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Struttura e funzionamento dello Stato della Repubblica Pontificia
(schede tematiche)  

Breve storia del servizio sanitario in Italia a partire dall’Unità

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18.07.2020

 

L’assistenza sanitaria in Italia a partire dall’Unità

In Italia prima dell’Unità (1861) l’assistenza sanitaria era praticata come beneficenza erogata all’ammalato da privati, in massima parte enti e istituzioni di carattere religioso denominati Opere Pie che gestivano ospedali, cronicari, istituti di ricovero e provvedevano all’assistenza complessiva ai poveri.

Lo Stato unitario si propone di intervenire in campo sanitario per prevenire malattie infettive, in quello assistenziale per contenere e controllare emarginazione e povertà. I due campi sono connessi. Il 1848, l’anno della prima rivoluzione del proletariato moderno e l’anno in cui il movimento comunista cosciente e organizzato nasce con il Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels, è anche in Europa l’anno di un’epidemia di colera. Nel corso dell’Ottocento le epidemie (colera, tifo, febbre gialla, vaiolo, malaria) e la rivolta sociale si accompagneranno sempre, perchè la malattia è legata alle condizioni di sfruttamento e miseria imposte alle classi lavoratrici. Esemplare è il caso della classe operaia ammassata nelle fabbriche inglesi a partire dalla rivoluzione industriale nella seconda metà del Settecento.

A un anno dalla proclamazione del Regno d’Italia, nel 1862 la legge Rattazzi istituisce in ogni Comune del Regno una Congregazione di carità: ad essa compete erogare sussidi e benefici ai poveri. Nel 1865 la Legge 2248 del governo La Marmora mette in carico al Comune l’assistenza ai poveri, alla Provincia la cura dei malati di mente e a Comune e Provincia la tutela dei bambini illegittimi. Due sono gli interventi sotto il governo Crispi (1887-1890): 1. la riforma della sanità pubblica con la Legge sull’Igiene e la Sanità pubblica e 2. la riforma delle Opere Pie. La prima è approvata nel 1888, poco dopo l’epidemia di colera del 1885/6. Dichiara compito dello Stato occuparsi della “pubblica igiene” secondo un principio (che si manterrà fino alla legge 883 del 1978) che riserva allo Stato la disciplina generale della sanità pubblica esercitata dal Ministero dell’Interno attraverso i prefetti. Disciplina non significa intervento organico né finanziamento ai fini dello sviluppo né pratica volta a istituire un vero e proprio servizio pubblico in alternativa a quello privato in mano in massima parte alle istituzioni religiose. La legge Crispi del 1890 mantiene la struttura privatistica delle 21mila Opere Pie, ma con il nome di Istituzioni di Pubblica Assistenza e Beneficenza (IPAB) che mette sotto la sorveglianza del Ministero dell’Interno. Sorgono grandi sanatori con migliaia di posti letto per contenere le malattie contagiose.

Nel complesso da questo momento fino all’istituzione del regime fascista l’intervento pubblico nella sanità è scarsissimo e le istituzioni con le loro strutture sono migliaia e scoordinate. Nel Regno della materia si occupa in primo luogo la beneficenza privata: le Congregazioni di carità istituite in ogni Comune intervengono dove non interviene la beneficenza privata e il Comune interviene a loro sostegno quando è necessario. Nel caso che anche il Comune manchi delle risorse necessarie, è previsto l’intervento dello Stato tramite i prefetti.

È in questo periodo che hanno massima espansione le Società Operaie di Mutuo Soccorso, sorte per iniziativa della classe lavoratrice sotto forma di associazioni di lavoratori che mettono in comune risorse atte a difendere sé e le proprie famiglie nelle condizioni di malattia, vecchiaia e morte, condizioni di cui né i padroni né lo Stato si curano, almeno fino ai provvedimenti adottati dal Regno d’Italia nei tempi e modi sopraddetti. Ne risulta una gestione della sanità e dell’assistenza che va a configurarsi secondo il sistema fissato nel 1883 nell’Impero Germanico da Otto Von Bismarck (Schönhausen 1815 – Friedrichsruh 1898) cancelliere del secondo Impero Germanico, sistema che prenderà il suo nome. In questo sistema cure gratuite sono fornite solo a chi è iscritto nell’elenco dei poveri, mentre i lavoratori sono assistiti da casse mutue per le quali pagano i contributi di malattia. Le casse mutue diventeranno assi portanti dei sistemi sanitari e saranno inglobate e articolate dalla classe dominante, perché né può lasciare che si sviluppino, si moltiplichino e si coordinino come ambiti dove le masse popolari si organizzano imparando a governarsi da sé né può abolirle. Le casse mutue infatti assolvono a una necessità sociale inderogabile, provvedendo tra le altre cose all’assistenza sanitaria della classe lavoratrice che nei paesi imperialisti è necessaria perché la classe dominante conservi in qualche misura il consenso delle masse popolari. Le casse mutue hanno altri due vantaggi: non hanno un costo per lo Stato perché sono finanziate dai contributi dei lavoratori e raccolgono masse di denaro depositato nelle banche che la classe dominante usa come capitale speculativo o come fondo a copertura del bilancio dello Stato.

Il sistema mutualistico, che ha i suoi embrioni già alla metà del Settecento in Inghilterra e successivamente anche in altri paesi europei,(1) verrà perciò fatto proprio dalla borghesia sia in quei paesi imperialisti dove la borghesia si garantisce il consenso delle masse popolari con il regime di controrivoluzione preventiva,(2) tra i quali c’è il Regno Unito dove però nel secondo dopoguerra sarà inaugurato il sistema Beveridge (3) come superamento del sistema Bismarck, sia in quei paesi imperialisti in cui la borghesia governa tramite la dittatura terroristica, cioè tramite il nazismo o il fascismo, tra i quali c’è la Germania e l’Italia.

 

1. Le mutue in Francia hanno riconoscimento giuridico nel 1870, in Germania nascono a metà dell’Ottocento, in Italia la prima nasce a Pinerolo nel 1844 e quelle successive nascono in Piemonte, Lombardia, Emilia, Toscana e hanno riconoscimento giuridico nel 1886.

2. Scopo, articolazione e storia di questo regime sono descritti in Manifesto Programma del (nuovo)PCI [MP] ed. Rapporti Sociali, Milano 2008, pagg. 46 – 47.

3. Lord William Henry Beveridge (Rangoon 1879 - Oxford 1963) economista e sociologo. Scrisse il rapporto che fu base per la riforma  dell’assistenza sanitaria e della previdenza sociale attuata dal governo Attlee, laburista, andato al potere dopo che Churchill alla fine della guerra, nel 1945, perse le elezioni.

 

Il sistema sanitario italiano sotto il regime fascista.

Il regime fascista sviluppa e articola le mutue in un sistema unico gestito dallo Stato. In linea con quanto avviato dal governo Crispi, interviene strutturando organizzativamente secondo quanto è in embrione e secondo quanto è necessario alle masse popolari in un paese che il regime vuole portare al livello degli altri paesi imperialisti, ma mette a disposizione risorse finanziarie minime: delega il loro reperimento alla beneficenza, a enti locali che le dovrebbero trovare autonomamente, ai lavoratori nel caso delle Casse mutue di malattia che istituisce con la Carta del Lavoro del 21 aprile 1927.(4) Sono stabilite nei contratti collettivi di lavoro, dice la Carta e “con il contributo delle imprese e dei lavoratori, amministrate da loro rappresentanti sotto la vigilanza degli organismi corporativi”.

Le casse mutue forniscono copertura sanitaria a un terzo della popolazione italiana, principalmente lavoratori del settore privato, a cui si aggiungono verso la fine della guerra lavoratori dello Stato, degli enti locali e loro familiari. Uno degli obiettivi principali è la lotta contro la tubercolosi: l’assicurazione obbligatoria contro questa malattia copre tutti i lavoratori del settore privato tra i 15 e 65 anni (con l’eccezione degli impiegati considerati benestanti) e garantisce ricovero in sanatori e istituti convenzionati, mentre i Dispensari istituiti da Comitati Provinciali Antitubercolari provvedono a profilassi e ricoveri per chi non ha assicurazione.

 

4. Dal 1922 al 1945 la spesa per la sanità ha come punta massima lo 0,44 % rispetto alle spese complessive dello Stato (anni 1933-1935) e lo 0,38 % rispetto al PIL (1938).

5. Elenchi del genere esistevano anche prima della costituzione del Regno d’Italia nel 1861. La Gazzetta medica italiana (Lombardia) del 1839 indica come povero che ha diritto all’assistenza a carico del comune chi non ha nulla e non è in grado di sopperire ai bisogni minimi suoi e della famiglia e parla di un elenco dei poveri compilato da un addetto comunale con il concorso del prete e del medico che opera nel comune.

 

Oltre alle mutue finanziate dai lavoratori persiste l’elenco dei poveri cui spetta assistenza gratuita.(5) Il regime fascista inquadra l’assistenza sanitaria in un progetto di ampia portata con cui mira a provvedere alle necessità delle masse popolari italiane con istituzioni alcune delle quali tuttora esistenti. Istituisce

- l’Unione Italiana Ciechi nel 1923,

- l’Opera Nazionale per la protezione della Maternità e Infanzia (ONMI) nel 1925 (resterà in funzione fino al 1975),

- i Consorzi Provinciali Antitubercolari nel 1927,

- l’Opera Nazionale per gli Orfani di Guerra (ONOG) nel 1929,

- l’Ente Nazionale per la Protezione e l’Assistenza ai Sordomuti nel 1932,

- l’Istituto Nazionale Fascista per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INFAIL, divenuto INAIL dopo la caduta del regime) nel 1933,

- l’Istituto Nazionale Fascista per la Previdenza Sociale (INFPS, divenuto INPS dopo la caduta del regime) nel 1933,

- gli Enti Comunali di Assistenza (ECA) nel 1937, in sostituzione delle Congregazioni di carità, per l’assistenza ai poveri del Comune, agli orfani, ai minori abbandonati, ai ciechi e ai sordomuti poveri, tutti iscritti in un elenco dei poveri nell’ambito di ogni Comune,

- l’Ente per l’Assistenza degli Orfani dei Lavoratori Morti per Infortunio sul Lavoro nel 1941,

- l’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza per i Dipendenti Statali nel 1942,

- l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le Malattie (INAM) nel 1943 (soppresso con l’entrata in vigore della legge 833/78 del 23 dicembre 1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale.

Tra le prime a essere istituite c’è l’ONMI, istituzione già attuata in molti paesi imperialisti (Belgio, Norvegia, Francia, Gran Bretagna, USA, Germania, Danimarca). Nello Stato fascista è espressione della tensione alla crescita quantitativa della popolazione e si sviluppa nei decenni intervenendo contro l’altissimo tasso di mortalità infantile, a sostegno materiale ed educativo delle madri e dei figli dalla nascita fino all’adolescenza, con l’istituzione di asili nido, particolarmente presso le fabbriche e anche dentro le fabbriche per le operaie e con un programma di edilizia per strutture (Case della Madre e del Bambino) in ogni Comune.

Il processo della creazione di istituzioni pubbliche (alcune delle quali tuttora esistenti e tra le maggiori del paese, come l’INPS) fa parte dello sforzo della borghesia per rafforzare la struttura economica e politica del paese. Il regime fascista cerca di mettere l’Italia al passo con gli altri paesi imperialisti e con il primo paese socialista appena costituito, l’URSS. È “l’estremo tentativo della borghesia di rendersi pienamente padrona del paese e quindi politicamente autonoma dalla Chiesa”,(6) tentativo che fallirà con la sconfitta del fascismo nella Seconda Guerra Mondiale. Anche in corso d’opera però lo sforzo della borghesia con il regime fascista deve fare i conti sul piano politico con la Chiesa che non intende perdere terreno in campi quali la sanità, l’assistenza e la previdenza (7) e sul piano economico per l’insufficienza delle risorse che stanzia allo scopo. Il contrasto con la Chiesa spiega il ritardo nell’istituzione dell’INAM, l’11 gennaio 1943, quindi nel pieno della guerra e come mezzo per cercare di mantenere il consenso delle masse popolari. Quanto al fattore economico, l’assistenza ai poveri inseriti negli elenchi subirà restrizioni in proporzione alla penuria finanziaria dei Comuni, con norme limitanti l’accesso agli ospedali e pressioni sui medici condotti da parte delle prefetture per limitarlo ulteriormente.

 

6. Vedasi Manifesto Programma del (n)PCI (MP), pag. 127.

7. Così come non ne perde nel campo della scuola primaria e secondaria, nè nel campo delle università. Con quanto sancito dai Patti lateranensi (1929) il regime fascista capitola di fronte alla Chiesa. Gramsci nella Nota 11 del Quaderno 16 dei Quaderni del carcere tratta di questa capitolazione.

 

Nel 1938 con la legge Petragnani gli ospedali sono distinti dalle infermerie e sono classificati in tre categorie in base alle dimensioni, misurate come presenza media giornaliera di ricoverati. Infermerie ed ospedali di terza categoria costituiscono l’85 % delle strutture specialmente nelle aree rurali e al Sud. Gli ospedali di prima categoria con più di mille posti letto sono nelle grandi città, al Nord come al Sud. Il finanziamento è affidato a benefattori che sono anche dirigenti degli enti che essi finanziano. Le altre entrate sono quelle delle casse mutue che pagano per i loro iscritti e quelle dei Comuni che pagano per i poveri. Per clienti paganti è previsto un servizio di eccellenza rispetto a quello delle mutue e ancor più rispetto a quello di chi non ha la mutua. Questa situazione si protrae ben oltre la caduta del fascismo, fino all’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (SNN) nel 1978 che si fonderà sul sistema Beveridge, più conforme all’assetto delle società nei paesi imperialisti, cioè al ruolo acquisito dalla classe operaia e dalle altre classi delle masse popolari in quei paesi dopo la vittoria dell’URSS contro il nazifascismo, la creazione di un campo socialista includente quasi un terzo della popolazione del pianeta e la costituzione di grandi partiti comunisti in molti paesi imperialisti, tra cui l’Italia.

 

La situazione dopo la Seconda Guerra Mondiale e il sistema Beveridge.

Il sistema Beveridge è così chiamato dal nome dell’uomo politico inglese che lo ha elaborato attorno al 1942. È stato promulgato dal parlamento britannico nel 1948. Istituisce il Servizio Sanitario Nazionale. Prevede assistenza finanziata dallo Stato, gratuita, universale (per tutti i cittadini) e uguale per tutti. Il sistema ha avuto applicazione limitata nei paesi imperialisti e nessuna applicazione nei paesi oppressi e neocoloniali (l’analisi della sanità nei paesi socialisti non è oggetto di questo studio). In Francia e Germania esistono ancora oggi le mutue e nel Regno Unito quanto di progressivo c’era nel servizio sanitario è stato in parte consistente smantellato sotto il governo Thatcher (dal 1979) e i successivi. Comunque di fatto il sistema Beveridge e il sistema Bismarck interessano solo un quinto della popolazione mondiale, in massima parte abitante nei paesi imperialisti. L’80% della popolazione mondiale non ha copertura sanitaria e questo vale anche per i cittadini degli USA.

La borghesia ha introdotto il sistema Beveridge per i seguenti motivi ed è stato attuato fino a quando tali motivi persistevano.

a) Richiede risorse economiche anche da parte degli esponenti della borghesia imperialista (a differenza del sistema Bismarck) e questa classe può mettercele a fronte delle lotte delle classi lavoratrici ma solo in periodo di sviluppo economico, quale è stato quello della ripresa tra il 1945 e il 1975.

b) La cessione delle risorse è una perdita sul piano economico ma serve, sul piano politico, a mantenere il consenso a fronte di masse popolari che nei paesi imperialisti sono uscite dalla Seconda Guerra Mondiale con una forte spinta a realizzare un processo di pace, uguaglianza, libertà e progresso materiale e spirituale (in sintesi: a instaurare il socialismo) e che sono organizzate per imporlo.

c) Questo vale soprattutto considerando che queste masse hanno davanti l’esempio concreto dell’URSS, Stato in cui i principi di pace, uguaglianza, libertà e progresso sono stati realizzati in misura tale da fare crescere il paese rendendolo anche capace di fare fronte al nazifascismo e sconfiggerlo.

 

La sanità in Italia dalla caduta del fascismo fino alla legge di Riforma Sanitaria del 1978

Per arrivare a una sanità garantita a tutti e uguale per tutti quale prevista dalla Costituzione (art. 32) in vigore dal 1948  serviranno tre decenni di lotte politiche e sindacali uno dei risultati delle quali è lo Statuto dei Lavoratori del 1970 che, tra le altre cose, afferma il diritto dei lavoratori di attuare tutte le misure necessarie per tutelare la salute in fabbrica. Quelle lotte  porteranno nel dicembre del 1978 il governo Andreotti (8) a promulgare la legge 833/78 che introduce il SSN.

Il SSN si propone di superare il sistema caotico, diseguale e dispendioso delle casse mutue e istituisce il Fondo Sanitario Nazionale (FSN) fissato annualmente nel bilancio dello Stato, ripartito tra le varie regioni dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) su indicazioni del Ministero della Sanità e distribuito trimestralmente. Il SSN mira a unire interventi preventivi, curativi, riabilitativi e di reinserimento sociale e a integrare interventi sanitari, sociali e ambientali. Costituisce le Unità Socio-Sanitarie Locali (USSL) e le lega a distretti sanitari che in linea di massima all’inizio coincidevano con le condotte mediche, cioè i medici condotti dipendenti dai Comuni. Le USSL mantengono il legame con i Comuni in quanto esse sono loro enti strumentali, con consiglieri delegati alla loro gestione e commissioni comunali aperte alla partecipazione dei cittadini. Le USSL (una ogni 50mila o 200mila abitanti a seconda delle zone) hanno le funzioni di

    a) prevenire malattie e infortuni negli ambienti di vita e di lavoro tramite servizi specifici,

    b) riabilitazione delle invalidità,

    c) tutela di maternità e infanzia,

    d) intervento medico nelle scuole,

    e) eliminazione dell’inquinamento,

    f) tutela della salute mentale,

    g) diagnosi e cura delle malattie.

La legge stabilisce la formazione di due reti ospedaliere: una di ospedali specializzati in una materia specifica, una di ospedali di zona, collegati agli altri servizi sanitari, sociali e ambientali del territorio.

Con la riforma tutti avranno accesso alle cure mediche (prima della riforma artigiani e lavoratori licenziati da 6 mesi pagavano personalmente le prestazioni sanitarie), la mortalità perinatale diminuisce fino a raggiungere i livelli del Nord-Europa, la tubercolosi diventa una malattia occasionale, la durata media della vita aumenta.

Il finanziamento del SSN dovrebbe avvenire tramite la fiscalità generale ma fino al 1997 i lavoratori continueranno a pagare i contributi malattia finanziando il 53 % del FSN. Inoltre, nel 1980 vengono istituiti i ticket su medicinali e accertamenti diagnostici.

La legge 883/78 è affiancata dalla contemporanea legge 180/78, la cosiddetta Legge Basaglia, che chiuderà i manicomi dando risposta alle rivendicazioni di un forte movimento delle masse popolari a difesa della salute mentale. Essa avrà vita dura e stentata perché lo Stato non provvederà a stanziare risorse per strutture migliori dei manicomi, lasciando quindi i malati e le loro famiglie a se stessi.

La legge 883/78 è un risultato del ciclo di lotte durato un trentennio (1945-1975). Nel corso del trentennio un passo avanti importante è la scorporazione del Ministero della Sanità (più tardi denominato Ministero della Salute) dal Ministero dell’Interno avvenuta nel 1958. La misura ha un valore storico in quanto riconosce per la prima volta nella storia italiana il fatto che la sanità è un problema sociale che richiede soluzione sociale e non un problema personale da affrontare con misure di ordine pubblico come era sempre stato considerato fino dalla costituzione del Regno d’Italia.

Il nuovo ministero intende porsi come punto di riferimento di un sistema sanitario allora scomposto, con ospedali che fanno riferimento a una miriade di enti, quali IPAB, INPS, INAIL, INAM, Croce Rossa Italiana, Comuni, Province, Consorzi provinciali antitubercolari, ecc. Questo obiettivo sarà raggiunto dieci anni dopo, con la legge Mariotti (legge 132/1968) che trasforma tutti gli ospedali in Enti ospedalieri con personalità giuridica sotto il controllo del Ministero della Sanità, li distingue in zonali, provinciali e regionali, stabilisce termini di gestione e strutturazione interna.

Il periodo dagli anni ’50 agli anni ’70 è quello della ripresa economica che segue la fine della prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale.(9) Per la precisione, la ripresa termina alla metà degli anni ’70 quando inizia la seconda crisi generale per sovrapproduzione di capitale (10) (che è ancora in corso e dal 2008 è nella sua fase acuta e terminale che ha subito l’accelerazione impressa dall’odierna crisi sanitaria del Covid-19). Nella fase di ripresa economica la borghesia mantiene profitti sufficientemente alti da fare concessioni alla classe operaia che a sua volta lotta su più fronti (nel mondo è ancora in corso la prima ondata della rivoluzione proletaria sollevata dalla Rivoluzione d’Ottobre nel 1917 e dalla costituzione dell’Unione Sovietica), incluso quello del diritto alla salute. Tra i dati che mostrano le conquiste della classe operaia c’è l’incremento dei posti letto. La serie esposta in Tabella A (11) mostra un incremento costante fino al picco del 1975, data oltre la quale il calo è altrettanto costante nonostante l’istituzione del SSN nel 1978, perché inizia la crisi e la borghesia non solo non cede ulteriore terreno, ma prende misure per riconquistare quello perduto. La serie parte con il dato del 1954, con 362.053 posti letto, 7,5 per mille abitanti, fino al picco del 1975 con 588.103 posti letto, 10,61 per mille abitanti, fino all’ultimo dato del 2012, di 204.370 posti letto, 3,43 per mille abitanti.(12) La serie di Tabella A mostra l’andamento descritto, con il decremento particolarmente pesante nel settore pubblico e sostanzialmente contenuto nel settore privato (che anzi cresce fino al 1990).

 

8. È il governo di unità nazionale con il PCI costituito dalla DC nel 1978 nel contesto del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse.

9. Sulla prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale vedi Manifesto Programma del (n)PCI (MP), Edizioni Rapporti Sociali (2008) pagg. 60-70.

10. Al riguardo vedi MP, pagg. 77-81.

11. Le Tabelle A, B e C vengono tutte dalle serie storiche ISTAT.

12. La cifra è al di sotto dei 3,5 posti letto per mille abitanti del 1936, anche se in assoluto la cifra del 1936 è inferiore: 153.577 posti letto rispetto ai 204.370 del 2012.

 

 

Tabella A

 

CIFRE TOTALI

SETTORE PUBBLICO

SETTORE PRIVATO

ANNO

POSTI LETTO

PER MILLE ABITANTI

POSTI LETTO

PER MILLE ABITANTI

POSTI LETTO

PER MILLE ABITANTI

1955

380.610

7,83

328.235

6,75

52.375

1,1

1960

450.539

8,97

379.696

7,56

70.843

1,4

1965

503.110

9,65

414.318

7,95

88.792

1,7

1970

568.513

10,56

474.283

8,81

94.230

1,7

1975

588.103

10,61

500.660

9,03

87.443

1,6

1980

542.260

9,61

464.261

8,23

77.999

1,4

1985

470.579

8,32

396.440

7,01

74.139

1,3

1990

410.026

7,23

313.576

5,00

96.450

1,7

1995

356.242

6,30

270.598

4,70

85.644

1,5

2000

268.524

4,65

212.165

3,70

56.359

1,0

2005

234.992

4,01

180.484

3,11

54.508

0,9

2010

216.586

3,65

167.163

2,82

49.423

0,8

2012

204.370

3,43

158.463

2,66

45.907

0,8

 

In Tabella B l’andamento riguardante i posti letto per mille abitanti è scomposto per parti del paese. La Tabella mostra la crescita costante dal 1954 al 1975 e la decrescita costante dal 1975 al 2012, ma con dati di partenza differenziati secondo i territori, crescite proporzionali ai dati di partenza e decrescita che porta tutti i territori a dati inferiori rispetto a quelli di partenza ma più uniformi. Ad esempio il  Sud nel 1954 ha 4,36 posti letto per mille abitanti, nel 1975 ne ha 7,89 e 2,92 nel 2012, mentre il Nord Ovest nel 1954 ha 9,91 posti letto per mille abitanti, nel 1975 ne ha 13, 52 e 3,75 nel 2012. Il dato mostra la particolare virulenza dell’attacco contro la sanità portato avanti dalla borghesia imperialista nel Nord del paese.

 

Tabella B

ANNI

SICILIA

SARDEGNA

NORD-OVEST

NORD-EST

CENTRO

SUD
ESCLUSE LE ISOLE

1954

4,74

4,68

9,91

9,23

8,50

4,36

1955

5,28

4,77

10,14

9,98

8,56

4,61

1960

6,16

6,04

10,76

11,59

9,76

5,92

1965

6,72

6,95

11,11

12,50

10,44

6,68

1970

7,75

7,55

11,37

13,89

11,24

7,89

1975

8,17

7,74

10,88

13,52

11,14

8,81

1980

7,71

7,65

9,39

11,91

10,49

8,30

1985

6,85

7,54

8,20

9,87

8,72

5,12

1990

5,63

6,17

7,42

8,19

7,80

4,45

1995

4,98

5,89

6,63

6,75

7,16

3,61

2000

3,77

5,04

4,96

4,88

5,15

4,01

2005

3,48

4,37

4,21

4,15

4,46

3,65

2010

3,03

3,73

3,96

3,84

3,76

3,28

2012

2,87

3,45

3,79

3,75

3,49

2,92

 

La Tabella C mostra il calo continuo del numero degli istituti di cura dal 1954 al 2012. Qui balza agli occhi il dato per cui mentre nel 1954 il numero di istituti pubblici supera quello degli istituti privati di 546 unità, nel 2012 il numero è quasi pari.

 

Tabella C

ANNO

ISTITUTI DI CURA

 

TOTALE

PUBBLICI

PRIVATI

1955

2.315

1.417

871

1960

2.507

1.480

1.003

1965

2.518

1.481

1.072

1970

2.318

1.385

1.005

1975

1.976

1.261

812

1980

1.837

1.137

695

1985

1.798

1.138

666

1990

1.900

1.053

628

1995

1.848

1.075

799

2000

1.425

813

637

2005

1.295

672

624

2010

1.230

638

603

2012

1.156

595

589

 

La reazione contro il SSN e la sua progressiva corrosione.

A metà degli anni Ottanta la riforma è già sotto attacco ed esso diventa sempre più accanito nel contesto dell’attacco generale alle conquiste della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari.

Carlo Donat Cattin (sinistra DC), ministro della Sanità nel 1987, traccia lo scenario futuro preconizzando riduzione dei posti letto negli ospedali, blocco delle assunzioni di medici e infermieri a fronte di una quantità di personale già carente rispetto a quanto previsto dalla legge 883/78, pagamento delle prestazioni da parte dei malati e gratuità solo per i poveri, riduzione dei giorni di degenza ospedaliera, riduzione del numero delle USSL, tendenza a gestire gli enti pubblici addetti all’assistenza sanitaria come aziende capitaliste (costi/benefici).

Nel 1988 la Legge Finanziaria dispone il blocco delle assunzioni e nel 1991 si limitano i posti letto e si avvia la chiusura o la riconversione degli ospedali con meno di 120 posti letto.

Nel 1992 il governo Amato con il suo ministro della Sanità Francesco de Lorenzo vara la legge 502/92 che modifica i cardini fondamentali della legge 833/78 e si guadagna il titolo di “controriforma della riforma”. Con la legge 517/93 il governo Ciampi vuol dare l’apparenza di addolcire la medicina amara della 502/92 salvaguardando l’universalità del SSN stabilita dalla legge 833, ma riduce la partecipazione dei cittadini esaltando le funzioni legate alla produttività e al pareggio del bilancio rispetto a quelle legate alla tutela della salute. I sindacati di regime, che stanno firmando la fine della scala mobile, appoggiano la 517/93 al loro modo usuale e ipocrita, e cioè come “male minore” perché proclama alcune “intenzioni buone” che sono quelle destinate a rimanere sulla carta.

Le principali misure adottate dalla 502/92 sono elencate di seguito.

a. La USSL diventa Azienda Sanitaria Locale (ASL). Non è più strumento dei Comuni, che perdono ogni diritto di indirizzo e controllo su di essa, ma azienda operante secondo logiche di efficienza, produttività, pareggio dei bilanci. Non le viene fornito il finanziamento necessario, ma una base fissa di fondi superata la quale è la Regione che deve pagare. La partecipazione delle comunità locali nei termini prevista dalla legge 833/78 è abolita. Il Direttore generale della ASL è dirigente unico e responsabile dell’attuazione dei piani nazionale e regionali: il Comitato dei garanti che lo affiancava è abolito.

b. La Regione assume potere amministrativo e legislativo.

c. Il Ministero di Economia e Finanza (MEF), e non il Ministero della Salute, decide l’ammontare del FSN e la sua distribuzione.

d. Gli ospedali più importanti acquistano autonomia amministrativa e funzionale divenendo Aziende di rilievo nazionale e di alta specializzazione (ARNAS), analogamente ai policlinici universitari. Accanto a questi ci sono gli IRCCS (Istituti di Ricovero e Cure a Carattere Scientifico) e la rete dei presidi ospedalieri ancora dipendenti dalle ASL. Il finanziamento degli Ospedali da parte della Regione avviene a prestazione, in base a un prezzario calcolato sul costo medio di ogni prestazione.

e. Si autorizza l’accorpamento degli ospedali all’interno di una ASL.

f. Si creano fondi integrativi sanitari e assicurazioni che partono alla caccia del denaro dei lavoratori oltre a quello che hanno continuato a versare per il FSN,

g. Le Regioni possono creare forme di assistenza differenziata erogate da società miste a capitale pubblico e privato.

h. Più ASL di una stessa provincia possono essere accorpate.

Nel 1999 il governo D’Alema emana il decreto legislativo Bindi 229/99 che ha la velleità di mitigare il carattere antipopolare delle riforme che lo precedono.

a) Si introducono i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) che dovrebbero essere garantiti a tutti i cittadini.

b) È assicurata assistenza per anziani, disabili, dipendenze, malattie mentali, assistenza materno-infantile.

c) I medici dipendenti dal SSN non possono svolgere attività privata.

d) Il distretto sanitario deve coordinare l’attività dei medici di base con le prestazioni specialistiche ospedaliere, con la Guardia medica notturna e festiva, con la rete dei servizi territoriali di prevenzione (soprattutto medicina del lavoro, consultori materno-infantili, centri di igiene mentale e per le tossicodipendenze) e favorire l’integrazione tra servizi pubblici e il privato non-profit.

e) Le strutture pubbliche e private devono essere accreditate dallo Stato per poter operare.

Sono misure in massima parte non attuate oppure stravolte per l’autonomia concessa alle Regioni nel 2001.

Il referendum del 1993 e la legge 61/94 spezzano il legame tra salute e ambiente. Le ASL non hanno competenza di intervento sull’ambiente, cosa che passa all’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente (ARPA). Sono aboliti i Presidi Multizonali di Igiene e Prevenzione su base provinciale. Il collegamento tra cause ambientali e stato di salute, soprattutto negli ambienti di lavoro diventa molto difficile o impossibile da stabilire.

Nell’aprile del 1995 lo Stato riduce del 18 % le spese sanitarie destinate all’acquisto di beni e servizi mentre la Legge Finanziaria mira alla riduzione dei posti letto a 5,5 per mille abitanti. Procede da allora fino a oggi l’estensione degli spazi negli ospedali per i medici che intendono svolgervi la libera professione e per i degenti disposti a pagare, crescono progressivamente il costo dei ticket e la quantità di farmaci e servizi che li richiedono, le fasce di chi li deve pagare, mentre cala il numero dei farmaci gratuiti.

Nel 1997 entra in vigore l’Imposta Regionale sulle Attività Produttive (IRAP) con la quale le Regioni devono ripianare i deficit di bilancio creati dalla spesa sanitaria. D’altra parte il problema di escogitare come appianare i bilanci non induce gli enti regionali a recedere dall’impegno di occuparsi di sanità, anzi i poteri locali si affannano per guadagnare indipendenza dallo Stato e i partiti per occupare posizioni dirigenti, dato che si tratta di un campo centrale dell’economia, tanto più in paesi imperialisti dove l’età media degli abitanti sale e la quota di popolazione anziana cresce, tanto più perché è campo dove c’è garanzia di profitto anche o anche di più a fronte di eventi catastrofici come sarà la diffusione della pandemia da Covid-19.

Con la legge 3/2001 le Regioni guadagnano autonomia legislativa e la Regione Lombardia è la prima ad avvalersene con la cosiddetta Riforma Formigoni, diventando capofila delle riforme in altre regioni. Formigoni

a. mette sullo stesso piano servizi pubblici e privati come fossero competitori nel dimostrare di fare meglio secondo la logica di mercato, inapplicabile al servizio pubblico sul quale pesa il dovere di provvedere all’interesse pubblico (quindi ad esempio assumere il costo per una visione di insieme e di un apparato burocratico che gestisca i dati). Il servizio pubblico quindi parte sconfitto e quello privato incamera i fondi che lo Stato riserva ai vincitori della competizione.

b. Le ASL perdono compiti assistenziali, divenendo solo organi amministrativi con compiti di programmazione, di controllo e di pagamento della medicina di base, specialistica, ospedaliera pubblica e privata.

c. I distretti perdono il controllo dei consultori, della medicina del lavoro, delle dipendenze, ecc.: queste funzioni sono assunte tutte da Aziende Ospedaliere formate in genere da più stabilimenti ospedalieri accorpati.

d. I Comuni hanno solo compiti consultivi.

 

La situazione presente

Nel 2012 il Decreto Balduzzi (Dlgs 158/2012) enuncia il proposito di rimediare alle storture generate dall’erosione pluridecennale che il SSN subisce fino all’offensiva da parte dalla Regione Lombardia sopra descritta, tra le altre cose di intervenire a sostegno della medicina territoriale e di porre limiti alla attività intra moenia (13) dei medici, ma cade in un contesto ostile. Prevale la spinta a organizzare la sanità secondo le logiche di mercato sostenuta esplicitamente a livello internazionale dalla Banca Mondiale. In Italia il FSN è sottofinanziato e da ciò seguono mancanza di personale, mancato rinnovo delle attrezzature, scarsa manutenzione degli stabilimenti ospedalieri e ambulatoriali e quindi lunghe liste d’attesa che obbligano i cittadini a far ricorso alle prestazioni a pagamento.

I dati più recenti a disposizione sui lavoratori del SSN e delle strutture private sono del giugno 2019 e sono riferiti all’anno 2017. Sono nel documento sul Personale delle ASL e degli Istituti di ricovero pubblici ed equiparati elaborato dal Ministero della Salute (Direzione Generale della Digitalizzazione, del Sistema Informativo Sanitario e delle Statistica Ufficio di Statistica).

(in http://www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?lingua=italiano&id=2862).

I lavoratori del Servizio Sanitario Nazionale operanti nel Settore Pubblico (Aziende Sanitarie Locali, Aziende Ospedaliere, Aziende Ospedaliere universitarie integrate con il Servizio Sanitario Nazionale e Aziende Ospedaliere integrate con l’Università) nel 2017 ammontavano a 603.375 unità di cui 66,8% donne e 33,2% uomini, ripartite in quattro ruoli: 71.5% nel ruolo sanitario, il 17.6% nel ruolo tecnico, il 10.7% nel ruolo amministrativo e il restante 0.2% nel ruolo professionale. Le unità di personale con profilo infermieristico costituiscono il 58,7% del totale nel ruolo sanitario, i medici e gli odontoiatri il 23,4%.

Nello stesso anno 2017 i lavoratori operanti nel Settore Privato (Aziende Ospedaliere e Policlinici Universitari privati) ammontavano a 80.423 unità, il 72,0% nel ruolo sanitario, il 17,9%, nel ruolo tecnico, il 9,8% nel ruolo amministrativo e il restante 0,3% nel ruolo professionale. Le unità di personale con profilo infermieristico costituiscono il 58,3% del totale nel ruolo sanitario, i medici e gli odontoiatri il 27,3%.

 

13. L’attività intra moenia (entro le mura) consente al medico di svolgere attività privata nella struttura pubblica

 

Conclusione

Nel periodo tra 2010 e 2019 in Italia i successivi e continui tagli della quota parte del FSN sul PIL ammontano a 37 miliardi e l’incremento del FSN è stato inferiore persino all’inflazione. Il Documento di Economia e Finanza (DEF) del 2019 (l’ultimo prima dello scoppio della pandemia da Covid-19) riduceva il rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6 % del 2019 al 6,4 % del 2022. Il ministro della Salute nel primo governo Conte, Giulia Grillo, è uno degli esponenti M5S che paiono più favorevoli a una politica a favore degli interessi delle masse popolari, ma il suo intervento è stato contraddittorio perché puntava solo a correggere alcuni aspetti del problema senza averne una visione complessiva e perché ha cercato di essere compatibile con l’alleato di governo (la Lega che governa la Lombardia in continuità con la linea Formigoni) che con la proposta di autonomia regionale vuol dare al SSN un colpo definitivo. Giancarlo Giorgetti, leghista, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, nell’agosto 2019 (poco prima della caduta del primo governo Conte) al meeting di Comunione e Liberazione dichiarava che la medicina di base è in rapida via d’estinzione nel paese. Di fatto sta parlando di fenomeno che in Lombardia è pressoché compiuto.

La devastazione del SSN prodotta in 4 decenni (1978-2018) si mostra in tutta la sua ampiezza e profondità con la pandemia. La Lombardia, dove il fenomeno è più avanzato, è la regione dove la natura criminale della politica contro il SSN si manifesta nel modo più duro. Tutta la decretazione del governo Conte, a partire dalla dichiarazione dello stato d’emergenza (31 gennaio 2020) è un tentativo di rimediare nell’immediato a una distruzione prodotta in quattro decenni. Il tentativo non ha speranza di successo, dato che per la ricostruzione è necessaria la partecipazione delle masse popolari e servono tempo e denaro che il governo con l’attuale sistema di finanziamento non ha. Lo mostra anche l’ultimo tentativo, il Decreto Rilancio (18 maggio 2020) , che prevede di mettere in campo cifre minime (3.2 miliardi per il 2020) rispetto ai tagli che ci sono stati solo nell’ultimo decennio e che, tra le altre cose, non dedica alcuna risorsa ai medici di base, prevedendone quindi l’estinzione secondo l’indicazione di Giorgetti al meeting CL e benché proprio la carenza di medicina territoriale sia una delle cause principali dello sterminio in Lombardia. Inoltre le cifre previste dal Decreto Rilancio e i piani che il ministro della Salute va elaborando si fondano su finanziamenti che devono essere erogati dalle istituzioni europee, che saranno erogati a tranches e previa ulteriore rinuncia alla sovranità nazionale da parte dell’Italia e sui quali né c’è accordo nell’UE dato che molti paesi non sono d’accordo su ammontare dei fondi e modalità di erogazione, né c’è accordo all’interno della maggioranza governativa, perché le posizioni M5S e PD riguardo a prestiti come quelli del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) sono opposte.

La borghesia imperialista e il clero non hanno idee né piani su come uscire dalla crisi attuale, che è inaudita per la sua gravità. Il movimento comunista che rinasce e che in Italia ha come avanguardia la Carovana del (nuovo)Partito comunista italiano e di cui il Partito dei CARC fa parte, ha comprensione avanzata della situazione e ha chiari obiettivi e piani per metterli in opera. La forza risolutiva è quella delle masse popolari che si organizzano anche per difendere la salute nei luoghi di lavoro e nel territorio, in comitati che si costituiscono sempre più numerosi: quelli delle vittime della gestione criminale della sanità in Lombardia e altrove, quelli a difesa della salute nei luoghi di lavoro, quelli che si organizzano contro la repressione di chi lotta e prende posizione, quelli contro il cosiddetto “obbligo della fedeltà aziendale” che è obbligo a tacere sui comportamenti criminali delle aziende che sacrificano la salute e la vita in nome del profitto.

La capacità della classe operaia e delle masse popolari di organizzarsi e di governarsi autonomamente ha generato l’embrione delle prime forme di affermazione del diritto alla salute con le casse mutue dell’Ottocento; in Italia con le lotte dei trent’anni 1945-1975 è stata madre del Servizio Sanitario Nazionale e protagonista della sua difesa contro l’attacco della borghesia imperialista; oggi è forza per ricostruire tutto quello che è stato perso e per procedere al meglio, per un governo d’emergenza che garantisca il diritto alla salute e per una società socialista dove questo diritto sarà esteso, rinsaldato e radicato nelle forme avanzatissime che già ha avuto nei primi paesi socialisti e che ancora oggi ha in paesi come Cuba, Cina, Vietnam, RPD di Corea.

Il futuro che ci aspetta e che la classe dominante non può vedere è quello che costruiamo sulla base di questa forza della classe operaia e delle masse popolari e con la consapevolezza e il metodo appresi e applicati dal nuovo movimento comunista e dalla carovana del (n)PCI che ne è avanguardia. Il fine è costruire una società socialista, la sola in cui l’unità sociale insita nelle attuali relazioni economiche e sociali si può esprimere sistematicamente in istituzioni adeguate in quanto avanza nell’abolizione della divisione in classi.

Questo cammino è possibile perchè lo stesso modo di produzione capitalista ne ha creato le condizioni: è la borghesia che ha reso ogni individuo dipendente da tutti gli altri per la propria sopravvivenza e che a partire dall’Ottocento ha ammassato le masse popolari nelle fabbriche e nelle città. È necessario: le masse popolari ammassate nelle fabbriche e nelle città in condizioni che non solo ripugnano alla capacità di comprensione e di azione degli uomini ma che contrastano con quelle necessarie alla sopravvivenza umana, cadono vittime delle epidemie e la stessa borghesia è costretta a intervenire, paventata dalle rivolte popolari prima fra le quali quella del 1848. La borghesia però non può porre rimedi definitivi ma solo provvisori e minimi e ritira tutto quello che ha ceduto alla classe operaia e alle masse popolari (anche nel campo del diritto alla salute) appena è nelle condizioni di farlo.

Per quanto breve, la storia qui esposta lo mostra chiaramente.

Tutto questo aiuta a comprendere il comportamento della borghesia imperialista oggi in Italia a fronte dell’epidemia da Covid-19 e i nostri compiti. La lotta della classe operaia e delle masse popolari che nel 1848 si è sviluppata in un movimento rivoluzionario nel contesto di epidemie generate dall’incuria della borghesia per le loro condizioni di vita e di lavoro, ci aiuta a comprendere che la lotta odierna della classe operaia e delle masse popolari del nostro paese, che include la difesa della salute, è genitrice di un grande salto rivoluzionario che porterà il processo iniziato dal movimento comunista cosciente e organizzato del 1848 oltre il grande passo della Rivoluzione d’Ottobre. È nostro compito che lo faccia qui in Italia e che abbia il ruolo storico che ebbe la Rivoluzione d’Ottobre.