Contro la guerra imperialista
Contro il governo della guerra e dell’austerità

Rapporti Sociali n. 9/10, settembre 1991  (versione Open Office / versione MSWord )

 

(Comunicato delle Edizioni Rapporti Sociali)

 

La Guerra del Golfo è un atto di un conflitto più vasto in cui gli imperialisti americani, mossi dalle contraddizioni proprie del sistema imperialista e del loro ruolo in esso, stanno trascinando tutti i popoli.

Gli imperialisti americani da una parte difendono gli interessi comuni di tutti i gruppi imperialisti contro il proletariato dei paesi imperialisti e dei paesi socialisti e contro le masse popolari dei paesi semicoloniali, dall’altra difendono i loro propri interessi contro gli altri gruppi imperialisti.

La lotta del proletariato e delle masse popolari per prevenire la guerra imperialista oggi concretamente è lotta perché la Guerra del Golfo finisca con la sconfitta degli imperialisti americani.

 

NATURA E OBIETTIVI DELLA GUERRA IMPERIALISTA

 

Il 17 gennaio, dopo lunghi preparativi, lo Stato degli imperialisti americani (cioè dei banchieri, finanzieri, trafficanti, industriali, redditieri, speculatori americani e loro funzionari) ha scatenato l’aggressione contro il popolo iracheno.

È completamente fuorviante, e per questo fa parte della “propaganda di guerra” della classe dominante, pensare che i moventi reali dell’aggressione americana abbiano qualcosa a che fare con la “difesa della sovranità dello stato del Kuwait” (la lista dei paesi invasi dal governo USA è molto lunga e ancora più lunga è la lista delle violazioni della sovranità di altri Stati) o con il “rispetto delle risoluzioni dell’ONU” (la lista delle risoluzioni dell’ONU non rispettate è molto lunga e ancora più lunga è la lista delle risoluzioni dell’ONU “comperate” dal governo USA con regali e ricatti).

L’aggressione contro l’Iraq non è neanche uno scontro personale (stile western) tra Bush e Saddam Hussein. Solo dei soggettivisti possono concepirla in questo modo e sostituire all’analisi delle cause e degli obiettivi della guerra una diatriba moralistica su chi dei due più ha “peccato contro la Pace, la Giustizia, il Diritto” e via sognando.

Lo Stato degli imperialisti americani ha voluto a tutti i costi scatenare la guerra del Golfo perché essa in realtà è un atto di un conflitto di proporzioni più ampie a cui gli imperialisti americani sono portati dalle contraddizioni proprie del loro regime e del loro ruolo nel sistema imperialista mondiale.

Con questa guerra essi cercano di difendere i loro interessi economici e politici,

- sia quelli direttamente in gioco nell’area (il sostanziale predominio nel mercato mondiale del petrolio, l’alta quota della produzione mondiale di petrolio in mano ad essi o ai loro fantocci come i monarchi e i principi della penisola arabica, il controllo sugli Stati e sui gruppi politici locali);

- sia quelli in gioco in questa fase a livello mondiale:

- contenere le rivolte dei popoli dei paesi semicoloniali (Terzo Mondo) e le rivoluzioni proletarie,

- rinsaldare il vacillante controllo politico sui paesi imperialisti e semicoloniali,

- compensare la debolezza finanziaria e commerciale con la forza militare e politica,

- appoggiare la restaurazione borghese negli scontri che si stanno sviluppando nei paesi socialisti,

- intimidire e prevenire il crescente movimento di resistenza proletaria e popolare contro la liquidazione in atto in tutti i paesi imperialisti delle conquiste economiche e culturali delle masse.

Gli imperialisti americani in questa fase agiscono

- sia come capofila politico e militare di tutti i gruppi imperialisti del mondo contro il proletariato dei paesi imperialisti e dei paesi socialisti e contro le masse popolari dei paesi semicoloniali;

 - sia come gruppo imperialista in declino economico che con la sua residua supremazia politica e militare difende i suoi interessi contro gli altri gruppi imperialisti nell’ambito della comune tendenza ad espandersi nei paesi semicoloniali e nei paesi socialisti per far fronte alla comune crisi per sovrapproduzione di capitale.

L’aggressione contro l’Iraq non è solo un attacco contro il popolo iracheno. Essa è un attacco contro i popoli di tutti i paesi semicoloniali. Con la guerra gli imperialisti americani mirano a riaffermare il loro dominio, a rafforzare le loro clientele parassitarie disposte ad aprire maggiormente il paese da esse governato alla penetrazione imperialista, ad eliminare quelle che pongono ostacoli, a consolidare lo sfruttamento economico intensivo delle masse popolari in nome del debito estero che già ora ha generato su scala planetaria fame endemica, emarginazione sociale, emigrazione di massa dalle campagne alle città e dai paesi semicoloniali ai paesi imperialisti.

La guerra scatenata dagli imperialisti americani è diretta anche contro il proletariato e le masse popolari di tutti i paesi imperialisti. Essa infatti si traduce e si tradurrà sempre più

- in misure di austerità (aumento del costo della vita, riduzione dei salari reali dei proletari, divaricazione dei redditi nelle altre classi popolari);

- in restrizioni imposte ai proletari e alle masse popolari per quanto riguarda manifestazioni politiche, scioperi, proteste, diritti di informazione, di organizzazione, di riunione e di parola;

- in intimidazione e repressione preventiva dei movimenti politici autonomi legali del proletariato e delle masse popolari.

Decine di migliaia di giovani saranno inviati in numero crescente ad uccidere e ad essere uccisi: le promesse di uno scontro limitato e di breve durata fatte dagli uomini di governo servono solo a rendere loro possibile il passo d’estensione della guerra che devono compiere oggi. Essi saranno coinvolti in uno scontro reso ancora peggiore dalla stessa resistenza degli Stati imperialisti a dichiarare apertamente la guerra e dai metodi banditeschi e terroristici che gli imperialisti hanno impresso fin dall’inizio a questa guerra.

Distruzioni e morti colpiranno sempre più anche la popolazione civile dei paesi imperialisti. La guerra basata sullo sterminio terroristico della popolazione che gli Stati imperialisti portano oggi nei paesi semicoloniali si tradurrà in azioni di guerra portate da questi ultimi nei paesi imperialisti (e anche questo avverrà inevitabilmente lungo il corso della guerra).

Scatenando l’aggressione e basandola su quei metodi, i gruppi imperialisti

- hanno già da oggi messo milioni di immigrati arabi e dei paesi semicoloniali che abitano e lavorano nei paesi imperialisti nella condizione di nemici potenziali e di sospetti e hanno creato e sempre più creeranno il terreno favorevole allo sviluppo della persecuzione di cui li fanno già oggi oggetto i gruppi più reazionari, fascisti e razzisti;

- mirano a compattare il proletariato e le masse popolari dei paesi imperialisti sotto la loro direzione quale unica possibile difesa da azioni di guerra aventi il carattere dello sterminio di massa che, se si verificassero, non solo sarebbero la ripetizione di quanto gli imperialisti stessi già fanno, ma sarebbero effetto e prosecuzione della guerra da essi scatenata.

Dato quest’ultimo obiettivo dei gruppi imperialisti, è probabile che essi stessi nel prossimo futuro promuovano o facilitino stragi nei paesi imperialisti, in una rinnovata edizione della “strategia della tensione”, questa volta diretta contro il movimento pacifista.

La militarizzazione della società, le “esigenze della guerra” e la conduzione terroristica di essa adottata dagli Stati imperialisti “giustificheranno, esigeranno e renderanno inevitabili” non solo la persecuzione dei lavoratori immigrati, ma anche la repressione delle lotte rivendicative e delle forme legali di resistenza del proletariato e delle masse popolari autoctone.

La guerra scatenata dallo Stato degli imperialisti americani contro l’Iraq segna quindi un salto in avanti nella direzione di una guerra di dimensioni mondiali alla quale da anni gli imperialisti, a causa delle contraddizioni economiche e politiche del loro sistema, stanno nuovamente trascinando l’umanità. Già la seconda Guerra Mondiale iniziò con l’attacco  dei fascisti giapponesi alla Cina e dei fascisti italiani e tedeschi alla Spagna. Un po’ alla volta coinvolse poi tutti i paesi.

Già ora tutti possiamo constatare la progressione di coinvolgimenti e di ripercussioni che si è avuta passando dall’aggressione a Grenada, a Panama, al Libano, all’Iraq.

 

LA CONDUZIONE DELLA GUERRA IMPERIALISTA E I SUOI SVILUPPI

 

Stante le cause e gli obiettivi reali della guerra in corso, le forme di lotta che lo Stato degli imperialisti americani impiega sono

- terrorizzare l’intera popolazione del paese attaccato con azioni di sterminio di massa,

- assassinare con azioni di commandos i dirigenti.

Esso ha dato fin dall’inizio alla guerra il carattere non di scontro tra forze armate, ma di guerra terroristica di massa, adottando il bombardamento a tappeto delle città irachene come forma principale di guerra.

La natura reazionaria dell’imperialismo non consente allo Stato USA di condurre la guerra in altro modo. Esso non ha buone ragioni su cui fondarsi e attorno alle quali mobilitare nel proprio paese e nel resto del mondo in maniera crescente le masse. Esso ha solo interessi antipopolari da tutelare e imporre con la forza. Già durante la seconda Guerra Mondiale esso fece ricorso sistematico allo sterminio indiscriminato di massa (bombardamenti a tappeto e bombardamenti atomici) sia nei paesi occupati sia nei paesi governati dai nazifascisti, mentre ostacolava la crescita della guerra popolare condotta negli stessi paesi dal movimento di Resistenza.

In seguito ha usato ancora metodi di sterminio e terrorismo di massa nell’aggressione contro il popolo coreano, contro i popoli vietnamita, laotiano e cambogiano, nelle incursioni di breve durata condotte contro numerosi paesi (Guatemala, Rep. Dominicana, Libano, Palestina, Libia, ecc.), nel sabotaggio contro paesi e movimenti rivoluzionari (Cuba, Angola, Mozambico, Nicaragua, Salvador, ecc.).

I metodi da guerra terroristica di massa e criminali impiegati dallo Stato degli imperialisti americani

- confermano la sua natura di gendarme reazionario di tutti i popoli e di oppressore dello stesso popolo americano,

- potranno essere eliminati solo eliminando lo Stato degli imperialisti americani e quindi l’imperialismo,

- non l’hanno salvato da sconfitte in passato (in Corea, in Vietnam, nel Laos, in Cambogia, a Cuba, in Libano, in Iran) né lo salveranno in futuro ovunque i popoli sapranno unirsi e resistere,

- hanno reso più acuta la contraddizione tra gli interessi del proletariato e delle masse popolari e la sopravvivenza dell’imperialismo.

Lo Stato degli imperialisti americani dalla fine della seconda Guerra Mondiale ha continuamente incrementato in qualità e quantità gli strumenti di sterminio e di terrorismo di massa (armi atomiche, termonucleari, batteriologiche e chimiche, vettori di cariche più potenti e a maggiore distanza), ha costretto sia i popoli da esso dominati sia quelli dei paesi che non volevano sottostare al ricatto, a dedicare alle armi e alla preparazione della guerra enormi risorse, ha danneggiato gravemente le condizioni dell’atmosfera e del terreno di cui viviamo.

Nonostante il costante ricatto terroristico e il ricorso sistematico all’uso di mezzi di sterminio di massa e all’assassinio dei dirigenti, oggi la posizione degli imperialisti americani nel mondo e nel loro stesso paese è meno forte di quanto lo fosse alla fine delle seconda Guerra Mondiale. La loro superiorità in campo industriale e commerciale è un ricordo, finanziariamente dipendono da altri gruppi imperialisti, devono ricorrere sempre più spesso alle armi per rallentare il declino del loro controllo politico su Stati e paesi nei quali un tempo esso era indiscusso. L’Iraq ne è un esempio: fino al 1958 faceva parte della CENTO (la NATO del Medio Oriente), come vi facevano parte l’Iran e la Giordania.

L’eliminazione dell’imperialismo americano costerà sicuramente grandi sacrifici a tutti i popoli del mondo, come li costò l’eliminazione dell’imperialismo francese e britannico e del fascismo italiano, tedesco e giapponese. Ma essa è una  necessità cui il proletariato e i popoli di tutto il mondo non potranno sottrarsi. La fine di questo secolo o l’inizio del prossimo vedranno il tramonto dell’imperialismo americano, così come questo secolo ha già visto il tramonto dell’imperialismo francese e britannico e del fascismo italiano, tedesco e giapponese. Per quante sconfitte il proletariato e le masse popolari possano momentaneamente subire, in definitiva la vittoria sarà loro perché dopo ogni successo l’imperialismo non può che costruire esso stesso le condizioni di una nuova ribellione: l’imperialismo può riuscire a soffocare alcune rivolte ma non può risolvere le contraddizioni proprie della sua natura che generano le rivolte. Già oggi la resistenza del popolo iracheno diventa un esempio per i popoli oppressi, le masse degli sfruttati e degli emarginati, i proletari di tutto il mondo. Essa incontra ovunque rispetto e ammirazione che un po’ alla volta, man mano che la resistenza si prolungherà, si trasformeranno in appoggio.

 

I GRUPPI IMPERIALISTI ITALIANI E IL LORO STATO

 

Gli imperialisti italiani, come gli imperialisti degli altri paesi (CEE e Giappone in testa), in alcuni campi hanno interessi contrastanti con quelli degli imperialisti americani. La comune crisi per sovrapproduzione di capitale li pone in competizione via via più accanita e antagonista in campo commerciale e finanziario. Di questo antagonismo sia gli uni che gli altri sono ben consapevoli. Gli imperialisti americani sono ricorsi e ricorreranno sempre più spesso al ricatto economico (a questo fine è importante il controllo che ancora hanno a livello mondiale su alcune materie prime fra cui il petrolio), hanno fatto e faranno pesare nella competizione economica tutta la superiorità politica e militare che ancora conservano rispetto agli altri gruppi imperialisti, per la loro sicurezza hanno adottato e adotteranno misure che mettono in difficoltà gli altri gruppi imperialisti.

Questi d’altra parte hanno interessi comuni con gli imperialisti americani nella repressione dei popoli dei paesi semicoloniali e del proletariato dei paesi imperialisti e dei paesi socialisti e a questo fine si servono della forza politica e militare di essi, condividono con essi il bisogno di espandersi nei paesi semicoloniali e nei paesi socialisti e sono legati agli imperialisti americani da una intricata rete di imprese comuni e dall’unità del mercato mondiale e del sistema capitalista mondiale.

Gli imperialisti italiani, come gli imperialisti degli altri paesi (CEE e Giappone in testa), in questo periodo sono destinati dalla loro natura al ruolo di satelliti infidi, recalcitranti e petulanti degli imperialisti americani. Essi opporranno tanta più resistenza a seguire gli imperialisti americani quanto più la guerra scatenata e diretta dagli imperialisti americani minaccerà la loro stabilità e i loro interessi, quanto più forte sarà la lotta delle masse popolari, dei proletari e dei rivoluzionari contro questa guerra e contro l’austerità e la repressione che essa comporta.

Le oscillazioni dello Stato francese, tedesco e giapponese e le obiezioni del Vaticano confermano tutto ciò. Le contorsioni dello stesso Stato italiano sono anch’esse una conferma. Le contraddizioni dei gruppi imperialisti italiani si manifestano in mille forme. Da una parte si accodano agli americani e mandano uomini alla guerra, dall’altra non dichiarano guerra, esponendo questi uomini a pericoli maggiori. Limitano le forze che inviano al fronte, ma le accrescono man mano che la limitatezza delle forze le espone a colpi maggiori. Coinvolgono il popolo italiano in una guerra in cui la forma principale di lotta è lo sterminio di massa volto a terrorizzare la popolazione civile, ma lo fanno di soppiatto, nascondendo alle masse la posta reale del gioco e gli sviluppi reali di esso, sostengono che si tratta di una circoscritta “operazione di polizia internazionale”. Ostacolano la comprensione dei pericoli reali corsi dalla popolazione civile, ma conducono una campagna terroristica attorno a minacce misteriose e terribili che incomberebbero sulla popolazione civile il cui unico scopo pratico è di diminuire la resistenza delle masse ai controlli e alla repressione. Prendono misure di guerra (dalla mobilitazione di uomini, allo “stato di guerra”, alla censura, all’internamento e all’espulsione degli immigrati palestinesi, arabi, dei paesi semicoloniali in genere), ma evitano di affrontare una discussione parlamentare e una  definizione del quadro legale delle misure per non porre l’“opposizione” governativa nell’alternativa: o cavalcare in maniera più altisonante e “radicale” il malcontento popolare così rafforzandolo o allinearsi alla maggioranza governativa e rompere i ponti con le masse.

Gli imperialisti italiani, come gli imperialisti degli altri paesi (CEE e Giappone in testa) sono dei guerrafondai timidi perché la guerra imperialista rafforza gli imperialisti americani, perché la guerra fa contrarre il commercio internazionale e interrompe molti affari, per l’opposizione popolare alla guerra: tutti motivi che li spingono ad essere contro la guerra ogni volta che gli imperialisti americani li costringono a fare un passo avanti verso di essa. Sono dei pacifisti timidi perché la guerra consente “naturalmente” la repressione e l’intimidazione delle masse popolari nel paese e all’estero, perché devono partecipare ai nuovi affari che la guerra genera, perché non si possono permettere di non esserci al momento della spartizione dello sperato bottino, perché non osano opporsi apertamente agli imperialisti americani: tutti motivi che li spingono ad essere per la guerra.

 

IL PROLETARIATO E LE MASSE POPOLARI ITALIANI

 

Il proletariato e le masse popolari italiani, come quelli degli altri paesi imperialisti, sono interessati anzitutto ad impedire la guerra imperialista; in secondo luogo, se questa lotta non ha successo, a trasformare la guerra imperialista in guerra per l’eliminazione dell’imperialismo americano e dell’imperialismo in generale.

La lotta per impedire la guerra imperialista è nel nostro paese anzitutto una lotta contro i gruppi imperialisti italiani e il loro Stato che per contraddizioni proprie della loro natura sono oggi guerrafondai seppur titubanti e di fatto alimentano con il loro concorso la guerra imperialista.

La lotta del proletariato e delle masse popolari per impedire la guerra imperialista sarà una lotta dura, si scontrerà con i fautori della guerra e i loro seguaci legati alla guerra da interessi consistenti contro cui a nulla valgono i buoni argomenti (non a caso le canaglie fasciste si sono già unite alla “maggioranza governativa”), comporterà sacrifici e richiederà volontà e capacità di resistenza. Solo a queste condizioni può essere vittoriosa. Essa quindi ha bisogno di una direzione realmente proletaria e comunista, indissolubilmente legata alle masse popolari, capace di mobilitarne le risorse e la volontà di lotta perché ha come propri interessi gli interessi del proletariato e delle masse popolari del nostro paese.

Le forze politiche dell’“opposizione di sinistra” (dal PCI a DP al Manifesto) collaborano con lo Stato degli imperialisti italiani come opposizione di regime, prive della volontà di lottare e di vincere accampano la scusa di una Costituzione che gli stessi imperialisti per primi hanno messo e mettono sotto i piedi ogni volta che è loro scomoda, rispettano una legalità che i gruppi imperialisti calpestano e aggirano a ogni passo benché sia ritagliata su misura dei loro interessi mille volte più che su misura di quelli del proletariato e delle masse popolari.

Esse non possono guidare la lotta delle masse popolari italiane contro la guerra in modo che sia vittoriosa. Esse desiderano un “mondo migliore”, ma sono abbarbicate ai privilegi di cui godono in questo mondo e vogliono andarci in compagnia dei briganti imperialisti che governano il mondo attuale. Sotto la direzione dell’“opposizione di sinistra” le masse popolari dovrebbero combattere contro i guerrafondai “con le mani legate dietro la schiena”. È significativo il fatto che, appena qualche esponente dei gruppi imperialisti, da Bodrato al Papa, esprime le sue titubanze e si adorna di dichiarazioni pacifiste vuote di conseguenze pratiche, esse cercano di rafforzare l’autorità sulle masse popolari di simili “campioni” della lotta contro la guerra e di mettere la direzione della lotta delle masse popolari nelle mani di guerrafondai timidi e pacifisti a scopo demagogico. Del resto è da anni che i revisionisti moderni contribuiscono a preparare le condizioni di una nuova guerra mondiale: sabotando l’economia e la struttura politica dei paesi socialisti e disarmando le masse popolari nei paesi imperialisti e nei paesi semicoloniali. Solo se la lotta delle masse popolari si svolgerà con successo, c’è anche la possibilità che guerrafondai timidi diventino pacifisti di retroguardia, trascinandosi dietro alle  masse per non perdere l’autorità che hanno su di esse.

Il Vaticano da una parte è uno tra i grandi gruppi finanziari internazionali e dall’altra esercita un’autorità morale su centinaia di milioni di uomini del cui appoggio si alimenta. Esso si dibatte e si dibatterà tra queste due sue nature. Di conseguenza contro questa guerra esso ha fatto valere e fa valere la sua autorità morale, ma in misura inefficace: basta confrontare i toni e i mezzi usati dal Vaticano nella “crociata anticomunista” e ancora recentemente in Europa Orientale e in Nicaragua.

La lotta per impedire la guerra imperialista oggi concretamente è lotta per far cessare la guerra nel Golfo con il ritiro e la sconfitta degli imperialisti americani. Partecipare a questa lotta quindi significa:

* Opporsi alla collaborazione militare, politica, economica degli imperialisti italiani e del loro Stato con la guerra imperialista scatenata e diretta dagli imperialisti americani per tutelare i loro interessi nel Medio Oriente e nel mondo e con il carattere terroristico di massa che questi fin dall’inizio hanno impresso alla guerra. Lottare contro la partecipazione diretta di militari italiani alle ostilità, per il loro ritiro dal Golfo e dalla Turchia: man mano che le perdite aumenteranno e i guerrafondai si faranno forti di queste per accrescere le pressioni per l’invio di forze maggiori, il ritiro deve diventare la parola d’ordine della lotta contro la guerra, la “solidarietà con i nostri soldati” deve consistere nel ritirarli da una guerra fatta per conto degli imperialisti americani. Lottare contro l’appoggio dato dallo Stato italiano agli imperialisti americani (uso di basi militari e di dispositivi logistici di supporto installati in Italia, sorvolo del territorio nazionale, soggiorno di truppe e forze ausiliarie, collaborazione di apparati italiani, ecc.).

* Denunciare la debolezza e inefficacia dell’opposizione alla guerra delle forze politiche di “sinistra” e del Vaticano e la loro collaborazione politica e morale con i gruppi imperialisti nella guerra.

* Denunciare e lottare contro

- l’austerità che per partecipare alla guerra gli imperialisti italiani impongono alle masse popolari;

- le restrizioni che il loro Stato impone e sempre più imporrà ai movimenti, alle comunicazioni, all’organizzazione, alle manifestazioni, agli scioperi, e in generale alle attività rivendicative, politiche e culturali delle masse popolari;

- le misure persecutorie e discriminatorie che lo Stato degli imperialisti italiani e i gruppi fascisti e razzisti che lo fiancheggiano hanno preso e prenderanno contro gli immigrati provenienti dalla Palestina, dai paesi arabi, dagli altri paesi semicoloniali: l’unica vera misura per prevenire azioni di guerra in casa nostra è non collaborare e contrastare le stragi terroristiche che gli imperialisti americani compiono in casa d’altri;

- l’irresponsabilità del governo degli imperialisti italiani che coinvolge la popolazione civile del paese in una guerra basata su mezzi terroristici di massa con un avventurismo e una leggerezza pari a quelli con cui cinquanta anni fa Mussolini ci coinvolse nella seconda guerra mondiale.

* Collaborare con le forze che lottano contro l’imperialismo americano.

L’imperialismo americano è una tigre vera ma anche una tigre di carta: è un colosso d’acciaio con i piedi d’argilla!

 

Milano, 30 gennaio 1991

Edizioni Rapporti Sociali