La guerra civile della borghesia imperialista

Rapporti Sociali n. 14-15,  inverno - primavera 1994 (versione Open Office / versione MSWord )

 

Il nostro paese è entrato nell’occhio del ciclone della crisi generale del sistema imperialista mondiale, è diventato uno dei paesi in cui la lotta economica e politica tra gruppi imperialisti imperversa in modo più aperto e acuto.

“Guerre di mafia”, stragi e provocazioni, incriminazione di grandi uomini d’affari (Romiti, De Benedetti, Nobili, ecc.) e di alti esponenti della politica (da Andreotti e Craxi in giù, Scalfaro “non può” essere incriminato) e della pubblica amministrazione per appropriazione di denaro dello Stato (tangentopoli) e per collaborazione con organizzazioni criminali: ecco in breve quello che nel corso dell’ultimo anno si è aggiunto ai processi già in atto da più lungo tempo: riduzione dei posti di lavoro (650.000 da giugno ’92 a giugno ’93 dicono le fonti governative), fallimento di aziende, blocco e in alcuni casi (contratti di solidarietà, ecc.) riduzione dei salari e degli stipendi, riduzione di reddito (diminuzione del lavoro, aumento delle tasse, ecc.) per vari strati popolari, eliminazione, riduzione o peggioramento di servizi sociali (sanità, previdenza, scuola, ecc.) e di altre conquiste che ponevano alcun limiti allo sfruttamento e all’oppressione (diritti e garanzie sul posto di lavoro, equo canone, ecc.), persecuzione dei lavoratori immigrati, crescita generale dell’insicurezza.

Perché tutto questo?

La propaganda della classe dominante (cioè della borghesia imperialista e del suo entourage, ivi compresi i suoi “fedeli oppositori”) nasconde e camuffa sotto mille travisamenti (dai contrasti tra nazionalismi ed “etnie” improvvisamente ricomparsi, all’“instabilità politica” sorta non si sa da dove, alla cattiveria e malvagità degli individui - i “criminali di guerra”, all’opera de diavolo, alle macchie solari) il quadro di fondo della situazione: la nuova crisi economica e politica di tutto il sistema imperialista mondiale. Ogni commentatore, ogni giornalista, ogni uomo politico che fa suo questo occultamento e travisamento deve poi per forza di cose escogitare spiegazioni fantasiose degli aspetti particolari che questa crisi assume nel nostro paese (1) e soluzioni fantasiose di essa (“seconda repubblica”, repubblica presidenziale, “governo forte”, riforme istituzionali, federalismo, il buon governo, gli “uomini onesti o, semplicemente e salomonicamente, “il nuovo”, ecc.).

 

1. Basta pensare a mafia, ’ndrangheta, camorra, P2 e altre associazioni che alcuni “esperti” chiamano in campo come causa della crisi politica e a volte anche di quella economica. Ma queste associazioni non esistevano anche nel periodo del boom e nei lunghi interminabili anni dello stabile potere DC? Non sono anzi stati pilastri di esso? Il problema sta nello spiegare proprio quello su cui invece gli “esperti” sorvolano: perché quei pilastri della stabilità e dell’ordine democristiani e craxiani sono diventati ora protagonisti della guerra civile o “guerra per bande” (come lo sono diventati però anche varie altre istituzioni del regime: dalla FIAT a Mediobanca, alle varie cordate di magistrati, di uomini politici, di militari, ecc.)?

 

Al contrario le forze soggettive della rivoluzione socialista devono studiare attentamente e comprendere a fondo gli avvenimenti in corso, le forme particolari, le cause universali e il legame specifico tra le une e le altre. Non solo perché essi fanno venire alla luce, mettono a nudo la struttura reale della nostra società, mettono cioè in luce le classi in cui è divisa e i reali rapporti tra esse; ma anche perché questi avvenimenti costituiscono il terreno in cui esse devono operare ora e dovranno operare nei prossimi anni. Questo è i terreno che oggettivamente esiste: solo operando giustamente su queste terreno esse si trasformeranno da forze soggettive della rivoluzione socialista in comunisti, quindi espressione d’avanguardia e organizzata della classe operaia quale nuova classe dirigente (creando anche le espressioni e gli strumenti, la coscienza e le istituzioni necessari allo svolgimento di questo ruolo della classe operaia, in primo luogo il partito comunista), trasformeranno la resistenza delle masse popolari al procedere di questa crisi in lotta per instaurare il socialismo e la guideranno alla vittoria.

Quali sono dunque le caratteristiche principali dell’attuale fase del movimento economico e politico del nostro paese e  quali le categorie principali necessarie per comprenderle? Quali sono le caratteristiche universali, mondiali e quali gli aspetti particolari del nostro paese?

 

I

La seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale.

È una crisi che segna un’intera fase storica, come la prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale segnò la fase storica che copre tutta la prima metà del nostro secolo. Ha punti di somiglianza con quella crisi, ma anche forme diverse perché si svolge in un contesto economico, politico e culturale più sviluppato: avanzamento della rivoluzione proletaria - socialista e “di nuova democrazia”(2) - nella prima metà del secolo e crescita delle forme antitetiche dell’unità sociale.

 

2. La categoria “rivoluzione di nuova democrazia” è stata elaborata da Mao Tse-tung e sta ad indicare che nell’epoca imperialista del capitalismo l’eliminazione dei caratteri feudali residui nei paesi arretrati e della loro dipendenza coloniale o semicoloniale può avvenire solo nella forma di rivoluzione democratica (basata cioè sulla proprietà individuale privata di varie classi e quindi una rivoluzione non ancora direttamente socialista) diretta dalla classe operaia tramite il suo partito comunista. Esempio classico di rivoluzione di nuova democrazia è la rivoluzione cinese nel periodo 1927-1949.

 

È una crisi iniziata negli anni ’70 e che da allora procede, ma coi manifestazioni e con velocità diverse nel tempo e da paese a paese. Il fattore comune è che da allora il volume delle attività economiche complessive del mondo (economia globale) non si espande più alla velocità che è necessaria alla valorizzazione di tutto il capitale accumulato.

Da qui sono derivati effetti vari, alcuni automatici (di mercato, imposti ai singoli dalla concorrenza), altri prodotti dalle misure (relative a moneta, fisco, commercio estero, debito pubblico, incentivi ai singoli capitalisti, bilancio statale, credito, sussidi alle famiglie, ristrutturazioni di aziende e di settori, privatizzazioni, ecc.) prese da autorità economiche private o pubbliche (governi, associazioni di capitalisti, ecc.) che con esse cercano di fronteggiare la crisi tutelando i loro interessi e preservando l’ordine pubblico nel loro paese: alcune ancora in corso, altre già abbandonate per gli inconvenienti che trascinavano con sé. I principali effetti prodotti dall’inizio della crisi fino ad oggi, alcuni perduranti, altri caratteristici di una particolare fase del progredire della crisi, sono stati i seguenti.

Il primo effetto è la crescente difficoltà a vendere tutte le merci prodotte (sovrapproduzione di merci). È un effetto inevitabile della crisi per sovrapproduzione di capitale. Sovrapproduzione di capitale infatti vuol dire capitale che non può investirsi nelle attività produttive, quindi che non si trasforma in domanda per le merci prodotte. Da qui una domanda inferiore alla produzione in quasi tutti i campi (dei beni di consumo, ma soprattutto oggi dei mezzi di produzione: dalle materie prime ai prodotti agricoli, alle navi, alle macchine utensili, ecc.). Tra le manifestazioni della crisi per sovrapproduzione di capitale, questa è la prima che ogni capitalista percepisce immediatamente e direttamente. Non a caso nella loro “ingenua coscienza” di classe i capitalisti (e i loro portavoce), quando cercano di definire la sostanza dell’attuale crisi al massimo arrivano a definirla come crisi per sovrapproduzione di merci (3) e cercano rimedi nella creazione di domanda aggiuntiva da parte della pubblica amministrazione (quelle misure che chiamano “politiche keynesiane”), in sostegni alla domanda, in misure per aumentare le esportazioni e ridurre le importazioni, nella maggiore competitività a livello nazionale e internazionale, ecc.

 

3. Per ragioni di classe la cultura borghese non ammetterà mai la sovrapproduzione assoluta (cioè universale, estesa a tutti i settori) di capitale: infatti questa porta immediatamente all’affermazione che il sistema capitalista è storicamente superato.

 

Il secondo effetto è che la sovrapproduzione di merci ha generato e genera contenimento della produzione, sottoutilizzazione degli impianti, ristrutturazioni per ridurre i costi (innovazioni tecnologiche e utilizzazione dell’informatica nelle lavorazioni industriali e nei servizi che riducono il numero dei lavoratori e aumentano la produttività del lavoro umano,  spostamento di industrie in zone e paesi con salari più bassi e dove esistono meno vincoli sul piano normativo relativo alle garanzie e ai diritti dei lavoratori, ecc.), maggiore sfruttamento dei lavoratori, ricatto posto di lavoro/inquinamento, posto di lavoro/salute, posto di lavoro/sicurezza (l’uccisione di alcune centinaia di lavoratrici nell’aprile di quest’anno nel rogo della fabbrica di bambole in Thailandia è solo un caso clamoroso del generale aumento degli incidenti su lavoro), riduzione della manutenzione degli impianti, sfruttamento delle strutture oltre ogni limite di sicurezza, competizione commerciale con ogni mezzo palese e occulto, legale e illegale, mobilitando a questo fine tutti i mezzi che i gruppi imperialisti hanno a disposizione.

Altri effetti della crisi per sovrapproduzione di capitale sono stati il ricorso sistematico

- alla crescita della massa monetaria per finanziare la domanda e all’inflazione per sostenere i profitti,(4)

- all’enorme espansione del capitale finanziario, del mercato immobiliare e dei beni-rifugio,

- all’indebitamento delle pubbliche amministrazioni delle semicolonie (Terzo Mondo) e dei paesi socialisti governati dai revisionisti moderni nei confronti del sistema bancario e finanziario dei paesi imperialisti perché diventassero acquirenti di merci e campi di investimento finanziario,

- all’indebitamento generale e diffuso delle amministrazioni pubbliche, delle imprese e delle famiglie negli stessi paesi imperialisti per sostenerne la domanda di merci e di titoli finanziari.(5)

 

4. Le autorità monetarie (Banche Centrali) e il sistema creditizio (banche ordinarie) mettono nelle mani di potenziali acquirenti mezzi di pagamento (denaro) perché comprino effettivamente. In questo modo aumentano la massa monetaria a disposizione dei singoli; ciò alimenta sia la domanda di merci sia la domanda di titoli finanziari e di interessi.

L’inflazione (aumento dei prezzi di vendita) permette di aumentare o mantenere (provvisoriamente) il profitto che affluisce al singolo capitalista venditore di merci; questo aumento è provvisorio perché a lungo andare aumenteranno anche i prezzi delle merci che egli acquista (le sue spese), ma esso figura nel suo bilancio annuale rendendolo attivo e alimenta i suoi nuovi investimenti.

Il capitalista che, per alcuni degli effetti della crisi per sovrapproduzione di capitale che direttamente lo colpisce, non investe in nuove strutture produttive, investe in titoli finanziari (certificati di credito, obbligazioni, titoli pubblici, azioni, ecc.) o nella proprietà di beni immobili (mercato immobiliare) o di beni-rifugio (oro, opere d’arte, gioielli, ecc.). Per la sua economia privata nell’immediato questi investimenti valgono quanto gli investimenti nel settore produttivo e per alcuni aspetti sono anche più convenienti.

 

5. L’indebitamento crea una catena di obblighi di pagamento che vengono fatti valere quale che sia l’andamento delle attività economiche: nel caso questo sia cattivo e non consenta di soddisfare l’obbligo, la necessità di adempiervi interviene come un ulteriore intralcio alle attività economiche e quindi foriero di futuri fallimenti a catena (“effetto domino”). L’economia reale (i settori produttivi) è soffocata dagli obblighi derivanti dai debiti che gravano su di essa, cui non riesce a far fronte. L’annullamento dei debiti, la morosità, l’insolvenza, i debiti “in sofferenza”, ecc. sconvolgono tutto il sistema delle relazioni economiche capitaliste e mercantili.

 

6. La stabilità dei regimi politici delle semicolonie è scossa

- per l’aumento dei contrasti in seno alla borghesia locale per effetto della crisi economica, che induce ogni gruppo a cercare di indirizzare a proprio favore l’attività delle autorità politiche e a creare autorità politiche ad esso favorevoli,

- per la crescita del movimento di protesta o rivoluzionario delle masse popolari a fronte delle politiche “di austerità” messe in atto dai governi locali (aumento delle tariffe, eliminazione dei prezzi sussidiati dei beni di prima necessità, aumento delle tasse, fallimento di industrie locali, invasione di merci dall’estero, turismo di rapina, distruzione delle economie di sostentamento, ecc.) per far fronte ai debiti con il sistema finanziario internazionale,

- per la crescente competizione tra gruppi, governi e agenzie imperialisti ognuno inteso a creare autorità politiche supine ai propri interessi.

 

7. Con il piano elaborato dal sottosegretario USA Brady le banche e le società finanziarie imperialiste “concedono” agli Stati delle semicolonie che non dispongono di valuta in quantità sufficiente a pagare debiti e interessi, di pagarli consegnando ad esse le aziende statali e con concessioni per lo sfruttamento di risorse minerarie, agricole, ecc.

 

Tutto questo genera effetti diversi a secondo del ruolo che i diversi paesi hanno nel sistema capitalista mondiale:

1. La crisi politica delle semicolonie,(6) le “rivolte della fame”, l’emigrazione in massa, il ritorno in forza nelle semicolonie dei gruppi imperialisti (programma Brady, ecc.) che assumono di nuovo direttamente nelle loro mani la gestione delle risorse economiche e l’amministrazione locale,(7) nuova occupazione politica e militare delle semicolonie (Guerra del Golfo e interventi collettivi “umanitari”, “di pacificazione”, “di interposizione”, ecc. - Somalia, Mozambico, Cambogia, India/Pakistan, ecc.) come nel periodo coloniale con due importanti diversità: che ognuno di questi paesi diventa  terreno di lotta tra più gruppi e più Stati imperialisti e che la situazione interna di questi paesi è oramai profondamente mutata stante le trasformazioni economiche, politiche e culturali che vi hanno avuto luogo.(8)

 

8. All’inizio di questo secolo, come prodromo alle guerre mondiali, si diffusero gli “interventi collettivi” di grandi potenze (es. in Cina, in Marocco, in Iran, in vari paesi dell’America Latina). La lotta tra i vari Stati imperialisti era oramai tale che se uno di essi fosse intervenuto da solo avrebbe scatenato contro di sé l’ostilità degli altri.

 

2. Il crollo in Unione Sovietica e nell’Europa Orientale dei regimi dei revisionisti moderni come effetto del legame che in passato i revisionisti avevano stabilito col sistema capitalista mondiale,(9) la trasformazione di questi paesi in terreno di scontro tra più gruppi imperialisti e lo stato di guerra civile dispiegata o latente in cui sono gettati (Jugoslavia, repubbliche ex-sovietiche, ecc.).

 

9. A partire dagli anni ’50 in avanti i dirigenti dell’URSS e delle democrazie popolari dell’Europa orientale praticarono una politica di integrazione economica nel mercato capitalista (dipendenza per l’acquisto di beni di consumo e di mezzi di produzione essenziali, produzione di beni da vendere sul mercato capitalista, dipendenza dai paesi imperialisti nei campi della ricerca e dello sviluppo delle forze produttive, indebitamento con le istituzioni finanziarie internazionali). In questo modo i due mercati in cui era diviso il mondo dopo la Seconda guerra mondiale (vedasi in proposito Stalin, Problemi economici del socialismo in URSS) si fusero gradualmente e fino ad un certo punto a formare un solo mercato dominato dai gruppi imperialisti. Quando nei paesi imperialisti si sviluppò la seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, le difficoltà derivanti dal legame economico (chiusura dei mercati di vendita, ricorso alla svendita dei prodotti, impossibilità di far fronte a debiti e interessi, dipendenza in campo tecnologico) si aggiunsero agli atti di ostilità politica (messi in atto dagli Stati imperialisti, soprattutto da quello degli USA, per eliminare concorrenti politici in una situazione di generale sviluppo della conflittualità) fino a dare il colpo finale a regimi politici che proprio la linea seguita dai revisionisti moderni aveva reso instabili e corroso dall’interno. Sul crollo dei regimi dei revisionisti moderni si veda Rapporti Sociali, n. 5/6, 7 e 8.

 

3. La lotta tra gruppi e Stati imperialisti è diventata e diventa ogni giorno più accanita e di conseguenza aumenta la crisi delle relazioni politiche internazionali. Il predominio politico mondiale dei gruppi imperialisti USA ha perso la sua base economica (il predominio nei campi commerciale, finanziario e tecnologico) e si attenua gradualmente: il crescente ricorso degli imperialisti americani al ricatto e alle armi è un indice dell’indebolimento del loro predominio economico e politico (capacità di influire sulla formazione dei gruppi dirigenti degli altri Stati).

4. La crisi del regime politico in tutti i maggiori paesi imperialisti

- perché in ogni paese i contrasti tra gruppi imperialisti sono diventati tali che non possono più essere composti per mezzo delle istituzioni e delle concezioni che fino a ieri erano state sufficienti per gestire e trovare soluzioni a varie contraddizioni: ciò rende la classe dominante incapace di esprimere una comune volontà politica, rende inefficaci e paralizza le vecchie istituzioni, determina il rigetto delle vecchie concezioni e scatena ogni gruppo alla ricerca di nuove istituzioni e concezioni per tutelare i propri interessi;(10)

 

10. Le nuove concezioni e le nuove istituzioni assolutamente non esistono belle e pronte per cui si tratterebbe di sostituirle alle vecchie, come si sostituisce un abito ad un altro. Infatti questo conflitto politico è in realtà solo la forma, la veste assunta dal conflitto di interessi economici. Quali interessi prevarranno, quali saranno sconfitti, quale la “costituzione materiale” delle nuove società? Tutto ciò costituisce un conflitto che non si riduce assolutamente allo scontro tra idee e che deve essere risotto nella pratica.

Dopo la seconda guerra mondiale il mondo assunse una data fisionomia che è grossomodo durata fino ai nostri tempi. Quella nuova fisionomia sostituiva quella che il mondo aveva rivestito fino alla vigilia della Prima guerra mondiale. Come tutti ben sanno instaurazione della nuova fisionomia assunta dal mondo alla fine degli anni ’40 non fu la conseguenza di una scoperta ideale né il risultato di uno studio di ingegneria costituzionale!

 

- perché in ogni paese i contrasti tra la classe dominante e le classi oppresse sono diventati tali da rendere inefficaci le vecchie istituzioni di contenimento e da far cadere le vecchie concezioni fino a ieri efficaci nel tenere le classi oppresse fuori dalla politica: il malumore e la protesta delle masse trova modo di infiltrarsi ed esprimersi nelle istituzioni del vecchio regime e contribuisce a paralizzarle;

- perché ogni gruppo imperialista cerca di indebolire i suoi avversari aumentando le loro difficoltà in casa (ricorso sistematico alla destabilizzazione, alle “guerre sporche” e alle guerre non dichiarate).

 È in questa generale crisi politica mondiale che ora si sviluppa apertamente e acutamente la crisi politica del nostro paese.

 

II

La crisi politica fa emergere in modo più netto, in ogni paese imperialista, il modo in cui la borghesia imperialista esercita il suo potere.(11) In ogni paese imperialista essa combina, in modo più o meno originale,

- strumenti ufficiali e pubblici dello Stato gestiti grossomodo secondo la costituzione legale,

- strumenti occulti e procedure slegati da ogni vincolo che non sia la convenienza di chi li ha al suo servizio e i rapporti di forza esistenti “sul campo” (in sostanza, una forma di guerra civile non dichiarata e non aperta).

 

11. Sulla natura del potere politico della borghesia imperialista, in particolare su ciò che lo distingue dalla democrazia borghese della fase preimperialista del capitalismo, cioè della fase di ascesa del capitalismo, si veda anche Rapporti Sociali, n. 7, pag. 16-37.

 

È dall’inizio dell’epoca imperialista del capitalismo che la borghesia è venuta sviluppando sistematicamente questo “secondo braccio” del suo potere, ereditando, ristrutturando, assimilando e reimpiegando a questo scopo gli arnesi sopravvissuti dei vecchi regimi feudali (dal Papato, alla mafia, alle associazioni d’arma, alle massonerie, alle sette religiose, ecc.) e creandone di nuovi (corpi paramilitari, Rotary Club, Lyons Club, servizi occulti tipo Gladio, corpi di guardie private, squadre fasciste, gruppi di criminali organizzati, ecc.). Nel 1895 F. Engels nella sua Introduzione all’opuscolo di Marx Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 aveva dimostrato che la borghesia non poteva non rompere essa stessa la sua legalità per impedire la conquista del potere politico da parte della classe operaia.

Questo “secondo braccio” del potere della borghesia imperialista è composto in ogni paese imperialista da cinque parti; il loro peso relativo e la forma della loro combinazione variano da paese a paese e a seconda della fase del movimento politico. Esse sono:

1. apparati dello Stato e in generale della pubblica amministrazione usati per scopi e in modo differenti da quelli previsti dalla costituzione ufficiale (esempio i servizi segreti ufficiali dello Stato);

2. apparati dello Stato e in generale della pubblica amministrazione costruiti nell’ambito dei poteri e dei mezzi discrezionali che quasi tutte le costituzioni “moderne” conferiscono a certe autorità (fondi segreti, servizi segreti, diplomazia segreta, ecc.): Gladio, agenzie dei servizi segreti esteri (CIA, Mossad, ecc.), ecc.;

3. apparati paramilitari o di polizia che i singoli gruppi imperialisti costituiscono in proprio al di fuori della pubblica amministrazione e direttamente ai loro ordini per i più vari motivi: per motivi di sicurezza., per lo spionaggio industriale e commerciale, per operazioni finanziarie illegali, per la schedatura e il controllo dei dipendenti (esempio: schedatura FIAT, ecc.), per provocazioni antioperaie (esempio: l’operazione Cavallo alla FIAT,(12) ecc.), ecc.;

 

12. Luigi Cavallo fu un noto provocatore assoldato dalla FIAT, particolarmente attivo negli anni ’50 come fondatore di sindacati gialli e autore di attività intimidatorie nei confronti di operai FIAT.

 

4. squadrismo fascista, formazioni paramilitari della mobilitazione reazionaria delle masse, usate per reprimere la mobilitazione rivoluzionaria delle masse e condurre la guerra civile tra le masse, quando le condizioni limitano o sconsigliano l’attività repressiva degli apparati statali;

5. organizzazioni criminali (criminalità organizzata), strutture di accumulazione primitiva di capitale o di formazione di nuovi gruppi capitalisti che operano al di fuori delle norme correnti; a vario titolo collaborano con i quattro apparati precedenti, costituendo con essi un’unica rete, sia che siano organizzazioni criminali preesistenti, sia che siano organizzazioni nate per “offrire il servizio richiesto”, sia che siano organizzazioni nate attorno ad attività economiche ufficialmente vietate (commercio di droga e di armi, prostituzione, tratta di manodopera clandestina, traffici finanziari, ecc.).

 La nascita, lo sviluppo e il rafforzamento di questo “secondo braccio” del potere politico della borghesia imperialista è un fenomeno universale, che si presenta, in combinazioni diverse, in ogni paese imperialista. Ridurlo ora a un fenomeno italiano, ora a un fenomeno USA, ecc. è un modo per mascherarne l’intima connessione con la sostanza dell’imperialismo in campo politico.

Contrariamente a quanto vanno predicando i teorici del “controllo totale globale” e affini (dai nipotini dei Francofortesi, a Curcio, alla rivista Officina), il ricorso della borghesia imperialista a questo “secondo braccio” dimostra che il suo potere è debole e instabile, che esso è “storicamente superato”, che l’epoca imperialista è l’epoca del declino del capitalismo e delle rivoluzioni proletarie, che le masse popolari hanno assunto nella società un ruolo tale che la borghesia non può più tenere il potere con i soli strumenti legali né d’altra parte può più piegare liberamente la legalità alle sue esigenze (costruire una legalità su misura dei suoi bisogni). Qualunque legalità essa stabilisca, dopo un certo tempo essa diventa un cappio al collo della borghesia che ne è soffocata e deve stracciarla.

Quando i contrasti tra i gruppi della borghesia imperialista diventano antagonisti, il ruolo di tutti gli strumenti e apparati di questo “secondo braccio” del potere cresce, cresce la sua dimensione ed essi vengono gettati nella lotta tra i gruppi della classe dominante. In questo modo la lotta tra di essi assume gradualmente e in ogni paese la forma della guerra civile più o meno dispiegata, di guerra per bande.(13) Questo è il clima che si sta sviluppando, in forme e con forza diverse, nei vari paesi imperialisti e con una sua particolare forza e forma nel nostro paese.

 

13. Le guerre civili, a meno che nascano da un colpo di Stato non riuscito, in generale non assumono fin dal loro inizio la forma tradizionale di guerra, con eserciti regolari divisi da un fronte e ognuno con proprio territorio, retrovie, amministrazione territoriale, ecc. Esse iniziano in generale in forme coperte, con formazioni e operazioni tese all’accumulazione delle proprie forze e all’indebolimento delle forze vitali dell’avversario in un territorio formalmente gestito dalla stessa amministrazione; solo quando e se giungono a un certo grado del loro sviluppo assumono le forme di guerre regolari.

 

 

III

In ogni paese imperialista dal 40 al 60 per cento del prodotto interno lordo passa attraverso la pubblica amministrazione; ossia deriva dalle spese e dalle erogazioni della pubblica amministrazione (per acquisti, per stipendi e salari, per pensioni e contributi vari, per sovvenzioni alle imprese e alle istituzioni, per elargizioni ai grandi personaggi del regime, ecc.) che ammontano in ogni paese a una somma variante tra il 40 e il 60 per cento dell’intero prodotto interno lordo del paese.(14)

 

14. Entrata e spesa pubblica come percentuale del prodotto interno lordo (PIL)

 

Entrata esclusi i debiti (% del PIL)
  1961-1970 1971-1980 1981-1990
Italia 30.1 30.1 38.7
CEE 35.2 39.6 44
Spesa (% del PIL)
Italia 32.8 37.7 49.9
CEE 36 42.7 48
 

 

 

Inoltre l’amministrazione statale e locale hanno in vari campi poteri che, benché non comportino una gestione diretta di denaro, influiscono in modo determinante, positivo o negativo, sugli interessi economici degli individui e delle aziende. Basti pensare al sistema degli accordi commerciali internazionali, al sistema delle licenze di import/export, al sistema doganale, alle licenze di esercizio e di commercializzazione dei prodotti (si pensi alla Commissione Poggiolini per i farmaci), all’autorizzazione degli aumenti di capitale delle società per azioni, all’indirizzo dato alla gestione delle imprese pubbliche, al potere sul sistema monetario e bancario, al regime fiscale, ecc.

Il capitalismo monopolistico di Stato è appunto il sistema capitalista (quindi ancora fondato sulla proprietà e sull’inizia tiva economica individuale dei capitalisti) in cui lo Stato, cioè l’associazione dei capitalisti (i capitalisti associati) e la macchina di funzionari e impiegati dipendenti da questa associazione, ha un grado di sviluppo tale che non solo la massa della popolazione, individuo per individuo presi singolarmente, sono oramai incapaci di produrre e riprodurre di propria iniziativa le condizioni materiali della propria esistenza perché privi del possesso delle condizioni non personali dell’attività economica, ma anche gli stessi capitalisti per esplicare la propria iniziativa economica hanno bisogno di condizioni economiche (15) che solo come associazione possono creare.

La crisi economica per alcuni versi restringe e per altri amplia questo potere economico della pubblica amministrazione. Infatti da un lato essa perde una parte del potere di indirizzare, orientare l’iniziativa economica dei capitalisti perché questa iniziativa ristagna e non si può orientare un cavallo che non si muove. Dall’altro lato dove e quando l’iniziativa individuale dei capitalisti non fa più funzionare il sistema economico, l’associazione dei capitalisti deve intervenire maggiormente a incentivarla e a sopperirvi onde mantenere l’attività economica almeno ad un livello compatibile con l’ordine pubblico e la sopravvivenza degli ordinamenti sociali.(16)

 

15. Qui si tratta delle condizioni economiche, distinte dalle condizioni specificamente politiche (l’ordine pubblico, la tutela della proprietà e il rispetto della legge) il cui mantenimento è prerogativa essenziale dello Stato, tratto costitutivo della natura di questo. Esse spaziano dalla creazione e gestione della moneta, ai vari aspetti della politica economica fino alla gestione di quelle attività economiche indispensabili al funzionamento dell’economia ma che nessun capitalista ha interesse a gestire come campo di investimento del suo capitale.

 

16. Questa contraddizione tra riduzione dei poteri economici dello Stato e aumento della sua attività economica nei periodi di crisi, abbiamo potuto osservarla durante la prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (1910-1945). Incominciamo a osservarla nel corso della seconda: da una parte alienazione delle proprietà pubbliche e ritiro della pubblica amministrazione dalle attività produttive (privatizzazione del settore pubblico dell’economia), dall’altra espansione della spesa pubblica. Questo processo si combina con la crisi del regime politico della società.

 

L’estensione del ruolo assunto dallo Stato nella vita economica dimostra che la proprietà individuale e privata e l’iniziativa economica individuale sono “storicamente superate”, che le condizioni della produzione materiale si sono sviluppate al punto e in modo da richiedere una gestione collettiva di esse, quindi il superamento del rapporto di capitale. Visto però che di fatto questo rapporto ancora sopravvive, questo sistema in cui la proprietà pubblica ha l’estensione che si è mostrato, ma che resta basato sull’appropriazione individuale, sulla ricchezza individuale, inevitabilmente genera la corruzione: in tutti i paesi. Altro che corruzione come estensione alle attività economiche sane della società borghese di pratiche malavitose marginali!(17) Altro che la corruzione come caratteristica dei paesi socialisti!(18) La corruzione, come arricchimento individuale appropriandosi del pubblico denaro o vendendo i favori e le prestazioni delle autorità pubbliche (corruzione e concussione), è propria di ogni sistema in cui la contraddizione proprietà pubblica/appropriazione privata non è risolta; è tanto più estesa quanto meno la contraddizione è riconosciuta e trattata. La repressione non elimina la corruzione, ma la rende solo più cauta e criminale, cioè la fa combinare e confluire con le altre tradizionali attività criminali.

 

17. Le inchieste “mani pulite”, “tangentopoli”, ecc. attualmente in corso, per quanto limitate esse siano rimaste, bastano a dimostrare quanto è falsa la tesi che “la mafia ha trasformato l’Italia a sua immagine”; al contrario gli intraprendenti mafiosi non hanno fatto che imparare dalla FIAT e dal resto del “salotto buono” della borghesia italiana la prassi di speculazione e di appropriazione del pubblico denaro e di uso dell’amministrazione pubblica per l’arricchimento e l’affarismo privato e svilupparla a loro modo e con i loro mezzi.

 

18. La corruzione nei paesi socialisti è un fatto storicamente inevitabile, cosi come è inevitabile che un bambino nasca sporco di sangue: essa è un’eredità della società borghese (proprietà pubblica da una parte e dall’altra mentalità, costumi e sistema di distribuzione ancora legati da mille fili a quelli della società borghese). Ma la corruzione è estranea alla struttura della società socialista e quindi può essere contenuta ed è destinata a scomparire. Essa è strutturalmente già limitata dai limiti posti all’arricchimento individuale, dall’obbligo universale ad un lavoro socialmente riconosciuto, dalla messa fuorilegge dei redditi non da lavoro e dalla lotta contro la mentalità, i costumi e il sistema di distribuzione ereditati dalla società borghese.

 

Quando l’andamento economico acuisce e rende antagonisti i contrasti tra i gruppi della classe dominante, su questo terreno si crea un altro settore di illegalità diffusa, punto di partenza per ricatti, rappresaglie e attacchi con cui un gruppo cerca di eliminare o indebolire l’altro a suon di denunce e condanne per corruzione, un altro campo in cui si sviluppa la  guerra tra gruppi imperialisti.

 

IV

Poste in chiaro queste caratteristiche della situazione, quali sono le conclusioni?

1. Non è vero che la guerra civile latente, la corruzione, l’illegalità diffusa, ecc. sono un fenomeno limitato all’Italia e a qualche altro paese né ad un periodo particolare della sua storia. Questa è una tesi interessata della borghesia, favorita dal fatto che conosciamo gli avvenimenti del nostro paese più di quelli degli altri e che i maggiori contrasti (la lotta di classe accesa del nostro paese, la debolezza del regime politico del nostro paese,(19) le lotte intestine endemiche tra gruppi della classe dirigente del nostro paese, la grande influenza su di essi di gruppi e Stati esteri, la presenza del Vaticano) fanno sì che più spesso e più clamorosamente di altrove la classe dominante del nostro paese “lava i suoi panni sporchi in pubblico”.

2. Gli esponenti del mondo politico italiano (i capi del PDS e di Rifondazione anzitutto e gran parte degli altri attuali moralizzatori) che parlano di “servizi segreti deviati” e di “trame occulte”, che denunciano l’appartenenza al giro della criminalità organizzata come eccezione, come deviazione personale di Andreotti, di Craxi o di Cossiga, mentono e strumentalizzano la realtà ai fini della lotta del loro gruppo contro i gruppi denunciati. Chiunque si è occupato del sistema politico di un paese imperialista, chiunque ha studiato il funzionamento anche solo di uno di essi, chiunque fa parte del mondo politico sa che accanto e frammisto agli apparati, alle pratiche e alle procedure legali, pubblici e “virtuosi” del suo Stato, la classe dominante dà luogo a quegli altri apparati, pratiche e procedure di violenza organizzata e di circuiti economici clandestini; sa che la corruzione dei pubblici funzionari e delle pubbliche autorità è un fatto endemico di tutto il sistema di capitalismo monopolistico di Stato e fonte a sua volta di attività e organizzazioni malavitose (ricatti, pressioni, ecc.).

Quegli esponenti del mondo politico italiano che da quando stata fondata la Repubblica denunciano genericamente oscure manovre e stragi di Stato senza attribuire nomi e cognomi e senza combatterle con mezzi adeguati, sono partecipi del “gioco” di attacchi e ricatti di cui stragi e omicidi fanno parte. Essi sanno ben di più, quindi si limitano a oscure o generiche allusioni perché sono complici, conniventi o partecipi, ricattatori o ricattati.

In particolare, ai capi del PCI di ieri riciclatisi come moralizzatori ed esponenti del nuovo corso, occorre chiedere perché hanno taciuto, cosa hanno fatto per impedire che quel corso si sviluppasse, perché hanno continuato e continuano a presentare questo Stato come Stato democratico fondato sulla vittoria del movimento partigiano contro il nazifascismo.

 

19. La tradizionale debolezza del sistema politico italiano creato dalla borghesia è dovuta essenzialmente al processo della sua fondazione:

- l’opposizione all’unità d’Italia delle grandi masse contadine, cioè della maggior parte dei lavoratori, le cui condizioni economiche in generale peggiorarono con l’unificazione del paese;

- il compromesso della borghesia italiana con gli agrari meridionali (siciliani in particolare) che configurò più un’alleanza tra due classi estranee sulla base della (momentanea) reciproca convenienza che l’eliminazione di una classe sociale e del suo potere su una parte del territorio nazionale;

- il compromesso con il Vaticano come gruppo di potere che attinge le sue risorse all’esterno del paese e quindi sfugge alla dominazione della borghesia italiana, tratta da pari a pari con lo Stato italiano, è in grado di mantenere un suo apparato politico e di influire sulla formazione della classe dirigente italiana (mentre non avviene contrario);

- l’influenza politica di alcuni stati esteri (nei primi anni dell’unità Francia, Inghilterra e Austria-Germania; in questo secolo gli USA).

 

3. Perché nel nostro paese ora le cose esplodono in maniera cosi violenta?

Perché la crisi acuisce i contrasti e gruppi nazionali ed esteri stanno dandosi guerra nel nostro paese. Perché l’Italia e il punto debole della costruzione dell’Europa unita, cioè di una grande area economica dominata dai gruppi imperialisti tedeschi.(20)

 

20. L’Italia è un paese economicamente abbastanza importante e con un ruolo nell’unificazione europea abbastanza rilevante perché la sua estraneazione dal processo di unificazione possa costituire un colpo mortale all’intero processo. D’altra parte il regime politico italiano è abbastanza debole da poter essere paralizzato o condizionato con relativa facilità.

 

La debolezza del sistema politico italiano (che si rivela anche nell’impossibilità di un ricambio di uomini e gruppi: quarantacinque anni di DC!) e il grande ruolo politico che l’amministrazione statale USA ha nel nostro paese lo rendono particolarmente vulnerabile. Accelerando la crisi del sistema politico italiano si è bloccata l’integrazione europea. Quali sono i gruppi imperialisti interessati a bloccare l’integrazione dell’Europa sotto la direzione dell’imperialismo tedesco? Anzitutto i gruppi imperialisti USA che hanno un grande contenzioso commerciale con la CEE (vedansi le trattative inconcludenti in sede GATT), ma anche vari altri gruppi, europei e non.

I maggiori gruppi imperialisti stanno ritagliandosi sfere di influenza. I paesi più deboli saranno contesi ed eventualmente spartiti: è quello che è già avvenuto o sta avvenendo in Jugoslavia, in vari paesi dell’Europa orientale e dell’ex Unione Sovietica. In Europa occidentale è la sorte possibile dell’Italia, della Spagna, del Belgio, della Svizzera.

Quello che è chiaro è che tutto ciò che, in tema di corruzione e di criminalità organizzata, solo oggi alcuni zelanti magistrati (alla Di Pietro) scoprono (e altro ancora), era già noto e documentato non solo negli archivi del SIFAR e dei suoi eredi, non solo negli archivi dei padroni USA del SIFAR ed eredi, ma anche negli archivi di ogni gruppo imperialista italiano ed estero abbastanza forte e interessato per tenere nel corso degli anni passati un servizio di spionaggio dei propri concorrenti. I magistrati giustizieri di oggi non hanno mai spiegato né perché fino a ieri non vedevano né chi li ha protetti e riforniti all’inizio dell’operazione, né perché alcune zone sono ancora accuratamente evitate: si attacca il SISDE ma non il SISMI e le agenzie dei servizi USA e del Mossad, di Gladio è meglio tacere, si attacca Olivetti ma non FIAT, si gira alla larga dal Vaticano, dalle curie vescovili, dalle parrocchie e dalle associazioni “religiose”, le gerarchie militari restano fuori zona, ecc. Si tratta di capire chi tra questi o quanti tra questi si sono messi a usare le informazioni che avevano e i legami tra i “generali” delle guerre per bande in corso (guerra civile strisciante) e i soldati in campo.

4. Siamo di fronte a un’operazione politica di grandi dimensioni (l’Italia è un paese imperialista, alcuni gruppi imperialisti italiani sono forti, i contendenti sono direttamente o indirettamente i grandi gruppi imperialisti mondiali e i loro Stati e sono decisi a non cedere) e sarà anche di lungo periodo (la lotta tra i contendenti non ha ancora fatto emergere un vincitore: siamo ancora ai prodromi dello scontro; gli schieramenti non sono ancora ben definiti).

In Italia con Ciampi si è instaurato un governo extraparlamentare, apparentemente privo di una maggioranza parlamentare ma che, lungi dall’essere privo di poteri, tiene sotto ricatto il Presidente della Repubblica e l’intero Parlamento, ne ottiene la fiducia per qualsiasi misura e sta prendendo misure drastiche in vari campi (dalle spedizioni militari in Somalia, Mozambico, ecc., al sovvertimento delle norme relative ai rapporti di lavoro, alla privatizzazione del pubblico impiego, alla trasformazione della RAI-TV, ecc.).

5. È uno scontro che si svolge sulla pelle delle masse popolari del nostro paese. L’Italia è diventata terreno di guerra tra gruppi imperialisti italiani e no.

La lotta contro le stragi, contro le guerre per bande, ecc. è un aspetto della resistenza al procedere della crisi, crisi che ovviamente nasce come crisi economica ma non resta solo crisi economica. Alcuni compagni danno un’interpretazione economicista della crisi, come se essa fosse solo riduzione dei redditi delle masse popolari, disoccupazione, ecc. La crisi è anche altro. Può essere non solo miseria ma anche l’“agiatezza” delle economie di guerra, è stragismo, criminalità diffusa, guerra civile, insicurezza del domani, mancanza di prospettive per sé e per i figli, crisi culturale per cui un numero crescente di persone “si lascia andare” (dalla droga agli psicofarmaci, all’angoscia, ai suicidi, al rifugio nelle credenze e nelle superstizioni, alla “fuga da qualche parte”), “difficoltà di vivere” (competizione, stress, inquinamento, malattia, difficoltà a trovare assistenza sanitaria, ecc.). Il procedere della crisi è anche guerra tra bande imperialiste, mobilitazione reazionaria delle masse, stragi e provocazioni, preparazione della guerra, militarizzazione del territorio, estensione dei  poteri della polizia nella vita quotidiana, persecuzione dei lavoratori immigrati, ecc.

La guerra civile tra gruppi imperialisti non può svolgersi senza la mobilitazione reazionaria delle masse. Questa è un passaggio necessario verso la guerra civile tra gruppi imperialisti, ma può essere anche un passaggio verso la rivoluzione. La mobilitazione reazionaria delle masse da parte dei gruppi della borghesia imperialista è già stata più volte rovesciata nel passato e può essere ancora rovesciata contro la borghesia. Solo chi si ostina a considerare lo sviluppo pacifico e ordinato come la legge della società borghese, cerca di diffondere tra le masse terrore, demoralizzazione o rassegnazione, non vede e non fa leva sull’aspetto positivo della mobilitazione reazionaria delle masse, non promuove la resistenza difensiva e offensiva delle masse popolari. Ripetutamente la concreta dialettica (movimento) della storia è consistita nella trasformazione della mobilitazione reazionaria in mobilitazione rivoluzionaria delle masse, la mobilitazione rivoluzionaria è sorta come rovesciamento contro la borghesia della mobilitazione reazionaria.

Chi se non lo zar mobilitò milioni di contadini russi e mise loro in mano le armi che poi essi in definitiva usarono contro lo zar? Trasformare la guerra imperialista (mobilitazione reazionaria) in guerra civile (mobilitazione rivoluzionaria) fu la parola d’ordine di Lenin e del suo partito.

Chi se non il fascismo mobilitò e armò centinaia di migliaia di italiani che costituirono poi il grosso del movimento partigiano?

Più vicino a noi, chi se non Trentin e soci mobilitano e chiamano in piazza contro altri lavoratori (artigiani, bottegai, pubblici dipendenti) decine di migliaia di lavoratori che invece riversano bulloni e insulti su Trentin e soci?

Nessuna di queste trasformazioni è arrivata spontaneamente fino in fondo al suo percorso, anche se non solo è possibile che inizi spontaneamente, ma addirittura più volte essa è arrivata spontaneamente fino ad un certo punto del suo corso (basti pensare alla lotta dei richiamati contro la guerra nel nostro paese negli anni 1915-1918 nonostante il PSI di allora fosse contro la trasformazione della mobilitazione reazionaria in mobilitazione rivoluzionaria: “né aderire né sabotare”).

Le forze soggettive della rivoluzione socialista (FSRS), nell’adempiere il compito di diventare portavoce della classe operaia che lotta per il potere, di fronte allo sviluppo nel nostro paese della guerra tra gruppi della borghesia imperialista, devono

- promuovere la resistenza difensiva e offensiva delle masse popolari contro questa guerra,

- contrastare la mobilitazione reazionaria delle masse lavorando a favore della loro mobilitazione rivoluzionaria,

- lavorare in vista della trasformazione della mobilitazione reazionaria in mobilitazione rivoluzionaria.

Tutto ciò in particolare esige che le FSRS non si separino neanche dalle masse mobilitate dalla reazione (che essa si chiami Bossi, Trentin o Woityla) e assolutamente non si riducano a costruire le loro “avanzate” (e striminzite) manifestazioni, organizzazioni sindacali o altro.

All’interno di ogni lotta particolare delle masse, devono combattere la tendenza a prendere a pretesto i suoi limiti in quanto lotta particolare, la direzione reazionaria, o altro per negare il ruolo positivo della mobilitazione delle masse. Al contrario esse all’interno di ogni lotta particolare devono individuare, rappresentare e far valere l’interesse strategico e accumulare forze, seguendo il principio per la tattica già indicato dal Manifesto del partito comunista.

La guerra per bande, la corruzione e tutte le altre attività della classe dominante che oggi vengono portate alla luce (e che invece fino a ieri la classe dominante riusciva a condurre in modo tanto più discreto) non sono una deviazione dal “sano capitalismo”, ma la dimostrazione che il sistema capitalista è malato, è moribondo, è “storicamente superato” e deve essere sostituito da un sistema superiore fondato sulla proprietà pubblica e sull’appropriazione pubblica di tutte le forze produttive aventi carattere sociale: il comunismo.