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Rapporti Sociali n. 4, luglio 1989 (versione Open Office / versione MSWord )
Il funzionamento automatico di
parti intere di fabbriche è la regola già da decenni nei processi in
continuo delle industrie chimica, petrolchimica, metallurgica e
confezionatrice. La sua estensione è ora iniziata, grazie all'introduzione
dei robots, anche nelle industrie metalmeccanica ed elettromeccanica di
serie e in qualche modo procede, tra accelerazioni, rallentamenti e ritorni
all'indietro.
La combinazione di asservimento agli obiettivi politici
dei capitalisti, di accettazione dell'immagine dell'operaio data dalla
cultura della classe dominante e di ignoranza della storia dei processi
produttivi ha indotto e induce alcuni intellettuali a scoprire solo oggi il
fenomeno della fabbrica automatica e a presentare la fabbrica robotizzata
dell'industria metalmeccanica ed elettromeccanica come «la fine della classe
operaia».
Quando i capitalisti ed i loro amici proclamano che la
classe operaia è scomparsa, essi proclamano la loro speranza e il loro
augurio che sia scomparsa la capacità rivoluzionaria della classe operaia.
Basta considerate quanto la classe dominante si ricordi (e come!) della
persistenza della classe operaia quando passa a parlare del «costo del
lavoro»!
All'operazione di scongiuro cui si dedica la borghesia
giova anche che siano scomparsi o diminuiti quei tipi di operai che
corrispondevano alle immagini che albergano nelle pigre menti di vari
intellettuali, che ben si guardano dall'andare a vedere gli operai di oggi
in carne ed ossa. Questi intellettuali sono in realtà vittime delle loro
stesse teorie. Essi sostenevano che a fare l'operaio era il contenuto
del suo lavoro e si ostinavano a non distinguere il contenuto del suo
lavoro dal rapporto di produzione nel
cui ambito egli lo svolgeva (facendo così un
favore alla classe dominante). I marxisti sostenevano che a fare l'operaio
non è il contenuto del suo lavoro, ma proprio il rapporto di produzione in
cui egli lo svolge. Ora che il contenuto è cambiato (il numero dei tornitori
e diminuito, perchè i torni elettrici sono stati sostituiti dai torni
automatici a controllo numerico, ecc.), quegli intellettuali sono rimasti
senza il «loro» operaio: ma c'è da meravigliarsi? La stessa cosa succede
loro ogni qualche anno, perchè nell'ambito del modo di produzione
capitalista le forze produttive vengono modificate in continuazione e il
contenuto del lavoro muta rapidamente. Cosa avrebbero detto gli stessi
intellettuali quando migliaia di sterratori scomparvero sostituiti da alcune
decine di operatori di ruspe e di pale meccaniche?
Anziché ricamare sulla scomparsa dell'«operaio di una volta», è al contrario proficuo chiedersi come mai tante lavorazioni vengono ancora compiute direttamente dagli uomini con le loro mani e con strumenti d'antica concezione; come mai la robotizzazione ed in generale l'automazione delle lavorazioni si estendono così lentamente e in ambiti così limitati, benché nessun ostacolo scientifico o tecnologico si opponga alla generalizzazione del loro impiego.
Ponendosi queste domande si trova che l'automatizzazione e la robotizzazione dei processi produttivi rivelano non la scomparsa della classe operaia, ma l'obsolescenza dei rapporti di produzione capitalista e mercantile e quindi la necessità della scomparsa dei capitalisti (e di conseguenza anche dei proletari).