Amministrazione pubblica delle forze produttive della società

Rapporti Sociali n. 16 (inverno 1994-1995) - (versione Open Office / (versione Word)

La borghesia imperialista nasconde accuratamente i grandi risultati e il grande patrimonio di esperienze accumulato nei primi tentativi di compiere la transizione dal capitalismo al comunismo. Ben a ragione. Che dire invece di quella corte di lamentosi denunciatori della “cancellazione della memoria storica” che non prendono nessuna iniziativa per alimentare quella memoria storica in sé e negli altri? Che dire di quei sedicenti “sinistri” che non osano neanche più parlare di socialismo e di comunismo?

La borghesia imperialista usa su grande scala il collasso economico e politico sopravvenuto nei paesi socialisti dopo quasi 40 anni di logoramento e corruzione delle istituzioni socialiste portati avanti dai revisionisti moderni; lo usa come arsenale cui attingere argomenti ed esempi per “dimostrare” che il comunismo e impossibile, e contrario alla “natura umana” e al “naturale egoismo”, al “naturale individualismo” dell’uomo.

Il successo dei revisionisti negli anni ’50, dopo che l’URSS aveva resistito a due invasioni (1918-1921 e 1941-1945), ai “cordoni sanitari”, ai blocchi economici e al sabotaggio, ha confermato e illustrato le difficoltà che gli uomini devono risolvere nella trasformazione dei rapporti di produzione. È un’immensa “scuola” in parte già valorizzata dai comunisti con la Rivoluzione culturale proletaria in Cina (1966-1976). La borghesia imperialista e i suoi servi (furbi o sciocchi) lo presentano invece come dimostrazione dell’impossibilità della trasformazione socialista: con la stessa “scientificità” staremmo ancora oggi a dimostrare che il passaggio dalla schiavitù o dalla servitù della gleba al lavoro salariato è impossibile, come ad es. ancora nel secolo scorso negli USA i fautori della schiavitù sostenevano con ampie argomentazioni e dovizia di dati sperimentali.

Il luogo comune ampiamente diffuso dalla borghesia imperialista che i beni pubblici sono peggio amministrati dei beni privati, che l’uomo non lavora se non ha il suo tornaconto individuale, ecc. non fa che elevare a valori eterni e universali i contenuti della mentalità corrente del borghese e i suoi pregiudizi. Ovviamente essi sono ampiamente smentiti persino da pratiche correnti nella stessa società borghese, che sono in contraddizione con la predominante pratica borghese: il lavoro volontario (solo in Italia dai 5 ai 6 milioni di persone svolgono qualche lavoro volontario, cioè non motivato da una remunerazione), la dedizione appassionata di tanti individui al loro lavoro indipendentemente dal guadagno che personalmente ne ricavano, la solidarietà in seno alla famiglia e anche in seno a comunità più ampie, i rapporti non mercantili tra reparti e tra singoli lavoratori al interno delle aziende sulla base della divisione tecnica del lavoro e tra aziende dello stesso gruppo, la cooperazione, le mille forme di coesione che per necessità si realizzano nella società borghese, l’attività politica e sindacale volontaria di tanti lavoratori, ecc. Per non parlare delle mille e crescenti difficoltà in cui urta la gestione dell’attività economica dell’attuale società con rapporti di produzione capitalisti, non ultima per importanza la crisi generale che stiamo vivendo.

Un tempo ogni uomo si faceva giustizia da se. Nell’epoca del trapasso all’instaurazione di un’amministrazione pubblica della giustizia, molte voci si levarono contro il trapasso in corso e molte resistenze vennero opposte, facendo leva sugli inconvenienti a cui il cambiamento dava luogo e sulle difficoltà dell’instaurazione del nuovo sistema, difficoltà aggravate dal fatto che esso si combinava con l’oppressione di classe e ne diventava uno strumento (l’amministrazione pubblica della giustizia in realtà era l’amministrazione della giustizia da parte della classe dominante, significava il monopolio della violenza nelle mani della classe dominante, riservava ad essa l’uso legale della coercizione). Tuttavia oggi difficilmente qualcuno sosterrebbe ancora il ritorno a una situazione in cui ognuno si fa giustizia da se, nonostante gli ovvi limiti che ancora oggi presenta l’amministrazione pubblica della giustizia nelle mani della borghesia imperialista.

Il borghese di oggi, per pregiudizio radicato dalla sua pratica e per interesse, dichiara che e impossibile un’amministrazione pubblica della vita economica, facendo leva

 - sul fatto che ovviamente l’amministrazione pubblica di interessi economici nell’ambito dei rapporti borghesi, quindi nell’attuale società, porta ordinariamente alla dilapidazione più o meno vasta dei beni pubblici a favore della proprietà privata (ma ciò avviene correntemente anche nelle aziende private: amministratori di società per azioni che fanno gli affari loro a danno dell’azienda, lavoratori che “arrotondano” il salario, gli sprechi delle società capitaliste: fabbriche abbandonate, uomini dismessi ed emarginati, abitazioni vuote, dilapidazione delle risorse ambientali, ecc.);

- sul fatto che l’instaurazione di una gestione pubblica della vita economica comporta - come la storia della costruzione del socialismo ha mostrato anche empiricamente (e i teorici del socialismo avevano già indicato - vedasi ad es. K. Marx, Critica al Programma di Gotha) - un periodo di adattamento e di transizione.

Nella società moderna la vita materiale della popolazione si basa sull’ordinato e coordinato funzionamento di molte unità produttive (fabbriche, uffici, fattorie, aziende di trasporto, ospedali, scuole, ecc.) che producono beni e servizi, scambiano, distribuiscono e a ognuna delle quali milioni di lavoratori conferiscono ognuno il suo lavoro definito per qualità e quantità, svolgendolo secondo procedure definite e nell’ambito di un ordinamento dato. Questa macchina collettiva (ogni sua unità componente lavora principalmente per le altre e ognuna di esse può lavorare solo se ha l’apporto delle altre, ogni unità è un collettivo organizzato di lavoratori) deve funzionare, altrimenti la popolazione non può vivere. Per comprendere a fondo la “novità” storica di una società del genere, basta pensare a come vivevano gli uomini anche solo alcuni secoli fa: tolta una minoranza di popolazione urbana, grosso era costituito da individui e famiglie ognuno dei quali, sostanzialmente autosufficiente, produceva quanto consumava, attingendone i mezzi direttamente dalla natura circostante. Questa macchina collettiva si è formata nel corso dei secoli nell’ambito di rapporti di produzione mercantili e capitalisti. Attualmente tra le componenti di questa macchina collettiva vigono rapporti di produzione capitalisti: proprietà privata (individuale o di gruppo) dei capitalisti, rapporto di lavoro salariato, scambio commerciale, produzione per il profitto, rapporti tra gli uomini nel lavoro e distribuzione secondo la proprietà, la gerarchia, la qualità e quantità del lavoro, ecc. Essa e diretta dalla borghesia imperialista e dal suo sistema finanziario. Questo modo di funzionare porta inevitabilmente la società a crisi generali : economiche, politiche culturali, come la prima svoltasi nel periodo 1910-1945 e la seconda iniziata nel 1975 e tuttora in corso.

L’unica alternativa alla borghesia imperialista è la classe operaia. Essa può prendere in mano l’attuale società con le sue forze produttive e far funzionare questa macchina collettiva sulla base della propria organizzazione collettiva e della sua direzione sul resto delle masse popolari, usando il sistema commerciale nella misura residua necessaria (dove e finché esso non può essere sostituito dal lavoro volontario e dall’assegnazione di beni e servizi). La direzione della classe operaia è legata alla trasformazione socialista della società attuale, cioè

1. all’instaurazione di nuovi rapporti di produzione caratterizzati dal superamento della divisione della popolazione in classi. Non è possibile immaginare oggi, senza cadere nel settarismo e nell’utopia, il punto d’arrivo di questo superamento, le forme che avrà la società quando esso sarà completamente realizzato. Ma è possibile perseguirlo attraverso l’abolizione della proprietà privata capitalista dei mezzi di produzione, la trasformazione del sistema di proprietà di tutte le forze produttive, la gestione unitaria e pianificata dell’attività economica con l’obiettivo di soddisfare i bisogni materiali e spirituali, individuali e collettivi della popolazione, la trasformazione dei rapporti tra gli uomini nel lavoro, il superamento della divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra lavoro esecutivo e lavoro di organizzazione e di direzione, il superamento del diritto borghese nel sistema di distribuzione;

2. all’instaurazione nella società di una nuova sovrastruttura politica e culturale coerente con i nuovi rapporti di produzione.