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(n)PCI (nuovo)Partito comunista italiano

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25 aprile 2015

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Nel 70° anniversario della vittoria della Resistenza

 

Sono passati 70 anni da quel glorioso 25 aprile 1945 e oggi, se ci guardiamo attorno, è difficile immaginare le speranze che allora sembrava possibile realizzare. Il marasma, la disperazione e l’abbrutimento che ci circondano, rendono a molti persino incomprensibile il clima d’allora, anche a persone che tuttavia lo hanno vissuto. Proprio per far fronte alla situazione attuale e trasformarla, capire che possiamo risalire la china e come farlo, è importante capire perché da quell’epoca di speranza e fiducia siamo arrivati al triste presente. Imparare dalle sconfitte è quello che a lungo andare trasforma un esercito inesperto in un esercito vittorioso. Chi non capisce le ragioni dell’arretramento, cade facilmente preda dei disfattisti che sono succubi delle classi dominanti e da esse ispirati: si affannano a piangere che purtroppo il mondo è fatto così, che non c’è rimedio, che il nostro progetto è un’illusione, che il male prevale sul bene: da qui rassegnazione e disperazione, viltà ed evasione dalla triste realtà.

In realtà dopo la Liberazione siamo andati indietro perché non eravamo preparati ad andare avanti. Andare avanti voleva dire instaurare il socialismo e neanche la parte più avanzata delle masse popolari del nostro paese, il Partito comunista italiano (PCI), era preparato a farlo, sapeva come procedere per farlo. Non aveva mai pensato seriamente e concretamente a questa impresa: concretamente al modo in cui per costruire una grande opera pensiamo e progettiamo l’impresa e solo se così facciamo, l’impresa riusciamo a compierla.

 

Perché siamo andati indietro, invece di andare avanti?

Siamo andati indietro, perché oggi l’umanità non può più andare avanti spontaneamente, cioè senza aver prima concepito nel pensiero la strada da fare: come è impossibile costruire un grattacielo senza averlo prima progettato e senza aver prima riunito il materiale (che non si trova in natura, a portata di mano), mentre un qualche riparo, perfino alcune scimmie la costruiscono con quello che si ritrovano a portata di mano.

L’umanità è entrata in una fase qualitativamente diversa della sua storia. Dopo la Liberazione non siamo andati avanti perché il PCI non aveva concepito la strada per andare avanti, non sapeva cosa fare per andare avanti, non aveva nemmeno a grandi linee un progetto per il futuro: non aveva fatto quel lavoro a cui Lenin lo aveva esortato nel 1922, durante il IV Congresso dell’Internazionale Comunista (Cinque anni di rivoluzione russa e le prospettive della rivoluzione mondiale - www.nuovopci.it/classic/lenin/cinqueriv.htm). Il PCI aveva eroicamente resistito al fascismo ma non era preparato ad andare verso il socialismo. Chi legge l’articolo Pietro Secchia e due importanti lezioni pubblicato in La Voce n. 26 (luglio 2007 – www.nuovopci.it/voce/voce26/secchia.html) trova esposti vari dettagli della cosa. Dopo la Liberazione, nel 1945, perfino nelle fabbriche in cui i CLN comandavano, ci si preoccupava di riprendere la produzione che la fabbrica faceva prima, anziché accogliere tutti i disoccupati disposti a lavorare, fare della fabbrica, oltre che l’organismo per la produzione che si faceva anche prima sotto il fascismo, un centro di organizzazione e di formazione della  massa dei lavoratori della zona, un centro di organizzazione in tutto il territorio circostante dei lavori necessari alla ricostruzione che non erano già compiuti da altri e un centro di promozione per ogni altro aspetto della vita sociale.

 

Per capire gli avvenimenti del nostro paese e della nostra storia, consideriamo la cosa in termini generali.

Il mondo (e con esso l’Italia) può andare avanti solo andando verso il comunismo, come un bambino può andare avanti solo diventando uomo. Quelli che immaginano un avvenire diverso, di loro fantasia, fanno della fantascienza e infatti nella pratica non combinano niente (Tsipras ne farà la dimostrazione pratica, visto che difficilmente la potranno dare anche i Podemos, gli Iglesias, i Vasapollo e il resto della sinistra borghese europea che probabilmente non arriveranno neanche al governo). Dopo il capitalismo, per progredire gli uomini devono andare verso il comunismo. Dopo che un embrione si è sviluppato in un bambino, l’ulteriore progresso è il progresso di un bambino. Il progresso di un bambino può consistere solo nel diventare un adulto. Sembra banale, ma nel caso della società umana da millenni essa si sviluppa tramite la lotta tra le classi e le classi dominanti si oppongono con tutte le forze e risorse dell’intera società, di cui esse dispongono, all’ulteriore progresso della società, perché questo progresso è la negazione del loro mondo e di loro stesse. Tanto più si oppongono oggi, che il progresso del mondo comporta non la sostituzione di una classe dominante a un’altra (niente si opponeva, ad esempio, a che il feudatario, che ne aveva personalmente le attitudini, diventasse un capitalista), ma la fine di ogni classe dominante.

Marx e i comunisti suoi seguaci e successori hanno lanciato lo studio scientifico (1) dell’attività con cui gli uomini hanno fatto le loro società e la storia di ognuna di esse: in particolare di come si è formato il capitalismo e la società borghese. È una scienza a cui le classi dominanti non solo sono restie, ma vi si oppongono con determinazione.

Le classi dominanti dicevano vagamente che “la storia è maestra di vita”. Ma da quando Marx e i comunisti hanno tradotto questa espressione vaga nello studio della storia dell’umanità per trarne gli insegnamenti di come fare la storia, cioè trarne una scienza guida del movimento di trasformazione della società borghese nella società comunista, le classi dominanti non ne vogliono sapere (da qui il loro disprezzo per “l’ideologia”): a ragione, perché è la scienza della loro fine.

 

Il mondo attuale a prima vista sembra un gran marasma. In realtà c’è una logica nell’attività con cui gli uomini lo hanno fatto e lo gestiscono. Si tratta di capirla e poi usarla. Il compito è grande ma passo dopo passo, se ci si applica, si avanza.

Data la natura del capitalismo, gli uomini delle società capitaliste non possono progredire che dando vita al comunismo (2). Il comunismo è, nella storia dell’umanità, il primo sistema di relazioni sociali che deve essere pensato prima di essere realizzato, perché solo se lo pensi riesci a farlo. I precedenti sistemi di relazioni sociali con il relativo modo di produzione su cui ognuno di essi era fondato, sono stati formati dalle masse, ma senza che fossero consapevoli di quello che stavano facendo. Si sono, per così dire, formati alle loro spalle perché le masse erano dirette da una classe dominante.

Ma il comunismo è gestione della vita sociale da parte degli uomini associati in modo tale che il libero sviluppo di ogni individuo è la condizione del libero sviluppo di tutti gli individui. Quindi per sua natura non può che essere frutto di individui coscienti e organizzati. È il sistema di relazioni tra i membri di una popolazione cosciente e organizzata. Coscienza e organizzazione non possono però nascere nelle masse popolari finché sono soggette allo sfruttamento di una classe sfruttatrice che a ragion veduta sistematicamente le esclude dalle attività propriamente umane del pensare (quelle che il nostro Manifesto Programma indica nella nota 2 pag. 249-250 - www.nuovopci.it).

 Come possono masse popolari a cui la classe dominante sistematicamente impedisce di accedere a coscienza e organizzazione, acquisire la coscienza e l’organizzazione di cui hanno bisogno per fare la rivoluzione socialista fino a costruire la società comunista?

La soluzione del paradosso è il partito comunista: esso è parte delle masse popolari ma è libero dalla classe dominante ed è organo dell’elaborazione della coscienza e della creazione dell’organizzazione del proletariato: coscienza e organizzazione che il partito trasfonde nelle masse tramite il suo legame con esse che il partito guida alla loro emancipazione. Nelle fondamentali opere Un passo avanti e due passi indietro (maggio 1904) e Due linee della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica (luglio 1905), Lenin per primo spiegò che il partito comunista è distinto dalle masse popolari e dalla classe operaia, ma è nello stesso tempo parte integrante della classe operaia, suo reparto cosciente e organizzato, forma suprema di organizzazione della classe operaia nel senso che dirige tutte le altre sue organizzazioni, incarnazione del legame dell’avanguardia con le grandi masse che fanno parte del campo della rivoluzione, su cui la classe operaia esercita la propria egemonia e che dirige a emanciparsi da ogni classe dominante (3).

Il partito comunista così concepito e costruito è quello che Gramsci nei Quaderni del carcere chiamò l’intellettuale organico della classe operaia (4).

Mentre in tutta la storia dell’umanità divisa in classi, gli intellettuali erano individui singoli che costituivano una casta della classe dominante (preti, filosofi, scienziati e artisti di vario genere), nella nostra epoca, nell’epoca della rivoluzione proletaria, l’intellettuale della classe operaia è il suo partito comunista, un collettivo. È e deve essere un collettivo, cioè un insieme di individui legati l’uno all’altro da relazioni organizzative. Proprio perché è un collettivo, la scienza che elabora e di cui è depositario, via via diventa patrimonio di parti crescenti della popolazione: non è più dote personale di un individuo.

Consideriamo un guaritore e un medico. Una delle differenze tra i due è che il guaritore ha capacità e poteri che sono sua dote personale. Invece il medico ha appreso una scienza e compie attività che può insegnare ad altri. Il passaggio dagli intellettuali delle classi dominanti al Partito comunista è un passaggio analogo a quello dal guaritore al medico. Il Partito è portatore di una scienza a cui, in linea di massima, tutti a determinate condizioni possono accedere. Il socialismo è la fase transitoria in cui creeremo quelle condizioni per la massa della popolazione.

Oggi, sotto l’oppressione della borghesia, diventare comunista, membro del Partito comunista, richiede una volontà, un’ispirazione e una dedizione particolari che contrasta con le condizioni in cui la borghesia costringe le classi oppresse. Per questo solo un numero limitato di individui entra a far parte del Partito comunista che è l’intellettuale delle classi oppresse, in particolare della classe operaia.

Questo intellettuale collettivo elabora la scienza che serve a trasformare la società, la impiega e guida le masse a impiegarla. Così come, ad esempio, la scienza ingegneristica serve a costruire ponti, questa scienza nuova, che è la concezione comunista del mondo, serve a fare la rivoluzione socialista e costruire la società comunista.

Instaurare il socialismo è possibile e anche necessario. Ma per farlo ci vuole un partito comunista che lo voglia fare e che lo sappia fare, quindi un partito moralmente e intellettualmente all’altezza del suo ruolo. Instaurare il socialismo in Italia è possibile. Ma ci vuole un gruppo dirigente moralmente determinato a farlo e intellettualmente capace di pensare.

Il primo PCI non l’ha fatto perché il suo gruppo dirigente, una volta scomparso Gramsci, non è stato moralmente e intellettualmente all’altezza dell’opera. Nelle storie del PCI si trovano tante cose, ma non si trova un piano per instaurare il socialismo in Italia; non si trova il piano di una rivoluzione che parte dal “triste presente” e attraverso una concatenazione di eventi e passaggi, arriva al socialismo; non si trova l’indicazione di un percorso che si fonda sulle condizioni presenti e traccia anche solo a grandi linee il percorso da compiere per arrivare a instaurare il socialismo. Il socialismo è l’orizzonte che negli scritti e nei discorsi del PCI viene descritto, proclamato e invocato. Ma la strada, i passi da fare a partire dal “triste presente” per arrivare all’orizzonte, non sono indicati neanche a grandi linee. La cima della montagna  è meravigliosa, ma della strada per arrivarci manca l’idea. È sottinteso che prima o poi ci ritroveremo in cima. Nella storia del PCI trovi le lotte per resistere ai soprusi e alle angherie dei padroni, per strappare loro qualcosa: non trovi il progetto e la condotta di una guerra per rovesciare il fascismo e instaurare il socialismo. Ma la lotta contro le difficoltà e ristrettezze del presente, per attenuarle, non era di per sé lotta che poneva fine al sistema.

Il PCI non si era dato i mezzi nemmeno per continuare dopo la vittoria della Resistenza. Anche nella Resistenza si gettò spinto dall’URSS, dal movimento comunista internazionale e dalle circostanze (l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la vergognosa fuga della Corte dei Savoia, del suo governo e dello Stato Maggiore delle sue forze armate). La Resistenza non fu una lotta che il PCI aveva ideato, benché non fosse impossibile capire che il fascismo non era eterno. Lo stesso PCI lo diceva che il fascismo non era eterno, come lo dicevano anche il clero e ogni persona capace di un pensiero strategico. La Resistenza non fu una guerra che il PCI aveva ideato, di cui il PCI aveva costruito le premesse, a cui si era preparato e che aveva concepito e scatenato come passaggio a una fase superiore. La Resistenza non fu l’attuazione di una sua propria linea.

Il PCI fu sorpreso dagli eventi dell’8 settembre 1943 e si gettò nella Resistenza senza avere un’idea di dove la Resistenza avrebbe portato, di cosa fare dopo per svilupparne i risultati, come uno che fa coraggiosamente fronte ad un evento imprevisto e improvviso. Si gettò nella Resistenza con una coscienza di poco superiore a quella con cui vi si gettarono migliaia di soldati sbandati e di persone perseguitate dai fascisti. Non aveva chiaro che anche il clero e la borghesia vi avrebbero partecipato per avere voce in capitolo nell’assetto del paese nel dopoguerra. Quindi il PCI doveva e poteva approfittare della loro partecipazione e prepararsi a regolare i conti.

L’eroismo di decine di migliaia di militanti non è bastato a colmare questa lacuna. Al contrario le classi dominanti e in particolare il clero cattolico (il Vaticano, la Corte Pontificia) e i gruppi imperialisti americani sapevano cosa fare nel limite consentito dalla loro natura, avevano un pensiero strategico per quanto la loro natura lo consente: mentre la buriana della Resistenza ancora soffiava, pezzo dopo pezzo restaurarono il loro sistema di relazioni sociali innovandolo quanto necessario per adattarlo alla situazione.

Noi non siamo andati avanti perché il PCI non aveva concepito, elaborato la strada per andare avanti: c’era il socialismo all’orizzonte, ma il PCI non aveva idea della strada per arrivare all’orizzonte. Quindi siamo ritornati indietro con i cambiamenti che quanto successo comportava.

Il nuovo PCI ha imparato questa amara lezione. Mai più ripeteremo l’errore di non darci i mezzi per raggiungere gli obiettivi che indichiamo e di non elaborare un progetto per valorizzare il risultato delle lotte in cui ci lanciamo. Per questo abbiamo elaborato una strategia per instaurare il socialismo, la Guerra Popolare Rivoluzionaria. Per questo abbiamo una tattica (un “preciso piano d’azione”) che parte dallo stato presente delle cose: la linea della costituzione del Governo di Blocco Popolare che aprirà una fase superiore della GPR. Per questo abbiamo fatto un bilancio dell’esperienza dei primi paesi socialisti ed esso ci ha insegnato come continuare nelle nuove condizioni la lotta di classe sulle sette grandi contraddizioni per impedire che risorgano in nuova veste i vecchi rapporti di oppressione (la nuova borghesia dei paesi socialisti) e invece avanzare verso il comunismo. Per questo diciamo con fermezza e sentimento ai compagni che vogliono ripercorrere oggi la strada del vecchio eroico PCI: compagni, non basta l’eroismo, ci vogliono la concezione comunista del mondo, la riforma morale e intellettuale dei comunisti, il marxismo-leninismo-maoismo.

La costituzione dell’Unione Sovietica e la sua opera avevano impresso un grande slancio di attività e di progresso alle classi e ai popoli oppressi di ogni angolo del mondo, a milioni di uomini di ogni paese. Ad essi avevano indicato un obiettivo da perseguire, un obiettivo che per ognuno risolveva le difficoltà specifiche in cui si dibatteva e lo univa agli altri in vista di un’opera concorde. Ma i partiti comunisti dei paesi imperialisti non seppero sfuggire alla trappola delle lotte rivendicative e della partecipazione alle procedure e alle istituzioni della democrazia borghese in cui prima di loro erano naufragati i partiti socialisti. Quello slancio si esaurì quindi senza raggiungere un risultato definitivo. A seguito di  questo l’umanità è caduta in un periodo di grande attivismo e di continue innovazioni (per questo aspetto il periodo attuale non è un ritorno al passato), ma di un attivismo e di innovazioni di cui non è compreso il senso, caotici, di cui la classe dominante confonde e travisa il senso in mille modi contrastanti tra loro (per questo aspetto il periodo attuale è analogo ad altri del passato). Diceva Fourier che a forza di rifiutarsi a fare quello che gli avvenimenti ci richiedono, finiamo per non capirli neanche più. È una massima che si applica al periodo attuale: a quelli che sono malcontenti del presente. Ma riusciremo a riprendere la strada, perché ne abbiamo bisogno. È una questione di sopravvivenza.

Questa è l’opera a cui è dedito il (n)PCI.

E l’Italia è un paese imperialista abbastanza importante, anche perché sede del Papato, perché l’instaurazione del socialismo nel nostro paese faccia scuola a livello internazionale. Il nostro prossimo 25 aprile sarà la costituzione del Governo di Blocco Popolare.

 

Note

1. Intendiamo “scientifico” nel senso di capire come funziona un processo e confermare la verità della nostra comprensione facendolo funzionare: come si fa per ogni scienza, dalla chimica alla pediatria.

2. Chiamiamo “socialismo” lo stadio iniziale del comunismo, quando le tracce della divisione in classi propria del capitalismo sono ancora evidenti: la massa della popolazione non è ancora organizzata e cosciente al punto da dirigersi con le istituzioni in cui consiste la sua propria organizzazione.

3. Un’efficace sintesi della concezione esposta da Lenin nelle due opere citate, la si trova nel cap. 2 punto 4 e cap. 3 punto 3 di Stalin, Storia del Partito comunista (bolscevico) dell’URSS, Edizioni Rapporti Sociali - www.nuovopci.it/classic/stalin/pcburss.html.

4. Gramsci, Quaderni del carcere, (Quaderno 8, § 21 www.nilalienum.com/Gramsci/Q8fnote.html, Quaderno 11, § 12, in www.nilalienum.com/Gramsci/Q11fnote.html, Quaderno 12, § 1 in www.nilalienum.com/Gramsci/Q12fnote.html.

 

Rubrica - Dibattito Franco e Aperto 

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