Dibattito teorico e lotta politica

Rapporti Sociali n. 22 - giugno 1999 (versione Open Office / versione MSWord )

 

DIBATTITO

Il Progetto di Manifesto Programma del nuovo partito comunista italiano pubblicato dalla SN dei CARC contiene una serie di tesi sulla situazione attuale e i nostri compiti. Compito di ogni compagno e di ogni lavoratore avanzato che vuole ricostruire il partito comunista è studiarle e assimilarle (comprenderle), verificarle sulla base delle proprie conoscenze ed esperienze, correggerle, arricchirle e migliorarle. In questo modo, attraverso passaggi che solo la pratica chiarirà, arriveremo al Manifesto Programma che il congresso di fondazione del nuovo partito comunista italiano approverà e farà suo.

Oltre ai compiti indicati, vi è però un altro compito: dobbiamo propagandare le tesi giuste e difenderle contro le tesi della cultura borghese e contro le tesi sbagliate. La cultura borghese è ricca di teorie. Vi sono sul mercato mille teorie. È un aspetto tipico della società borghese. Essa deve produrre molte teorie. Ogni intellettuale deve guadagnarsi la sua posizione sociale sfornando qualcosa di originale. Ciò costituisce un elemento di forza della borghesia: confonde le idee alle masse (un esempio: le masse sentono mille teorie sulla crisi ma in definitiva non sanno da dove venga e cosa fare per uscirne) e dà ad ogni parte di esse una teoria che meglio si adatta a qualche sua particolare esperienza che la teoria assume e tratta in modo unilaterale (a chi è insofferente verso lo straniero, una teoria dice che la crisi viene dall’invasione degli stranieri; a chi è frastornato dall’invasione di prodotti di mille paesi, una teoria dice che la crisi viene dalla mondializzazione; a chi è schiacciato dalla concorrenza una teoria dice che la crisi viene dalla concorrenza sfrenata; a chi non riesce a trovare lavoro, una teoria dice che l’incremento demografico è eccessivo; ecc.). È anche un elemento di debolezza della borghesia perché apre mille canali di cui approfitta chi diffonde tra le masse la teoria e le parole d’ordine comuniste; essa infatti ha eliminato le barriere che opponevano alla diffusione di idee nuove le chiuse società feudali, clericali e poliziesche di un tempo.

Tra le mille teorie alcune fanno a pugno con i fatti, sono invenzioni della fantasia. Altre teorie invece tengono conto di fatti reali, ma danno di essi un’interpretazione e stabiliscono tra essi connessioni che corrispondono non al contesto reale in cui i fatti stanno, ma alla concezione della classe di cui l’autore è portavoce (che non sempre corrisponde alla classe di appartenenza dell’autore stesso).(1) Il mondo, la vita e la società assumono un aspetto diverso se si guardano da un sottoscala piuttosto che da un palazzo, dal fondo di una miniera piuttosto che dalla sede di una società finanziaria.

Contro le teorie sbagliate bisogna lottare. Certo, in definitiva le nostre controversie teoriche non verranno però risolte con la teoria, con la lotta teorica, con l’arma della critica. La nostra teoria, la teoria per noi comunisti, è la guida della nostra azione a favore della rivoluzione socialista. Quindi le controversie teoriche si risolvono in definitiva con l’azione. Non con l’azione che elimina o intimidisce chi sostiene una teoria diversa, come fanno i poliziotti e gli squadristi della borghesia e anche alcuni “sinistri” che condividono la concezione idealista della borghesia secondo cui le contraddizioni sociali vengono dalle idee, quindi causa dei contrasti sociali sono quelli che li pensano e i contrasti si eliminano eliminando questi. Le nostre controversie teoriche in definitiva saranno risolte con l’azione per la rivoluzione socialista. La teoria guida dell’azione vittoriosa sarà la teoria vittoriosa. Infatti l’azione sarà vittoriosa perché avrà avuto a sua guida una teoria abbastanza corrispondente alla realtà.

 

(1) A questo proposito vedasi K. Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, 1852, in Opere complete, vol. 11. Marx ivi definisce Ledru-Rollin, Ruge, Kossuth, Mazzini, ecc. “rappresentanti del piccolo-borghese”, ma aggiunge che essi sono tali non nel senso che essi siano necessariamente “per cultura e per situazione personale” dei bottegai o dei piccoli borghesi in genere, bensì nel senso che “la loro intelligenza non va al di là dei limiti che il piccolo-borghese stesso non oltrepassa nella sua vita e perciò essi tendono, nel  campo della teoria, agli stessi compiti e alle stesse soluzioni a cui l’interesse materiale e la situazione sociale spingono il piccolo-borghese nella pratica”.

 

Quindi è inutile il dibattito teorico? No, esso è indispensabile per due scopi. 1. Lottando contro le teorie sbagliate la teoria giusta si forma e si arricchisce. 2. Lottando contro le teorie sbagliate la teoria giusta acquista seguaci e rafforza la convinzione di quei suoi seguaci che hanno attitudini teoriche, quindi acquisisce maggiori protagonisti e promotori di quell’azione rivoluzionaria per guidare la quale la teoria rivoluzionaria è nata.

Teresa

 

***** Manchette

Dalla Premessa al Progetto di Manifesto Programma del nuovo partito comunista italiano - Segreteria Nazionale dei CARC

Ed. Rapporti Sociali

“Il mondo in cui viviamo è tutto scosso da gravi convulsioni.

Tra le grida di milioni di uomini e donne sacrificati al profitto, nel clamore delle crisi che travolgono ora un paese ora un altro, nel fragore delle guerre, chi oggi ricorda più gli opportunisti e i portavoce della borghesia imperialista che meno di dieci anni fa a seconda dei ruoli deploravano o cantavano le glorie della “pace” e del “1989 anno della rivoluzione democratica”, assicuravano che nella “democrazia” finalmente trionfante non vi sarebbero più state burrasche, proclamavano per bocca del Presidente dei gruppi imperialisti americani e con la benedizione del Papa il “nuovo ordine mondiale” e la “morte del comunismo”?

Di tutte quelle grida l’unica che la borghesia fa ancora risuonare è “morte del comunismo”: è lo scongiuro con cui vuole allontanare un pericolo. Essa sempre più di rado osa promettere alle masse una soluzione all’attuale crisi e sempre più si riduce a proclamare che nessuno può porvi rimedio, tanto meno i comunisti. Ma dalle contraddizioni del capitalismo, rese nuovamente laceranti dal procedere della sua seconda crisi generale, rinasce in ogni angolo del mondo il movimento comunista.

La ricostituzione del partito comunista italiano è un aspetto particolare e una componente della rinascita del movimento comunista in atto in tutto il mondo.

In questo Manifesto Programma noi comunisti italiani dichiariamo la concezione del mondo che ci guida, i metodi con cui operiamo, il bilancio che traiamo dai primi 150 anni del movimento comunista e gli obiettivi che perseguiamo come trasformazioni obiettivamente necessarie e tendenza positiva della società attuale.”

*****

 

A proposito di contraddizioni

Note critiche sull’articolo “Contraddizioni” in Rapporti Sociali n. 20

“Secondo la concezione della dialettica materialista, le trasformazioni che avvengono in natura sono dovute principalmente allo sviluppo delle contraddizioni interne alla natura. Le trasformazioni che avvengono nella società sono dovute principalmente allo sviluppo delle contraddizioni interne alla società, ossia alle contraddizioni tra le forze produttive e i rapporti di produzione, alle contraddizioni tra le classi, alle contraddizioni tra il vecchio e il nuovo. È lo sviluppo di queste contraddizioni che costringe la società ad andare avanti, che conduce alla sostituzione della vecchia società con una nuova.” Mao Tse-tung, Sulla contraddizione, in Opere, vol. 5, p. 186.

 

La contraddizione è universale. In generale la contraddizione esiste nel processo di sviluppo di ogni cosa, è il motore di questo sviluppo ed è interna alla cosa. Il movimento di opposti, che contraddistingue la contraddizione, esiste fin dall’inizio e permane fino alla fine del processo, cioè fino a quando la cosa si trasforma ed inizia un nuovo processo determinato da una nuova contraddizione.

La contraddizione è particolare. In ogni forma di movimento della materia la contraddizione ha un suo aspetto particola re. Cioè esistono contraddizioni specifiche per ogni insieme di forme di movimento della materia. Ad esempio consideriamo la contraddizione tra idealismo e materialismo nella filosofia e la contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione, le classi e la lotta di classe nelle scienze sociali.

Per ogni insieme esistono: la contraddizione fondamentale, la contraddizione principale e le contraddizioni secondarie.

Per quanto riguarda lo sviluppo storico della società umana dobbiamo considerare fondamentale la contraddizione tra lo sviluppo delle forze produttive e i rapporti di produzione. Per quanto riguarda invece la società capitalista dobbiamo considerare che la contraddizione fondamentale sopraindicata assume la forma della contraddizione tra carattere sociale della produzione e carattere privato della proprietà. Nei rapporti di classe della società capitalista questa contraddizione si manifesta nella contraddizione tra la borghesia e il proletariato.

Questa è una forma che assume la contraddizione fondamentale nella fase del capitalismo; ed è anche la contraddizione principale delle società caratterizzate dal modo di produzione capitalista.

Nel processo di sviluppo di ogni cosa la contraddizione fondamentale rimane finché il processo non si conclude. “Per esempio, quando il capitalismo dell’epoca della libera concorrenza si trasformò in imperialismo, non cambiò né la natura delle due classi tra cui esiste la contraddizione fondamentale (il proletariato e la borghesia) né la natura capitalista della società; tuttavia la contraddizione fra queste due classi diventò più acuta, sorse la nuova contraddizione fra il capitale monopolistico e quello non monopolistico, si acuì la contraddizione fra i paesi della metropoli e le colonie, la contraddizione fra paesi capitalisti (ossia la contraddizione generata dallo sviluppo ineguale dei diversi paesi) si manifestò con particolare acutezza; nacque così uno stadio particolare del capitalismo, lo stadio dell’imperialismo. Il leninismo è diventato il marxismo dell’epoca dell’imperialismo e della rivoluzione proletaria proprio perché Lenin e Stalin hanno spiegato in modo giusto queste contraddizioni e hanno elaborato in modo giusto la teoria e la tattica della rivoluzione proletaria per risolverle”. Mao Tse-tung, Sulla contraddizione, in Opere, vol. 5, p. 96.

La contraddizione tra le classi è quindi una manifestazione, una forma della contraddizione fondamentale della società capitalista (carattere sociale della produzione e appropriazione privata), è la contraddizione che definisce nei paesi capitalisti il carattere socialista della rivoluzione proletaria.

Nel processo di sviluppo della società capitalista la contraddizione di classe e la lotta di classe che essa genera sarà fondamentale fino al comunismo. Non pensare che la contraddizione di classe sia fondamentale in ogni momento ed in ogni fase fino alla fine del processo (quindi fino al comunismo, quindi anche nel socialismo) è sbagliato.

 

La contraddizione tra le due classi è anche la contraddizione principale delle società capitaliste (e quindi anche della società italiana attuale) nel senso che governa e influenza lo sviluppo delle altre contraddizioni.

La contraddizione principale può cambiare, in alcuni determinati frangenti cioè una nuova contraddizione principale può governare e influenzare tutte le altre contraddizioni (come è successo in Cina durante l’invasione giapponese). Ma la contraddizione tra le due classi nelle società capitaliste non cessa di rimanere manifestazione della contraddizione fondamentale fino al comunismo passando per la rivoluzione socialista e il processo di transizione.

Lungo il processo di sviluppo le condizioni di una fase sono diverse da quelle di un’altra fase, l’essere principale della contraddizione tra le due classi assume forme più acute e in ogni fase determina ed influenza contraddizioni secondarie che possono a loro volta divenire acute.

L’analisi delle diverse condizioni in cui si sviluppa la contraddizione, l’analisi della fase ovvero quello che Lenin chiamava “analisi concreta della situazione concreta” permette di elaborare in maniera corretta il modo di trattare la contraddizione principale e le secondarie nella fase specifica (ad es. Lenin e Stalin hanno elaborato la teoria della rivoluzio ne proletaria per risolvere la contraddizione di classe che nella fase imperialista era divenuta più acuta).

 

In merito alla contraddizione tra proletariato e borghesia nelle varie fasi va individuato il principale dei due aspetti della contraddizione. Uno è per forza di cose principale, l’altro è secondario, quello principale svolge, nella contraddizione, il ruolo dirigente.

Nel lungo processo di sviluppo della contraddizione tra classe operaia e borghesia imperialista in ogni diversa fase c’è un ruolo dirigente di uno dei due poli. Ad esempio in URSS da una fase in cui il proletariato è subordinato alla borghesia si passa ad una fase in cui conquista il potere e diventa dirigente, si passa poi nuovamente ad una fase in cui la borghesia torna ad essere dirigente.

L’aspetto principale della contraddizione, il polo dirigente può cambiare. All’interno di ognuno degli aspetti della contraddizione possono influire condizioni più o meno sfavorevoli alla sua affermazione dipendenti dalla lotta con l’altro aspetto. Superare le condizioni sfavorevoli o impedire che le condizioni favorevoli diventino sfavorevoli attraverso errori è un compito che la classe operaia che lotta per il potere (il partito) deve svolgere attraverso la lotta tra le due linee. L’errore riguarda quindi il modo in cui viene trattata la contraddizione principale in una data fase. Esso non diventa il polo di una contraddizione (errore-verità).

Gli errori che si compiono lungo il processo della raccolta e preparazione di forze della rivoluzione socialista ed anche nella fase socialista dipendono anch’essi dallo sviluppo della contraddizione fondamentale, dallo stato della lotta di classe che essa genera e dallo stadio da essa raggiunto, dall’inesperienza di una classe e dall’esperienza dell’altra. (1)

 

(1) In generale nella contraddizione teoria-prassi è principale la prassi ma in alcuni momenti, quando non si ha una teoria adeguata e questo porta a fare errori, individuare gli errori applicando il metodo della critica e dell’autocritica, sviluppando la teoria è indispensabile. In quei momenti nella contraddizione teoria-prassi diventa principale la teoria.

 

Cos’è che ha permesso a Lenin di individuare gli errori della Comune se non la lotta della Comune stessa, il bilancio della sua esperienza e l’avanzamento successivo della lotta di classe? Cos’è che ha arrestato e fatto tornare indietro la transizione al socialismo in URSS se non le condizioni oggettive determinate dalla lotta tra le due classi in quel momento? Vedere gli errori al di fuori del processo della lotta di classe, anzi pensare che essi ne determinano l’andamento è sbagliato. Per analizzare gli errori bisogna scoprirne le cause e l’origine. Dire che gli errori non corretti dal partito in URSS hanno portato al trionfo del revisionismo non basta, bisogna studiare le caratteristiche del partito nelle diverse fasi e per studiarle bisogna principalmente studiare la base di classe del partito e le contraddizioni che su tale base sono sorte nei diversi periodi. Gli errori quindi provengono e sono determinati dalla contraddizione tra le due classi, dalla lotta che essa genera e dal prevalere, in questo caso in seno al partito, delle idee giuste o di quelle errate (linea rossa e linea nera). Lotta che è il riflesso della contraddizione tra le due classi. Il metodo per trattare questa contraddizione in seno al partito è quello della critica e dell’autocritica.

La questione tra verità ed errore o meglio tra vero e falso riguarda il modo in cui si legge la realtà, riguarda la concezione del mondo; per il materialismo dialettico la verità è oggettiva, è assoluta ed è il risultato dell’accumulazione di molte verità relative (processo di conoscenza: dal particolare all’universale), non esiste contraddizione tra verità ed errore, esse si oppongono in modo assoluto. La contraddizione è tra verità assoluta e verità relativa. “Ogni verità deve essere oggettiva. La verità e l’errore si oppongono e si identificano in modo assoluto. L’unico mezzo per stabilire se una conoscenza è vera, è verificare se essa riflette o no le leggi oggettive”. Mao Tse-tung, Sul materialismo dialettico, in Opere, vol. 5, p. 154.

  

In conclusione dobbiamo considerare che la contraddizione tra borghesia e proletariato è la manifestazione, nei rapporti di classe, della contraddizione tra il carattere sociale della produzione e il carattere privato della proprietà che è fondamentale lungo tutto il processo di trasformazione sociale fino al comunismo.(2) Essa è anche la contraddizione principale nella società capitalista e nella nostra situazione attuale.

Dobbiamo inoltre considerare che il rapporto verità-errore non è definibile nei termini di una contraddizione ma riguarda la concezione del mondo e il processo della conoscenza. La verità e l’errore si oppongono e si identificano in maniera assoluta. La contraddizione è tra verità assoluta e verità relativa.

 

Erinna

(2) Quando Marx applicò la legge della contraddizione inerente alle cose allo studio della struttura economica della società capitalista, egli scoprì che la contraddizione fondamentale di questa società è la contraddizione fra il carattere sociale della produzione e il carattere privato della proprietà. Questa contraddizione si manifesta nella contraddizione fra il carattere organizzato della produzione nelle singole imprese e il carattere disorganizzato della produzione a livello dell’intera società. Nei rapporti di classe, questa contraddizione si manifesta nella contraddizione fra la borghesia e il proletariato. Mao Tse-tung, Sulla contraddizione, in Opere, vol. 5, p. 199.

 

 

***** Manchette

 

materiali di studio sul partito

 

CARC, F. Engels/10, 100, 1000, CARC per la ricostruzione del partito comunista (1995).

CARC, Il bilancio del movimento comunista, Convegno di Firenze 14 marzo 1998.

CARC, Intervento all’assemblea costitutiva della Confederazione dei Comunisti Autorganizzati, Firenze 7 febbraio 1998.

CARC, Sul maoismo, terza tappa del pensiero comunista (1994).

Engels, Per la storia della Lega dei comunisti (1885).

Engels, Critica del programma di Erfurt (1891).

Engels, Introduzione dell’edizione tedesca del 1891 a La guerra civile in Francia di Marx.

Internazionale Comunista, Condizioni per l’ammissione all’Internazionale Comunista (6 agosto 1920).

Internazionale Comunista, Risoluzione sul ruolo del partito comunista nella rivoluzione proletaria (24 luglio 1920).

Internazionale Comunista, Tesi della V riunione plenaria del Comitato Esecutivo allargato sulla bolscevizzazione (aprile 1925).

Internazionale Comunista, Lettera del Comitato Esecutivo dell’IC al Partito Comunista d’Italia (4 settembre 1925).

Lenin, La campagna elettorale per la quarta Duma e i compiti della socialdemocrazia rivoluzionaria (1912).

Lenin, Progetto di programma del nostro partito (1899).

Mao Tse-tung, Contro il liberalismo (1937).

Mao Tse-tung, Alcune questioni riguardanti i metodi di direzione (1943).

Mao Tse-tung, Risoluzione su alcune questioni della storia del nostro partito (1945).

 Mao Tse-tung, Ancora sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi (1963).

Mao Tse-tung, / dieci punti (1963).

Marx-Engels, Indirizzo del Comitato Centrale della Lega dei Comunisti (1850).

Marx-Engels, Manifesto del partito comunista (1848).

Marx, Indirizzo inaugurate dell’Associazione Internazionale degli Operai (1864).

Marx, Statuti provvisori dell’Associazione Internazionale degli Operai (1864).

Marx, Critica del programma di Gotha (1875).

Partito Comunista d’Italia, Tesi politiche, la situazione italiana e la bolscevizzazione del partito, cap. IV delle Tesi del congresso di Lione (20-26 gennaio 1926).

Partito Operaio Socialista Tedesco, Programma di Erfurt (1891).

PCE(r), La guerra di Spagna, il PCE e l’Internazionale Comunista (1995).

PCE(r), Manifiesto programa - Proyecto (IV congresso) (aprile 1996).

PCP, Documenti fondamentali (1988).

PCP, Sulla costruzione del partito (1976).

Raccolta degli articoli pubblicati in Resistenza n. 1(98), 2(98), 4(98), 5(98).

Secchia, Sulla tattica del PCI nel momento attuale (dicembre 1947).

Stalin, La classe dei proletari e il partito socialdemocratico - A proposito del primo paragrafo dello Statuto del partito (gennaio 1905).

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Critica a “Per una discussione sull’esperienza della costruzione del socialismo” (articolo di Rapporti Sociali n. 21)

Studiare, assimilare, verificare, migliorare il Progetto di Manifesto Programma del nuovo partito comunista italiano!

 

Una bandiera per tutti i compagni e le FSRS che lottano per la ricostruzione del partito comunista italiano!

 

Una discriminante per distinguere chi lotta veramente per la ricostruzione del partito.

 

Il Progetto di Manifesto Programma pubblicato dalla SN dei CARC è unico nel suo genere per coerenza con l’elaborazione svolta lungo un periodo di anni, per sistematicità, per estensione: non esiste oggi in Italia un’altra proposta del genere. Che sia impossibile costruire un partito comunista senza un programma fa parte dell’esperienza del movimento comunista. Il movimento comunista esce dalla preistoria e inizia la sua storia nel 1848 con il Manifesto del partito comunista. Il partito bolscevico si è formato sul programma che il POSDR approvò nel suo congresso del 1903. Tutti i partiti comunisti nati durante la prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale (1914-1945) hanno avuto alla loro base il programma dell’Internazionale comunista approvato nel 1920. Questa esperienza e questo insegnamento del movimento comunista sono riassunti in un’affermazione di Lenin che in questi mesi è la parola d’ordine che deve illuminare e guidare il lavoro di tutti i sinceri e coerenti sostenitori della ricostruzione del partito: “Senza teoria rivoluzionaria non c’è movimento rivoluzionario”. Chi è, nei fatti, contrario o indifferente alla ricostruzione del partito e chi ha una concezione movimentista del partito, in questi mesi si distingue e si smaschera non perché parla contro la ricostruzione del partito, ma perché partecipa di malavoglia o non partecipa affatto al lavoro per definire il programma del futuro partito comunista, cioè al lavoro sul Progetto. Viceversa chi non partecipa attivamente al dibattito per definire il programma del partito, o è contrario alla ricostruzione del partito o ha una concezione sbagliata e non comunista del partito, una concezione movimentista del partito. I movimentisti infatti concepiscono il partito come un’organizzazione di lotta (per loro la lotta è tutto, il fine nulla) senza unità ideologica e senza unità di obiettivi; hanno, per intenderci, in testa un parti to al modo in cui lo erano Lotta continua e l’Autonomia. Quando la SN dei CARC ha pubblicato il Progetto e lo ha posto in discussione, ha fornito un mezzo semplice, alla portata di tutti, per distinguere chi si limita a invocare la ricostruzione del partito e chi ha una concezione movimentista del partito. “Ma non basta aderire a un manifesto programma per fare il partito” ha già obiettato un redattore di Rossoperaio (n. 6, gennaio 1999). Un’ovvietà che quelli che sono contrari alla costruzione del partito o hanno una concezione movimentista del partito ripeteranno spesso nei prossimi mesi. Saggio! Come dire che “non basta la testa per fare un uomo”. Ma sfidiamo a trovare un uomo senza testa!

È nell’ordine delle cose che in ogni FSRS ci siano alcuni che si oppongono in vari modi alla ricostruzione del partito. Perché la costituzione del partito è una rottura col loro e nostro passato, è una svolta nella nostra attività ed è in questa fase l’aspetto principale dello scontro politico nel nostro paese. Di fronte a ogni svolta di una certa importanza, e questa lo è, “l’uno si divide in due”: una parte dei vecchi compagni si trasforma e compie un salto, altri restano attaccati alle vecchie idee o pratiche, oramai superate dagli eventi. Che lo voglia o no, ognuno di essi si schiera. Se non concepiamo il lavoro per la ricostruzione del partito anche come una lotta contro quelli che si oppongono alla ricostruzione (e vi si opporranno con ogni mezzo), la nostra ardua impresa diventerà ancora più difficile.

Una categoria specifica di compagni che si oppongono alla ricostruzione del partito sono quelli che pur di non studiare e assimilare il Progetto, criticarlo e migliorarlo, siccome dei temi che il Progetto ha messo sul tappeto bisogna pur parlare, attingono qua e là dalla cultura borghese di sinistra e ripropongono vecchie tesi che sono già state superate dal lavoro di assimilazione del patrimonio del movimento comunista e di elaborazione dell’esperienza che è culminato nel Progetto della SN dei CARC, insomma dal lavoro teorico compiuto, in gran parte dai CARC, negli anni passati ed esposto nella rivista Rapporti Sociali e nelle altre pubblicazioni delle Edizioni Rapporti Sociali. Succede così che, pur di non partecipare all’elaborazione del programma nel modo praticamente in corso (cioè studiando, assimilando, criticando e migliorando il Progetto della SN dei CARC), questi compagni ripropongono vecchi scarti come verità sacrosante. Il fatto che li rivestano di alcune delle nostre tesi, che li rendano il più possibile simili alle nostre tesi, che li combinino ecletticamente con alcune delle nostre tesi,(1) non cambia la sostanza del loro ruolo, anche se richiede più attenzione da parte dei compagni e quindi li costringe ad affinare le proprie capacità. A questo genere di articoli appartiene a mio parere lo scritto di Garabombo Per una discussione sull’esperienza della costruzione del socialismo pubblicato su Rapporti Sociali n. 21. È un’ottima cosa che la rivista abbia pubblicato questo scritto; esso si presta bene a smascherare una delle forme in cui si manifesta e si manifesterà in questo periodo l’opposizione alla ricostruzione del partito.(2) Ovviamente l’opposizione alla ricostruzione del partito non è una “malattia” individuale di Garabombo di cui ci si potrebbe non occupare o occupare in privata sede; essa è un aspetto centrale e inevitabile dello scontro politico dei prossimi mesi: non ci sarebbe lotta per la ricostruzione del partito se non ci fosse opposizione alla ricostruzione del partito, non si può ricostruire il partito senza lottare apertamente contro quanto si oppone alla ricostruzione. È quindi necessario denunciare e smascherare pubblicamente questa opposizione perché ciò rafforza il processo di ricostruzione. Quanto al compagno, ovviamente la critica rende possibile e aiuta l’autocritica e lascia aperta la strada ad essa. Mi auguro quindi che Garabombo intervenga nei prossimi numeri di Rapporti Sociali a proposito del Progetto di Manifesto Programma pubblicato dalla SN dei CARC.

 

(1) Sull’eclettismo consigliamo la lettura di Lenin, Ancora sui sindacati, sulla situazione attuale e sugli errori di Trotski e di Bukharin, 1921, in Opere, vol. 32.

 

(2) L’introduzione della prassi di firmare gli articoli pubblicati su Rapporti Sociali migliora ulteriormente la situazione: è un’ottima combinazione tra la necessaria libertà di espressione e di ricerca con la pratica della critica e dell’autocritica.

 

Io non faccio qui una questione di metodo. Cioè non voglio soffermarmi sul fatto, indicativo però di una precisa collo cazione rispetto al compito politico di elaborare il programma per costruire il partito, che in un periodo in cui la SN dei CARC ha chiamato tutte le FSRS e i lavoratori avanzati del nostro paese a discutere del Progetto per contribuire all’elaborazione del programma del futuro partito (elaborazione che fa parte della seconda delle quattro condizioni per la ricostruzione del partito che da anni tutti i CARC propagandano e alla cui creazione lavorano), Garabombo tratta di un argomento importante, a cui è dedicato un intero capitolo del Progetto (il cap. 1.7 L’esperienza storica dei paesi socialisti) senza farvi alcun riferimento.

Voglio invece entrare in merito a quanto egli dice sul tema del suo scritto e mostrare come proprio questo rifiuto di partecipare al nostro lavoro comune in questa fase lo porti a retrocedere e ad attingere dalla raccolta di A. Catone, La transizione bloccata,(3) le tesi che egli considera migliori, ma che sono manifestamente sbagliate e già indicate come tali nelle pubblicazioni dei CARC.(4) Mi limiterò ovviamente ai principali errori di Garabombo, lasciando ai lettori più pazienti e più scrupolosi il compito di individuare gli altri confrontando lo scritto di Garabombo con il capitolo 1.7 del Progetto e con la propria esperienza.

 

(3) Per evitare contrasti basati su equivoci, preciso che il libro di A. Catone da cui Garabombo attinge le sue tesi è una raccolta in cui l’autore fa la disamina o comunque riferisce anche le opinioni di molti altri autori che Catone non condivide. Per cui non è detto che le tesi che Garabombo riporta dal libro di Catone, siano condivise da Catone. Deve quindi essere chiaro che in questo articolo io non mi occupo delle opinioni di Catone.

 

(4) Oltre al capitolo 1.7 del Progetto occorre ricordare che all’esperienza dei paesi socialisti sono dedicati, nelle pubblicazioni dei CARC, i seguenti scritti:

Rapporti Sociali n. 5/6, 1989, 11 crollo del revisionismo moderno,

Rapporti Sociali n. 5/6, 1989, Per il bilancio dell’esperienza dei paesi socialisti,

Rapporti Sociali n. 7, 1990, Ancora sul bilancio dell’esperienza dei paesi socialisti,

Rapporti Sociali n. 8, 1990, La restaurazione del modo di produzione capitalista in Unione Sovietica,

Rapporti Sociali n. 9/10, 1991, Per il marxismo-leninismo-maoismo. Per il maoismo (in particolare le parti 2.7 e 2.8),

Rapporti Sociali n. 11, 1991, Sull’esperienza storica dei paesi socialisti,

I fatti e la testa, 1983, Il socialismo: transizione dal capitalismo al comunismo.

 

 

1. In cosa consiste la transizione dal capitalismo al comunismo.

Il Progetto (pag. 46) dice chiaramente: “Il socialismo è la trasformazione dei rapporti di produzione, del resto dei rapporti sociali e delle conseguenti concezioni per adeguarli al carattere collettivo delle forze produttive e il rafforzamento del carattere collettivo di quelle forze produttive per cui esso è ancora secondario”. Esso poi sommariamente illustra per ognuno dei campi indicati le trasformazioni compiute nei paesi socialisti.

Garabombo riprende la definizione del Progetto senza citare la fonte, ma la amputa. Egli afferma che “... non è possibile proseguire il processo di costruzione del socialismo ... in definitiva senza procedere nell’adeguare i rapporti di produzione al carattere collettivo che le ’forze produttive hanno già assunto nel capitalismo e che si sviluppa ulteriormente nella fase socialista ...” (pag. 18 c. 3 r. 17). Garabombo ha amputato la nostra definizione togliendo “il resto dei rapporti sociali e le conseguenti concezioni”. Quindi Garabombo esclude silenziosamente dalla trasformazione (o comunque passa sotto silenzio) la sovrastruttura (il resto dei rapporti sociali e le concezioni). Riduce le trasformazioni da attuare a quelle relative alla struttura (in realtà, come vedremo, solo a una parte della struttura).

La definizione di Garabombo circa il contenuto della transizione dal capitalismo al comunismo è contraria alla tesi comune ai marxisti da Marx in avanti, è contraria all’esperienza dei paesi socialisti e veicola nelle nostre fila (ed è indice di) una concezione ristretta del materialismo storico, quella che Engels e Lenin hanno chiamato “una caricatura del marxismo”. Secondo questa concezione la sovrastruttura deriva direttamente, immediatamente e in tutti i suoi aspetti dalla struttura. Di conseguenza “in definitiva” per procedere verso il comunismo basterebbe (e sarebbe possibile) procedere nella trasformazione dei rapporti di produzione senza trasformare “il resto dei rapporti sociali e le concezioni degli uo mini”. Per quanto direttamente ci riguarda oggi, non è possibile definire in modo giusto la nostra linea considerando solo i rapporti di produzione, senza tenere nel debito conto la sovrastruttura (“il resto dei rapporti sociali e le concezioni”). Questa “caricatura del marxismo” porta all’economicismo.

Garabombo certamente obietterà che in altre parti del suo scritto (es. a pag. 18 c. 2 r. 16) egli parla della estensione della lotta di classe “dalla struttura alla sovrastruttura”. Ma che senso ha dare una definizione monca della trasformazione e giustificarla in nome del fatto che l’autore, da buon eclettico, non si attiene ad essa e da qualche altra parte aggiunge qualcosa d’altro, anziché assimilare e usare la formula chiara, precisa e completa già data dal Progetto?

 

2. Cosa sono i rapporti di produzione?

Il materialismo storico e in generale il marxismo attribuiscono grande importanza ai rapporti di produzione. Una giusta comprensione dei rapporti di produzione è importante per tutta la nostra attività politica. Su di essi si basa l’analisi di classe (v. Progetto di Manifesto Programma, cap. 3.2 e Rapporti Sociali n. 20 La composizione di classe della società italiana, pag. 25 e segg.) e in generale tutta l’analisi della società. I marxisti quindi hanno studiato a fondo i rapporti di produzione. Secondo i marxisti i rapporti di produzione comprendono:

1. la proprietà delle forze produttive,

2. i rapporti tra gli uomini nella produzione,

3. la distribuzione del prodotto tra gli individui (i rapporti di distribuzione).

Anche in questo il Progetto dà indicazioni chiare, precise e complete nel capitolo 1.7 e nell’altro passo sopra citato.

Garabombo invece limita i rapporti di produzione alle forme di proprietà e alla divisione sociale del lavoro (pag. 18 c. 3 r. 12 e ancora pag. 20 c. 3 r. 47).

Garabombo omette sistematicamente di considerare il terzo aspetto dei rapporti di produzione (i rapporti di distribuzione). È un aspetto che ha una parte rilevante nel programma di ogni partito comunista (instaurazione della distribuzione secondo il principio “a ognuno secondo la quantità e qualità del suo lavoro” e successivo passaggio graduale alla distribuzione secondo il principio “a ognuno secondo i suoi bisogni”); è un aspetto che ha avuto una grande importanza nella storia dei paesi socialisti (vedremo che anche Garabombo implicitamente ne tratta, e in modo sbagliato, in altra sede quando tira in ballo il corporativismo); è un aspetto importante di tutta l’attività attuale delle masse (lotte rivendicative e difesa delle conquiste).

 

(5) Vedi I dieci grandi rapporti, 1956, in Opere di Mao Tse-tung, vol. 13.

 

Garabombo riduce sistematicamente il secondo aspetto dei rapporti di produzione alla divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale e omette la divisione del lavoro tra donne e uomini, tra giovani e adulti, tra razze e nazionalità diverse, tra regioni e zone, tra città e campagna; la divisione tra lavoro nella pubblica amministrazione e lavoro nella produzione di beni e servizi, tra lavoro impiegatizio e lavoro operaio, tra lavoro nelle grandi aziende e lavoro nelle piccole unità produttive, tra i lavori nei diversi settori produttivi, tra lavoro semplice (astratto) e lavoro complesso (concreto). Dimenticare queste divisioni sociali del lavoro e limitare il tutto alla divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale “fa molto ’68”, ma è contrario al marxismo,(5) rende monca e sterile la nostra attività politica, la priva di dialettica e di flessibilità. Ci impedisce di comprendere quello che oggi avviene sotto il nostro naso net nostro paese (ad es. la divisione sociale del lavoro tra Nord e Sud, la divisione del lavoro tra lavoratori italiani e lavoratori immigrati); ci impedisce di comprendere la divisione sociale del lavoro tra aree e nazioni mantenuta e incrementata dai revisionisti moderni nei paesi socialisti su cui fa oggi leva la borghesia imperialista per fomentare le mille guerre “nazionali, “etniche”, “religiose”, “tribali”, ecc. attraverso cui cerca di portare avanti la restaurazione del capitalismo.

 Garabombo sistematicamente nel primo aspetto dei rapporti di produzione confonde

- la proprietà della forza-lavoro e la proprietà delle altre forze produttive (mezzi di produzione, materie prime, prodotti finiti, denaro),

- la proprietà capitalista delle “altre forze produttive” e la proprietà dei lavoratori autonomi (contadini, artigiani, professionisti, bottegai),

- la proprietà individuale delle forze produttive e la proprietà collettiva delle stesse,

- ciò che è caratteristico del modo di produzione capitalista e le Forme Antitetiche dell’Unità Sociale che inevitabilmente si formano nell’epoca imperialista anche nelle società capitaliste.

- proprietà e forme giuridiche della proprietà.

 

3. La proprietà della forza-lavoro nella società socialista.

Garabombo narra che ad un certo punto della storia dell’URSS “la proprietà della forza-lavoro cessò di essere della classe operaia e fu esercitata dai gruppi legati al lavoro intellettuale” (pag. 19 c. 1 r. 14) e che questi “gruppi legati al lavoro intellettuale” … “espropriavano alla classe operaia il sapere sulla produzione” (pag. 19 c. 1 r. 19).

Anche qui Garabombo brancola nella nebbia e spande confusione. Il Progetto tratta sommariamente, forse troppo sommariamente data l’importanza dell’argomento, della proprietà individuale della forza-lavoro e della sua trasformazione graduale, nel corso della società socialista, in proprietà collettiva. Nelle pubblicazioni dei CARC la trattazione più sistematica della questione della “proprietà della forza-lavoro” a quella fatta nel capitolo Il socialismo: transizione dal capitalismo al comunismo, pag. 52-81 de I fatti e la testa, 1983.

La forza-lavoro non è mai stata proprietà collettiva della classe operaia, né la classe operaia è mai esistita come collettivo titolare di una proprietà. La classe operaia si è formata con la società borghese. Uno dei tratti essenziali della società borghese è la proprietà individuale della propria forza-lavoro da parte del proletario (di chi non ha altra proprietà e quindi non ha altro modo di campare che vendere la sua forza-lavoro) e la libertà del singolo proletario di vendere la propria forza-lavoro a chi gliela vuole comperare. Nel corso del suo sviluppo la società borghese ha dovuto sviluppare anche in questo campo varie Forme Antitetiche dell’Unità Sociale: sindacati, legislazioni del lavoro, sistemi previdenziali e assicurativi (contro malattia, disoccupazione, vecchiaia), sistemi educativi, politiche demografiche e dell’immigrazione, ecc.

Il socialismo ha ereditato questa situazione e l’ha in qualche misura trasformata: come? fino a che punto? come i passi avanti fatti nella trasformazione da individuale a collettiva della proprietà della forza-lavoro si è combinata con le trasformazioni dell’insieme dei rapporti di produzione e degli altri rapporti sociali? come i revisionisti moderni hanno operato rispetto alle trasformazioni già compiute? Queste sono le domande a cui bisogna rispondere e a cui, forse troppo sommariamente, risponde il Progetto.

Garabombo invece fa galoppare la fantasia. Al modo in cui i vecchi autonomi e operaisti parlavano di “espropriazione della classe operaia” o di “riappropriazione da parte della classe operaia” di cose che la classe operaia non ha mai posseduto, egli ci parla di espropriazione della “proprietà della forza-lavoro” e del “sapere sulla produzione” che ad un certo punto della storia dei paesi socialisti la borghesia avrebbe fatto a danno della classe operaia: cosa che per avere un senso implica che nei paesi socialisti l’una e l’altra fossero già diventate proprietà della classe operaia. Sarebbe inoltre utile, come esercizio contro l’eclettismo, che Garabombo spiegasse anche in cosa consisteva il “sapere sulla produzione” che sarebbe già stato in URSS in mano alla classe operaia, se, come lui sostiene, “nel processo reale della società sovietica” le “differenze sostanziali tra lavoro intellettuale e lavoro manuale” “permasero e contraddistinsero l’ambien te” (pag. 19 c. 1 r. 4).

 

4. Il ruolo della politica (dell’attività organizzata e cosciente del partito comunista, della classe operaia e delle masse popolari) nella società socialista.

“È nostra [di Garabombo] opinione che nel processo di edificazione del socialismo resti in generale principale la struttura e che quindi è dalla struttura e dal suo sviluppo che bisogna partire per comprendere le ragioni della parabola discendente ...”. Questa tesi è ambigua e l’uso che ne fa Garabombo (lo vedremo anche al punto 5 e lo abbiamo già visto al punto 1) chiarisce l’ambiguità della sua tesi in senso sbagliato, nel senso che sottovaluta il ruolo che nella società socialista la sovrastruttura ha rispetto alla struttura.

Anzitutto “le ragioni della parabola discendente” hanno due aspetti che occorre assolutamente distinguere: la possibilità del revisionismo moderno (Garabombo dice “la base su cui ha potuto svilupparsi” - pag. 18 c. 1 r. 54) e l’effettiva traduzione della possibilità in realtà, in tentativo vittorioso (Garabombo dice “le ragioni della sua affermazione” - pag. 18 c. 1 r. 53).

La possibilità di tentativi di restaurazione del capitalismo, di ritorni verso il capitalismo, di marcia all’indietro, era (e anche nel futuro sarà) insita sia nella struttura della società socialista (la trasformazione dei rapporti di produzione nelle società socialiste è arrivata solo fino ad un certo punto se no saremmo già nel comunismo) sia nella sovrastruttura (esiste ancora lo Stato ed esistono ancora i rapporti sociali e le concezioni che in una data misura corrispondono alla vecchia società). Questa possibilità non può essere tolta da nessuna accorta e giusta politica del partito comunista o della sinistra; essa è insita nella natura della società socialista, come la possibilità di abortire è insita in ogni gravidanza. Per questo diciamo che la lotta di classe continua nella società socialista e che il socialismo copre “un’intera epoca di acuti conflitti di classe”.(6) Questa possibilità sarà tolta solo dal completamento dell’epoca socialista, cioè dall’ingresso nell’epoca comunista.

L’effettivo successo dei revisionisti nel prendere il potere in un dato paese, in una data fase del movimento comunista e nell’innestare la marcia all’indietro e nel mantenersi al potere è invece solo un effetto della lotta politica tra la classe operaia (che inizialmente era al potere) e la borghesia (che cercava di prenderlo), quindi della lotta tra le forze politiche che rappresentano le due classi: rispettivamente la sinistra e la destra del partito comunista. Ma ciò può essere compreso solo se si abbandona l’ozioso pregiudizio di analizzare la società socialista, le sue contraddizioni e il suo corso con le categorie usate per la società capitalista. Anche nel campo teorico, bisogna “rassegnarsi” al fatto che siamo entrati nell’epoca delle rivoluzioni socialiste. È un fatto oggettivo cui gli intellettuali borghesi non si rassegnano e perciò seguitano ad analizzare il fuoco con le categorie proprie della legna.

Questa è la concezione che i comunisti hanno derivato dal bilancio dell’esperienza dei paesi socialisti costruiti durante la prima ondata della rivoluzione proletaria.

 

(6) Lenin, La rivoluzione socialista e il diritto delle nazioni all’autodecisione, 1916, in Opere, vol. 22.

 

 

Se siamo unilaterali e teniamo presente solo il primo aspetto, scambieremo la possibilità con la realtà e diremo che la vittoria dei revisionisti dato che c’è stata (cioè il reale) era inevitabile (come in effetti lo è la sua possibilità), che i motivi del loro effettivo successo erano già dati nella fase precedente. Personalizzando diremo che “se Kruscev nel 1956 ha preso il potere, ciò significa che già con Stalin le cose non andavano bene”. A questo si riduce la “scienza” di Garabombo e dei suoi maestri. Chiediamo: e se le cose non andavano bene con Stalin, non significa forse che già non andavano bene con Lenin? Questa concezione non è materialismo dialettico, ma storicismo.(7) Secondo lo storicismo il presente è  già inscritto nel passato ed esso introduce alla “scienza” che la deviazione revisionista degli anni ’50 e il crollo del 1989 erano insiti nella Rivoluzione d’Ottobre. “Non bisognava prendere il potere!”, “la situazione non era ancora matura!”, “il socialismo è fallito perché doveva fallire!”: queste sono le conclusioni logiche della “scienza” di Garabombo. Egli certo non le trae, ma solo perché come già rilevato sopra, nei suoi ragionamenti è superficiale ed eclettico. Se portasse a fondo la sua “scienza”, di fronte alle sue conclusioni certamente si ritrarrebbe.

 

(7) Lo storicismo è una variante di idealismo, è una concezione religiosa laicizzata della realtà. I preti dicono che Dio ha creato il mondo e che tutto quello che si sviluppa nel mondo non è che realizzazione dell’opera di Dio. Gli storicisti dicono che le ragioni del presente sono nel passato: dicono la stessa cosa dei preti, solo senza personificare questo DNA originario del mondo che invece i preti antropomorficamente personalizzano nell’opera di Dio.

 

Se siamo unilaterali e teniamo presente solo il secondo aspetto, invece di studiare la concreta lotta che si e svolta nel caso concreto, attribuiremo l’effettivo successo dei revisionisti alle “cause” che rendevano inevitabili i tentativi di restaurazione e possibile il loro successo e imputeremo a “Stalin” (ma perché non anche a Mao?) l’errore di non aver eliminato quelle “cause” che era in realtà impossibile eliminare. In vari passaggi, seppure mai in modo netto e chiaro, Garabombo pone come causa della deviazione revisionista il fatto che “differenze sostanziali tra lavoro intellettuale e lavoro manuale…permasero e contraddistinsero l’ambiente in cui il carattere sociale della proprietà… prima cessò di svilupparsi poi arretrò” (pag. 19 c. 1 r. 5). Solo la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria avrebbe posto “il problema del superamento della divisione sociale del lavoro ereditata dal capitalismo e principalmente quella tra lavoro intellettuale e lavoro manuale” (pag. 18 c. 2 r. 18). Insomma la causa del successo del revisionismo moderno in URSS starebbe nel fatto che la “direzione staliniana” non si sarebbe occupata delle cause (pag. 21 c. 1 r. 52).

Come è che il PCUS nel 1956 e il PCC nel 1976 hanno imboccato la strada del revisionismo? Perché nei due partiti la destra è riuscita a prendere il sopravvento sulla sinistra e ad estrometterla dal potere (e nel PCC addirittura una destra che era già stata più volte smascherata e additata come tale)? Queste sono le domande cui bisogna rispondere con un’analisi concreta dei casi concreti. Dire che Stalin non si era occupato delle “cause” può soddisfare l’antistalinismo, che è la forma di anticomunismo specifica della cultura borghese di sinistra, ma distorce solo la realtà. Le cause che rendono possibile il revisionismo, si possono (a date condizioni e in alcuni campi) solo indebolire man mano che si avanza verso il comunismo. Le cause per cui nel 1956 la destra riuscì a prendere la direzione in URSS e come è riuscita a mantenerla (e quelle per cui nel 1976 la destra riuscì a prenderla anche nella RPC e la detiene ancora oggi) Garabombo non si sogna neanche di doverle cercare tramite l’analisi concreta delle due distinte situazioni concrete!

La relazione tra struttura e sovrastruttura nella società socialista non è eguale alla relazione che vi è tra struttura e sovrastruttura nella società capitalista: va studiata nei suoi aspetti qualitativamente diversi. Un po’ più avanti (pag. 19 c. 3 r. 12) Garabombo cita (a sua maniera) la giusta tesi (che anch’egli pare condividere) che nella società socialista la struttura può e deve essere modificata in funzione della costruzione del socialismo, cioè degli obiettivi politici della classe operaia. Come diceva Mao, nella società socialista la politica ha (cioè può e deve avere) il posto di comando. Si tratta di sviluppare questa concezione, anziché la “nostra [di Garabombo] opinione”.

 

5. Dove è la borghesia nella società socialista?

Una volta assodato che nella società socialista continua la lotta di classe, è importante comprendere dove è la borghesia. Nella società socialista di cui stiamo parlando (l’URSS, la RPC e gli altri paesi del campo socialista) la proprietà privata capitalista delle forze produttive era stata abolita e (con l’eccezione della Polonia e della Jugoslavia) per l’essenziale era stata abolita anche la proprietà individuale non capitalista (dei contadini, degli artigiani, dei bottegai, ecc.) dei mezzi di produzione. Quindi l’analisi di classe della società socialista richiede criteri diversi di quelli usati nell’analisi della so cietà capitalista, criteri dedotti dallo studio della stessa società, delle sue contraddizioni e del loro movimento. Nella società socialista la politica, intesa come direzione cosciente della trasformazione della società, ha un ruolo qualitativamente nuovo rispetto a quello che aveva nella società capitalista. La relazione tra struttura e sovrastruttura è qualitativamente diversa, proprio perché parti crescenti della attività economica sono organizzate e dirette in modo cosciente. Non si può studiare una società superiore (la società socialista) con i criteri e le categorie di una società inferiore: sarebbe come voler interpretare la società capitalista con le categorie della società feudale. Il fuoco deriva dalla legna, ma solo dei dogmatici incalliti cercherebbero di applicare al fuoco le stesse categorie con cui studiamo la legna. Il criterio per studiare la struttura e la sovrastruttura di una società è chiaramente indicato da K. Marx nel capitolo 11 metodo dell’economia politica nella introduzione dei Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica (Grundrisse), 1857, in Opere complete, vol. 29, pag. 33 e segg.

Alla domanda che abbiamo posto, il PCC guidato da Mao Tse-tung ha dato una risposta precisa, basata sull’esperienza dell’URSS, della RPC e degli altri paesi socialisti. Nei paesi socialisti la borghesia è costituita per l’essenziale dai dirigenti del partito che seguono la via capitalista. Si consulti ad esempio Leninismo o socialimperialismo, 1970, in Opere di Mao Tse-tung, vol. 24, pag. 140. Questa risposta è ripresa nel Progetto (pag. 51 e pag. 53). In questo modo si indica quindi una cosa per un aspetto strutturale e per un altro sovrastrutturale (la società ha una struttura tale che deve ancora avere un partito e uno Stato) e una cosa puramente sovrastrutturale (prendono la via del capitalismo: una questione di linea).

Garabombo invece dà un’altra risposta: “gruppi legati al lavoro intellettuale che controllavano e dirigevano l’organizzazione della produzione” (pag. 19 c. 1 r. 16), “ceti del lavoro intellettuale” (pag. 19 c. 1 r. 23), “gruppi di interesse legati al lavoro intellettuale e dirigente nei diversi settori dello Stato e dell’economia” (pag. 20 c. 1 r. 47), “gruppi di interesse legati al lavoro intellettuale” (pag. 21 c. 1 r. 39). Insomma sicuramente persone che erano intellettuali e forse contemporaneamente anche dirigenti di apparati economici e di istituzioni statali. Sintetizzando le formulazioni di Garabombo, la borghesia nei paesi socialisti è costituita dai tecnici e dai dirigenti delle unità produttive o forse anche dagli intellettuali in genere.

Ovviamente la risposta di Garabombo contrasta con l’esperienza. Nelle lotte condotte nei paesi socialisti dopo che era stata abolita la proprietà capitalista delle forze produttive i caporioni della borghesia sono sempre stati dirigenti del partito comunista: per convincersene basta ripercorrere le lotte tra le due linee condotte dal PC(b) dell’URSS e quelle condotte dal PCC nelle fasi socialiste dei due paesi e vinte dalla sinistra. Trotski, Bukharin, Zinoviev, Kamenev, Kao Kang, Peng Teh-huai e così via erano tutti alti dirigenti del partito. Per quanto riguarda il revisionismo moderno basta citare i nomi di Kruscev, Breznev, Liu Shao-chi, Teng Hsiao-ping, ecc.: tutti alti dirigenti del partito che grazie a questo loro ruolo poterono esercitare il nefasto ruolo che hanno avuto i primi in URSS e i secondi nella RPC. I tecnici, i dirigenti delle unità produttive, ecc. non hanno avuto un ruolo di rilievo nella conquista del potere da parte della destra, conquista che è partita dall’interno dei partiti comunisti. Non è un caso che Garabombo cita all’inizio del suo scritto la lotta tra le due linee (pag. 17 c. 3), ma essa non compare nell’analisi delle cause del successo del revisionismo moderno.

 

6. Il corporativismo come caratteristica unica o principale del tentativo di restaurazione graduale e pacifica del capitalismo condotto dai revisionisti moderni.

Come si manifesta in URSS il tentativo di restaurazione del capitalismo? Quali sono i concreti passi all’indietro promossi dai revisionisti moderni e che hanno portato i paesi socialisti alla loro rovina? Il Progetto dedica alla risposta a queste domande il sottocapitolo 1.7.5. (pag. 48-49). Il PCC ha dato delle risposte concrete sia per quanto riguarda  l’URSS (vedasi Lo pseudocomunismo di Kruscev e gli insegnamenti storici che dà al mondo, 1964, in Opere di Mao Tse-tung, vol. 21) sia per quanto riguarda la RPC.

Garabombo la pensa diversamente. Sarebbe la combinazione corporativa tra dirigenti delle unità operative e operai il fenomeno in cui si sarebbe manifestata principalmente la marcia indietro. Garabombo prende un aspetto della realtà, lo isola arbitrariamente da tutti gli altri e lo eleva al ruolo di unico aspetto. In effetti sia in Unione Sovietica durante la fase socialista (la Piattaforma del blocco costituito dall’opposizione nel 1926, poi Bukharin e il suo appello “arricchitevi!”) sia in Cina durante la fase socialista prima (es. Peng Teh-huai) e durante la GRCP vi sono stati tentativi della borghesia di far leva sul corporativismo degli operai più arretrati.(8) Tentativi di far leva sul corporativismo degli operai più arretrati vi sono stati anche dopo che i revisionisti hanno preso il potere, sia in URSS che nella RPC. Ma chi può ad esempio sostenere che attualmente la destra in Cina sta facendo del corporativismo?

 

(8) Nella lettera dell’ottobre 1926 al CC del PC(b)R che stese a nome dell’Ufficio Politico del Partito Comunista d’Italia, A. Gramsci mette bene in luce la linea corporativa della piattaforma del blocco di opposizione formato nel ‘26 da Trotski, Zinoviev e Kamenev (vedasi La costruzione del partito comunista, C. Einaudi Editore, 1974, pag. 125 e segg.).

 

Dato che vi sono stati questi ripetuti tentativi della borghesia, la degenerazione dei paesi socialisti sarebbe avvenuta tramite la combinazione tra dirigenti che volevano privilegi e sprechi e operai che volevano lavorare il meno possibile, meglio se niente. Questa tesi non è una trovata di Garabombo, è una invenzione degli operaisti. Rita Di Leo, la portavoce dell’operaismo tra i sovietologi italiani, ha scritto a destra e a manca sul “compromesso sovietico” e le sue teorie sono largamente e favorevolmente citate nella “bibbia” a cui Garabombo ha attinto la sua scienza, la già citata raccolta di A. Catone. La tesi del corporativismo non sta in piedi, è una creazione di intellettuali borghesi che scambiano con la realtà alcuni tentativi messi in atto dalla borghesia nei paesi socialisti e soprattutto le sue dichiarazioni demagogiche. Sono gli stessi intellettuali borghesi che dipingono le conquiste strappate con dure lotte dalla classe operaia dei paesi imperialisti come un compromesso tra operai e borghesia, “modello fordista”. Che il “compromesso sovietico” (o corporativismo, come Garabombo lo chiama) sia un’invenzione è chiaro se anche solo si considera che la classe operaia sovietica aveva fatto la rivoluzione, due guerre (1918-1921 e 1941-1945) e aveva ricostruito il paese due volte. Sostenere che il grosso di questa classe operaia era arretrata e grettamente corporativa, facile a lasciarsi corrompere da qualche promessa e da qualche privilegio è pura denigrazione. Per condurre il paese alla rovina i revisionisti moderni dovettero fare i conti non con qualche operaio arretrato, ma con la parte più matura, avanzata e sperimentata della classe operaia raccolta nel partito comunista. Sostenere che i dirigenti sovietici erano nel loro complesso una manica di banditi protesi a procurarsi “gioie e piaceri” (come una parte, ma solo una parte della borghesia imperialista) è altrettanto in contrasto con i fatti a tutti noti. La realtà, come il Progetto indica chiaramente, è che i successi raggiunti alla fine della prima crisi generale del capitalismo, grosso modo alla fine degli anni ’40, da quella classe operaia tutt’altro che lazzarona e da quei dirigenti tutt’altro che crapuloni, ponevano problemi nuovi a cui la sinistra non seppe dare risposte adeguate. Nei trent’anni di corrosione del socialismo che l’URSS ha passato sotto la direzione dei revisionisti moderni ci sono poi volute ripetute esperienze negative e ripetute operazioni repressive per dissuadere una parte crescente degli operai sovietici dal dare il loro contributo alla società, per portarli a perdere la fiducia nella propria capacità di costruire una società comunista.

È utile comprendere da dove deriva l’immaginario “compromesso sovietico” elaborato dalla Di Leo e dagli altri sovietologi operaisti e ripreso da Garabombo? Per capirlo basta pensare alla concezione che gli operaisti hanno degli operai. Il “rifiuto del lavoro” è ciò che nella mente dell’intellettuale operaista caratterizza l’operaio. Si tratta della versione “di sinistra” della tesi della borghesia che l’operaio è per sua natura lazzarone e profittatore e che se non ci fossero i padro ni a farlo lavorare non combinerebbe nulla. L’operaista pensa che la massima aspirazione dell’operaio è non fare nulla e vivere alle spalle degli altri. Egli scambia la lotta contro lo sfruttamento con la lotta contro il lavoro, perché, essendo borghese, non concepisce altro lavoro che il lavoro salariato. Una concezione tutt’altro che nuova, se già Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista (1848) ritennero di doverla citare (cap. 2). Anche Rapporti Sociali n. 20 ha dedicato un articolo a questa concezione (Benessere individuale e benessere collettivo) e il Progetto (pag. 109) vi ha pure dedicato lo spazio necessario per mostrare come questa denigratoria concezione borghese della classe operaia contrasti con ciò che abbiamo sotto il naso. Il “rifiuto del lavoro” ha sempre avuto più corso nei circoli dell’Autonomia che tra la classe operaia. Come si può lavorare alla ricostruzione del partito ed essere coerenti dirigenti della lotta della classe operaia per il comunismo se si nutre nella propria testa una simile concezione della classe operaia? Se si pensa che i paesi socialisti sono andati in rovina perché la classe dominante per stare al potere ha fatto “troppe concessioni” agli operai? Come si può prendere posizione contro i revisionisti moderni e contemporaneamente pensare che i revisionisti moderni sarebbero i buoni che si sono rovinati facendo concessioni impossibili agli operai, contro i “cattivi stalinisti” che li facevano lavorare “come negri”? Da dove sarebbero venuti tutti quegli speculatori che hanno acquistato le industrie e le ricchezze collettive messe in vendita nei paesi socialisti dopo la svolta del 1989-1991? Un tempo Rapporti Sociali criticò Negri e gli altri maestri dell’Autonomia, dicendo che essi avevano la stessa concezione del mondo della destra borghese, solo che ne traevano conclusioni opposte: ad esempio sia loro che la destra dicevano che la spesa pubblica mandava in rovina l’economia dei paesi capitalisti, ma gli operaisti concludevano “far salire la spesa pubblica per far saltare il paese”, mentre la destra concludeva “ridurre la spesa pubblica per evitare la rovina del paese”. Dispiace dire che bisogna muovere ancora oggi la stessa critica a Garabombo.

 

7. Il bilancio della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (GRCP).

La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (1966-1976) è stata condotta per togliere il potere ai revisionisti moderni nel PCC e nella RPC ed essa li ha effettivamente spodestati e per dieci anni li ha tenuti lontano dal potere.

Garabombo riassume (pag. 18 c. 2 r. 11) l’opera della GRCP in tre punti:

1. mobilitazione delle masse a difesa della dittatura del proletariato,

2. estensione della lotta di classe alla sovrastruttura,

3. aver posto il problema del superamento della divisione sociale del lavoro, specialmente di quella tra lavoro intellettuale e lavoro manuale.

Gli obiettivi e la natura della GRCP sono stati ripetutamente illustrati da Mao e da altri dirigenti del PCC e della stessa GRCP. I tratti essenziali della GRCP sono i seguenti.

1. La continuazione della lotta di classe nella società socialista: il pericolo principale per la classe operaia e le masse popolari è all’interno del paese. I paesi socialisti durante la loro breve esistenza sono stati continuamente minacciati dalle potenze imperialiste e più volte e in varie forme sono stati aggrediti. Nella lotta, sempre vittoriosa, contro queste aggressioni la classe operaia e il suo partito erano sempre riusciti a mobilitare la gran massa della popolazione. Questo induceva a sottovalutare il pericolo della restaurazione dall’interno rispetto a quello dell’aggressione e a considerare i nemici interni come appendici e agenti dei gruppi imperialisti: insomma induceva a sottovalutare la lotta di classe. La GRCP ha messo in luce quale è, in linea di massima, il pericolo principale.

2. Lo smascheramento della natura della borghesia nei paesi socialisti: essa è costituita principalmente da alti dirigenti del partito che seguono la via capitalista. In Unione Sovietica “era evidente” che era così: la dittatura del proletariato per mantenersi aveva dovuto via via eliminare dal potere quelli che la pubblicistica borghese chiama “gran parte della  vecchia guardia bolscevica”. Ma non era stato fatto il bilancio di quella esperienza e ancora oggi (l’abbiamo visto al punto 5) da più parti si cerca di oscurare questa grande conquista, gravida di conseguenze: la borghesia ha bisogno di mascherarsi e camuffarsi.

3. Il carattere di vera e propria rivoluzione politica che assume la lotta di classe anche nei paesi socialisti: è una rivoluzione per togliere il potere ai dirigenti che promuovono la via al capitalismo e trasformare la sovrastruttura politica del paese. Alla GRCP è rimasto il nome di “culturale” perché è iniziata nel 1966 nelle istituzioni culturali, ma è stata una rivoluzione politica.

Garabombo invece attribuisce alla GRCP obiettivi che erano già pratica comune nei paesi socialisti (lo conferma anche la nota 15 dello scritto di Garabombo), quindi anche in URSS nel periodo della costruzione del socialismo 1917-1956, per poter poi accampare errori di Stalin che esistono solo nella sua fantasia, mentre trascura quelli che più profondi conoscitori della costruzione del socialismo in Unione Sovietica hanno indicato.(9)

 

(9) Vedere Sulla questione di Stalin, 1963, in Opere di Mao Tse-tung, vol. 20; Su “Problemi economici del socialismo nell’URSS” di Stalin, 1958, in Opere di Mao Tse-tung, vol. 16 e vol. 17; Note di lettura del “Manuale di economia politica”, 1960, in Opere di Mao Tse-tung, vol. 18.

 

8. Dittatura del proletariato per costruire il socialismo o lotta nazionale per uscire dall’arretratezza?

Nella raccolta di Catone (pag. 161) è scritto e Garabombo fedele trascrive: “La principale ragione che spinse la dirigenza sovietica ad abbandonare la NEP e a passare alla pianificazione centralizzata dell’economia fu che la NEP non garantiva i ritmi di sviluppo ritenuti indispensabili per uscire dall’arretratezza” (pag. 19 c. 2 r. 48).

Garabombo ripete una delle mille calunnie che la borghesia riversa sul PC(b) dell’URSS (su Stalin). Esso avrebbe adempiuto a un compito nazionale (portare la Russia fuori dall’arretratezza: sotto la direzione di quale classe non importa). In realtà il PC(b) dell’URSS ha adempiuto un compito comunista: difendere e rafforzare l’alleanza operai-contadini sotto la direzione degli operai e contribuire alla rivoluzione proletaria mondiale costruendo il primo paese socialista; un corollario “naturale” di questo compito era trasformare un paese capitalista arretrato come la Russia in un paese socialista e quindi avanzato.

Garabombo dovrebbe leggere Stalin. Questi spiega chiaramente che la ragione principale per cui il partito comunista abbandonò la NEP fu che la prosecuzione della NEP oltre il tempo in cui fu praticata, avrebbe portato alla rottura dell’alleanza operai-contadini e alla sottomissione dei contadini alla borghesia. Questo ovviamente avrebbe avuto, tra le altre conseguenze, anche il ritorno dell’URSS in seno al campo imperialista nella posizione subordinata e arretrata che le era propria nella catena imperialista prima del 1917 (e che occuperebbe nel futuro se la restaurazione oggi in corso dovesse andare in porto).

Negli anni ’30 una corrente borghese russa (ben rappresentata dai saggi della raccolta Smena vech, vedasi Rapporti Sociali n. 5/6, pag. 9) vide nella via seguita dall’URSS la via per far uscire la Russia dall’arretratezza. Ma attribuire anche al PC(b)R la visione e gli obiettivi di questo gruppo borghese è sbagliato. La borghesia russa voleva fare uscire la Russia dall’arretratezza, cioè diventare essa stessa una borghesia imperialista potente. Ma era un’aspirazione che la borghesia russa non poteva realizzare perché essa non aveva più la forza di mobilitare le masse a rompere con i residui feudali e con l’imperialismo.(10)

 

(10) I motivi per cui in Europa a partire dalla metà del secolo scorso e dalla fine del secolo scorso nel resto del mondo le borghesie nazionali non sono più riuscite a condurre a fondo la rivoluzione democratico-borghese sono indicati anche nel Progetto (pag. 72). Le successive rivoluzioni democratico-borghesi sono state rivoluzioni di nuova democrazia (rivoluzioni democratico-borghesi dirette dalla classe operaia tramite il suo partito comunista).

 

 Il proletariato russo poteva, doveva e voleva costruire un paese socialista e quindi doveva dirigere i contadini a liberarsi dai residui feudali, dall’imperialismo e dalla borghesia russa. Solo così era possibile costruire un paese prospero per i lavoratori. Questa era anche l’unica via per le masse per “uscire dall’arretratezza”. Lo conferma anche Garabombo un po’ più avanti, quando dice che “l’assicurazione del massimo soddisfacimento delle sempre crescenti esigenze materiali e spirituali di tutta la società può realizzarsi solo con lo sviluppo della lotta di classe” (pag. 20, c. 3 r. 34).

Che questo fosse poi l’intendimento dei dirigenti sovietici, Stalin lo dice esplicitamente. Per cui rimandiamo i nostri lettori alla lettura di quanto egli dice in proposito (ad esempio nella Storia del Partito comunista (b) dell’URSS - breve corso).

Porre l’arretratezza e l’uscita dall’arretratezza senza considerare i caratteri diversi che queste due cose assumevano per le due classi antagoniste, vuol dire fare propria una concezione interclassista.

In base a questa concezione interclassista una corrente borghese giustificava (e giustifica) Stalin in nome del fatto che la Russia usciva dall’arretratezza; questa borghesia operava praticamente per ereditare essa i risultati del lavoro compiuto dai comunisti. Ma è vero che un paese avanzato per gli operai è un paese avanzato anche per i borghesi e che un paese avanzato per i borghesi è avanzato anche per gli operai? Le decine di migliaia di prostitute russe che ora battono i marciapiedi di mezzo mondo e le terribili condizioni che in generale patisce una grande parte della popolazione russa in questo periodo stanno a confermare quanto fosse illusoria per le masse popolari la proposta di uscire dalla arretratezza senza il socialismo e quanto illusorio anche il sogno della borghesia russa di “ereditare” la potenza costruita dalla classe operaia. E per le masse americane abbrutite dalla miseria e dall’emarginazione (almeno il 20% della popolazione USA vive al di sotto del livello di povertà) cosa giova il fatto che il loro paese è un paese capitalista avanzato, la più grande potenza mondiale? Proprio per questo la borghesia ha più mezzi per schiacciarle.

Giustamente Garabombo (pag. 21, c. 2 r. 39) indica l’anteposizione dei “compiti della costruzione del socialismo” (che nel vocabolario di Garabombo curiosamente sta a indicare lo sviluppo delle forze produttive e della produzione - forse che “lotta di classe” sta a indicare lo sfascio e la distruzione?) alla lotta di classe come una delle manifestazioni del revisionismo. Ma sbaglia ad attribuire la stessa anteposizione (che implica la contraddizione) alla direzione del PC(b)R del 1928, quando decise di abbandonare la NEP e sbaglia ancora di più a confondere le dichiarazioni (vere) dei revisionisti sullo sviluppo delle forze produttive con la loro azione pratica, dato che questa in realtà non ha “anteposto” ma distrutto enormi forze produttive.(11)

 

(11) Mi si potrà obiettare che Garabombo, dopo aver enunciato “la principale ragione che spinse la direzione sovietica ad abbandonare la NEP”, aggiunge: “Inoltre protraendosi essa minava la direzione della classe operaia e l’alleanza operai-contadini favorendo la direzione della borghesia (capitalisti e contadini ricchi)”. Ma ogni lettore può costatare che questa aggiunta è…un’aggiunta. Non solo la ragione principale diventa una seconda ragione messa a rafforzare quella che secondo lui è la principale, ma Garabombo trascura di indicare la relazione dialettica tra i due aspetti che accosta sicché in definitiva l’accostamento conferma che Garabombo non condivide la tesi che nella società socialista “la politica deve avere il posto di comando”, ossia che in una società socialista la chiave per lo sviluppo delle forze produttive è la direzione della classe operaia. Eppure l’esperienza dell’URSS e degli altri paesi socialisti europei (nel periodo 1956-1989) ha dimostrato che, una volta eliminata la direzione della classe operaia (a favore del partito e dello Stato di “tutto il popolo”), le forze produttive dei paesi socialisti sono decadute.

 

 

9. Negazione del maoismo.

Garabombo apre il suo scritto indicando la necessità di rivelare la chiave di lettura che aiuti a “capire scientificamente le ragioni dell’affermazione del revisionismo moderno, la base su cui ha potuto svilupparsi” (pag. 18 c. 1 r. 48) in modo che anche gli antirevisionisti dichiarati superino la sterilità che finora li ha colpiti, non essendo ancora approdati alla scienza. Se le parole hanno un senso, ciò significa che non esiste a tutt’oggi una conoscenza scientifica della “base su  cui il revisionismo moderno ha potuto svilupparsi”.

Una scienza non la si fonda due volte. O la comprensione scientifica dell’origine del revisionismo moderno è stata già raggiunta nel maoismo e quindi a noi resta un problema di assimilazione, verifica, arricchimento, propaganda, applicazione e impiego pratico. Oppure non è stata ancora raggiunta (anche se magari ci si sta avvicinando, sono state poste alcune premesse) e allora bisogna cercarla ancora.

In realtà “la base su cui il revisionismo moderno ha potuto svilupparsi” è stata scientificamente spiegata da Mao Tse-tung. A. Catone, i mille autori che egli cita (e non è un caso che A. Catone nomina solo di sfuggita (pag. 54) i “partiti comunisti cinese e albanese” e non cita assolutamente Mao, mentre cita ben 144 fonti bibliografiche, per il 90% scritti e individui assolutamente insignificanti, tipici uomini da accademia e riviste) e Garabombo possono continuare per anni a sfornare nuove teorie e nuove chiavi di lettura, ma solo perché non vogliono (per motivi certamente diversi l’uno dall’altro) accettare la spiegazione scientifica che ne ha dato Mao Tse-tung e che è stata verificata nella GRCP.

Vista la non trascurabilità politica di Mao Tse-tung e della GRCP, Garabombo dovrebbe almeno dire perché la spiegazione data da Mao Tse-tung della “base su cui ha potuto svilupparsi” il revisionismo moderno non è giusta e indicare perché considera sterile l’azione degli antirevisionisti dichiarati (Mao, Hodja, ecc.) che hanno preceduto Garabombo e hanno impedito per vari anni l’accesso dei revisionisti al potere, anche se non avrebbero raggiunto la sua (di Garabombo) “comprensione scientifica”. Catone almeno è più esplicito di Garabombo!

Ai lettori che vogliono prendere visione della teoria di Mao sul tentativo di restaurazione del capitalismo condotto dai revisionisti moderni consigliamo la lettura di Lo pseudocomunismo di Kruscev e gli insegnamenti storici che dà al mondo, 1964, in Opere di Mao Tse-tung, vol. 21, La base sociale della cricca antipartito di Lin Piao, 1975, in Opere di Mao Tse-tung, vol. 25 (ampi stralci dei due testi sono in Rapporti Sociali n. 9/10, 1990, parti 2.6 e 2.8 di Per il marxismo-leninismo-maoismo. Per il maoismo).

 

10. L’antistalinismo.

Nel guazzabuglio che Garabombo ha attinto dalla cultura borghese di sinistra non potevano mancare l’interpretazione soggettivista della storia che sostituisce Stalin al Partito Comunista (bolscevico) dell’URSS e l’antistalinismo che, come abbiamo sopra detto, è la forma di anticomunismo specifica della cultura borghese di sinistra. “Stalin fece appello alle masse contro i dirigenti corrotti e deviati ed ebbe consenso e successo” (pag. 20 c. 1 r. 43): così Garabombo riporta da Catone (pag. 176) la spiegazione della collettivizzazione dell’agricoltura e della costruzione del sistema industriale sovietico a partire dal 1928. Basta rinviare al resoconto che ne dà la giornalista americana Anna Luise Strong (L’era di Stalin) per smentire le costruzioni soggettiviste di Garabombo. Garabombo stesso, da buon eclettico, si smentisce nella nota 15 del suo scritto. Stalin era un rivoluzionario, concede Garabombo, ma non capì le cause del revisionismo e in più diceva bugie: diceva che “è possibile l’eliminazione delle differenze sostanziali tra lavoro intellettuale e lavoro manuale” mentre in realtà non faceva nulla per ridurle ed “esse permasero e contraddistinsero” la società sovietica. Garabombo non ha ancora capito che il movimento ha due forme: evoluzione e rivoluzione, trasformazione graduale e salto. Come non ha capito che la transizione dal capitalismo al comunismo copre un’intera epoca storica e si compie per fasi. Eppure il Progetto dedica le pagine 46-48 a illustrare “i passi compiuti dai paesi socialisti verso il comunismo nella prima fase della loro esistenza”.

 

11. La teoria della conoscenza secondo Garabombo.

Garabombo dice che “in definitiva gli errori di inesperienza [della classe operaia] derivano dall’influenza dell’altra clas se [la borghesia]” (pag. 18, c. 1 r. 6).

Cioè in definitiva l’errore viene dall’influenza della classe nemica. Ma quando non c’erano ancora classi, gli uomini non commettevano errori, conoscevano tutto, avevano una teoria giusta del mondo? Quando non ci saranno più classi, gli uomini non commetteranno più errori? Eliminata la borghesia e la sua influenza, conosceremo tutto senza dover ricercare e sperimentare? E oggi, come evitare gli errori, visto che la borghesia esiste e quindi non possiamo sottrarci alla sua influenza? A cosa serve dire che si superano gli errori individuandone le cause (in realtà non basta), se la causa è già nota (l’influenza della borghesia) e proprio i miei errori mi impediscono di eliminare la causa dell’errore? Sembra un groviglio inestricabile. E lo è, ma è solo un groviglio immaginario in cui il dogmatico avvolge sé stesso, come in un incubo notturno che si scioglie col risveglio del mattino.

Mao Tse-tung dice che le fonti della conoscenza (i campi delle loro esperienze da cui gli uomini attualmente derivano e gradualmente migliorano la loro conoscenza del mondo) sono tre: la lotta per la produzione, la lotta di classe, la sperimentazione scientifica. L’unità di queste tre fonti sta nella lotta per la produzione: è infatti da essa che sono derivate sia le classi e la lotta tra le classi sia la sperimentazione scientifica. Il materialismo storico infatti sostiene che tutta la vita materiale e spirituale degli uomini ha alla sua base la produzione e riproduzione delle condizioni materiali della propria esistenza sociale (cioè come società, non come individui). E così sarà finché gli uomini saranno arrivati a creare una condizione in cui la produzione e riproduzione delle condizioni materiali della loro esistenza sociale saranno assicurate senza bisogno di lotta. Ridurre le tre fonti della conoscenza alla lotta tra le classi è sicuramente sbagliato, contrario ai fatti.

È sbagliato sostenere che per la conoscenza la classe operaia dipende dalla borghesia (dalla sua influenza). La classe operaia impara principalmente attraverso la sua esperienza. La conoscenza non esisterebbe se non ci fosse ignoranza. Se la conoscenza avanza, è perché prima non si conosceva. Se un individuo non conosce una cosa, la impara o da chi già la conosce o sperimentando e facendo il bilancio dell’esperienza. Ciò che nessun uomo conosce ancora, si può imparare solo attraverso l’esperienza. In ciò è implicito l’errore. Diceva K. Marx: “Ogni scienza sarebbe superflua se l’essenza delle cose e la loro forma fenomenica [le loro apparenze] direttamente coincidessero” (Il capitale, libro 3, E. R. Roma 1968, pag. 930). Si agisce senza conoscere e si fanno errori. Allora e solo perché si sono fatti errori, si cerca di conoscere. Noi sappiamo quello che conosciamo, ma non sappiamo quello che non conosciamo ancora. Per migliaia di anni gli uomini sono vissuti senza conoscere le radiazioni; non solo non le conoscevano ma non sapevano neanche di non conoscerle, non sapevano neanche che esistevano le radiazioni. Se commettiamo errori, scopriamo nuovi campi e un po’ alla volta li conosciamo. L’errore nella pratica è madre della conoscenza. Ciò vale anche per la classe operaia. La classe operaia e i comunisti certo compiono alcuni errori anche perché sono influenzati dalla borghesia (ad esempio Garabombo vuole parlare della fonte della conoscenza e degli errori; la borghesia fa il possibile per dissuadere lui come altri dallo studio del marxismo- leninismo-maoismo che ha già risolto scientificamente questa questione; per presunzione o perché distratto da altre cose Garabombo non studia il marxismo-leninismo-maoismo; quindi in questo caso Garabombo compie un errore a causa dell’influenza della borghesia). Ma ne commettono altri per inesperienza, perché affrontano campi ancora inesplorati (ad esempio la costruzione di una società comunista). L’influenza della borghesia è solo una delle cause degli errori e non la principale. La fonte principale della conoscenza per la classe operaia e per i comunisti sono la loro propria esperienza e il bilancio dell’esperienza, non è l’influenza della borghesia: checché creda la borghesia e checché ne dicano i predicatori del “dominio reale totale” che la borghesia attraverso i mass media eserciterebbe sulle classi oppresse (l’espressione più completa delle loro allucinazioni resta ancora oggi Gocce di sole nella città degli spettri di R. Curcio e A. Franceschini). Se non fosse così, la nostra battaglia per l’autonomia teorica della classe ope raia dalla borghesia, autonomia che nella società borghese è realizzata e incarnata dal partito comunista, sarebbe un proposito illusorio. Quindi la classe operaia può avere e tramite il partito comunista ha pienamente l’iniziativa in mano nel campo della conoscenza di cosa deve fare per avanzare verso il comunismo, della scoperta cioè della giusta linea. L’influenza della borghesia è ineliminabile finché la borghesia esiste, ma è secondaria e non determinante.

 

Conclusione: c’è un filo che unisce gli 11 errori di Garabombo?

 

Dall’illustrazione degli errori risulta chiaro che essi corrispondono a deviazioni diverse. C’è l’estremismo di sinistra di chi assolutizza la lotta di classe, l’interclassismo di chi non distingue le velleità di potenza della borghesia dalla costruzione del socialismo da parte della classe operaia, il dogmatismo di chi non vede che il movimento reale ha anche una forma evolutiva. È la situazione che tipicamente si riscontra nei lavori di cattiva copiatura. Le tesi copiate si rifanno a scuole diverse, non hanno un filo comune, ma il copiatore eclettico e superficiale non se ne accorge o comunque non ne tiene conto: proprio in questo consiste la caratteristica principale dello scritto di Garabombo.

Il tratto caratteristico dello scritto consiste nella superficialità, nell’eclettismo, nel pressapochismo che porta a indicare la “teoria e pratica sviluppata da Mao” (pag. 18 c. 1 r. 33) ma attingere a Catone (che onestamente non pretende di essere maoista), a mettere una accanto all’altra nello stesso articolo delle tesi contrastanti senza constatarne l’incompatibilità, senza verificare di ognuna di esse con cura la conformità alla realtà se la si conosce, senza preoccuparsi di conoscere la realtà a cui si riferiscono, senza portare le varie tesi alle loro conclusioni logiche, senza vedere la luce che una tesi affermata rispetto ad un problema getta su altri problemi, senza curarsi delle connessioni tra le vane cose e del loro movimento.

 

Proprio per questa caratteristica, Garabombo sicuramente griderà che questo articolo ha travisato il suo pensiero. È un atteggiamento comune è ogni persona superficiale. E in generale si tratta di un atteggiamento sincero perché il superficiale effettivamente non vede che se dice che la caratteristica principale del tentativo di restaurazione del capitalismo era incentrato sul corporativismo ciò equivale a dire che la massa della classe operaia sovietica e in particolare gli operai membri del partito comunista erano individui arretrati pronti a lasciarsi comperare con qualche aumento di salario o qualche ora di lavoro in meno; che se dice che la classe operaia era espropriata della proprietà della sua forza-lavoro ciò equivale a dire che prima era proprietaria della sua forza-lavoro; che se dice che la fonte degli errori del proletariato è l’influenza della borghesia ciò implica che in campo teorico il proletariato è subordinato alla borghesia; che se dice che la fonte degli errori del proletariato è l’influenza borghese ciò non è compensato dal fatto che qualche riga prima ha detto anche che “molti errori furono conseguenza dell’inesperienza”, ecc. ecc. Quando mai! L’eclettico crede addirittura di essere dialettico, come ben spiega Lenin nello scritto indicato nella nota 1.

La superficialità, l’eclettismo e il pressapochismo sono oggi cosa corrente tra le FSRS (e nella cultura borghese di sinistra) nella stesura di articoli per la carta stampata (“la carta prende tutto” dice un proverbio), ma è inaccettabile in ogni lavoro pratico. Di sicuro è incompatibile col lavoro che dobbiamo svolgere in questi mesi al centro del quale vi è il dibattito per l’elaborazione del programma del futuro partito comunista. La teoria per noi comunisti è una guida per l’azione. Non ci possiamo permettere “la libertà” che si permettono i professori che oggi scrivono una cosa e domani un’altra, alla TV dicono una cosa, nel salotto un’altra e a lezione una terza. Il medico non è pagato per i risultati della sua cura, ma per la visita. E se qualcuno prende le loro idee a guida della propria azione, l’intellettuale borghese si lava le mani delle conseguenze (alla Toni Negri). È per questo che noi abbiamo bisogno di una concezione del mondo, di  esprimere nella maniera più precisa e chiara di cui siamo capaci la concezione del mondo che ci guida, di verificarla e migliorarla nel corso della nostra attività. Elaborare il nostro programma è per noi comunisti un passo essenziale per permetterci di progredire nella nostra attività per trasformare il mondo. Partecipare all’elaborazione del programma è sia una forma del nostro nascere come comunisti sia una lotta per affermare l’autonomia della classe operaia in campo teorico. “Senza teoria rivoluzionaria, non c’è movimento rivoluzionario”.

 

Marco Martinengo

 

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