Presentazione

Rapporti Sociali n. 8,  novembre 1990 (versione Open Office / versione MSWord )

 

La trasformazione della società umana si svolge attraverso periodi di graduale evoluzione e periodi di rotture traumatiche. Durante i periodi di graduale evoluzione, mille trasformazioni molecolari lasciano nell'osservatore l'impressione complessiva di continuità e stagnazione; l'osservatore si rende conto della trasformazione avvenuta solo se mette a confronto lo stato della società rilevato in due momenti distanti tra loro nel tempo; le mille trasformazioni preparano le condizioni che rendono possibili e necessarie le rotture traumatiche; solo compiendo con una concezione dialettica della realtà un'analisi delle mille trasformazioni diffuse, si riesce a comprendere che stanno creandosi le condizioni di una futura rottura.

I periodi di rotture traumatiche sono l'esplosione del materiale accumulatosi nel periodo di evoluzione, sono la “conclusione” di questo periodo e la “soluzione” dei contrasti in esso sviluppatisi; essi pongono un nuovo punto di partenza di un nuovo periodo di lenta evoluzione in cui le acquisizioni del periodo di trasformazioni traumatiche vengono generalizzate e concretizzate; anche l'osservatore superficiale è colpito dal verificarsi della rottura, ma solo compiendo con una concezione dialettica della realtà un'analisi della situazione si riesce a comprendere il senso della rottura verificatasi e gli sviluppi cui essa ha aperto la strada, la natura del nuovo periodo di graduale evoluzione cui essa darà luogo.(*)

(*) Per un'ulteriore elaborazione di questo aspetto della concezione materialista-dialettica della storia vedasi Stalin, Anarchia o socialismo (1907) cap. I, Opere complete Vol. 1, Ed. Rinascita 1946 (vol.1, Edizioni Rapporti Sociali).

 

Il crollo del revisionismo moderno nel 1989 è stato un evento traumatico. Su questo tutti sono d'accordo. Ma la questione che si pone è: il crollo del revisionismo moderno è il punto di partenza di un nuovo periodo di graduale evoluzione o è l'inizio, il primo atto di un periodo di rottura traumatica nel processo di trasformazione della società?

Questo è il punto! È indispensabile, ai fini della loro attività politica, che i comunisti diano una risposta a questa domanda. Solo i soggettivisti concepiscono la loro attività politica svincolata dalle condizioni e dagli stadi della trasformazione oggettiva della società; solo i soggettivisti immaginano la loro attività politica come esplicazione e realizzazione della loro personalità, come esplicazione e realizzazione libere dalla costrizione che in realtà vincola ogni uomo in ogni campo a perseguire il proprio obiettivo servendosi delle leggi proprie del mondo oggettivo.

Per dei marxisti, la risposta alla domanda sopra posta non solo è indispensabile per decidere cosa fare, ma essa può venire solo da un'analisi dialettica dei contrasti accumulatisi nel periodo precedente. Infatti nel periodo di graduale evoluzione seguito alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale la società ha incubato in sé contraddizioni; con il crollo del revisionismo moderno, si è essa sgravata di ciò di cui era gravida? Se così fosse, le promesse sparse a piene mani da Bush e da Gorbaciov di un periodo di pace e di progresso ordinato, avrebbero una qualche base di realtà e i comunisti dovrebbero tenerne conto responsabilmente (cioè consapevoli della loro responsabilità verso i lavoratori di cui vogliono essere l'avanguardia che guida alla vittoria) nel definire obiettivi e piani di azione per gli anni che ci stanno davanti.

Se così però non è, se con la rottura del 1989 la società non si è sgravata delle contraddizioni che aveva maturato nel periodo di graduale evoluzione seguito alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale, nessuna promessa e nessuno sforzo di Bush e di Gorbaciov (e dei loro mille accoliti e manutengoli di vario livello) potranno impedire che il parto si compia fino in fondo.(1) La rottura procederà fino ad esaurimento del “materiale esplosivo” di cui la vecchia società si è caricata.

 

(1). L'uomo primitivo che già aveva riflessa nella sua mente l'esistenza e l'azione di un mondo oggettivo, ossia indipendente dalla sua volontà e il di fuori del suo raggio d'azione, nella religione aveva personalizzato questo mondo oggettivo, ne aveva cioè attribuito l'azione a persone da lui indipendenti e a lui ignote, ma di lui più potenti: le divinità. I soggettivisti i limitano a riportare, per così, dire in terra le divinità: siccome il movimento  oggettivo della società “innalza” gli individui più adatti per le loro caratteristiche personali a ricoprire i ruoli da esso richiesti, essi attribuiscono il movimento del mondo oggettivo all'azione delle personalità umane. Essi quindi possono credere che Bush e Gorbaciov possano dare agli uomini la pace, così come ieri potevano credere che Reagan e Breznev potevano dare agli uomini la guerra.

 

 

La questione che ci sta davanti si riconduce quindi alla seguente questione:

quale è il “materiale esplosivo” che la società ha accumulato in sé nel periodo di graduale evoluzione seguito alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale?

Il “materiale esplosivo” accumulato nella società nel periodo di graduale evoluzione seguito alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale consiste nella sovraccumulazione di capitale.(2) Quindi il crollo dei regimi revisionisti è solo l'inizio di un periodo di trasformazioni traumatiche, il primo di una serie di sconvolgimenti.

Il crollo dei regimi revisionisti è stato infatti un avvenimento che la crisi per sovrapproduzione di capitale ha fatto precipitare, come abbiamo illustrato in Rapporti Sociali n. 5/6, pag. 4 e segg., ma esso non ha risolto né può risolvere la crisi stessa. La crisi infatti può essere risolta solo creando un ampio campo in cui il capitale possa ulteriormente accumularsi, attirando nel movimento D - M - L - M' - D' (Denaro - Merci per la produzione - Lavorazione -Merci prodotte - Denaro in quantità maggiore) il cui ripetersi continuo è il capitale, nuova classe operaia, vale a dire nuova “materia sfruttabile, senza la quale il capitale non è capitale”.(3)

Per quanto riguarda la relazione tra la soluzione della crisi per sovrapproduzione di capitale che imperversa nei paesi imperialisti e i paesi socialisti dell'Europa Orientale e l'URSS (e la Cina),(4) essa non consiste, come alcuni superficialmente affermano, nella conquista da parte dei gruppi imperialisti di nuovi più estesi mercati nei paesi socialisti per vendere qui le merci prodotte in quantità maggiore di quella che riescono a vendere sui mercati attuali.

 

(2). Una precisa corrente opportunista, riecheggiando in ambienti popolari la tesi borghese della “guerra fredda” e dell'“impero del male”, sostiene che il “materiale esplosivo” accumulato dalla società nel periodo di graduale evoluzione seguito alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale sia il contrasto tra “democrazia” e “dittatura”, tra “libertà” e “totalitarismo”. In Rapporti Sociali n. 7 pag. 16 e segg. abbiamo già parlato di questa versione dell'opportunismo. La cultura borghese che questi opportunisti riecheggiano ritiene che questo fondamentale contrasto maturato nella società sia stato risolto con la “democratizzazione” dei paesi dell'Est avvenuta nel 1989 e che questa soluzione abbia appunto dato il via ad un periodo di sviluppo pacifico ed ordinato. Per essa resta, è vero, ancora da risolvere (oltre ai problemi “marginali” della Cina, dell'Albania, del Vietnam, della Corea, di Cuba e di qualche altro paese e movimento) il problema della “democratizzazione” di alcuni paesi del Terzo Mondo e Bush si è accinto energicamente all'opera, coadiuvato dagli accoliti Thatcher e Mitterrand, benedetto da Gorbaciov, finanziato la Kohl e da Kaifu, servito da attendenti come Andreotti e Gonzalez e da “convinti democratici” come l'egiziano Mubarak e Fahd d'Arabia. I soldati di Bush hanno già iniziato la loro opera “democratizzatrice” nel Medio Oriente, in America Latina e in Africa, opera che da una parte rende manifesta la debolezza della borghesia americana ridotta già a ricorrere ai soldati per tutelare i suoi interessi e a far finanziare da altri le sue guerre, dall'altra crea le condizioni perché il proletariato e i popoli oppressi di tutto il mondo possano attaccare la potenza americana su più campi e batterla.

 

(3). Il contenuto di questa affermazione è esposto in dettaglio nello scritto Ancora sulla sovrapproduzione assoluta di capitale in Rapporti Social n. 5/6, pag. 22 e segg. In particolare in quello scritto è spiegata (punti 2 e 4) l'apparente contraddizione tra la sovrapproduzione di capitale (impossibilità di aumentare il plusvalore estorto dall'intero capitale della società e la sovrappopolazione (creazione di una vasta massa di popolazione espulsa o tenuta fuori dal processo lavorativo e quindi dalla produzione di plusvalore - la massa dei disoccupati e dei sottoccupati) che sempre si accompagna alla sovrapproduzione di capitale. Nello stessi scritto è spiegato anche che la sovrapproduzione assoluta di capitale è relativa alle condizioni concrete con cui l'espansione del capitale storicamente si confronta e si mostrano le soluzioni possibili dell'attuale crisi per sovrapproduzione di capitale nell' ambito del modo di produzione capitalista, soluzioni che si presentano in alternativa alla soluzioni socialista come sbocco della situazione rivoluzionaria che la crisi di sovrapproduzione di capitale crea.

 

(4). Ai paesi socialisti dell'Europa Orientale e all'URSS, aggiungiamo anche la Cina, ma tra parentesi per tenere presente la particolarità della Cina rispetto al resto, derivante sia dal carattere più arretrato della sua struttura economica, sia dagli effetti della Rivoluzione Culturale Proletaria. Distinguiamo l'URSS dai paesi socialisti dell'Europa Orientale perché in Unione Sovietica la rivoluzione socialista ha sconvolto più in profondità i preesistenti rapporti sociali e la transizione dal capitalismo al comunismo è proceduta più lontano.

Nel seguito dello scritto per brevità per indicare i paesi socialisti dell'Europa Orientale e l'URSS (e la Cina) verrà usata l'espressione paesi socialisti. Per lo stesso motivo chiameremo mondo capitalista occidentale l'insieme dei 24 paesi raggruppati nella Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE).

  

 

Anzitutto i paesi governati dai revisionisti moderni sono già stati negli anni trascorsi mercati che hanno comperato dai gruppi imperialisti quanto più merci hanno potuto. Se gli scambi commerciali tra questi paesi e i paesi imperialisti non sono stati più ampi, ciò è avvenuto per due motivi, di cui uno può essere rimosso, l' altro no. Il primo motivo (il minore) era costituito dalle restrizioni poste al commercio internazionale dagli Stati imperialisti che hanno usato i rapporti economici come arma di destabilizzazione politica. Il secondo (il maggiore) era costituito dall'ampiezza dei mezzi di pagamento di cui disponevano i paesi socialisti per acquistare: il loro potere d'acquisto era in linea di massima limitato dal volume delle loro vendite ed essi non potevano vendere nei paesi imperialisti che poco e a prezzi stracciati, stante che in questi la sovrapproduzione di merci era generale. Quindi i mercati dei paesi socialisti sono rimasti modesti (e si sono ristretti in questi ultimi anni) a causa della crisi per sovrapproduzione di capitale comparsa nei paesi imperialisti negli anni '70 con la conseguente sovrapproduzione di merci. Questa restrizione degli scambi commerciali tra i paesi socialisti da una parte e i paesi imperialisti dall'altra è stata anzi una delle cause che hanno precipitato il crollo dei regimi revisionisti, oberati di debiti verso le banche imperialiste e costretti a ridurre le importazioni e ad esportare il più possibile a prezzi di svendita. Stante gli attuali regimi economici interni, i paesi socialisti potrebbero importare di più solo se potessero esportare di più: ma dove esporterebbero se nei paesi imperialisti la sovrapproduzione di capitale rende permanente la sovrapproduzione di merci e se i paesi del Terzo Mondo sono presi nella stessa morsa in cui sono stati schiacciati i regimi revisionisti: ridurre le importazioni, aumentare le esportazioni anche a prezzi di svendita per far fronte ai debiti verso le banche imperialiste? In conclusione, i paesi socialisti nella loro situazione attuale non possono costituire un mercato crescente di sbocco alla sovrapproduzione di merci dei paesi imperialisti.

In secondo luogo la sovrapproduzione di capitale che imperversa nei paesi imperialisti non si riduce a sovrapproduzione di merci. Quindi la soluzione di essa non sta nel trovare nuovi acquirenti di merci, ma nel creare un campo che consenta la ripresa dell'accumulazione di capitale. Se ciò si realizzasse, l'accumulazione del capitale creerebbe poi essa stessa anche il mercato adeguato per tutte le merci prodotte (salvo le sproporzioni tra settori, normali nelle società capitaliste e che vengono normalmente corrette).(5) Lo scritto Marx e la crisi per sovrapproduzione di capitale pubblicato in questo numero di Rapporti Sociali mette in luce, attingendo al libro 3 di Il capitale, la natura e 1' azione della sovrapproduzione di capitale e, in generale, della diminuzione del saggio del profitto, sviluppando e precisando quanto avevamo al riguardo scritto in Rapporti Sociali n. 0 (Don Chisciotte) nello scritto La crisi attuale: crisi per sovrapproduzione di capitale e in Rapporti Sociali n. 5/6 nello scritto Ancora sulla crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale. Le riflessioni di Marx riportate nello scritto citato, in particolare, mentre indicano chiaramente il limite intrinseco al modo di produzione capitalista segnato dalla sovrapproduzione di capitale, illustrano anche come questo limite non significa che il modo di produzione capitalista crollerà come crolla un edificio roso nelle sue strutture portanti, ma significa che le società borghesi entreranno in un periodo di agitazioni, convulsioni e conflitti, quale quello in cui esse si sono effettivamente già trovate nella prima metà del nostro secolo e quale quello in cui si trovano da quasi vent'anni a questa parte.

 

(5). Movimentisti, sindacalisti ed economicisti vari hanno diffuso la tesi che nella società borghese il volume del mercato sia determinato dal potere di acquisto delle masse, quindi dalla domanda dei beni di consumo. In realtà nella società borghese il volume del mercato è determinato dall'iniziativa dei capitalisti: direttamente dalla loro domanda di mezzi di produzione per i nuovi investimenti e indirettamente dalla domanda di beni di consumo dei lavoratori a cui essi pagano salario.

 

(6). Questa è la conclusione cui arrivano quanti qualificano l'attuale crisi come crisi per sovrapproduzione di merci, se sono coerenti con il loro assunto.

 

La sovrapproduzione di capitale determina quindi un periodo in cui i contrasti economici non possono più essere risolti con i normali procedimenti dell'economia capitalista, ma devono essere risolti con lotte politiche. L'assetto politico del mondo deve cambiare in modo da creare il campo libero per una nuova ripresa dell'accumulazione del capitale.

 La crisi per sovrapproduzione di capitale non è solo una “normale” crisi economica,(6) ma è anche una crisi politica; non è solo inceppamento delle attività economiche che richiede una trasformazione delle strutture in cui esse sono organizzate e delle relazioni tra queste, ma pone la necessità della trasformazione dell'assetto politico della società. O la borghesia trasformando l'assetto politico mondiale crea lo spazio per un nuovo periodo di accumulazione del capitale, (7) o la classe operaia spezza il potere politico della borghesia e, instaurato il suo potere politico, avvia la società sulla strada della transizione al comunismo.

Infatti nella moderna società creata dal capitale, solo due classi hanno un ruolo che consente loro di prendere in mano le attività economiche principali e gestirne il funzionamento e quindi solo due classi sono in grado di gestire il processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell'esistenza:

1. la borghesia nell'ambito del rapporto di capitale sulla base della proprietà individuale del capitale quali che siano le forme antitetiche dell'unità sociale e le associazioni di capitalisti costruite come mediazione della proprietà individuale delle forze produttive con il carattere collettivo delle stesse;(8)

2. la classe operaia costituita dai collettivi delle unità produttive e formata soggettivamente come forza politica autonoma, con le sue procedure di formazione della volontà collettiva e le sue istituzioni (il partito comunista in primo luogo e quindi le varie organizzazioni di massa), nelle lotte rivendicative economiche e politiche in cui si oppone alla borghesia, sulla base del possesso collettivo delle forze produttive da parte dei lavoratori associati e di una gestione unitaria e pianificata delle principali attività economiche. Di conseguenza solo queste due classi possono detenere il potere politico: qualsiasi forma di Stato e di governo non può che fondarsi su una di queste due classi, che il meccanismo stesso della produzione capitalista non solo crea, ma costituisce anche come antagoniste: il potere è dell'una o dell'altra.

Le due “soluzioni” della crisi per sovrapproduzione di capitale, le due soluzioni possibili, sono quelle sopra indicate: al di fuori di esse non ce n'è altra. Finché una delle due non trionfa, la crisi per sovrapproduzione di capitale si trascinerà e le due vie resteranno entrambe aperte. La crisi per sovrapproduzione di capitale crea quindi una situazione rivoluzionaria, nel senso definito da Lenin in Il fallimento della Seconda Internazionale, cap. II e in L'estremismo, malattia infantile del comunismo, cap. IX.

 

(7). È quanto la borghesia riuscì a compiere con gli sconvolgimenti e le distruzioni culminate nella Seconda Guerra Mondiale. Questo dette alla borghesia un periodo di ripresa dell'accumulazione del capitale su scala più ampia della precedente, durato circa venticinque anni.

 

(8). Al riguardo vedasi Rapporti Sociali n. 4, pag. 15 e segg.

 

Per quanto riguarda i paesi socialisti, l'aspetto principale non è quindi che l'attuale sovrapproduzione di capitale spinge alla loro integrazione nel mercato capitalista mondiale - anche se ogni gruppo imperialista cerca e trova sollievo ai suoi particolari problemi di profitto accaparrandosi mercati ovunque, quindi anche nei paesi socialisti. L'aspetto principale è che la crisi di sovrapproduzione di capitale spinge alla loro integrazione nel mondo capitalista occidentale, a fare di essi un nuovo campo di azione per il capitale dei paesi imperialisti. Questa integrazione aprirebbe effettivamente un nuovo vasto campo all'azione del capitale, porterebbe ad esso nuova “materia sfruttabile”, consistente in alcune centinaia di milioni di lavoratori.

L'integrazione dei paesi socialisti nel mondo capitalista comporta però anzitutto la restaurazione del modo di produzione capitalista in questi paesi e, in secondo luogo, la riduzione degli ex paesi socialisti al ruolo di semicolonie dei gruppi imperialisti occidentali e dei loro Stati. Ma nessuno dei due passaggi può essere compiuto pacificamente.

La restaurazione del modo di produzione capitalista nei paesi socialisti non può verificarsi come una graduale evoluzione economica, ma solo come scontro e lotta politica, solo come scontro e lotta tra classi, perché si tratta di ricondurre alle condizioni di schiavi salariati decine di milioni di lavoratori che si sono già mostrati capaci di determinare il crollo dei regimi revisionisti, avendo reso impossibile la restaurazione graduale e pacifica del capitalismo che era la  sostanza della linea dei revisionisti moderni.(9) Questo scontro tra classi si intreccia inoltre inevitabilmente con la lotta tra i gruppi imperialisti ognuno dei quali è teso a prendersi in esclusiva i pezzi migliori e più disponibili del nuovo campo di sviluppo (10) e con la lotta tra i gruppi imperialisti e la nuova borghesia dei paesi socialisti che da una parte si appoggia ai gruppi imperialisti contro il proprio proletariato e dall'altra vuole esistere come borghesia a sé.

L'esito di queste lotte politiche deciderà se la borghesia imperialista troverà una sua soluzione dell'attuale crisi per sovrapproduzione di capitale nella restaurazione del modo di produzione capitalista nei paesi socialisti o se la borghesia dovrà cercare di trovare una soluzione in una ricolonizzazione e maggiore sussunzione nel capitale dei paesi semicoloniali e semifeudali (11) o in una distruzione di capitale analoga a quella che risolse la crisi di sovrapproduzione della prima metà del secolo. La soluzione borghese della crisi, in alternativa alla soluzione del socialismo, in conclusione può prendere la forma

- dell'integrazione degli ex paesi socialisti nel mondo capitalista occidentale,

- della ricolonizzazione e maggiore sussunzione nel capitale dei paesi semicoloniali e semifeudali,

- di una distruzione di capitale di dimensioni adeguate negli stessi paesi imperialisti,

- di una qualche combinazione delle tre forme precedenti.

È chiara a questo punto la rilevanza politica della questione della restaurazione del capitalismo nei paesi socialisti. Ad essa dedichiamo la scheda La restaurazione del modo di produzione capitalista in Unione Sovietica. Le considerazioni ivi svolte valgono, nei loro punti essenziali, anche per gli altri paesi socialisti e per la Cina. In questa scheda, riprendendo tesi già esposte analiticamente in altri numeri di Rapporti Sociali, mostriamo che la restaurazione del modo di produzione capitalista nell'Unione Sovietica e negli altri paesi socialisti è un passaggio ancora da compiere e attorno al quale si svolgerà inevitabilmente nei prossimi anni una lotta politica aperta e di importanza universale.

 

(9). Vale la pena di rilevare, di passaggio, che il crollo del revisionismo moderno è una dimostrazione su grande scala dei limiti dell'efficacia sia della propaganda e dell'imbroglio, sia del controllo poliziesco nella gestione della società moderna. Se fosse vero quanto ancora vanno sostenendo i teorici del “grande fratello”, della “sussunzione reale totale”, del “controllo totale”, ecc., i regimi dei revisionisti moderni non sarebbero mai crollati, perché di certo non lesinavano né in propaganda, né in imbrogli, né in controllo poliziesco! Fatto sta invece che sono crollati come del resto crollò il fascismo. Su questo dovrebbero ragionare un po’ quanti sostengono che i regimi politici dei paesi imperialisti nel periodo successivo alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale sono stati stabili non grazie al prolungato sviluppo economico, ma grazie all'imbonimento propagandistico e al controllo poliziesco.

 

(10). Attualmente per di più tra i gruppi imperialisti vi è un contrasto acuto tra la forza politica (diplomatica e militare) dei gruppi imperialisti americani e la forza economica (commerciale e finanziaria) dei gruppi imperialisti tedeschi e giapponesi. È inevitabile che i primi cerchino di usare la loro maggiore possibilità di intervenire sui processi politici per contrastare la maggiore possibilità dei secondi di intervenire economicamente, con la conseguente risposta dei secondi che cercheranno di rafforzare la loro possibilità di intervento politico. D'altra parte lo Stato USA incontra crescenti difficoltà a reperire i mezzi finanziari con cui finanziare la sua attività politica nel mondo.

 

(11). Come si dice in Rapporti Sociali n. 5/6, pag. 27, “una buona parte della popolazione dei paesi del Terzo Mondo non è stata mai sussunta neanche formalmente nel modo di produzione capitalista; il modo di produzione capitalista dominante a livello mondiale condiziona e sconvolge il processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell'esistenza di queste popolazioni, perché ha tolto le condizioni della stabilità del processo preesistente, ma non ha ancora sviluppato al suo posto la forma capitalista di esso”.

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