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Pubblichiamo molto volentieri l’ottimo intervento del compagno Cesare.

Speriamo che non ce ne vorrà se ci siamo permessi di inserire, qua e là, ma sempre tra parentesi quadre alcune aggiunte che ci sembravano utili.

La Redazione

 

12 marzo 2009

contributo alla pagina Dibattito Franco e Aperto

 

Compagni che “scoppiano

 

Nel numero 31 di La Voce il compagno Giacomo di Livorno scrive alla redazione una lettera sui “compagni che scoppiano”. Ne condivido il contenuto, e aggiungo alcune considerazioni a scopo di approfondimento.

Oggi nella carovana del nuovo PCI la contraddizione fondamentale è, come dice il compagno, quella tra teoria e pratica. In teoria siamo tutti impegnati a creare un governo di Blocco Popolare, in pratica troviamo poi che “abbiamo troppe cose da fare”. Questa è una forma della contraddizione tra teoria e pratica.

Allo stesso modo, siamo tutti convinti che la critica e l’autocritica sono necessarie, ma poi molti compagni e compagne si fermano di fronte al processo finale, cioè la trasformazione. Si fermano alla teoria, cioè all’autocritica, che però, se non diventa trasformazione, si riduce a lamento. Molti quindi dichiarano: “Io sono un compagno che scoppia”, e tutti quanti anche ammettono che il problema di fondo è ideologico, però non dicono qual è il loro problema specifico, e tutti i loro ragionamenti sono sterili, senza risultato pratico. La critica ed autocritica senza trasformazione è un’altra forma della contraddizione tra teoria e pratica.

La borghesia concede “libertà di pensiero” finché il pensiero non diventa realtà. La borghesia ci lascia liberi di sognare il comunismo, di fare ipotesi balorde sul comunismo, anche di spacciarci per comunisti, ma non di fare il più piccolo passo concreto per avanzare verso il comunismo. La carovana del nuovo PCI ha avuto sempre a che fare con la repressione perché ha sempre trattato la questione del comunismo in modo pratico, individuando passi concreti per avanzare verso il comunismo. Entro la carovana del nuovo PCI le lotte ideologiche si sono sempre sviluppate tra una linea di sinistra, per avanzare, e una di destra, che rappresentava all’interno dell’organismo interessato l’influenza borghese, che ci vuole fermi.

La contraddizione tra teoria e pratica durerà finché durerà la divisione in classi. E’ madre di molte contraddizioni, e noi di volta in volta abbiamo bisogno di specificare quali. Nel caso specifico, abbiamo a che fare con una linea che, da un lato, ammette che il problema dei “compagni che scoppiano” è principalmente ideologico, dall’altro dice che però il fenomeno è dovuto anche alle “troppe cose da fare”. Dice quindi che due cose sono vere contemporaneamente. La conclusione è che, quando passiamo alla pratica, cioè alle “cose da fare”, il problema che sono troppe diventa principale, e i problemi ideologici di cui si parlava all’inizio secondari.

I fautori di questa linea quindi dichiarano solo in modo formale che i problemi ideologici sono principali, perché lo dicono alcuni dirigenti, per evitare contrasti. Che sia così, lo dimostra il fatto che chi difende questa linea non dice quali sono i problemi ideologici in questione e, siccome sapere qual è il nostro problema è il primo passo per risolverlo, con ciò dimostra che la soluzione dei problemi ideologici per lui non è questione prioritaria.

Noi dobbiamo dire quali sono i problemi ideologici che si manifestano in questa fase, tra l’altro, con il fenomeno dei “compagni che scoppiano”.

Io ne vedo almeno tre:

  1. una concezione sbagliata del centralismo democratico,
  2. una concezione che pone sullo stesso piano opposti come “i problemi ideologici” e “le troppe cose da fare”,
  3. una concezione sbagliata del rapporto tra dirigenti e diretti.

 

Una concezione sbagliata del centralismo democratico

Quando si confrontano posizioni e linee diverse, il dibattito si conclude con un voto, si definisce una maggioranza, quindi tutto il partito o il singolo organismo agisce come un corpo unico. La minoranza si adegua alle decisioni della maggioranza perché è convinta che siano giuste, e tali infatti sono perché hanno ottenuto i maggiori consensi.

La verità sta, infatti, dalla parte della maggioranza. La verità è sempre un fatto relativo. “Relativo”, come dice la parola, significa che sta in relazione a qualcos’altro. In questo caso, la relazione è tra posizioni opposte, in contraddizione tra loro, che si confrontano e si superano producendo un risultato concreto, qualcosa di nuovo, che prima non c’era. [Nel contesto di cui trattiamo, se la discussione è stata ben condotta ed è stata esauriente (DFA), la tesi della maggioranza dell’organizzazione è la verità relativa all’esperienza dell’organizzazione. Potrà essere superata solo da una superiore esperienza, che l’organizzazione compie applicando la linea definita. Infatti la verità non cada dal cielo né è innata, ma è elaborazione dell’esperienza - Da dove vengono le idee giuste? (Mao)] Questo è il processo del centralismo democratico. Non è uno stratagemma inventato per superare momenti di stasi, ma un momento di un processo vitale [pratico, operativo, proprio di chi non si limita a interpretare il mondo, ma lo trasforma], la definizione scientifica di un salto di qualità.

La concezione sbagliata del centralismo democratico è quella secondo cui la minoranza segue la maggioranza per dovere, perché ovviamente come minoranza non ha possibilità d’azione (chi la seguirebbe?), però mantiene le proprie convinzioni, cioè è convinta di avere avuto ragione e di averla ancora.

Questa concezione è superficiale. Non tiene conto del valore relativo della verità, perché mantiene la propria come un assoluto, come una cosa che la decisione della maggioranza non modifica. Non comprende la dialettica del [la dialettica teoria-pratica insita nel] centralismo democratico e la sua funzione vitale e concreta, quindi si mantiene come astrazione, come “pensiero nella nostra testa”, da tenere per noi o al massimo per quelli che presumiamo sono d’accordo con noi. Alimenta quindi, prima o poi, il fenomeno del liberalismo che consiste nel parlare delle cose al di fuori degli organi preposti, a riunioni concluse. Genera un’azione in cui persiste l’elemento della sfiducia, perché si sta seguendo quello che ha deciso la maggioranza senza essere convinti, e quindi ci si aspetta la sconfitta.

Questa forma di deviazione esprime bene il “conservarsi come FSRS” di cui parla anche Giacomo nella sua lettera. Tra le FSRS, infatti, il centralismo democratico non è affatto praticato, perché è considerato una forma di disciplina imposta, così come lo interpreta questa linea sbagliata che stiamo descrivendo. Tra le FSRS si considera in qualche modo titolo di merito essere minoranza in eterno, e giustificare i propri fallimenti con il fatto che “la maggioranza non ci capisce” [una posizione che sconfina nella concezione che le masse sono per loro natura ignoranti e pochi gli eletti che comprendono la verità e hanno sentimenti superiori: insomma la concezione avanguardista e alla Marcuse di Un uomo a una dimensione (non le masse, ma gli intellettuali di alto intelletto e di alti sentimenti fanno la storia), oppure trae supporto e alimento da tale concezione avanguardista ed elitaria della società e della storia]. Le FSRS sono comunque convinte di avere ragione, e che quindi la maggioranza (delle masse popolari, delle altre forze politiche comuniste, di sinistra, ecc) va verso la sconfitta, e quindi aspettano che tale sconfitta avvenga a conferma delle loro ragioni. [Aspettano che la storia dia loro ragione. Quindi sconfinano nel fatalismo e nel determinismo o trovano conforto in queste concezioni e traggono sostegno  da esse.]

In attesa di tutto questo le FSRS concludono poco o nulla, e non conta quanto siano in buona fede, o quanto tempo ed energie dedicano al loro lavoro. L’ingranaggio può girare anche notte e giorno, e a qualsiasi velocità, ma non produce movimento se non è connesso con altri ingranaggi.

Si vede come la contraddizione generale tra teoria e pratica si esprime in questo particolare caso, cioè nell’impostazione sbagliata del centralismo democratico: si fa una cosa ma se ne pensa un’altra. A lungo andare questo corrode, e da qui ha origine il fenomeno del “compagni che scoppiano” che, sotto un altro aspetto, è emergere della contraddizione tra restare FSRS e diventare comunisti.

 

Una concezione che pone sullo stesso piano opposti come “i problemi ideologici” e “le troppe cose da fare”

Come detto sopra, secondo questa concezione si ammette che esistono problemi ideologici nel non ottenere i risultati posti, ma si aggiunge anche che i risultati non si ottengono perché le cose da fare sono troppe.

Se un risultato non si ottiene, bisogna capire qual è la ragione principale. In questo caso, la contraddizione tra teoria e pratica è quella tra i problemi ideologici (un problema teorico) e le troppe cose da fare (un problema pratico). Problemi ideologici sono quelli che ostacolano lo sviluppo del partito, di ogni suo settore ed organismo e di ogni suo membro. “Troppe cose da fare”, dal lato opposto, significa che il partito, i suoi settori, organismi e membri pretendono troppo dalle singole istanze e dai singoli membri. I due poli hanno lo stesso peso?

Io sostengo che i due poli non hanno lo stesso peso. Sono l’uno il contrario dell’altro, e chi dice è vera una cosa ma è vera anche l’altra sostiene che sono vere due cose in contraddizione. Questo genera confusione, e questa confusione è un altro dei problemi ideologici per cui i compagni “scoppiano”. A fronte di ogni carenza, di ogni risultato mancato, non sanno qual è il motivo, se un problema ideologico che hanno, se le troppe cose da fare, se entrambi, e in quale misura. Non sanno quindi come affrontare di nuovo il lavoro e, dato che nel frattempo altri lavori chiedono di essere svolti, si può ben comprendere come possano essere sopraffatti da incertezze, dubbi e pessimismo.

Perché qualcuno dice che sono vere due cose che sono una il contrario dell’altra? Perché così facendo si pensa di tenere insieme parti, compagni e compagne che la pensano in modo opposto gli uni rispetto agli altri. È anche un modo per assentire in modo formale a una tesi generale, approvata dalla maggioranza, una tesi corrente entro la carovana del nuovo PCI da quando si è detto che il collo di bottiglia della trasformazione è la padronanza del materialismo dialettico.

I compagni che mettono assieme cose opposte in buona fede credono che l’unità di un organismo sia data dal tenere sotto tono le sue contraddizioni. Non vedono la necessità di una lotta ideologica. Nonostante la buona fede, sono però in questo simili alle FSRS che ragionano e agiscono come gruppo di amici e non come partito comunista. Anche l’adesione formale alla tesi enunciata dai dirigenti è un modo d’essere comune tra le FSRS. Per questi motivi, questa concezione sbagliata è espressione della contraddizione tra restare FSRS e diventare comunisti.

 

Una concezione sbagliata del rapporto tra dirigenti e diretti

Più di uno dice: “Se il diretto sbaglia, la colpa è del dirigente, che lo ha diretto male.” Questa tesi è falsa. Lo è, naturalmente, in senso relativo, ma è senz’altro falsa. Lo è in senso relativo, perché nella crescita del diretto l’azione del dirigente è fondamentale. È tuttavia falsa, per i seguenti motivi:

Il diretto che pone la propria crescita come compito del dirigente aspetta la soluzione da fuori. Qualcosa di simile lo ritroviamo tra le FSRS come attesa che qualcosa scoppi, che le masse si ribellino, che è la concezione contraria a quella espressa in La rivoluzione borghese scoppia, la rivoluzione socialista è il risultato dell’attuazione di un piano di lotta” (La Voce, n. 31, pp. 10-11). Lo ritroviamo anche, più in generale, tra quelle molte forze nei paesi imperialisti che stanno ad aspettare che la rivoluzione parta dai paesi oppressi e semicoloniali.

Chi si aspetta di crescere grazie a qualcun altro non si rende conto che ogni cosa, e anche lui stesso, cresce per sviluppo delle proprie contraddizioni interne. Non sa, quindi, che ha in mano sua il potere di crescere. Se non lo esercita, nessuno, nemmeno il dirigente migliore, lo farà al posto suo e quindi, dato che aspetta la propria crescita da dove mai può arrivare, non cresce e si aggiunge anche lui ai “compagni che scoppiano”. Il suo problema ideologico è che ha una concezione meccanica, non dialettica, del rapporto tra dirigenti e diretti.

Allo stesso tempo questo suo problema ideologico che genera mancanza di attività, mancanza di determinazione, resistenza ad assumere ruolo dirigente lo pone nel collettivo come soggetto indistinto, che nel collettivo si confonde. Il collettivo diventa quindi non uno strumento (l’unico strumento) dove l’individuo proletario può esprimere appieno la propria potenza [l’ambito indispensabile perché il proletario abbia un potere sociale e lo eserciti], ma un luogo dove ci si rifugia. Tutto questo si esprime nel modo più limpido tra le FSRS, e quindi la concezione sbagliata del rapporto tra diretti e dirigenti, è sia problema ideologico dei “compagni che scoppiano”, sia modo di restare FSRS invece che diventare comunisti.

 

Conclusioni

Il problema dei “compagni che scoppiano” è quindi strettamente collegato allo sviluppo della contraddizione tra FSRS e restare comunisti, e porta questa contraddizione, che si sviluppa per tutto un arco di tempo, alla luce. Emerge, non a caso, quando si realizza ciò di cui la carovana del nuovo PCI prevede la realizzazione da più di 25 anni, cioè la fase terminale della crisi di sovrapproduzione assoluta di capitale. La teoria è confermata dalla pratica, nel campo dello sviluppo della crisi capitalistica. Ma la carovana non ha solo detto che il capitalismo avrebbe generato guerra. Ha anche detto che avrebbe generato le condizioni per la rivoluzione. Questa parte della teoria, che è la più importante si deve unire alla pratica grazie al nostro intervento attivo. Questo intervento attivo significa, oggi e in tempi brevi (dato che, come dicono i comunicati del Partito, non abbiamo a disposizione tempi infiniti), superare la contraddizione tra FSRS e diventare comunisti con un salto di qualità. È il passo necessario, come dice Giacomo, per la realizzazione del governo di Blocco Popolare e per i compiti che verranno dopo.

 

Cesare di Genova.