Contro l’economicismo, principale deviazione delle forze soggettive della rivoluzione socialista

Rapporti Sociali n. 16 (inverno 1994-1995) - (versione Open Office / (versione Word)

Oggi tutte le forze politiche della borghesia imperialista hanno in comune un’analisi: “L’attuale situazione e incompatibile con l’equilibrio del sistema finanziario”. Con l’espressione “attuale situazione” intendono che il “monte salari”, il “monte pensioni”, i trasferimenti della pubblica amministrazione alle famiglie e le spese “sociali” della pubblica amministrazione (sanità, scuola, servizi sociali, ecc.), che grossomodo costituiscono il salario complessivo dei proletari,(1) sono ancora una quota troppo alta del prodotto nazionale, che il reddito complessivo dei lavoratori autonomi è ancora troppo alto, che i lavoratori hanno ancora troppe garanzie, diritti, automatismi, ecc. Tutto questo, salari, pensioni, spese sociali, redditi di lavoratori autonomi, garanzie e diritti vanno ridimensionati per salvaguardare l’equilibrio del “sistema finanziario” nazionale, ossia del “sistema del capitale finanziario” che nell’epoca imperialista è la parte dirigente di tutto il capitale e la sovrastruttura di tutta l’attività economica del paese. Il sistema finanziario nazionale è strettamente comunicante con il sistema finanziario mondiale (tramite il mercato dei cambi e gli investimenti di capitali all’estero) di cui è una componente non grandissima, ma non irrilevante. Un eventuale collasso del sistema finanziario italiano sottoporrebbe il sistema finanziario mondiale a una prova assai pericolosa, probabilmente insopportabile dato che esso, per conto suo, ha già molti altri punti deboli: la crisi attuale non è una crisi italiana, o di origine italiana, ma è una crisi mondiale.

 

1. Cerchiamo di interpretare la divisione del prodotto di un paese moderno con le categorie messe in luce dall’analisi del capitalismo condotta da Marx. Il prodotto dell’economia capitalista (consideriamo quindi quanto e prodotto nell’ambito del rapporto di produzione capitalista) si divide in tre parti fondamentali: il capitale costante, il capitale variabile e il plusvalore (vedasi nota 17, pag. 12). Quali sono le voci dell’economia corrente riconducibili al capitale variabile? Crediamo che in una prima grossolana approssimazione vadano ascritti a questa voce i salari dei lavoratori dipendenti dal capitale, le pensioni percepite da essi quando non sono in condizioni di lavorare per vecchiaia o invalidità, i trasferimenti fatti a vario titolo dalla pubblica amministrazione alle loro famiglie e i servizi (prestazioni sanitarie, scolastiche, ecc.) ricevuti dalle loro famiglie (salario indiretto).

 

Da qui la preoccupazione con cui la borghesia imperialista guarda all’equilibrio del sistema finanziario italiano. Polo progressista e Polo della libertà hanno su questo posizioni comuni: salvaguardare a ogni costo e a qualsiasi prezzo l’equilibrio del sistema finanziario. Si dividono e gareggiano su quale dei due è in grado di farlo. Si dividono sulle procedure, sui punti su cui calcare la mano, sull’ordine in cui colpire, ecc. Si dividono sul fatto che nel Polo progressista sono riunite le organizzazioni (sindacati e organizzazioni di categoria) che ancora oggi sono di gran lunga i maggiori punti di centralizzazione della mobilitazione delle masse popolari del nostro paese. È questa la principale ragione per cui il Polo progressista vanta la capacità di poter imporre il “rigore” con il “consenso delle parti sociali”, cioè senza che il malcontento e l’opposizione delle masse trovino centri di unificazione, organizzazione e mobilitazione contro le sue misure antipopolari e quindi diventino una forza politica. Il Polo progressista da una parte accusa il governo Berlusconi di “mancanza di rigore” e di “non avere una linea”, dall’altra di “non essere capace di conquistare il consenso delle parti sociali su misure di rigore”. In realtà il Polo della libertà, che dalle elezioni del 27 marzo ha ricevuto in appannaggio il governo del paese, per conservarlo è ora alla ricerca di una ricetta che gli consenta di imporre sacrifici e miseria alle masse popolari senza che le altre forze politiche imperialiste concorrenti ne approfittino per sottrargli seguito popolare e sbalzarlo dal governo e senza che il malcontento popolare renda il paese “ingovernabile”. È un problema comune a tutte le forze politiche della borghesia imperialista, in Italia cosi come negli altri paesi imperialisti. Da qui la difficoltà che ogni forza politica imperialista incontra ad agire efficacemente nell’ambito degli attuali istituti politici e la diffusa tentazione di ridurre o eliminare la contesa tra loro sul “consenso popolare” (le elezioni, ecc.) la tendenza a ridurre il ruolo  delle assemblee e degli altri organismi elettivi, a bloccare in qualche - modo il voto (collegi uninominali, soglie di ingresso, difficoltà frapposte alle candidature, ecc.), la tentazione di generalizzare l’intimidazione e la repressione.

 

**** Manchette

LE FORME ANTITETICHE DELL’UNITÀ SOCIALE (FAUS)

Le forme antitetiche dell’unità sociale sono istituzioni e procedure con cui la borghesia imperialista cerca di far fronte al carattere collettivo oramai assunto dalle forze produttive, pur restando sul terreno della proprietà individuale capitalista. Nella società imperialista, FAUS sono continuamente create e continuamente distrutte. Sono FAUS ad esempio le banche centrali, il denaro fiduciario, la contrattazione collettiva dei rapporti di lavoro salariato, la politica economica degli Stati, i sistemi previdenziali, ecc.

Per maggiori dettagli consultare Rapporti Sociali n.4, pag.20-22.

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**** Manchette

DUE CAMPI CONTRAPPOSTI

La crisi divide in modo sempre più profondo la società in due campi contrapposti:

- il campo delle classi che lavorano per vivere e che possono vivere solo del proprio lavoro;

- il campo delle classi che vivono del lavoro altrui o che lavorano per aumentare il capitale per il profitto).

Il primo campo può essere diretto solo dalla classe operaia, il secondo campo può essere diretto solo dalla borghesia imperialista.

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Il conflitto di interessi tra i gruppi imperialisti, la concorrenza che la crisi acuisce e trasforma in contrasti antagonisti (“io posso crescere solo se mangio te, se occupo il tuo mercato, se assorbo le tue rendite, ecc.”) e che già dà lungo a una guerra civile strisciante e minaccia l’unità del paese, ci fanno capire che la debolezza politica della borghesia imperialista è un fatto destinato a protrarsi ancora a lungo, che le divisioni non potranno ricomporsi ma anzi sono destinate ad accentuarsi. Anche se i gruppi imperialisti che avevano preparato il Polo progressista e avevano puntato su di esso dovessero abbandonarlo al suo destino e puntare sull’attuale maggioranza, non farebbero che aumentare la divisione e le beghe all’interno dell’attuale maggioranza. La divisione tra i gruppi borghesi e la debolezza politica della borghesia imperialista sono elementi su cui le forze soggettive della rivoluzione socialista possono continuare a contare.

Questa è la situazione nel campo della borghesia imperialista. La situazione nel campo delle masse popolari, della resistenza che esse oppongono al procedere della crisi, presenta i seguenti tratti.

1. La resistenza delle masse popolari al procedere della crisi si sta sviluppando in tutte le classi e in tutto il paese. Essa non consiste solo in manifestazioni, scioperi e assemblee di protesta, ma in mille altre iniziative e comportamenti individuali e collettivi. Il discredito della classe dominante e la sfiducia nei suoi confronti crescono; per la prima volta da quando in Italia esiste il suffragio universale, le masse popolari non hanno votato la soluzione politica che i gruppi più autorevoli della borghesia imperialista avevano preparato e avevano loro sottoposto perché l’approvassero, ma hanno votato per il “figlio discolo” della grande borghesia; le organizzazioni politiche e sindacali del regime hanno sempre più difficoltà a contenere le proteste e a mobilitare le energie delle masse popolari quando e sulle cose che ad esse interessano;(2) crescono i fenomeni di aggregazione, di lavoro volontario e nello stesso tempo crescono i comportamenti asociali distruttivi o autolesionisti; crescono l’abbrutimento rassegnato e la ribellione; cresce la sfiducia nelle soluzioni promosse dallo Stato; crescono il malcontento, la preoccupazione e la ricerca di soluzioni individuali o di gruppo, quali che siano le direzioni in cui si incanalano; cresce la sensazione che cosi non può andare avanti a lungo e che prima o poi succederà qualcosa di grosso.

 

2. Le iscrizioni di lavoratori attivi ai sindacati diminuiscono, nelle manifestazioni e nelle assemblee sindacali aumentano le proteste contro i sindacalisti, le proposte di contratto ricevono molti voti con trari nelle categorie sindacalmente più forti, nelle grandi città i Centri sociali organizzati dai Comuni vivono stentatamente, mentre si moltiplicano i Centri sociali “autogestiti”, ecc.

Naturalmente la sconfitta del Polo progressista e la sua opposizione al governo Berlusconi danno respiro ai sindacati di regime: per il momento i loro interessi particolari e gli interessi delle masse trovano un terreno comune di incontro: l’opposizione al governo Berlusconi.

 

Le masse popolari sono oggi un corpo immenso sempre più irrequieto, agitato da movimenti scomposti e contraddittori, in preda alla febbre; la vecchia direzione lo controlla sempre meno e non è ancora comparsa una nuova direzione. Quei movimenti diventeranno sempre più frenetici e violenti, fino ad una crisi solutoria in cui si imporrà una nuova direzione, o della classe operaia o ancora della borghesia imperialista. Sarà questa nuova direzione che dirigerà il corso che a quel punto si aprirà.

2. La classe operaia, l’unica classe che può assumere la direzione delle masse popolari in alternativa alla borghesia imperialista, non ha ancora sviluppato la necessaria fiducia in se, non ha ancora la convinzione che essa, se avesse il potere, dirigerebbe il paese meglio della borghesia imperialista.(3) Questa la sottopone da anni, coerentemente con i suoi interessi,(4) ad un attacco feroce teso a isolarla, demoralizzarla e confonderla, a distruggere in essa fiducia e capacità di iniziativa politica e organizzativa. Da qui le campagne sistematiche condotte dalla borghesia contro il ruolo politico svolto in questo secolo dalla classe operaia: contro i paesi compiuti nella transizione dal capitalismo al socialismo nei paesi socialisti; contro la distruzione del sistema coloniale (rivoluzioni di nuova democrazia e lotte di liberazione nazionale); contro la trasformazione dei rapporti sociali nei paesi imperialisti (Stato del benessere = assistenza: detto proprio dai borghesi, munifici benefattori delle opere di beneficenza e carità!). Da qui anche la preoccupazione, i lamenti sul “leso ordine pubblico” e le esortazioni alla “legalità soprattutto” dei borghesi “amici dei lavoratori” (da Bertinotti, a Cofferati, a Maroni). Tuttavia persino le lotte prevalentemente difensive di questi mesi hanno ancora confermato che, quando la classe operaia riesce a sviluppare iniziative energiche, determinate e in qualche misura autonome dalle organizzazioni del regime (es. Crotone, Pordenone, Sulcis, Torino, Trieste, ecc.), il suo prestigio e il seguito tra il resto delle masse popolari fanno un salto in avanti.(5) Gli avvenimenti degli ultimi due anni hanno d’altra parte mostrato che essa, proprio per la difesa delle sue più elementari condizioni di vita e di lavoro, compie sempre più frequentemente azioni energiche e determinate, autonome dalle organizzazioni del regime. Nel corso di queste lotte sempre più frequentemente essa ha dimostrato di dare istintivamente una lettura giusta, scientifica (6) della crisi economica; ha infatti rotto la divisione azienda per azienda e ha oltrepassato il quadro economico delle lotte. Ad Agnelli che untuosamente mostrava i grafici in calo delle vendite delle auto, a Giugni che con sussiego professorale spiegava che il carbone del Sulcis “non è economico”, con le loro azioni gli operai hanno detto che proprio quelle loro “verità” dicevano che il problema non era aziendale ma dell’intera società, che quello che occorreva non era una diversa politica aziendale (che invece i “sinistri” reclamavano), ma un diverso ordinamento della società. La trasformazione di rivendicazioni aziendali in un “problema di ordine pubblico”, per dirla alla Maroni, proclama questa verità scientifica, la contiene e la sottintende, anche se essa attende ancora un’organizzazione politica che la raccolga, la elabori e la eriga a programma e a bandiera di lotta.

 

3. Questa fiducia e questa convinzione si possono sviluppare solo nel corso del processo pratico della resistenza al procedere dell’attuale crisi. Il suo sviluppo sarà determinato dalla combinazione - dell’esperienza degli effetti disastrosi per le masse della direzione della borghesia imperialista,

- delle lotte particolari difensive ed offensive condotte dalle masse popolari e dalla classe operaia,

- della formazione di organizzazioni delle masse e del partito della classe operaia,

- dell’azione di questo partito, il nuovo partito comunista.

 

4. È diffusa tra le forze soggettive della rivoluzione socialista

- sia la tendenza a lamentarsi per la “scomparsa della memoria storica” delle lotte condotte dalla classe operaia e dei loro grandi risultati;

- sia la tendenza a prendere come lavoro scientifico, ricerca storica, ricerca scientifica l’opera di denigrazione dei risultati della direzione della classe operaia.

Noi usciamo da un periodo piuttosto lungo in cui la comprensione e l’illustrazione dei risultati della lotta e della direzione della classe operaia è stata lasciata alla borghesia di sinistra (fu un aspetto del  predominio dei revisionisti moderni). Basta pensare all’editoria di sinistra, alle edizioni dei classici del marxismo sommersi nella salsa della collocazione nel loro tempo e privati dello spirito rivoluzionario, ai film che esaltavano la rivoluzione riducendola a una sagra paesana o a una lotta popolare contro avversari misteriosi e nascondendo le contraddizioni all’interno del popolo che essa deve affrontare, ecc. Ora che la borghesia di sinistra è in declino, anche la sua opera di memoria travisata ed edulcorata è venuta meno. Invece di valorizzare questo “segno dei tempi” e lavorare attivamente per occupare lo spazio finalmente libero dall’infezione revisionista, alcuni compagni piangono la scomparsa dell’infezione.

Quanto alla “ricerca storica scientifica” condotta dagli studiosi borghesi, basta accennare alla vicenda delle lettere di Togliatti scoppiata alla vigilia delle elezioni politiche del 1992, alla vicenda delle bombe atomiche lanciate sul Giappone, ecc. perché chiunque abbia un minimo, non diciamo di senso delle contrapposizioni tra classi, ma anche solo di spirito critico si renda conto che la classe dominante conduce una guerra di intossicazione delle coscienze, ammantandola, grazie agli strumenti del potere, come ricerca scientifica in campo storico e riversando su quanti la contrastano o vi resistono l’accusa di oscurantismo, ideologismo, ecc., approfittando del fatto che, senza gli strumenti del potere, è impossibile (ammesso che comunque ne valga la pena) smontare ogni singola montatura. Avviene in campo storico quello che e avvenuto in campo biologico, dove la borghesia condusse le campagne razziste ammantandole di ricerca scientifica in campo biologico (inferiorità razziale, delinquenza innata, ecc.).

 

5. Vale la pena notare che anche altre classi hanno in questi mesi dato luogo qua e là a lotte radicali, violente (basti pensare alle mezze rivolte di Bari e Napoli), ma esse non hanno, né potevano avere, il ruolo unificante e centralizzante verso tutte le masse popolari che hanno avuto le citate lotte, sia pur difensive, della classe operaia. A riprova che la natura di “classe universale” della classe operaia, prima di essere compresa e iscritta nei testi, esiste nei rapporti reali tra le classi, nella costituzione materiale della società.

 

6. Scientifica nel senso illustrato nella nota 24 dell’articolo La fase politica, in questo numero della rivista.

 

Il ruolo dirigente della classe operaia, le sue potenzialità di assumere la direzione della resistenza di tutte le masse popolari al procedere della crisi e della trasformazione socialista di questa società, sono inscritte negli attuali rapporti di produzione. Le vicissitudini politiche possono rallentarne e ritardarne la realizzazione, ma non possono eliminarle. Il prestigio della borghesia imperialista presso le masse popolari è comunque destinato a calare per effetto dell’andamento pratico rafforzato dalle stesse beghe tra gruppi imperialisti (es. Tangentopoli, scandali di regime, lo spettacolo della nuova maggioranza di Berlusconi, la lite tra Polo della libertà e Polo progressista, ecc.); gli effetti perversi e distruttivi della direzione della borghesia imperialista inevitabilmente diventeranno via via maggiori e appariranno sempre più chiaramente nell’esperienza delle masse. Per quanto vasta sia l’azione della borghesia imperialista per alimentare nella classe operaia la sfiducia in se stessa, per quanto profonda sia oggi questa sfiducia e per quanto grandi siano stati gli errori e le ingenuità dei primi tentativi di trasformazione del mondo da essa compiuti (le rivoluzioni socialiste e di nuova democrazia, la costruzione del socialismo, ecc.),(7) il movimento reale porta e porterà agli operai sempre più elementi che conforteranno la tesi che essi sono per le masse popolari una direzione migliore della borghesia imperialista, che sono addirittura l’unica direzione che può “emancipare tutta l’umanità” dalle atrocità del capitalismo morente e in putrefazione.

 

7. Quanto alle ingenuità e ai limiti della grandiosa azione politica compiuta dalla classe operaia, basti indicare la fiducia, la bonarietà con cui ha ripetutamente trattato i propri nemici a partire dalla liberazione a Pietroburgo degli ufficiali zaristi sulla parola d’onore che non avrebbero preso le armi contro il governo dei Soviet.

 

3. Proprio nell’alimentazione, nel consolidamento e nell’esplicazione pratica di questa fiducia della classe operaia in se stessa e nel suo ruolo storico entrano in ballo le forze soggettive della rivoluzione socialista, gli organismi e gli individui che compongono la variopinta e confusa folla degli aspiranti organizzatori e dirigenti della resistenza delle masse popolari.

Nel n. 14/15 di Rapporti Sociali (dicembre ’93) abbiamo individuato e illustrato le tendenze più importanti, i filoni più sviluppati esistenti tra esse (I due campi nella crisi economica e i due fronte nella lotta politica). Gli avvenimenti di quest’anno hanno mostrato chiaramente che vi è una deviazione che percorre quasi tutti i gruppi che in qualche misura  anche solo si pronunciano a favore della resistenza delle masse popolari alla eliminazione delle conquiste strappate nel periodo del “capitalismo dal volto umano”: da Rifondazione Comunista, alla CUB, allo SLAI, al COBAS Alfa Romeo, ai vari altri sindacati alternativi o quarti sindacati, a Contropiano, all’Autonomia (nella misura in cui non si limita ad organizzare “spazi liberati”, in cui isolarsi),(8) al Movimento Proletario Anticapitalista e in una certa forma anche nelle nostre file (che naturalmente nessuna “muraglia cinese” separa dal resto). È una deviazione che in qualche misura ovviamente è una minaccia e un rischio anche per noi: i CARC non dispongono di alcuna particolare vaccinazione contro di essa. È la deviazione dell’economicismo.

 

8. Vedasi ad es. la piattaforma per l’assemblea tenutasi a Roma il 25-26 giugno 1994 (in Assalto al cielo, n. 22).

 

 

**** Manchette

IL “RIGORE” CHE IL GOVERNO BERLUSCONI NON HA!

Dall’ex Polo progressista si alza un coro: il governo Berlusconi non si applica con rigore al risanamento del sistema finanziario! In cosa consiste il rigore che governo e opposizione rivendicano a gara? Un’erosione continua delle condizioni di vita e lavoro delle grandi masse popolari. Ogni sacrificio dovrebbe risanare. In realtà ogni sacrificio che le masse ingoiano oggi, pone le premesse per il nuovo sacrificio che chiederanno loro domani. Ogni stangata pone le premesse per un’altra.

La crisi del sistema capitalista ha trasformato sistema finanziario in un’enorme macchina mangiasoldi che più soldi inghiotte, più diventa grande e più soldi chiede. Titoli finanziari equivalenti a svariate migliaia di miliardi di dollari devono ogni anno ricevere interessi o aumentare di quotazioni pena il collasso dell’intero sistema finanziario. Non importa come va l’economia reale, la produzione di beni e servizi. Gli interessi e l’aumento delle quotazioni vanno ad aumentare la montagna del capitale finanziario. Questa montagna più grande richiederà ancora più interessi e quotazioni ancor più alte. Un pugno di pescecani della finanza, di grandi capitalisti, di loro agenti e di parassiti deve ogni anno accumulare nelle sue mani più denaro più titoli di credito. Essi hanno in mano le fabbriche, le campagne, i circuiti commerciali e i mezzi di trasporto: se la loro fame di denaro non viene soddisfatta, tutto l’apparato produttivo si inceppa. Un enorme castello di carta copre come un ragnatela il nostro paese e forma un’unica ragnatela con gli analoghi castelli che coprono e soffocano gli altri paesi. Questo è il sistema imperialista mondiale. Dove prendere i miliardi che ogni giorno questo mostro deve mangiare? In sostanza dai salari, dalle pensioni e dal denaro pubblico, sempre meno destinato a spese di pubblica utilità. Tutto ciò non aiuta, ma soffoca l’attività economica e la vita delle masse. È un enorme processo di rapina ai danni delle masse, che procedendo crea continuamente le premesse per una rapina ancora maggiore. È un processo che di per se non ha termine, ma porta verso disastri maggiori.

Ogni lotta e iniziativa che difende le condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari, arresta anche se in un sol punto o frena anche se solo per un po’ di tempo questo processo di rapina e di distruzione. Ostacola e ritarda il cammino verso il disastro. Ma solo la lotta per eliminare il dominio della borghesia imperialista, per togliere ad essa le fabbriche, le campagne, i circuiti commerciali, i mezzi di trasporto e più in generale il potere e per costruire al suo posto una società di lavoratori, una società comunista, allontana definitivamente il disastro verso cui ci porta questa classe dominante.

Questa e nessun altra è la via di salvezza che abbiamo davanti e che dobbiamo imboccare!

 

(da Resistenza, ottobre ’94)

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In che cosa consiste? Come si manifesta?

L’economicismo oggi, nel campo delle linee politiche e dei programmi, consiste nel proposito di “politicizzare le lotte economiche”, nell’escogitare, elaborare e proporre programmi generali fatti solo di rivendicazioni economiche, omettendo le condizione essenziale e principale che le renderebbe realistiche, l’obiettivo che solo può unire e mobilitare le masse la conquista del potere da parte della classe operaia e l’instaurazione di una società socialista.

 Se passiamo in rassegna la sfornata di programmi generali che si è avuta nei mesi scorsi, cosa rileviamo?

1. Quei programmi generali contengono vari obiettivi, ma nessuno tra essi nemmeno vagamente accenna all’instaurazione del socialismo, al comunismo.

2. Gli obiettivi variano leggermente da caso a caso, sostanzialmente si riducono agli stessi: meno orario a par salario, lavorare meno per lavorare tutti, lavori di pubblica utilità, una nuova politica industriale.(9)

3. Questi obiettivi “generali” vengono lanciati tra i piedi di un movimento rivendicativo che si caratterizza invece per l’estrema varietà degli obiettivi, un movimento fatto di mille lotte particolari su obiettivi particolari e a volte anche contrastanti.

4. Con questi programmi generali i relativi estensori aspirano a creare un movimento rivendicativo che non esiste e che non accenna a formarsi, mentre trascurano e denigrano, perché “particolaristi”, perché “corporativi”, perché “arretrati”, i mille organismi che si formano su ogni lotta particolare e scompaiono con la sua fine o al massimo cercano di stabilizzarli e generalizzarli come organismi di lotta su quel singolo obiettivo economico rivendicativo (riduzione di orario, no alla cassa integrazione a zero ore, ecc.), creando piccoli gracili aborti di organismi operai.(10)

5. Quegli obiettivi generali né rispecchiano né elaborano l’esperienza del movimento reale, ma contrappongono ad esso a seconda delle letture degli autori, secrezioni della “scienza” economica borghese, luoghi comuni della cultura borghese di sinistra, rivisitati ancora più “da sinistra”.(11)

L’esperienza storica e l’esperienza di questi mesi dimostrano che i programmi generali economicisti, a dispetto dello strombazzato carattere unificante e mobilitante degli obiettivi che li costituiscono,

- non mobilitano le masse;

- disperdono le energie delle forze soggettive della rivoluzione socialista;

- riducono la resistenza delle masse al solo aspetto difensivo negando e ostacolando l’aspetto offensivo;

- preparano un terreno favorevole alla mobilitazione reazionaria delle masse.

 

9. La borghesia di sinistra, e la direzione della Volkswagen, dicono “riduzione di orario con parallela riduzione di salario”. Il “comunista” economicista, l’autonomo economicista, ecc. dicono “riduzione di orario a pari salario” (e qualcuno, più radicale e “rivoluzionario”, rispolvera lo slogan lanciato da Lotta Comunista negli anni delle vacche grasse, “meno orario, più salario”).

Vale la pena chiarire la sostanziale differenza che vi è tra

- da una parte, la lotta per la riduzione della giornata di lavoro (la lotta per la giornata di 10 ore, la lotta per la giornata di 8 ore, la lotta per le 40 ore settimanali) condotta a più riprese dalla classe operaia,

- dall’altra, il programma “meno orario a pari salario” o “lavorare meno per lavorare tutti” proposto oggi dagli economicisti come via per l’uscita dalla crisi.

La prima implica il fatto che la giornata lavorativa è composta di lavoro necessario (quota della giornata in cui il lavoratore produce quanto corrisponde al suo salario) e da pluslavoro (quota della giornata lavorativa il cui prodotto e incamerato dal capitalista): quindi mette al centro la lotta tra le classi, la lotta della classe operaia contro la borghesia per ridurre il pluslavoro.

Il secondo implica l’accettazione della tesi borghese che la crisi attuale è dovuta alla “innovazione tecnologica che riduce la quantità di lavoro che in una società si può compiere” (e cioè una mistificazione: è rapporto di produzione capitalista che comporta che in una società si può compiere solo quella quantità e quel tipo di lavoro che produce profitti per i capitalisti) e richiede una “più razionale” ripartizione del lavoro, richiede cioè che ognuno lavori di meno (e cioè una seconda mistificazione: minore lavoro vuol dire minori profitti e quindi accentuazione della crisi: non a caso il corso reale procede in direzione contraria, i capitalisti aumentano la durata e l’intensità del lavoro dei lavoratori occupati e i lavoratori occupati allungano l’orario di lavoro: straordinari, doppio lavoro, ecc.). Infatti la crisi comporta che ogni capitalista per prevalere deve produrre con margini di profitto maggiore e quindi che ogni lavoratore, per poter continuare a compiere il “lavoro necessario”, deve compiere pluslavoro.

Come si vede i programmi degli economicisti travisano la realtà, confondono la situazione, nascondono la lotta di classe e sono giorno dopo giorno inesorabilmente contraddetti dal corso reale delle cose.

 

10. La lettura istintiva ma scientifica (cioè corrispondente alle leggi oggettive del processo in corso) della situazione porta gli operai a rifiutare di organizzarsi stabilmente e tutti su alcune singole rivendicazioni ognuna delle quali va bene oggi ma non corrisponde più alla situazione concreta di do mani, va bene a un gruppo di lavoratori ma è arretrata o superiore alle proprie forze per un altro gruppo. Gli organismi che ne risultano sono in realtà costituiti da individui, eventualmente anche operai, che sperano (si illudono) di riuscire tramite questi organismi sedicenti “di base”, “di massa”, ecc. a “fare politica”: sono appunto aborti di partiti comunisti (al riguardo vedasi anche la nota 25, pag. 15).

 

11. Vediamone alcuni a mo’ d’esempio:

- la politica economica sbagliata o non abbastanza intelligente e lungimirante al posto della crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale come causa dell’attuale malessere;

- l’organizzazione razionale o non razionale della società messa di soppiatto al posto della lotta tra le classi;

- sciocche ed edificanti proposte di nuovi ordini mondiali “razionali”, “giusti”, democratici, ecc., maggiori aiuti al terzo mondo, ecc., uso “razionale” delle risorse e dell’ambiente, ecc. al posto dello sfruttamento e dell’emarginazione che regolano i rapporti tra le classi nei paesi imperialisti e tra i paesi imperialisti e le semicolonie e della lotta rivoluzionaria contro di essi;

- lamenti sulla “carenza di capitali” nascondendo la montagna di capitale finanziario che soffoca e strangola l’apparato produttivo,

- “equa” ripartizione del “lavoro che c’è” al posto della lotta per togliere il potere alla borghesia imperialista che, per conservare i rapporti di produzione capitalisti, emargina masse crescenti di lavoratori dal processo produttivo.

 

Ogni economicista giustifica l’omissione della conquista del potere e del socialismo dicendo che le masse capiscono, condividono e sostengono solo obiettivi economici, che gli obiettivi economici sono “concreti”, mentre non capirebbero obiettivi “astratti” come la conquista del potere e il socialismo. Non importa che tutta l’esperienza storica mostri che l’unita e la mobilitazione generale delle masse, quando si sono realizzate, si sono realizzate proprio dietro la bandiera di quegli “obiettivi astratti” e che la lotta per obiettivi economici ha raggiunto il suo massimo sviluppo quando quegli obiettivi “astratti” guidavano la mobilitazione delle masse.(12)

 

12. È ben vero che la mobilitazione delle masse popolari in Russia nel ’17 avvenne su alcuni obiettivi immediati: pace, terra ai contadini, controllo degli operai nelle fabbriche. Ma la sintesi di questi obiettivi “concreti”, e ciò che li rendeva realistici ed effettivamente concreti, era “tutto il potere ai soviet”.

Lo stesso appare chiaramente nelle altre rivoluzioni. In Cina la riforma agraria e l’abolizione dei residui feudali si sintetizzava nella direzione della classe operaia tramite il suo partito comunista. Senza questo i primi due obiettivi “concreti” si erano rivelati inconsistenti e utopistici.

 

In questi mesi non c’è alcun indizio che si venga formando un qualche movimento rivendicativo delle masse su quegli obiettivi generali, autonomo dalla direzione dei sindacati di regime e dagli interessi del Polo progressista. Al contrario si sono formati e si formano mille organismi, che sorgono e scompaiono con le lotte particolari che impersonano: gli economicisti “contribuiscono” ad impedire che venga raccolto, consolidato e valorizzato il patrimonio di esperienza e di coscienza che ogni lotta crea e che ogni organismo impersona.

Negli anni ’70 nel nostro paese si sviluppò un grande movimento rivendicativo di massa e gli economicisti oggi parlano del bisogno di “ricreare un grande movimento rivendicativo”: ma gli economicisti tacciono accuratamente che allora la parola d’ordine dirigente non era questa o quella rivendicazione, ma “il potere agli operai” e il comunismo; tacciono che non a caso allora si svilupparono mille tensioni alla conquista del potere di cui le Brigate Rosse cercarono di essere la sintesi.

I programmi economicisti

- impediscono alle forze soggettive della rivoluzione socialista di unirsi con ogni parte delle masse popolari sulla sua tendenza positiva (la lotta a difesa dei suoi specifici interessi), perché contrappongono la rivendicazione economica che l’economicista proclama generale, unificante, mobilitante, alla rivendicazione particolare di quella parte delle masse, quindi ostacolano, frenano le lotte di difesa;

- impediscono l’unificazione delle masse sotto la direzione della classe operaia per il socialismo.

Infatti gli economicisti sono contrari, denigrano, non aderiscono, non sostengono, non danno “respiro generale” a vane singole e particolari lotte di difesa perché “particolari”, “isolate”, “condotte da piccoli gruppi”, perché “difendono privi legi di piccoli gruppi di lavoratori”, non tese a uno dei loro (degli economicisti) “obiettivi generali e unificanti”, ecc.(13)

Infatti gli economicisti rifiutano, negano l’unico obiettivo che può unire le masse: il comunismo. Solo una società socialista può dare a ogni lavoratore secondo il suo lavoro, può assicurare vita e lavoro a ogni membro della popolazione, può quindi trattare le contraddizioni secondarie tra le vane classi e frazioni delle masse popolari sulla base di “da ognuno secondo le sue possibilità, a ognuno secondo il suo lavoro”, per marciare verso “da ognuno secondo le sue possibilità, a ognuno secondo i suoi bisogni”.(14)

 

13. Gli economicisti alimentano una coscienza che disgrega e ostacola le singole lotte economiche (es. i lavoratori dei paesi imperialisti vivono al di sopra dei propri mezzi e vivono alle spalle delle masse dei paesi semicoloniali, quello che un gruppo di lavoratori vuole per se va a danno di altri gruppi di lavoratori, ecc.). Per condurre con forza, continuità, tenacia e con proprio vantaggio le singole lotte, gli operai hanno bisogno non solo della coscienza del proprio bisogno, ma anche della coscienza che la classe operaia ha una soluzione definitiva e universale della crisi attuale, ha bisogno di sentire di essere la “classe universale”, la classe che impersona tutto il positivo dell’attuale società. Ciò richiede quindi che le forze soggettive della rivoluzione socialista cessino di limitare il proprio orizzonte alla promozione di lotte rivendicative o ai tentativi di “politicizzare le lotte rivendicative”, si pongano come espressione ed organo della classe operaia che lotta per il potere e per attuare la trasformazione socialista della società e quindi pongano al centro della propria attività di medio periodo la ricostruzione del partito comunista. Questa è anche la condizione necessaria per sbarrare il passo alle varie forme di mobilitazione reazionaria delle masse e per trasformare la mobilitazione reazionaria in mobilitazione rivoluzionaria.

 

14. Ciò su cui è possibile costruire l’unità delle masse popolari è che il nemico è unico (la borghesia imperialista) e che la classe operaia in grado, oggi potenzialmente domani di fatto, di dirigere la costruzione di una nuova società

- che abbia alla sua base la proprietà comune almeno delle principali forze produttive e la gestione organizzata e pianificata di esse come affare pubblico per la soddisfazione dei bisogni individuali e collettivi della popolazione,

- che da questa base proceda verso il superamento del resto dei rapporti di produzione capitalisti (del sistema individuale o di gruppo della proprietà del resto delle forze produttive, dei rapporti borghesi tra gli uomini nel lavoro, del sistema di distribuzione regolato dalla misura della proprietà o del lavoro svolto) e alla costruzione di una sovrastruttura politica, giuridica e culturale confacente ai nuovi rapporti di produzione.

 

I programmi generali economicisti non solo nè mobilitano nè unificano, ma alimentano un terreno favorevole alla mobilitazione reazionaria delle masse. Infatti questa (vedasi Rapporti Sociali n.12/13, pag.27 e segg.) deve far leva sulle contraddizioni tra classi e strati delle masse popolari ed erigere queste contraddizioni a contraddizione principale occultando la contraddizione oggettivamente principale, quella tra masse popolari e borghesia imperialista. Gli economicisti, quando escogitano i loro programmi generali, non fanno che prendere un obbiettivo particolare perseguito da un gruppo in lotta ed erigerlo a obiettivo universale, cioè a obiettivo che tutti dovrebbero perseguire, porlo come un “bene universale”, una cosa “giusta” da imporre a tutti. Con ciò contrappongono quella parte delle masse che ha quell’obiettivo particolare al resto delle masse che è lesa dall’imposizione di quell’obiettivo particolare come obiettivo generale.

Sviluppiamo in dettaglio un esempio. Proponiamo al lettore di svilupparne altri prendendo dettagliatamente in esame uno a uno gli obiettivi “unificanti e mobilitanti” proposti dagli economicisti (riduzione di orario, no agli straordinari, no ai contratti di solidarietà, aumenti di salario, abolire le spese militari, abolire gli enti inutili, contro la cassa integrazione a zero ore, ecc.).

Il lavoratore occupato con regolare contratto di lavoro lotta giustamente contro l’introduzione del salario d’ingresso (un salario minore di quello contrattuale) o dell’assunzione a tempo, perché peggiorano le sue condizioni di lotta e creano una premessa che prima o poi il padrone cercherà di imporre anche a lui (salario flessibile, salario elastico, posto di lavoro elastico, ecc.). Pretendere di imporre la stessa lotta al disoccupato e al giovane in cerca di prima occupazione urta contro il suo interesse: egli infatti lotta per avere un posto di lavoro. Pretendere che il lavoratore occupato con contratto lotti per l’introduzione del salario d’ingresso o dell’assunzione a tempo sarebbe altrettanto contro i suoi interessi.(15) Gli economicisti agitano tra i lavoratori esattamente questa pretesa: di portare un gruppo a lottare contro il suo interesse particolare, perché pongono come obiettivo universale, valido per tutti, ad es. la lotta contro il salario d’ingresso e  l’assunzione a tempo determinato come una delle misure generali da imporre ai capitalisti per “uscire dalla crisi”. Cosa succederebbe se il movimento dei lavoratori accettasse il programma generale proposto dagli economicisti? La parte dei lavoratori che facesse suo un programma contrario ai propri interessi si mobiliterebbe poco e malamente (falsa coscienza), lo slancio dell’altra parte sarebbe inevitabilmente frenato dall’evidente danno che la lotta porta a una parte di lavoratori (tra l’occupato e il disoccupato esistono legami di vario genere - familiari, affettivi, di solidarietà, ecc. ed esiste un legame dialettico: la trasformazione dell’uno nell’altro che le circostanze della vita impongono), il capitalista avrebbe buon gioco a mobilitare contro il movimento dei lavoratori quella parte dei lavoratori che è danneggiata dal programma generale. Cosa succede in pratica? Che ogni lavoratore lotta per quello di cui ha bisogno: Il lavoratore occupato cerca di difendere la sua condizione; il disoccupato cerca di avere un posto di lavoro e accetta il salario d’ingresso e l’assunzione a tempo determinato; il disoccupato una volta diventato occupato cerca di alzare il suo salario e rendere più duraturo possibile, magari stabile, il suo posto di lavoro; l’occupato appena diventato disoccupato lotta per avere un posto di lavoro anche a costo di accettare salario d’ingresso e assunzione a tempo determinato.

 

15. Alcuni lettori obietteranno che in Francia nella primavera del ’94 furono soprattutto i giovani studenti a partecipare alla protesta contro l’introduzione da parte del governo Balladur del salario d’ingresso (ovviamente minore del normale). A questi lettori richiamiamo alcuni fatti significativi. La mobilitazione contro la misura del governo Balladur fu un grande momento di mobilitazione a livello nazionale: ma proprio questo mostra che la mobilitazione non partiva dai giovani proletari, che anche in Francia non hanno ancora alcun centro di mobilitazione nazionale, ma dagli oppositori borghesi del governo Balladur (socialisti e seguaci di Chirac). La mobilitazione generale promossa dalle organizzazioni di regime offrì ai giovani proletari l’opportunità di esprimere il malcontento alimentato dalle condizioni di vita. I protagonisti delle manifestazioni furono soprattutto giovani proletari disoccupati destinati a restare tali e di fatto consapevoli di ciò. La mobilitazione generale si concluse d’incanto quando il governo ritirò la misura, mentre il salario ridotto per i giovani continuò a dilagare nella forma di lavoro nero, a riprova che non era questo motivo per cui migliaia di giovani parteciparono alla mobilitazione.

 

Tutto bene allora nonostante gli economicisti? No, perché i lavoratori non riescono né a unirsi né a rappresentarsi la ragione universale delle diverse e contrastanti lotte particolari che sono costretti a condurre per cui tra l’altro “si guardano in cagnesco” ; i lavoratori non riescono ad elaborare la propria concezione del mondo e continuano a subire quella della borghesia; le forze soggettive in preda alla deviazione economicista perdono tempo e fatica.

Cosa induce gli economicisti a sostenere un programma che contrasta con la pratica dei lavoratori e quindi ostacola le lotte di difesa, non unisce né mobilita i lavoratori, mentre rende vano il loro lavoro? Che cosa impedisce agli economicisti di appoggiare il lavoratore occupato nella sua lotta a difesa del suo salario e della stabilità del suo posto di lavoro, il disoccupato nella sua lotta per avere un posto di lavoro e unire entrambi nella lotta per il comunismo? Crediamo che vari fattori concorrano a questo risultato, combinandosi in proporzioni diverse nei singoli individui e gruppi.

- L’autorità che la coscienza anticomunista della borghesia (“il comunismo è impossibile”, “il comunismo è una cosa astratta”, ecc.) ha nella loro coscienza e nella loro immaginazione: essi non imparano dalla classe operaia e dalle masse popolari, ma dalla borghesia, non raccolgono le idee e i sentimenti (confusi quanto si voglia) delle masse, ma “bevono” le idee di moda proclamate dai professori borghesi.

- I vantaggi che la buona società borghese, la borghesia di sinistra in particolare, accorda agli economicisti, la buona accoglienza che essa fa agli economicisti: le loro “analisi” sono accolte nelle riviste “serie”, essi sono invitati ai dibattiti degli “esperti” borghesi.

- I pregiudizi della cultura dominante, l’inesperienza, l’ingenuità, l’inerzia per cui si segue la cultura corrente e la tendenza prevalente senza chiedersi il perché delle cose, ecc.

- L’ostinazione a rifiutare l’evidenza che il lavoratore occupato e il disoccupato trovano la loro unità non nella particolare forma da dare al loro rapporto di lavoro col capitalista (che è diversa stante la loro diversa situazione), ma nella lotta per una società in cui vige il dovere di lavorare (“chi non lavora, non mangia”) e quindi anche il diritto al lavoro per ogni individuo valido (cioè il socialismo): questa si è un interesse comune.

 - L’avversione e Il fastidio per il comunismo, la paura di porsi e porre quest’obiettivo.

D’altra parte gli economicisti atteggiandosi a estremisti nascondono in realtà la contraddizione principale. Di fronte alla borghesia imperialista che dice: “L’attuale situazione è incompatibile con riequilibrio finanziario”, essi si schierano contro il “rigore” ma non afferrano e tantomeno valorizzano l’importantissima verità che la borghesia imperialista, a sua insaputa e a suo modo, ha detto; eludono il nocciolo reale: che la salvaguardia dell’equilibrio finanziario è incompatibile con la sopravvivenza degli uomini, con una vita decente degli uomini, ecc. e che quindi bisogna eliminare il sistema finanziario. Gli economicisti “se ne fregano del sistema finanziario”. Ma è possibile fregarsene del sistema finanziario? Assolutamente no, se non lo si elimina! Gli economicisti fanno come uno che in mezzo a una sparatoria grida che lui se ne frega dei colpi. Nella moderna società capitalista il sistema finanziario è la sovrastruttura necessaria dell’apparato produttivo e di tutta l’attività di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza. Quindi o togliamo ai capitalisti l’apparato produttivo, impostiamo l’attività economica su basi diverse dalle attuali (quindi instauriamo il potere della classe operaia e avviamo la trasformazione socialista della società) e allora cancelliamo anche la sua attuale sovrastruttura capitalista (il sistema finanziario)(16) o subiamo gli effetti delle leggi del sistema finanziario, anche se l’estremista economicista proclama che lui “se ne frega del sistema finanziario”. I lavoratori sono persone serie e sanno, se non altro istintivamente, che il sistema finanziario (come lo Stato borghese, come la borghesia in generale) o lo eliminano o lo subiscono: “fregarsene” è impossibile, è una vuota sbruffonata. Essi sanno benissimo, se non altro istintivamente, che non ci si sfugge. Sanno che lo sconvolgimento del sistema finanziario non produce una situazione di vuoto in cui si instaura il socialismo (come un vestito ne sostituisce un altro in un cassetto dell’armadio), ma produce l’acuirsi dei contrasti tra classi e gruppi, rivoluzione o guerra e quindi è solo un passaggio verso il quale ci conduce lo stesso movimento della società capitalista.

La lotta proclamata dall’economicista contro il “rigore” dell’aguzzino (alla Dini o alla Spaventa, alla Mastella o alla Giugni, alla Berlusconi o alla Ciampi, alla Fini o alla Occhetto) senza lotta per eliminare il potere dell’aguzzino e instaurare il potere della classe operaia e il socialismo, la lotta a difesa della “finanza allegra” alla Cirino Pomicino non hanno mobilitato né mobiliteranno mai stabilmente la massa dei lavoratori. Come ogni buffonata, può al massimo incantare stabilmente alcuni sprovveduti o muovere le masse per un momento, ma non mobiliterà mai stabilmente e costruttivamente la massa dei lavoratori. Può servire come motivo demagogico al Berlusconi di turno per fare la campagna elettorale, ma non potrà mai funzionare come linea di mobilitazione, di unificazione, di direzione, di lotta e di vittoria per la massa dei lavoratori. In assenza di un’efficace lotta per il socialismo, prima o poi, in un modo o nell’altro qualche gruppo imperialista riuscirà a imporre la legge del capitale. Lottare contro l’economicismo è un aspetto essenziale della lotta per il comunismo.

 

16. L’abolizione del sistema finanziario è ovviamente possibile. Basta che la classe che dirige sia in grado di far funzionare l’apparato produttivo e di far svolgere l’attività economica senza la mediazione del sistema finanziario. Gli uomini non hanno bisogno di monete, di banconote o di titoli di credito; hanno bisogno di bistecche, automobili, strade, case, cure sanitarie, ecc. Quindi basta che la classe dirigente disponga dei mezzi di persuasione e di coercizione, sia autorevole presso le masse popolari, goda della loro fiducia e abbia i mezzi coercitivi necessari per imporre le sue decisioni alle classi e agli individui ostili, in modo che milioni di persone svolgano nel miglior modo possibile il lavoro di produzione e distribuzione dei prodotti, ripartendoli secondo criteri accettati e oggettivamente adatti alla situazione. Quindi, ancora una volta, occorre l’instaurazione del potere della classe operaia e l’avviamento della trasformazione socialista della società.

Abolizione del sistema finanziario, abolizione dei debiti, ecc. se sono parole d’ordine lanciate e agitate al modo degli economicisti, cioè disgiunte dal potere della classe operaia e dal socialismo, diventano parole d’ordine né unificanti né mobilitanti e che fecondano il terreno per la mobilitazione reazionaria delle masse. Anzitutto ogni persona seria (e i lavoratori sono per forza di cose persone serie quando si parla di soldi) sa che nella situazione attuale senza soldi non si va da nessuna parte, che nella situazione attuale se le banconote perdono valore tutta l’attività economica ne è sconvolta. Inoltre oggi nel nostro paese milioni di famiglie di lavoratori, appartenenti alle masse popolari, possiedono qualche risparmio in denaro o in titoli o una casa che sanno di poter vendere in caso di bisogno, ecc. Se non si ha, anche in questo campo, una linea di classe, se, magari in nome della Eguaglianza o della Giustizia, si mettono  sullo stesso piano e si trattano come eguali persone che non sono eguali, Agnelli e l’operaio, il capitalista e il ricco titolari di profitti, di interessi o di rendite e il lavoratore che vive del suo lavoro anche se ha qualche risparmio, anche se ha prestato dei soldi al suo vicino, anche se ha una casa, il ricco che circonda la sua villa di parco, di muri, di cani da guardia, di sistemi d’allarme e di guardiani e il lavoratore che “pretende” di poter dormire la notte o di poter uscire di casa senza doversi guardare le spalle o di mandare il figlio a scuola senza dover stare in pensiero, si feconda il terreno per la mobilitazione reazionaria delle masse. Questo proprio perché è ovviamente vero che il lavoratore che ha qualche risparmio è in mille modi invischiato nel sistema del capitale finanziario e legato all’equilibrio del sistema finanziario, cosi come è vero che il lavoratore proprietario di una casa o di un terreno è in mille modi invischiato nel mercato immobiliare, cosi come è vero che il lavoratore che “pretende” sicurezza è in mille modi portato a combinarsi praticamente e mentalmente con la polizia. Tutto ciò richiede che il potere della classe operaia abbia verso il capitale finanziario (e verso il capitale industriale e commerciale) di Agnelli una linea (espropriazione) diversa da quella adottata nei confronti del risparmio, dei crediti e di ogni altra proprietà delle masse popolari e che il tutto sia inquadrato in una prospettiva e in uno sforzo serio di costruzione di una società socialista.