure che qualcuno, in seguito ad esempi che trovano riscontro nella propria esperienza personale, passa  da parlare della cosa specifica a farci perdere il filo logico della discussione portandoci a parlare di argomenti lontani da quelli che stavamo trattando. Il mio lasciar corso a queste “deviazioni” è ritenuto un limite che consente al collettivo di non sviluppare un adeguato dibattito, che rafforza la convinzione che nella nostra riunione ognuno può dire e trattare tutti gli argomenti che vuole indipendentemente dall’ordine del giorno e offre un’immagine negativa all’esterno (quando siamo in assemblea e sono presenti compagni nuovi o esterni al collettivo). Il gruppo di amici all’interno del collettivo si manifesta nel voler fare da babbo e da mamma ai compagni che ancora presentano dei limiti di adattamento alla vita associativa e quindi non aiutarli ad affrontare il problema per risolverlo, ma comportarsi come un babbo o una mamma che fanno il lavoro al posto dei figli, condannandoli all’eterna arretratezza. C’è chi fa le cose al posto di Giusy, come fosse ancora una bambina e noi fossimo il suo padre o la sua madre, motivo per cui lei non crescerà mai e continuerà a baloccarsi dietro a farfalle, almeno fino a che la crisi la travolgerà.”

Giulia porta la critica a modo suo: vorrebbe che la disciplina fosse imposta, il che non va bene. Però centra il problema. Giulia è avanzata, prende le cose sul serio, è disposta a trasformarsi, già si affaccia sul terreno dell’assimilazione. Gli atteggiamenti che critica sono:

quello di Michele, che interviene in ogni discussione dicendo la sua, parlando di cose che non c’entrano, a ruota libera, togliendo ad altri spazio per intervenire;

quello di Ivan, che verso le più giovani come Giusy è appunto “tenero”, e non concepisce il porsi nei suoi confronti come dirigente, o che altri lo facciano, con la necessaria severità e autorevolezza: non vede le contraddizioni che Giusy ha, come Kant non vedeva le contraddizioni nelle cose; non assume la concezione del mondo che ci consente di essere dirigenti, come strumento per la trasformazione della realtà e quindi per la trasformazione di Giusy; pensa che non abbiamo diritto e potere di essere dirigenti e vede il collettivo come un gruppo di amici, dove il dirigente è tutt’al più un coordinatore, e dove sulle contraddizioni del collettivo e dei suoi componenti non è il caso di insistere, perché non le reputa importanti. “Tenerezza” tra di noi, appunto, accettazione delle cose sbagliate che Giusy dice (perché sono cose sbagliate che pensa anche Ivan). Io ho dimostrato a tutti e due che sono cose sbagliate, ma alla mia dimostrazione rispondono che ho ragione ma che la realtà è un’altra cosa. Dicono cioè la stessa cosa che diceva Kant: che abbiamo ragione ma solo fino a un certo punto, e mai ragione abbastanza per affrontare questa realtà e incidere in essa. Come se noi, che vogliamo cambiare la realtà, non fossimo reali, fossimo in un altro mondo! Noi siamo figli della realtà: le condizioni oggettive che lo sviluppo della società capitalista genera sono quelle che a loro volta generano e rigenerano i comunisti, quelli che alla società capitalista pongono fine.

Ditemi se queste riflessioni vi sono chiare e se vi sono utili.

Un abbraccio,

Raul

 

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Per mettersi in contatto con il Centro del (n)PCI senza essere individuati e messi sotto controllo dalla Polizia, una via consiste nell’usare TOR [vedere http://www.nuovopci.it/corrisp/risp03.html], aprire una casella email con TOR e inviare da essa a una delle caselle del Partito i messaggi criptati con PGP e con la chiave pubblica del Partito [vedere http://www.nuovopci.it/corrisp/risp03.html].