Il bilancio dei 150 anni del movimento comunista
Convegno di Firenze - 14 marzo 1998

Rapporti Sociali n. 19 - agosto 1998 (versione Open Office / versione MSWord )

 

In occasione della ricorrenza del 150° anniversario della pubblicazione del Manifesto del partito comunista, che indichiamo come punto di partenza più rappresentativo del movimento comunista, il 14 marzo 1998 si è tenuto a Firenze un convegno promosso dai Comitati di Appoggio alla Resistenza - per il Comunismo (CARC) e dal Movimento Proletario Anticapitalista (MPA) dal tema “Il bilancio dei 150 anni del movimento comunista”.

Le due organizzazioni promotrici hanno elaborato e diffuso una Piattaforma (che pubblichiamo qui accanto) che esprime la posizione di classe da cui esse partono per compiere il bilancio dei 150 anni del movimento comunista. Con la Piattaforma hanno lanciato un appello alle altre Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista perché portassero il loro contributo al bilancio del movimento comunista. Il bilancio del movimento comunista è infatti una parte essenziale della concezione su cui si baserà il nuovo partito comunista che costruiremo in Italia.

Al Convegno il MPA e i CARC hanno presentato delle relazioni (di seguito riportiamo estratti delle due relazioni). Alle relazioni sono seguiti interventi delle altre organizzazioni aderenti e di singoli compagni.

Consideriamo la promozione dell’iniziativa e i risultati da essa conseguiti un importante passo avanti nel lavoro di ricostruzione del partito comunista nel nostro paese.

Quali sono i risultati più importanti?

1. Diverse organizzazioni hanno avuto la possibilità concreta di esporre sinteticamente le loro analisi e posizioni rispetto al bilancio del movimento comunista e rispetto all’importanza della ricostruzione del partito comunista (un invito a dichiararsi apertamente).

2. I partecipanti hanno potuto conoscere meglio il panorama delle FSRS oggi in campo e comprendere meglio la situazione attuale del lavoro verso la ricostruzione del partito comunista (schieramenti pro o contro e metodi di lavoro).

3. Si è rafforzato il rapporto di unità e di lotta tra le due organizzazioni promotrici.

 

***

Piattaforma del Convegno

Firenze, 14 marzo 1998

 

Il 1998 è il 150° anniversario della pubblicazione del Manifesto del partito comunista. Scritto da Marx ed Engels su incarico della Lega dei Comunisti, il Manifesto segnò il passaggio dal movimento proletario al movimento comunista.

Per circa 100 anni il movimento proletario era stato un movimento pratico che si sviluppava dalle contraddizioni della società capitalista, tendeva alla sua abolizione e attraverso la pratica cercava anche la coscienza di se stesso. Il Manifesto espresse questa coscienza ormai raggiunta, indicando la natura, le forze motrici e compiti del movimento comunista. Da allora questo è stato anche un movimento cosciente, dotato di una sua concezione del mondo, di un suo metodo di pensiero e di azione, sue analisi, sue linee e sue istituzioni: i partiti comunisti e le organizzazioni di massa. Da allora, nell’ambito del movimento comunista, gli operai, i proletari, le masse popolari, le donne, bambini, i popoli, le nazioni e le razze oppresse hanno strappato alla borghesia grandi conquiste di civiltà e di benessere anche se non sono ancora riusciti ad abolire il suo predominio. Durante la prima crisi generale del capitalismo e la conseguente prima ondata delle rivoluzioni proletarie, hanno costituito i primi paesi socialisti e distrutto il sistema coloniale.

 La Comune di Parigi (1871) era durata solo tre mesi, i paesi socialisti hanno avuto una vita più lunga: circa 40 anni in Unione Sovietica e circa 30 anni in Cina.

Nella loro pur breve esistenza hanno dimostrato di quanta energia e creatività siano dotate le masse popolari sotto la direzione della classe operaia, hanno accumulato un patrimonio di esperienza enorme per gli operai e tutte le classi e popoli oppressi di tutto il mondo.

Col movimento comunista, l’umanità ha compiuto passi in avanti che la reazione borghese, prevalsa negli ultimi decenni, non è riuscita e non riuscirà a cancellare che in piccola misura e suscitando una ripresa della rivoluzione proletaria. La seconda crisi generale del capitalismo si sviluppa ormai da vent’anni in tutto i mondo. Sotto l’incalzare della sua crisi economica, politica e culturale, la borghesia imperialista ha dovuto sconvolgere l’ordine mondiale costituito a conclusione della prima crisi: gruppi e Stati imperialisti stanno nuovamente lottando l’un contro l’altro, i capitalisti percorrono ogni angolo del mondo come lupi famelici alla ricerca di lavoratori da sfruttare e di risorse naturali da distruggere, interi continenti vengono ricolonizzati, gli Stati che cercano di conservare la loro indipendenza vengono bersagliati con aggressioni, blocchi economici, sabotaggi e manovre di destabilizzazione; molte delle conquiste di civiltà e di benessere strappate dalle masse popolari sono abolite.

Il pensiero unico della globalizzazione, della mondializzazione e del neoliberismo sono la veste ideologica della seconda crisi generale del capitalismo.

Le atroci sofferenze che il capitalismo, col procedere della sua seconda crisi generale sta infliggendo alle masse popolari di ogni angolo del globo e la devastazione fisica, morale, intellettuale e ambientale che esso sta portando ovunque, il solco sempre più profondo che sta scavando in ogni angolo del mondo tra una minoranza di ricchi, di parassiti e di loro agenti da una parte e l’immensa maggioranza degli uomini e delle donne dall’altra, sono la premessa della seconda ondata delle rivoluzioni proletarie.

Il malessere, la preoccupazione, la sfiducia e il distacco dal sistema vigente sono generali, la ribellione incomincia a svilupparsi. Contro l’insofferenza e la ribellione che montano, la borghesia imperialista fomenta in ogni modo ogni possibile contrapposizione tra le masse, sfruttando tutte le differenze (di razza, di nazionalità, di cultura, di religione, di lingua, nelle conquiste strappate, nei contratti di lavoro) ereditate dal passato per promuovere la mobilitazione reazionaria delle masse. Contemporaneamente alimenta e favorisce nelle fila della ribellione tutte le vecchie concezioni e i vecchi metodi che hanno già dimostrato il loro carattere illusorio e nocivo nel corso della prima ondata delle rivoluzioni proletarie e dei 150 anni di storia del movimento comunista in generale.

Assimilare l’esperienza dei 150 anni di storia del movimento comunista, comprendere a fondo i motivi e i metodi delle sue conquiste e i motivi delle sue sconfitte sono compiti indispensabili per tutti quelli che vogliono svolgere un ruolo d’avanguardia nella mobilitazione rivoluzionaria delle masse, per tutti quelli che vogliono lavorare quindi alla ricostruzione del partito comunista che l’esperienza ha dimostrato essere un fattore determinante nel progresso del movimento comunista.

 

**** Nota redazionale

Per ragioni di spazio diamo solo alcuni estratti, a nostro parere i più significativi, delle due relazioni presentate al Convegno a Firenze. I lettori possono avere i testi completi rivolgendosi alla redazione di Rapporti Sociali, via Bruschetti 11, 20125 Milano, tel/fax 026701806 o a MPA c/o CIP, via delle Ciliege 12, 00172 Roma, tel. 062312458 (ndr: EDIZIONI RAPPORTI SOCIALI - Via Tanaro, 7 – 20128 Milano – Tel. 02.26.30.64.54 - 3478561486 - e-mail: edizionirapportisociali@gmail.com – sito: www.carc.it).

****

 

Il bilancio storico: partito, rivoluzione, dittatura del proletariato nei primi 150 anni del movimento comunista

Estratti della relazione del MPA al Convegno-dibattito di Firenze, 14 marzo 1998

 

[...] Per questa relazione abbiamo orientato il nostro bilancio attraverso la bussola formata da due coordinate fondamentali, che il Manifesto del partito comunista stabiliva: la costituzione del proletariato in partito, la conquista del potere politico e l’instaurazione della dittatura proletaria.

Vedremo come, in tutta la storia del movimento comunista, tutto ciò abbia sempre dovuto lottare contro le correnti esterne come interne alle sue fila, che invece negavano e negano questi principi lavorando per la conciliazione tra le classi e per il mantenimento dello status quo. Cominciamo ovviamente dall’atto di nascita del partito “storico” del comunismo, segnato proprio dalla pubblicazione del Manifesto del partito comunista.

[...] Marx ed Engels furono i primi a dare una spiegazione scientifica della formula secondo la quale “la storia di ogni società finora esistita è storia di lotte di classi”. Essi denunciarono la conclusione della missione storica della borghesia nell’abbattimento del feudalesimo, la formazione del proletariato come prodotto autentico della grande industria e la sua essenza “veramente rivoluzionaria”.

Conseguentemente auspicarono che “al posto della vecchia società borghese, con le sue classi e coi suoi antagonismi di classe, subentri un’associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti”. Per raggiungere questo obiettivo, e questo è il compito storico dei comunisti in questa epoca secondo Marx, il proletariato deve costituirsi in “classe dominante” ossia assumere il potere politico nella forma dello Stato socialista, previo l’abbattimento del dominio borghese. [...]

[...] A partire dal 1870, il potente sviluppo dell’economia capitalistica mondiale portò alla gara per i mercati e alla lotta per la divisione del mondo in sfere di influenza. Già nell’ambito dei singoli Stati la libera concorrenza, che pure era considerata dagli economisti della scuola liberale classica come il toccasana di tutti i mali, venne trasformandosi.

Quella borghesia che durante la prima ondata della “rivoluzione industriale” aveva avuto un ruolo predominante, cioè l’imprenditore indipendente e fortemente individualista, fu pian piano soppiantata dai grandi enti anonimi, che, sotto la moderna forma della società per azioni, ebbero uno sviluppo fulmineo nell’industria, nel commercio e nell’organizzazione bancaria.

La sempre più accentuata tendenza alla concentrazione delle attività produttive portò alla coalizione o alla fusione tra più società a mezzo di “patti fiduciari” (trust) o di accordi tra imprese affini (cartelli). La libera concorrenza venne trasformandosi in monopolio di mercato. [...] Questo nuovo sistema di capitalismo monopolistico sorto dopo il 1870 e la sua crisi di sovrapproduzione assoluta furono la matrice delle guerre imperialistiche che caratterizzarono i primi decenni del novecento.

Non solo: la necessità di procurarsi sempre nuovi e più vasti mercati per i propri prodotti e assicurarsi le materie prime necessarie alla produzione condusse all’espansionismo coloniale, con una corsa sfrenata all’accaparramento di nuove terre.

La prima profonda analisi della fase imperialistica del capitalismo fu fatta da Lenin nell’opera L’imperialismo fase suprema del capitalismo. [...]

Ma l’espansione del capitalismo e l’ingigantirsi della produzione determinarono anche la crescita impetuosa del proletariato. E, sulla base dell’esperienza comunarda, i vari partiti socialisti ed operai presero a definirsi e a sviluppare in modo autonomo la loro attività. Ciò rese possibile nel 1889, su impulso di Engels, la nascita della Seconda Internazionale, che  esercitò un effettivo ruolo di coordinamento e di direzione tra i vari movimenti operai nazionali fino allo scoppio della grande guerra. [...]

[...] La prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale e la conseguente crisi dei regimi politici dei paesi imperialisti moderni e dell’assetto politico mondiale fece sì che l’azione dei socialisti contro la guerra riprendesse in molti casi in opposizione alle direzioni revisioniste degli stessi partiti, soprattutto là dove queste si erano apertamente schierate in favore della guerra. [...]

Il bolscevismo, Lenin in testa, fu il principale protagonista dell’opera di smascheramento implacabile nei confronti delle concezioni revisioniste di Kautsky e degli altri opportunisti che negavano la necessità della rivoluzione socialista e della dittatura della classe operaia (Lenin, L’estremismo, malattia infantile del comunismo, 1920; La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky, 1918).

Coll’abbattersi sui lavoratori europei degli effetti nefasti della guerra, le tesi leniniste sulla trasformazione della guerra imperialista in rivoluzione proletaria ebbero sempre maggior seguito (Conferenza di Kienthal, 1916).

Questa nuova maggioranza chiuse definitivamente il capitolo con la Seconda Internazionale per aprirne uno nuovo che aveva come cassa di risonanza la rivoluzione proletaria in Russia. Una rivoluzione resa possibile proprio grazie alla guerra imperialista, che accelerò e approfondì le contraddizioni proprie dell’epoca e la radicalizzazione della lotta di classe, dovuta alla situazione di profonda crisi, economica e politica, internazionale e nazionale.

 

Una situazione di tale sconvolgimento che fece dire a Lenin che “la liquidazione del capitalismo e delle sue vestigia, l’introduzione delle basi del regime comunista sono il contenuto della nuova epoca della storia mondiale che ora comincia”.

[...] Potendo contare solo su esperienze limitate di lotta rivoluzionaria del proletariato (la Comune di Parigi e la rivoluzione russa del 1905) e prendendo insegnamento dalle rivoluzioni borghesi del secolo precedente, la rivoluzione proletaria in Russia, la prima vittoriosa, la prima che iniziò il processo di abolizione dello sfruttamento e della divisione in classi, si basò su due elementi fondamentali:

1. La partecipazione diretta delle grandi masse all’insurrezione, organizzata nei Soviet operai (e poi contadini e dei soldati), vera e propria forza motrice della rivoluzione;

2. La direzione politica della rivoluzione espletata da un partito d’avanguardia, centralizzato e rigorosamente disciplinato, che, come compito principale, ebbe quello di preparare politicamente e ideologicamente le masse per la conquista del potere, ma che inoltre fu capace di sfruttare tatticamente tutte le forme e i metodi di lotta, da quelli legali e parlamentari alle azioni di guerriglia, tutte considerate valide nella misura in cui favorissero la preparazione dell’insurrezione (indebolendo e disorganizzando il nemico, preparando e organizzando le forze rivoluzionarie). I bolscevichi furono in grado anche di determinare il momento preciso in cui sferrare l’assalto decisivo, partendo dall’esatta comprensione della presenza delle condizioni favorevoli all’insurrezione. [...]

[...] La vittoria bolscevica permise per la prima volta la realizzazione della democrazia sociale (diritto al lavoro, all’assistenza sociale, all’istruzione, etc.), l’essenza di ogni programma socialistico.

E la grande duttilità tattica, che però era collegata ad un’estrema coerenza strategica, di Lenin e del gruppo dirigente bolscevico permise al giovane Stato rivoluzionario di resistere alla guerra civile scatenata dai controrivoluzionari e al blocco economico instaurato dalle potenze imperialistiche (attraverso le misure economiche e politiche del periodo del cosiddetto “comunismo di guerra”, 1918-1921); e, conseguentemente, di gettare le basi della futura industrializzazione del Paese su larga scala attraverso la Nuova Politica Economica (NEP). Prese così forma definitiva nel 1922 l’Unione  delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). [...]

Nella sua pur breve esistenza l’Unione Sovietica fu un esempio e un’esperienza eccezionale ed è tuttora carica di insegnamenti fecondi anche per la futura costruzione del socialismo sul pianeta. [...]

[...] Il 2 marzo 1919 nasceva a Mosca la Terza Internazionale prendendo le proprie premesse dalla critica della II, dalla denuncia dei suoi capi, dal fallimento dimostrato in occasione e durante la guerra. [...]

Se la I aveva gettato le fondamenta della lotta internazionale per il socialismo e la II aveva preparato le basi per una sua diffusione più ampia ed era poi naufragata nell’opportunismo con la guerra del 1914-1918, la III Internazionale avrebbe cominciato ad attuare la dittatura del proletariato, “subordinando - come specificava l’invito a 39 partiti o minoranze di essi - gli interessi del movimento di ciascun particolare paese agli interessi della rivoluzione su scala internazionale”. [...]

[...] L’istituzione del Cominform, l’ufficio d’informazione che sarebbe servito ai partiti aderenti per scambiare le singole esperienze e per programmare azioni comuni, fece da contraltare allo scioglimento dell’Internazionale (maggio del 1943). La motivazione ufficiale fu il presunto esaurimento dei compiti della III Internazionale consistente nel preservare gli insegnamenti del marxismo, il tutto per accordarsi con quelli che furono definiti “gli stati imperialisti non aggressivi”.

In realtà, secondo noi, lo scioglimento del Komintern fu la trasposizione internazionale di alcune valutazioni relative alla costruzione del socialismo, in particolare in seno al PCUS. Esso accumulò un grande patrimonio di esperienze che costituisce ancora oggi un tesoro per ogni partito comunista che affronta questi problemi.

Esso raggiunse tuttavia una comprensione ancora solo parziale dei problemi della lotta di classe nella società socialista, sostenendo che nell’Unione Sovietica non vi erano più classi antagoniste, che la società sovietica era arrivata a liberarsi dei conflitti di classe. In realtà la società socialista si è dimostrata ben lontano dall’essere priva di contraddizioni, al contrario è una società lacerata da grandi lotte e da grandi contrasti, ereditati dal sistema capitalista. [...]

[...] E fu grazie a questo processo messo in atto che, alla fine della seconda guerra mondiale, entrarono in azione grandi masse orientali, con la strategia rivoluzionaria della “guerra di guerriglia”, della “guerra popolare prolungata” elaborata da Mao Tse-tung alla direzione della rivoluzione popolare cinese e con Ho Chi Min alla testa della rivoluzione vietnamita. Esperienze che arricchirono il percorso rivoluzionario del movimento comunista di un altro importantissimo contributo.

Una strategia rivoluzionaria per la conquista del potere che teneva conto delle condizioni storiche della Cina e del Vietnam e che rifletteva le caratteristiche generali dell’epoca imperialista e delle condizioni da essa create nei paesi della “periferia” del sistema, applicabile – e applicata - in molte altre situazioni.[...]

La comprensione, in particolare a opera di Mao, della lotta per la liberazione del proletariato come un processo a tappe e di lunga durata (difensiva strategica-creazione delle zone liberate-equilibrio strategico-offensiva strategica) condizionò e caratterizzò la prassi rivoluzionaria in generale.

Il riferimento continuo ai tempi lunghi sta a dimostrare soprattutto la consapevolezza degli immani compiti che deve assumere il proletariato, l’entità delle trasformazioni relative alla fase di transizione socialista. Da qui il riconoscimento che nella società socialista non scompaiono le contraddizioni (e la lotta) di classe, ma anche quelle tra la base economica e la sovrastruttura ed ancora, nella struttura economica, fra le forze produttive (che non sono più di proprietà privata) e i rapporti di produzione (che non per questo diventano automaticamente di collaborazione e mutuo aiuto).

A differenza dei dirigenti del PCUS e del Cominform, Mao analizzò a fondo le contraddizioni insite nel socialismo, instaurando il processo dialettico di autocritica che attraverso negazioni successive poteva superarle. In questo modo il  movimento comunista internazionale si riavvicinò alla comprensione rivoluzionaria della natura e dei compiti della fase socialista, valutando più correttamente i pericoli e gli snaturamenti che il revisionismo comportava. […]

 

Conclusioni

[...] Ricostruire il partito comunista è quindi il compito principale delle forze rivoluzionarie in questa fase in Italia. Il bilancio in questo senso può servirci a comprendere gli errori e i limiti dei comunisti che in questi ultimi decenni hanno permesso lo sviluppo del revisionismo moderno. Alto stesso tempo possiamo comprendere le ragioni materiali del loro temporaneo successo tra le fila del proletariato. [...]

Nella lotta sociale e politica di questi decenni si è formata una massa di esperienze, alcune positive, altre negative. Valorizzare le esperienze positive e individuare e criticare dialetticamente quelle negative è una parte fondamentale del lavoro che le componenti politiche d’avanguardia del proletariato devono praticare in questo lavoro di ricostruzione del partito comunista. [...]

Non è il marxismo ad essere morto, sono i “marxisti” che, non sviluppando la propria concezione in dialettica con la realtà, sono entrati in crisi. I borghesi parlano di “crisi del marxismo”; Fini da Verona vorrebbe sancire la “morte del comunismo”, mentre, proprio a causa della moderna crisi di sovrapproduzione assoluta, i regimi politici dei più grandi paesi capitalisti e in generale il quadro politico internazionale si trovano in uno stato di profonda crisi.

L’aumento dello sfruttamento e la cancellazione progressiva delle conquiste ottenute in anni di lotte dai lavoratori dei paesi industrializzati, le difficoltà estreme in cui versano le popolazioni dei Paesi ex socialisti, il neocolonialismo che si sta affermando in quelli del Sud del mondo e la tendenza alla generalizzazione della guerra fra potenze imperialiste (è il caso delle contraddizioni apertesi sulla questione dell’attacco all’Iraq), sono tutti fenomeni che non fanno altro che provocare la ripresa della mobilitazione proletaria col fine di trovare una via d’uscita alla crisi che non sia quella imposta dall’imperialismo.

Per questo oggi riteniamo che la questione della ricostruzione del partito comunista sia all’ordine del giorno: sia non solo necessaria, ma anche possibile e giunta a maturazione.

Movimento Proletario Anticapitalista (MPA)

 

***

Il bilancio del movimento comunista. Le condizioni pratiche in cui si sviluppa attualmente il movimento comunista e la ricostruzione del partito comunista

Estratti della relazione dei CARC al Convegno-dibattito di Firenze, 14 marzo 1998

 

Il bilancio del movimento comunista è largamente positivo

Nei 150 anni trascorsi da allora, questo movimento ha compiuto una grande avanzata. Confrontiamo la situazione attuale della classe operaia e della borghesia imperialista e le loro rispettive relazioni con le altre classi e la situazione di 150 anni fa. Vediamo chiaramente che la borghesia ha subìto un declino. Essa per sopravvivere si è ridotta sul piano politico all’uso generalizzato dell’inganno, della violenza e del terrorismo di massa; sul piano economico a dover eliminare per centinaia di milioni di persone le conquiste di civiltà e di benessere che avevano strappato, a ridurle al rango di esuberi e di emarginati, a eliminare le condizioni sociali e ambientali della vita; sul piano culturale a riesumare tutte le anticaglie del razzismo e del misticismo residuate dal passato, esasperandole con la potenza delle attuali forze produttive.

Di converso vediamo i grandi passi avanti compiuti dalla classe operaia, nella capacità di organizzarsi e di organizzare e dirigere, nell’influenza sociale, nella preparazione culturale, nelle condizioni economiche. Passi avanti che hanno rag giunto il punto più alto nella creazione dei primi paesi socialisti. I passi indietro che abbiamo dovuto fare negli ultimi decenni hanno cancellato solo in una certa misura e solo per alcuni aspetti i progressi compiuti nell’arco dei 150 anni.

Questi progressi della classe operaia e del resto delle masse popolari sono forse una semplice ricaduta dello sviluppo delle forze produttive della società come sostengono i riformisti? Sono forse un regalo generoso o astuto fatto dalla borghesia come sostengono i professori del “patto sociale”? Per capire da dove vengono quei progressi bastano due considerazioni.

1. I progressi sono stati ineguali da paese a paese e nel tempo ed essi sono stati tanto maggiori quanto più forte era il movimento comunista. Dice Fossa, il presidente della Confindustria: “Abbiamo dovuto dare lo Stato sociale perché c’era la minaccia del comunismo. Ora che non c’è perché dovremmo mantenerlo?”. Dice Horst Schmitener, membro della segreteria del grande sindacato tedesco IG Metal: “L’URSS è sempre stata il convitato di pietra quando trattavamo con i padroni. Con la sua esistenza la RDT rafforzava la posizione dei lavoratori della RFT” (Liberazione, 07.03.98, pag. 5).

2. Dove la borghesia per un motivo o per l’altro ha mano libera, essa mantiene o restaura ancora oggi condizioni di schiavismo, di asservimento, di abbrutimento e di sfruttamento che non hanno nulla da invidiare alle condizioni di 150 anni fa. Basta ricordare quanto le cronache dicono delle condizioni di vita e di lavoro degli uomini, delle donne e dei bambini in Thailandia, in Brasile o in certe fabbrichette del nostro paese.

La cancellazione quasi completa del campo socialista nel 1989, dopo anni di corruzione e di disgregazione compiuta dai revisionisti moderni, ha permesso alla borghesia di gridare al “fallimento del comunismo”. Nel 1895 Engels scriveva: “Con la Comune di Parigi la borghesia credette di aver definitivamente sepolto il proletariato combattente. Ma tutt’al contrario, dalla Comune e dalla guerra franco-prussiana data la sua ascesa più poderosa” (Introduzione del 1895 a Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850). I fatti successivi hanno dimostrato che Engels aveva pienamente ragione. Anche noi siamo in una nuova fase di rinascita del movimento comunista. La realtà, i fatti hanno fatto giustizia dei revisionisti moderni. Le fandonie predicate da Kruscev, da Breznev, da Togliatti, da Berlinguer, da Teng Hsiao-ping e dai loro seguaci di tutti i continenti sulla convergenza dei due sistemi, sulla collaborazione tra i due sistemi, sulla fine delle crisi e delle rivoluzioni: tutto questo pattume è stato impietosamente spazzato via dai fatti. Oggi i lavoratori di tutto il mondo si trovano a fare i conti con una nuova tremenda crisi del capitalismo e il movimento comunista diventa e sempre più diventerà l’unica strada positiva su cui si incammineranno centinaia di milioni di lavoratori, di pensionati, di giovani e di donne delle masse popolari, di emarginati dal capitalismo. L’analisi della realtà mostra che siamo all’inizio di una nuova ondata della rivoluzione proletaria. Il movimento comunista avrà un’ascesa ancora più poderosa di quella vissuta nella prima metà del secolo che sta per chiudersi.

Quali sono le condizioni in cui si svilupperà nei prossimi anni il movimento comunista?

Le condizioni in cui si sviluppa il movimento comunista nel mondo hanno un aspetto soggettivo e un aspetto oggettivo.

 

Avere uno strumento adeguato al lavoro che dobbiamo svolgere

- L’aspetto soggettivo comprende l’esperienza compiuta dal movimento comunista mondiale, il suo patrimonio teorico (la concezione del mondo) e il metodo di lavoro e di pensiero. Noi siamo e vogliamo essere parte, reparto nazionale, del movimento comunista internazionale, eredi e continuatori del movimento comunista internazionale. Dobbiamo quindi appropriarci del suo patrimonio teorico e di metodo. La prima espressione organica di questo patrimonio è appunto il Manifesto del partito comunista pubblicato 150 anni fa. Il patrimonio del movimento comunista è però cresciuto nel corso degli anni man mano che la società avanzava nel cammino verso il comunismo, fino alle prime rivoluzioni prole tarie vittoriose, alla costruzione dei primi paesi socialisti alla cui pur breve esistenza (quasi 40 anni in Unione Sovietica, circa 10 anni in Europa Orientale, quasi 30 anni in Cina) hanno partecipato centinaia di milioni di uomini e donne, alle grandi trasformazioni delle stesse società borghesi. I punti principali del patrimonio teorico del movimento comunista sono ora esposti nelle opere dei principali dirigenti che il movimento comunista ha avuto nei 150 anni, Marx-Engels, Lenin-Stalin, Mao Tse-tung. [...]

- L’aspetto oggettivo delle condizioni in cui si sviluppa attualmente e si svilupperà nei prossimi anni il movimento comunista nel mondo, riguarda le condizioni in cui si svolgono la lotta tra le classi e l’attività materiale e spirituale delle masse. A differenza delle condizioni soggettive, queste sono condizioni che esistono anche se noi non ne siamo consapevoli, anche se le ignoriamo, anche se le neghiamo. Sono come le leggi della riproduzione dei vegetali per chi coltiva la terra, le leggi di ogni altro settore dell’attività umana per chi la vuole esercitare. Se adeguiamo la nostra azione ad esse, se la nostra azione si svolge in conformità alle leggi che governano il movimento della realtà, la nostra azione avrà successo. In caso contrario, subiremo delle sconfitte.

Le condizioni oggettive che riguardano il nostro futuro lavoro di comunisti sono di due tipi.

 

Conoscere la materia sociale su cui dobbiamo lavorare

Un tipo è costituito dalle caratteristiche assunte dalla società borghese nel suo cammino verso il comunismo. La società capitalista è entrata verso la fine del secolo scorso nella fase dell’imperialismo. L’imperialismo è l’anticamera del socialismo, come ci ha insegnato Lenin (L’imperialismo, fase suprema del capitalismo). In due sensi. Nel senso che le contraddizioni tipiche della società borghese sono diventate antagoniste e possono essere risolte solo instaurando il socialismo, fase inferiore del comunismo. Questo ha messo all’ordine del giorno la rivoluzione proletaria, la cui prima ondata infatti si è sviluppata nella prima metà di questo secolo. Ma anche nel senso che la società borghese ha subìto delle trasformazioni che hanno educato milioni di uomini alla vita associata e hanno preparato gli strumenti necessari alla società socialista. Si tratta delle Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (FAUS), cioè delle trasformazioni che la società ha avuto come risultato della lotta tra le classi, anche se la classe operaia non è riuscita a prendere il potere, delle istituzioni create dalla borghesia imperialista per governare sulla base di rapporti di produzione ancora capitalisti una realtà in cui il carattere collettivo delle forze produttive e dell’attività economica sono diventati principali: un sistema di produzione e di scambio che ingloba tutto il mondo, grandi unità produttive che operano nei quattro angoli del mondo, sistemi di politiche economiche, sistemi previdenziali, sanitari e scolastici, contratti collettivi di lavoro, ecc. (Rapporti Sociali n. 4 pag. 20 e segg.). Sono mediazioni tra il carattere ancora capitalista dei rapporti di produzione e il carattere già collettivo delle forze produttive e dell’attività economica. Mediazioni che per la borghesia sono contemporaneamente forme del suo dominio e cappi al suo collo e per le masse popolari e la classe operaia sono loro conquiste e strumenti preparatori della futura società e contemporaneamente strumenti della loro attuale oppressione e abbrutimento. Introdotta e gestita sulla base degli antagonismi di classe, l’unità mondiale diventa infatti sopraffazione e guerra, la regolazione collettiva della vita sociale diventa schedatura, manipolazione di massa e controllo, ecc. Più la società è avanzata verso il socialismo restando però una società ancora governata da rapporti di produzione capitalisti, basata su rapporti antagonisti tra classi, più essa si presenta disumana, laida, violenta, repressiva dello sviluppo degli individui, delle comunità locali e nazionali, delle culture, distruttiva degli uomini e dell’ambiente naturale. Quanto più la società per le sue condizioni materiali si avvicina a “un’associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti”, tanto più antagonista e quindi distruttiva diventa la permanenza dei rapporti sociali che la negano e la impediscono. Come Stalin ci ha ben insegnato, gli antagonismi tra le classi diventano via via più acuti man mano che ci  avviamo verso il rovesciamento definitivo dei rapporti di forza tra capitalismo e socialismo. La rivoluzione si sviluppa di pari passo con la controrivoluzione (K. Marx, Le lotte di classe in Francia da 1848 al 1850, Opere vol. 10 pag. 43), fino al rovesciamento dei rapporti di forza.

 

Conoscere le circostanze in cui dobbiamo lavorare

Ma non sono le trasformazioni oggettive subite dalla società borghese nei 150 anni di storia del movimento comunista, le trasformazioni che l’hanno avvicinata al socialismo facendo risaltare maggiormente il carattere distruttivo e antiumano dei rapporti sociali borghesi, le trasformazioni che fanno dell’imperialismo l’anticamera del socialismo quello che io sono incaricato di illustrarvi. Devo parlarvi del secondo tipo di condizioni oggettive che riguarderanno il nostro lavoro di comunisti.

Il secondo tipo è costituito dalla fase particolare che la società capitalista attraversa in questi anni, la seconda crisi generale del capitalismo.

Un’adeguata comprensione della fase è condizione indispensabile per la costruzione di un partito autenticamente comunista, adeguato cioè ai compiti politici che il corso oggettivo delle cose pone ai comunisti.

Cosa vuol dire “partito autenticamene comunista”? Vuol dire un partito che è all’altezza dei compiti che la situazione oggettiva pone in questa fase ai partiti comunisti, alla classe operaia, al proletariato, alle masse popolari. Occorre qui capire quali sono questi compiti.

Uno dei limiti che hanno impedito ai partiti della III Internazionale, della Internazionale Comunista, di condurre in Europa Occidentale le masse popolari alla vittoria, all’instaurazione del socialismo durante la lunga crisi che sconvolse l’Europa e il mondo tra il 1910 e il 1945, la lunga situazione rivoluzionaria della prima metà del nostro secolo prodotta dalla prima crisi generale del capitalismo, fu la comprensione insufficiente della natura della crisi del capitalismo allora in corso, della crisi che apriva la strada alla prima ondata della rivoluzione proletaria, che rendeva possibile e attuale l’instaurazione del socialismo. In particolare una incomprensione che non permise di cogliere sufficientemente l’unità del processo economico, politico e culturale che si svolse tra il 1910 e il 1945, portò a separare i singoli episodi l’uno dall’altro. Unità che Mao Tse-tung ha riassunto nella categoria di “situazione rivoluzionaria in sviluppo”, di “situazione rivoluzionaria di lungo periodo, di lunga durata”. (Sulla situazione rivoluzionaria in sviluppo, in Rapporti Sociali n. 9/10 pag. 31 e segg.; Mao Tse-tung, Una scintilla può dar fuoco a tutta la prateria (1930) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 2; Mao Tse-tung, Sulla contraddizione (1937) in Opere di Mao Tse-tung, vol. 5). Ancora oggi alcuni compagni mettono al centro la crisi finanziaria del 1929, al massimo indicano l’unità tra la seconda guerra mondiale e la crisi del ’29, ma non colgono l’unità del processo che si svolse tra il 1910 e il 1945, la natura della contraddizione che fa di quel periodo uno dei periodi in cui si divide l’epoca imperialista del capitalismo, distinto dal periodo precedente che va dalla fine della Grande Depressione (1873-1895) al 1910 e distinto dal periodo successivo, il periodo del “capitalismo dal volto umano”, che va dal 1945 al 1975 (Rapporti Sociali n. 12/13, pag. 36). La comprensione insufficiente della natura della crisi del capitalismo allora in corso impedì all’Internazionale Comunista di elaborare una strategia e una tattica adeguate della rivoluzione proletaria. (Nel libro La guerra di Spagna, il PCE e l’Internazionale Comunista i compagni del PCE(r) hanno illustrato questo limite relativamente al loro paese).

 

Qual è la natura della crisi attuale?

Il nostro paese sta attraversando una crisi generale, una crisi di lungo periodo, una crisi di estensione mondiale.

È una crisi iniziata nella metà degli anni ’70, che prosegue da allora aggravandosi via via. È la seconda crisi generale  del capitalismo, seconda dopo quella del periodo 1910-1945.[...]

 

Cosa vuol dire crisi generale?

Vuol dire che non si tratta solo di una crisi economica. In particolare non si tratta di una crisi come le crisi cicliche decennali (1815, 1825, 1836, 1847, 1857, 1867) descritte e analizzate da Marx, l’ultima delle quali fu appunto quella del 1867. [...]

Si tratta di una crisi che investe tutti gli aspetti della società, la sconvolge da cima a fondo e provoca la sua trasformazione complessiva. È una crisi economica che inevitabilmente trapassa in crisi politica e culturale e che avrà la sua soluzione anzitutto sul piano politico, nella trasformazione politica: o nella conquista del potere da parte della classe operaia o nell’instaurazione di un nuovo ordine borghese o in una combinazione (provvisoria) delle due cose. Quest’ultimo fu lo sbocco della prima crisi generale del capitalismo (1910-1945). Durante essa sorsero i primi paesi socialisti, fu distrutto il sistema coloniale, fu creata una serie nuova di Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (il sistema monetario internazionale su base fiduciaria, i sistemi di industrie nazionali, il sistema militare-industriale, ecc.).

È una crisi economica di tipo particolare, diversa dalle crisi economiche cicliche del periodo 1815-1867. È una crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale. Non per “sovrapproduzione di merci”, come alcuni compagni si ostinano a sostenere, rispecchiando in modo immediato la disperazione del capitalista che non riesce a vendere tutte le merci che produce o che potrebbe produrre. Non per “sovrapproduzione di capitale e di merci” come ecletticamente alcuni compagni si ostinano a sostenere.

Chi parla di “sovrapproduzione di merci” (o di “sovrapproduzione di capitale e di merci”) attribuisce alle merci nella società attuale una natura diversa da quella che esse hanno realmente (esse infatti sono incarnazione, oggettivazione transitoria del capitale):

- o considera le merci come semplici valori d’uso, beni di consumo e attrezzature per lavorare, che non sarebbero “distribuiti bene, razionalmente tra chi ne ha bisogno”; quindi assume la distribuzione come centro della vita economica delle società capitaliste e fonte della loro crisi. Di conseguenza propone come rimedio alla crisi l’aumento dei redditi per i “poveri” e gli aiuti al “Sud del mondo”. Non a caso l’esatto contrario di quello che le leggi oggettive del modo di produzione capitalista impongono e attuano e attraverso cui la crisi va verso la sua soluzione. Si tratta dell’economia politica romantica (Sismondi, Keynes) che ha tanti seguaci ignari tra le Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista (FSRS), il PRC, le ONG, ecc.

- oppure concepisce la crisi come semplice crisi di realizzazione, crisi per insufficienza o mancanza di compratori, crisi che ha la sua fonte solo o principalmente nel passaggio M’ - D’. In realtà, se consideriamo l’intero processo della valorizzazione del capitale (che è anche il processo di produzione quale si attua nella società borghese) D - M - L - M’ - D’ (Denaro-Merci-Lavorazione-Merci-Denaro), la fonte della crisi attuale è principalmente nel passaggio M - L - M’. Infatti il passaggio M’ - D’ è la versione speculare del passaggio D - M del successivo ciclo di valorizzazione del capitale. Se nel passaggio M - D - M’ si creasse un plusvalore sufficiente, i capitalisti farebbero anche il passaggio D - M del ciclo successivo, cioè investirebbero nel ciclo produttivo tutto il capitale accumulato. Questo sarebbe anche il passaggio M’ - D’ del ciclo in corso, che quindi si compirebbe.

I sostenitori di questa seconda interpretazione sbagliata della crisi si rifanno all’economia politica mercantilista, sostegno alle politiche di espansione commerciale all’estero, di conquista di nuovo “spazio al sole”, di competitività dell’economia nazionale, o al catastrofismo per esaurimento delle possibilità di ulteriore espansione esposto da Rosa Luxemburg (R. Luxemburg, L’accumulazione del capitale, 1912).

 La crisi attuale è una crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale che si manifesta anche nella sovrapproduzione di merci, ma non solo.

Si manifesta anche nella sovrapproduzione di mezzi finanziari: il capitale finanziario (la capitalizzazione delle Borse, i titoli finanziari, i depositi bancari, i debiti-crediti, le transazioni valutarie speculative) oggi supera di gran lunga il capitale operante nell’economia reale, nel processo D - M - L - M’ - D’ (finanziarizzazione dell’economia), lo dirige e lo soffoca. Ma esso è sorto come rimedio (provvisorio) alla esuberanza di capitale produttivo e quindi non può essere semplicemente soppresso a fronte dei suoi effetti negativi: i crack di Borsa, gli squilibri finanziari, ecc.

Si manifesta anche nella distruzione di molte delle vecchie Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (FAUS) con cui la stessa borghesia imperialista aveva creato le mediazioni, sul suo terreno, tra il carattere capitalista dei rapporti di produzione e il carattere collettivo delle forze produttive (sistemi previdenziali, sistemi di pieno impiego, sistema sanitario, contratti collettivi di lavoro, sistemi di industrie nazionali (privatizzazione), spesa pubblica a credito, ecc.) e nella creazione di nuove FAUS.

Si manifesta anche nella corsa di ogni gruppo imperialista ad appropriarsi di ogni situazione di rendita e di ogni possibilità di sfruttare più a fondo nuovi lavoratori (globalizzazione, mondializzazione, delocalizzazione, Organizzazione sul Commercio Internazionale (WTO), Accordo Multilaterale sugli Investimenti (MAI), ecc.

Si manifesta anche nella ricerca forsennata da parte di ogni gruppo imperialista di aumentare la quota del plusvalore complessivamente estorto ai lavoratori, una ricerca che distrugge ogni riguardo, consuetudine e legge a difesa di uomini, donne, bambini, anziani, ambiente. Che elimina le grandi conquiste strappate dalle masse popolari sotto la guida della classe operaia e del suo partito comunista nel periodo 1945-1975, sulla scia della prima ondata della rivoluzione proletaria. Che promuove il lavoro notturno, festivo, a ciclo continuo, in affitto, a orario elastico, a salario flessibile, schiavistico, fino alla pura e semplice estinzione di intere popolazioni e alla distruzione delle condizioni ambientali della vita.

Si manifesta anche nella sovrapproduzione di popolazione: a livello mondiale centinaia di milioni di disoccupati, di “esuberi”, di emarginati, di carcerati e di deportati costretti a emigrare da un capo all’altro del mondo.

Si manifesta anche nella lotta sempre più accesa dei gruppi imperialisti tra loro per strapparsi a vicenda il plusvalore estorto ai lavoratori, nella lotta sempre più accesa tra Stati imperialisti ognuno alla ricerca di mantenere l’ordine pubblico nel suo territorio attraendo ricchezza dal territorio di altri Stati a danno di questi. Oggi queste lotte tra gruppi e Stati imperialisti sono ancora il fattore più dinamico dei rapporti politici internazionali (vedasi ad esempio lo svolgimento dell’ultima aggressione USA all’Iraq) e interni ad ogni singolo paese (Mani Pulite e l’eliminazione del regime del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani), non sono un effetto diretto della lotta delle masse popolari, ma della lotta tra i gruppi imperialisti operanti nel nostro paese).

Si manifesta in altri fenomeni che sono stati almeno in parte già illustrati nella nostra stampa (Per il dibattito sulla causa e sulla la natura della crisi attuale in Rapporti Sociali n. 17/18; CARC, La situazione e i nostri compiti).

Insomma è la riproduzione, su scala grande, dei fenomeni che caratterizzarono la prima crisi generale all’inizio del secolo.

 

Cosa vuol dire sovrapproduzione assoluta di capitale?

Che a un certo punto della ripresa dell’accumulazione iniziata nel 1945 il capitale accumulato ha raggiunto una grandezza tale che un’ulteriore crescita del capitale produttivo (del capitale che percorre il ciclo Denaro-Merci-Produzione- Merci-Denaro) avrebbe portato alla diminuzione del plusvalore complessivamente estorto ai lavoratori. Il plusvalore  estorto ai lavoratori, per grande che sia e per quanto cresca, non è sufficiente a valorizzare l’intero capitale accumulato.

Una crisi quindi che anzitutto genera un’enorme quantità di capitale finanziario, che maschera l’insufficienza del plusvalore realmente estorto sotto un’orgia di operazioni finanziarie, di acquisizione di pacchetti azionari, di scalate e di fusioni, di balletti di milioni di miliardi e di improvvise e immense fortune; che fa assumere alla crisi economica la forma, le apparenze di crisi finanziaria (Messico 1982, Crack del 1986, Messico 1994, l’attuale crisi delle “tigri asiatiche”, ecc.), le apparenze del continuo prorompere di squilibri finanziari che si manifestano nella rincorsa senza esito dell’equilibrio finanziario che percorre tutta l’attività dirigente generale della borghesia imperialista in questi anni.

È una crisi economica che trapassa necessariamente in crisi politica e culturale perché non ha soluzione sul piano economico. Donde il carattere diversivo di tutte le proposte di soluzioni puramente economiche (meno orario a pari salario, terzo settore, settore no-profit, banche etiche, ecc.) della crisi avanzate dai gruppi economicisti, in primo luogo da Rifondazione Comunista (PRC). Proposte che si presentano come novità, ma in realtà ripropongono le misure avanzate durante la prima crisi generale e che già allora dimostrarono il loro carattere diversivo utopistico o la loro inefficacia (J. Rifkin La fine del lavoro).

Semplificando: Agnelli e De Benedetti dicono ognuno che il suo capitale non estrae abbastanza plusvalore e che gli operai devono schiattare per dargliene di più.

Bertinotti dice che il pluslavoro è tanto, che Agnelli e De Benedetti devono essere meno avidi, ma quando FIAT e Olivetti chiudono e licenziano, Bertinotti piange e abbozza. Noi diciamo che neanche schiattando gli operai possono produrre tutto il plusvalore di cui il capitale complessivamente ha bisogno: questo è segno che il capitale non può più essere il rapporto dirigente della vita economica della società, quindi neanche del resto dei rapporti sociali; che l’unica via di salvezza per gli operai è liberarsi dal capitale. Compagni, oggi l’IKEA in Romania paga 600 lire l’ora l’operaio che in Svezia paga 26.000 lire l’ora. Questo in sintesi dice a chi danno ragione i fatti.

 

In cosa consiste la crisi politica?

I gruppi che compongono la borghesia imperialista non riescono più né a regolare i contrasti di interessi tra loro né a dirigere le masse sottomesse con le istituzioni, i modi, le procedure e le concezioni con cui lo hanno fatto nel periodo precedente. La “costituzione materiale” della società non è più adatta alla situazione. La società deve darsene un’altra. Ogni gruppo imperialista cerca di imporre la sua riforma, ma essa afferma i suoi interessi a spese delle masse popolari e anche degli altri gruppi imperialisti. Ogni gruppo imperialista si propone come campione di tutta la borghesia imperialista per imporre il nuovo ordine alle masse popolari. Da qui la guerra civile generale e diffusa tra gruppi imperialisti e le rispettive formazioni politiche. Da qui l’instabilità dei regimi politici di ogni paese e del sistema di relazioni internazionali tra Stati. Da qui la guerra strisciante tra gli Stati imperialisti fatta di colpi di mano, di complotti, di sovversione delle colonie dei rivali, di sgambetti, di operazioni di destabilizzazione. Un corso delle cose che crea tante sofferenze, ma apre anche la possibilità alla classe operaia di affermare la sua direzione.

Su questa base abbiamo sostenuto che non vi era né vi è nel mondo alcun “nuovo ordine mondiale”, ma una situazione rivoluzionaria in sviluppo; che il Trattato di Maastricht è solo il tentativo della borghesia imperialista tedesca di assoggettare la borghesia imperialista francese e annettere gran parte del resto d’Europa creando un sistema finanziario di dimensioni tali da essere competitivo con quello USA; che non vi era né vi è in Italia alcuna “seconda repubblica”, ma la putrefazione del regime DC; che la Bicamerale D’Alema farà la fine della Bicamerale Jotti e della Bicamerale De Mita.

L’unico sbocco possibile dell’attuale crisi sono la mobilitazione rivoluzionaria delle masse, la mobilitazione reazionaria delle masse e lo scontro-combinazione delle due. Infatti si tratta di distruggere almeno una parte del capitale accumulato  (solo così può riprendere la crescita). Questa distruzione può essere compiuta o con la rivoluzione socialista, che toglie il carattere di capitale ai mezzi di produzione e al grosso dell’attività economica, o con la distruzione di uomini e di ricchezze in cui è oggettivato il capitale prodotta dalle guerre in cui sbocca la mobilitazione reazionaria delle masse (Rapporti Sociali n. 12/13, pag. 16 e segg.).

 

In cosa consiste la crisi culturale?

Le idee, le immagini, i sentimenti e i modi di fare e di relazionarsi con cui gli uomini hanno rappresentato e diretto la loro vita negli anni passati vanno a pezzi perché con essi gli uomini non potrebbero immaginare, concepire, combattere e vivere le lotte che le concrete condizioni attuali impongono loro.

Se per vivere devi farti largo a gomitate, non puoi avere i sentimenti di un boy scout. Nascono e si diffondono idee e atteggiamenti “inconcepibili”, che “non si immaginava potessero risorgere”, ecc. Cose negative e cose positive, cose distruttive e cose costruttive.

La testa e la coscienza delle masse sono sconvolte e si trasformano, in positivo o in negativo. Esempi? La grande diffusione del volontariato (che nel nostro paese coinvolge vari milioni di persone), il pullulare di FSRS, la diffusione del razzismo, la grande diffusione del misticismo, delle sette e delle religioni: basta considerare il ruolo di New Age (di cui è fervente seguace il vicepresidente USA Al Gore) e del Papa.

 

Capire i vari aspetti della crisi, capire che si tratta di una crisi generale è la premessa indispensabile per imparare a “vedere” la resistenza alla crisi nei comportamenti e nelle iniziative delle masse, per individuare tendenze positive e negative e svolgere il nostro lavoro.

Considerare solo uno o alcuni aspetti della crisi isolati dagli altri è sbagliato ed è politicamente dannoso. Infatti impedisce di capire “il movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi” (Marx-Engels Manifesto del partito comunista, Opere vol. 6 pag. 499), le tendenze reali che agitano la società attuale, la mobilitazione delle masse che il procedere della crisi e la lotta tra i gruppi della classe dominante stanno producendo sotto i nostri occhi, su grande scala.

Quella mobilitazione che noi con le nostre piccole forze non possiamo creare, anche se alcuni compagni inutilmente si ostinano ancora a voler “creare movimenti”, a cercare di “mobilitare le masse”. Mentre il nostro compito è imparare a dirigere la mobilitazione che c’è.

Tra le Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista attualmente è diffusa in modo particolare la deviazione consistente nel considerare la crisi politica o culturale separatamente dalla crisi economica, nel cercare di spiegare il movimento politico con le caratteristiche degli individui e dei gruppi, nel cercare o escogitare soluzioni della crisi politica campate in aria, nel prendere per buone le dichiarazioni della classe dominante che la crisi è risolta. […]

 

La crisi attuale è una crisi di lungo periodo

Nel senso che è una crisi che non può da nessuno essere risolta in breve tempo, con una singola misura o con alcune poche misure risolutive.

È una crisi che si risolverà solo con la sovversione e con la sostituzione degli attuali ordinamenti economici, politici e culturali del mondo, una trasformazione che potrà essere effettuata solo dalla mobilitazione delle masse e solo nel corso di alcuni decenni.

Quindi l’attuale crisi si prolungherà per un lungo periodo, anche se ha proceduto finora (dal 1975 a oggi) e procederà attraverso una successione di riprese e di recessioni di breve periodo, di eccessi febbrili e di pause; anche se a ogni ri presa i portavoce della classe dominante si daranno a gridare che “la crisi è ormai alle nostre spalle”, “i giochi sono fatti”. [...]

Usciremo da questa crisi solo quando l’una o l’altra delle due classi che possono dirigere la società moderna con le sue attuali forze produttive, la classe operaia o la borghesia imperialista, arriverà a elaborare, costruire e far valere in pratica un nuovo ordinamento della società. O la classe operaia tramite un’azione rivoluzionaria o qualche gruppo imperialista che imporrà il suo nuovo ordine mondiale alle masse e al resto della borghesia imperialista, o una combinazione delle due cose, come avvenne durante la prima crisi generale (1910-1945).

Quindi ogni ricetta e ogni proclamazione di “uscita dalla crisi” a breve termine e senza un rivolgimento radicale dell’attuale stato delle cose è un imbroglio o un’illusione. La soluzione dell’attuale crisi può arrivare solo attraverso lo scontro tra la mobilitazione rivoluzionaria e la mobilitazione reazionaria delle masse. Il procedere della crisi crea e creerà sempre più la mobilitazione delle masse.

In altre parole, a parte frange relativamente piccole di rassegnati, di suicidi e di autolesionisti, le masse resisteranno al procedere della crisi, difenderanno ad ogni costo e a ogni prezzo la loro vita. Quel che è ancora in gioco, è quale classe dirigerà questa mobilitazione.

Ricostruire un autentico partito comunista vuol dire creare un partito capace di affermare la direzione della classe operaia nella mobilitazione delle masse generata dalla crisi. La mobilitazione rivoluzionaria può prevalere sulla mobilitazione reazionaria: la condizione chiave è l’esistenza di un autentico partito comunista (Rapporti Sociali, n. 12/13, pag. 22 e segg.). La storia lo ha più volte confermato (Rapporti Sociali, n. 11, pag. 11 e segg.).

Alcuni compagni sottovalutano il fatto che la crisi attuale è una crisi di lungo periodo. Sbagliano e questo errore li porta alla sfiducia nella rivoluzione socialista.

Infatti, se fosse possibile risolvere questa crisi in tempi brevi, è evidente che essa non potrebbe sfociare nella conquista del potere da parte della classe operaia. Infatti oggi questa classe non ha ancora nemmeno il suo partito, il partito comunista e quindi essa non esiste ancora come protagonista della lotta per il potere.

Infatti oggi la classe operaia è lungi dall’aver maturato, nemmeno tra i suoi membri più attivi, d’avanguardia, la convinzione di essere capace di fare meglio della borghesia imperialista, di essere capace di fondare una nuova società, di essere capace di dirigere; è lungi dall’aver maturato la convinzione che tutta l’attuale soffocante coltre di malessere e di malandare potrebbe essere spazzata via se essa riuscisse a spodestare la borghesia imperialista.

Una convinzione che nelle masse maturerà solo man mano che esse avanzeranno sulla strada della rivoluzione. Le masse imparano principalmente per la loro esperienza diretta, ci ha insegnato Lenin (L’estremismo, malattia infantile del comunismo).

 

La crisi attuale è una crisi mondiale

La crisi del nostro paese è parte di una crisi mondiale. Alcuni cercano di presentarla come una crisi solo nazionale, limitata al nostro paese, dovuta a processi politici specifici del nostro paese. [...]

È una tesi sbagliata e politicamente dannosa; infatti alimenta i dubbi e il disfattismo riassunti nella domanda: come è possibile che la classe operaia conquisti il potere in Italia, se non lo conquista contemporaneamente anche negli altri paesi? La realtà è che i regimi della borghesia imperialista sono in crisi in tutti i paesi, una situazione rivoluzionaria è in sviluppo in tutti i paesi, lo scontro tra mobilitazione rivoluzionaria e mobilitazione reazionaria delle masse sta maturando in ogni paese. In alcuni prevarrà l’una e in altri prevarrà l’altra, ma in un contesto mondiale di generale sconvolgimento politico. Proprio perché si è creato un sistema economico unico che copre tutto il mondo (mondializzazione  dell’economia, economia globale, sistema imperialista mondiale), è possibile che la rivoluzione socialista vinca anche solo in uno o in alcuni paesi. Infatti in tutti i paesi la borghesia imperialista sarà alle prese con una situazione rivoluzionaria, cioè con una situazione di instabilità politica.

È quello che si è verificato anche nella prima metà di questo secolo: in ogni paese imperialista il regime politico era instabile, la classe operaia e le masse popolari erano in rivolta. Ciò limitò le possibilità di intervento della borghesia imperialista nei paesi in cui la rivoluzione socialista aveva vinto. In ogni paese l’aggressione contro la Repubblica dei Soviet venne contrastata fino all’ammutinamento di unità militari (es. la flotta francese nel mar Nero - Marty).

 

È quindi non solo corrispondente ai fatti, ma anche politicamente importante avere chiaro, comprendere bene queste tre caratteristiche della crisi attuale: generale, di lunga durata e mondiale.

Una comprensione adeguata della natura della crisi attuale, delle leggi secondo le quali procede è una delle condizioni necessarie per adempiere con successo il nostro compito, la costruzione di un partito autenticamente comunista, in particolare quindi un partito che impersoni la capacità della classe operaia di prendere la direzione della mobilitazione delle masse che il procedere della crisi genera. Per smettere di disperdere le nostre energie nel tentativo donchisciottesco di creare una nostra cervellotica mobilitazione delle masse e metterci ad imparare a dirigere quella che già c’è e cresce sotto i nostri occhi.

Partiti non autenticamente comunisti possono essere costruiti, ma la situazione stessa, le masse popolari e la classe operaia li spazzeranno via. Hanno già spazzato via il PCI. La costruzione di partiti non autenticamente comunisti certamente danneggia le masse popolari e la classe operaia, intralcia il nostro lavoro.

Per questo bisogna combattere la creazione di partiti comunisti fasulli. Chi li crea si assume delle responsabilità. La borghesia imperialista farà quanto in suo potere per contrastare la costruzione di un partito autenticamente comunista fino a favorire la creazione di partiti fasulli. Ma non la temiamo, la combattiamo e possiamo sicuramente vincerla: saranno un freno, non un impedimento.

Senza partito comunista la classe operaia non può affermare la sua direzione nella mobilitazione delle masse generata dal procedere della crisi. Il partito comunista è l’elemento chiave del successo della classe operaia.

I primi paesi socialisti, sorti nel corso della prima crisi generale, sono stati creati dove si erano formati partiti comunisti autentici. I primi paesi socialisti sono stati distrutti non dalle aggressioni, dai sabotaggi e dai boicottaggi della borghesia imperialista, contro cui anzi hanno lottato vittoriosamente uscendone rafforzati, ma dalle deviazioni affermatesi nei rispettivi partiti comunisti. “La nuova borghesia è nel partito comunista, è costituita da quei dirigenti del partito che promuovono la via capitalista”, ci ha insegnato Mao Tse-tung.

E quando nel 1989 per l’Unione Sovietica e l’Europa Orientate venne il momento, la realtà ha pienamente confermato: i nuovi capitalisti sono gli ex dirigenti dei partiti revisionisti.

Noi e tutte le FSRS abbiamo il compito di ricostruire il partito comunista, un partito autenticamente comunista. È un compito che non ci siamo dati arbitrariamente: non è nato nella nostra testa, ma è posto dalle condizioni concrete, dalle leggi del movimento oggettivo della società. Non è un caso che tanti se lo sono posto, che tanti arrivano a porselo come loro compito soggettivo, come compito principale di questa fase.

Noi abbiamo alle spalle vari tentativi falliti di ricostruzione del partito comunista, vari tentativi condotti da quando, nella seconda metà degli anni ’50, a seguito del XX congresso del PCUS e del suo VIII congresso, il PCI imboccò definitivamente e irreversibilmente la strada del revisionismo moderno che lo avrebbe condotto alla liquidazione del 1989. [...]

Da quando i revisionisti moderni hanno preso definitivamente e totalmente la direzione del PCI sono passati più di 40  anni. Non sono stati solo anni in cui la classe operaia non ha avuto una giusta direzione e non ha dato una giusta direzione alle masse popolari.

Sono stati anni in cui i revisionisti moderni, i Togliatti, i Berlinguer e i loro luogotenenti, da veri agenti della borghesia imperialista nelle fila del proletariato, hanno portato corruzione e disgregazione nelle grandi organizzazioni politiche e di massa (PCI, CGIL, Federbraccianti, UDI, FGCI, UISP, Cooperative, ecc.), in quel “blocco sociale antagonista” che la classe operaia aveva costruito con un intenso e duro lavoro protrattosi a partire dal 1921, nelle dure condizioni della dittatura fascista e della guerra e culminato nell’epopea della Resistenza, il punto più alto raggiunto dalla classe operaia nel nostro paese nella sua lotta per il potere.

Corruzione e disgregazione che hanno o distrutto le organizzazioni o le hanno trasformate nel loro contrario, in organi del controllo e della repressione della borghesia sulla classe operaia e sulle masse in centri della mobilitazione reazionaria delle masse.

Per ricostruire il partito dobbiamo rimontare la china della devastazione organizzativa, morale e intellettuale compiuta dai revisionisti moderni. Vincere la sfiducia che la loro azione ha seminato, superare le difficoltà derivanti dalla perdita del patrimonio di esperienza e del patrimonio teorico che abbiamo subito.

I tentativi fatti a partire dagli anni ’60 nel nostro paese per ricostruire il partito comunista sono falliti perché i compagni che li hanno promossi non avevano riunito le condizioni necessarie per la ricostruzione di un partito autenticamente comunista.

Chi lotta per la ricostruzione deve analizzare ognuno di quei tentativi e mettere in luce i motivi particolari del fallimento caso per caso.

È un bilancio dell’esperienza molto utile per non ripetere gli stessi errori e per individuare i limiti che dobbiamo superare. I CARC lo hanno in parte fatto (F. Engels - 10, 100, 1000 CARC per la ricostruzione del partito comunista), ma è un compito che attende tutte le Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista che vogliono veramente lavorare alla ricostruzione del partito comunista.

Le FSRS che lavorano per la ricostruzione del partito, che pongono la ricostruzione come obiettivo principale in questa fase, devono uscire dal vago del desiderio, dell’aspirazione e delle proclamazioni. Così la ricostruzione del partito sfuma nel perseguimento dell’obiettivo irrealizzabile di essere in tanti, di avere influenza sulle masse, di essere riconosciuti dalle masse, di essere partito senza essere partito. Occorre invece definire con precisione e realismo quali condizioni occorre creare per costituire il nuovo partito e orientare tutto il nostro lavoro presente e quotidiano alla creazione di quelle condizioni. Un partito autenticamente comunista può essere costruito solo attraverso il prevalere delle posizioni giuste sulle posizioni sbagliate, delle posizioni avanzate sulle posizioni arretrate.

Per questo porta fuori strada ogni iniziativa che pone sullo stesso piano giusto e sbagliato, avanzato e arretrato.

L’unità si costruisce attraverso l’esperienza e il bilancio dell’esperienza, attraverso la trasformazione delle attuali FSRS in compagni capaci di costituire il nuovo partito comunista, attraverso la critica e l’autocritica, attraverso un processo di trasformazione, un processo di divisione del giusto dallo sbagliato, dell’avanzato dall’arretrato, di ciò che è favorevole alla rivoluzione socialista da ciò che è favorevole alla conservazione della dominazione della borghesia imperialista, di ciò che è proletario da ciò che è borghese.

È questo processo di divisione che porterà al nuovo Partito Comunista Italiano.

Comitati di Appoggio alla Resistenza - per il Comunismo (CARC)

 

***

A proposito del Convegno Nazionale sul 150° anniversario della pubblicazione del Manifesto del partito comunista (Firenze, 14 marzo 1998)

 

Comunicati di bilancio

 

Milano, 22 marzo 1998

Alle FSRS e alle avanguardie di lotta invitate al Convegno-dibattito sul 150° del Manifesto del partito comunista.

Il giorno 22 marzo si è tenuta la riunione di bilancio dell’iniziativa promossa dal MPA e dai CARC a Firenze il 14 marzo, nel 150° anniversario del Manifesto del partito comunista di Marx-Engels.

Il Convegno è servito a incrementare la comprensione dell’esperienza di 150 anni di storia del movimento comunista: della sua concezione del mondo, dei suoi metodi, delle sue grandi conquiste e anche delle sue sconfitte, passaggi inevitabili per ulteriori avanzamenti.

Nella riunione le due delegazioni hanno evidenziato l’aspetto largamente positivo dell’iniziativa, ribadendo comunemente i seguenti aspetti:

1. Numerosa partecipazione dei compagni (oltre 150 persone) che di fatto ha dimostrato che l’iniziativa è stata un momento di attrazione.

2. La correttezza dei rapporti fra le due organizzazioni per quanto riguarda la parte politica. organizzativa ed economica dell’iniziativa.

3. L’aver stabilito un precedente di lavoro in comune ha evitato che il dibattito diventasse “accademico”, trasformandolo in un momento importante su cui potersi verificare, permettendo un bilancio comune.

4. L’aver dato un segnale chiaro e forte ai proletari coscienti, ai rivoluzionari, a partire dal bilancio del movimento comunista, sulla necessità storica della costruzione del partito comunista come strumento indispensabile per la liberazione del proletariato dallo sfruttamento.

 

Le due organizzazioni hanno infine dichiarato la loro reciproca volontà di dare continuità al processo avviatosi col Convegno-dibattito di Firenze, in unità con le altre organizzazioni che nella pratica politica dimostrano di voler lavorare sugli stessi intenti.

Movimento Proletario Anticapitalista

Comitati di Appoggio alla Resistenza - per il comunismo

 

________________________

 

La SN valuta positivamente l’esito del Convegno e la collaborazione con il Movimento Proletario Anticapitalista (MPA). I CARC nel promuovere questo Convegno avevano tre obiettivi.

1. Promuovere lo studio dell’esperienza e l’assimilazione degli insegnamenti dell’avanzata compiuta dal movimento comunista nei 150 anni che stanno alle nostre spalle. Alto stesso scopo i CARC stanno promuovendo iniziative dovunque sono presenti e ne promuoveranno durante l’intero corso dell’anno. Fare un giusto bilancio delle conquiste storiche realizzate nei 150 anni e capire i motivi delle momentanee sconfitte è importante per la nostra lotta. Le idee giuste nascono dal bilancio dell’esperienza.

2. Fare conoscere alla cerchia più vasta possibile di compagni e di lavoratori, di donne e di giovani delle masse popolari, che vi sono organizzazioni che lavorano a creare le condizioni per la ricostruzione del partito comunista che è il compito principale in questa fase, dal cui successo dipende l’utilità di tutte le altre attività.

 3. Avere dalla pratica di un’iniziativa comune elementi per migliorare il nostro rapporto con il MPA, nell’ambito del proposito di rafforzare il rapporto di unità e lotta con le Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista (FSRS) in base al ruolo che ognuna di esse svolge.

Perché il messaggio fosse più forte e diffuso a più vasto raggio e perché la sperimentazione fosse più ricca, avevamo proposto anche ai compagni di Iniziativa Comunista di promuovere assieme a noi e al MPA questo Convegno. Iniziativa Comunista non ha aderito al nostro invito perché a loro parere “la proposta di convocare a tre questa iniziativa discriminava altre organizzazioni che anch’esse dichiarano di voler ricostruire il partito comunista sulla base del marxismo-leninismo”. Per gli stessi motivi avevamo invitato a partecipare al Convegno varie altre FSRS; alcune hanno aderito al Convegno.

Il successo conseguito col Convegno e i limiti riscontrati ci sono utili per capire meglio i problemi da risolvere e la natura delle singole FSRS. Soprattutto il Convegno ha rafforzato nei compagni dei CARC e in altri compagni la coscienza che il compito principale in questa fase è la ricostruzione del partito comunista, che la situazione presenta molti elementi favorevoli alla realizzazione di questo obiettivo, che è giusto concentrare il nostro lavoro quotidiano sulla creazione delle condizioni necessarie per la costituzione del nuovo partito comunista, che occorre fare in modo che a questo serva anche il lavoro svolto dalle altre FSRS.

 

Rapporti Sociali 1985-2008 - Indice di tutti gli articoli