Per fare cose giuste, occorre anche dire cose giuste

Rapporti Sociali n. 25 - giugno 2000 (versione Open Office / versione MSWord )

 

Un esempio di come si può approfittare di una presa di posizione contro la repressione anticomunista per propagandare una concezione del mondo anticomunista

 

“Stabiliamo il confronto attivo tra le nostre file attraverso un bilancio dialettico su cosa abbiamo praticato su cosa stiamo praticando e su cosa è necessario praticare e non solo dire!”.

Questa frase messa verso la fine dell’articolo achtung banditen! pag. 4 e 5 del n.73 (nov. 99) di Assalto al Cielo (AaC) sintetizza la posizione espressa nell’articolo.

Perché l’autore non vuole “un confronto attivo” su quello che si dice, ma solo su quello che si pratica?

Eppure un’organizzazione è un protagonista cosciente della vita della società, della lotta attraverso cui la società si sviluppa, unicamente perché costituendola e attraverso essa i suoi membri cessano di dare alla loro esperienza di vita sociale solo una risposta spontanea e danno una risposta che deriva da una visione propria della realtà e che corrisponde a un piano inteso a conseguire determinati obiettivi. Il partito comunista incomincia là dove alla spontaneità, all’azione spontanea, alla risposta spontanea subentra una concezione del mondo, una linea politica, un piano tattico. Tutte cose che si esprimono con parole: scritte, dette, battute su schermi elettronici… ma pur sempre parole! Perfino lo scrittore di AaC parla contro il dire scrivendo parole (sgrammaticate, a volte, oltre che sbagliate, ma pur sempre parole). Possono degli uomini unirsi per realizzare un programma e attuare una linea senza dire cosa intendono fare e perché? Noi rifiutiamo per principio di fermarci a una pratica spontanea. In questo seguiamo gli insegnamenti del movimento comunista a cui anche gli scrittori di AaC dicono di voler appartenere: è noto che uno dei più eminenti partiti del movimento comunista, il POSDR, è nato lottando accanitamente contro lo spontaneismo (Lenin, Che fare?, 1902), è palese a tutti la grande confusione che esiste oggi tra le FSRS, per cui occorre non fare qualcosa in più, ma cercare di capire cosa stiamo facendo e perché: cioè dire. È chiaro che se accettassimo la proposta dello scrittore di AaC e facessimo “un confronto attivo… attraverso un bilancio dialettico sul cosa abbiamo praticato, su cosa stiamo praticando e su cosa è necessario praticare e non solo dire”, dovremmo… dire a parole quello che pensiamo: con scritti, con i mezzi; ma comunque dire parole.

Chi non agisce seguendo un piano tattico elaborato sulla base di una concezione organica e coerente della realtà, ma agisce “come gli viene”, agisce spontaneamente. Parlando in generale, nella spontaneità di solito c’è un aspetto positivo e un aspetto negativo. L’aspetto positivo è che chi agisce spontaneamente risponde a un’esperienza reale, vi fa in qualche modo fronte, insomma è vivo, non subisce passivamente e vi risponde per quello che la sua storia lo ha fatto, nel bene e nel male. L’aspetto negativo è che la sua risposta è dettata, oltre che dall’azione che subisce, anche dalla concezione del mondo che egli si trova ad avere. Finché i membri delle classi oppresse non svolgono in campo intellettuale un’attività loro propria, autonoma dalla classe dominante (cioè non studiano, non dicono tra loro, ecc.), la loro concezione del mondo è, in misura più o meno grande a seconda dei casi, mutuata dalla classe dominante. La condizione pratica in cui si trovano gli operai, i proletari e i membri delle altre classi delle masse popolari è tale che spontaneamente, cioè senza uno sforzo consapevole e organizzato indirizzato a questo scopo, le loro cognizioni e il loro metodo di elaborazione dell’esperienza sono quelli della classe dominante; in ogni individuo lo sono in misura tanto  maggiore quanto minore è su di lui l’influenza del movimento comunista. Risultato: il loro pensiero è in larga misura governato dalla classe dominante e le loro azioni spontanee sono incoerenti, in parte dettate dalla loro condizione sociale e in parte dettate dall’influenza ideologica e morale della classe dominante

Che dire allora di uno scrittore che si pretende rivoluzionario e addirittura comunista e scrive che non importa un confronto attivo su quello che si dice? Se quello che si dice non ha importanza, perché lui non solo dice ma addirittura stampa e fa diffondere in qualche centinaia di esemplari le sue parole? Noi reputiamo che la frase dello scrittore di AaC sia solo una sparata demagogica che fa leva sull’arretratezza di qualche suo lettore e contribuisce a rafforzare la condizione di dipendenza intellettuale in cui la borghesia lo tiene. “Lei non deve pensare! Altri sono pagati per farlo!”, ingiungeva l’ing. F.W. Taylor (1856-1915) ai proletari. “Non pensate, non importa quello che si pensa e si dice, non importa avere una concezione giusta. L’importante è fare”, dice il nostro scrittore ai suoi lettori.

 

Forse che la mia affermazione è frutto di malanimo verso l’autore e di malevole processo alle intenzioni dell’autore? Credo proprio di no e spiego (dico) perché. Premetto che vale la pena di dedicare tante parole allo scrittore di AaC perché le stesse prediche vengono oggi ripetute da altri scrittori e pensatori, su altri giornali e in conferenze, cadono su un terreno alieno, per condizione di classe e per tradizione nazionale, da una autonoma attività di conoscenza, in un momento in cui è in corso la discussione del programma del nuovo partito comunista e contribuiscono a ostacolare la ricostruzione del partito (o qualcuno pensa a un partito comunista senza programma, senza una sua concezione del mondo e una sua linea politica?).

La frase del nostro scrittore sarebbe un’espressione di buon senso solo se egli sostenesse che qualcuno (perché lo scrittore non dice apertamente nome e cognome delle organizzazioni cui si riferisce? Non sono né anonime né segrete! Oppure l’autore vuole svolgere un’attività clandestina ai suoi lettori?) dice una cosa e pratica il contrario. La sua obiezione avrebbe senso se egli fosse d’accordo su quello che altri dice, se non ci fossero diverbi sulla teoria, sul programma e sulla linea, ma ci fossero diverbi solo sulla sua applicazione, sulla pratica.

È questa la situazione nelle “nostre file”? Ogni lettore che conosce anche solo un po’ la situazione delle FSRS in Italia sa che siamo lontani le mille miglia dall’avere un accordo generale sulle concezioni e dall’essere divisi solo sulla loro applicazione sulla pratica. A chi ne dubitasse, basta considerare proprio l’articolo da cui abbiamo tratto la frase con cui inizia questo articolo. Noi CARC non siamo affatto d’accordo su molte e importanti affermazioni contenute in quell’articolo. Se abbiamo delle divergenze importanti sulla concezione del mondo e sulla linea, è ovvio che facciamo cose diverse, che abbiamo pratiche diverse. Ma le diversità nella pratica sono una conseguenza delle diversità nella teoria. Se ci vogliamo unire non occasionalmente ma profondamente, “come un sol uomo” esclama entusiasta lo scrittore di AaC, dobbiamo quindi discutere delle diversità delle concezioni. Le diversità nella pratica ci serviranno a chiarire, illustrare e comprendere meglio le diversità nelle concezioni, le quali a loro volta faranno comprendere che le diversità nella pratica non sono casuali, ma frutto di concezioni diverse. Si tratterà di vedere quali concezioni riflettono giustamente la condizione reale della classe operaia e della sua lotta per il potere e per il comunismo.

Dicevamo che per vedere che esistono importanti diversità nella concezione del mondo basta leggere l’articolo achtung banditen! È quello che invitiamo il nostro lettore a fare. Noi lo accompagneremo nella lettura indicando solo alcuni dei passi dove si manifestano divergenze importanti. Non possiamo infatti presumere che il nostro lettore conosca la concezione del mondo che i CARC hanno elaborato basandosi sul patrimonio teorico e sull’esperienza del movimento comunista internazionale e sull’esperienza pratica del movimento del nostro paese né l’attività pratica che sulla base di quella concezione conducono.

 1. “… costruzione dell’unico Stato in grado di risolvere la principale contraddizione sociale, quella tra sfruttati e sfruttatori: lo Stato socialista”.

La contraddizione tra sfruttati e sfruttatori è la contraddizione motrice della storia umana da 5.000 anni a questa parte; oggi questa contraddizione ha la veste specifica della contraddizione tra classe operaia e borghesia imperialista che, da un altro punto di vista, è la contraddizione tra forze produttive già collettive e rapporti di produzione capitalisti. Questa è la principale contraddizione sociale attualmente. Se nella propria testa si è fermi alla reale ma generica contraddizione tra sfruttati e sfruttatori, si ha una concezione della società che favorisce l’interclassismo (cancella la particolare condizione sociale e il particolare ruolo politico che distinguono la classe operaia dalle altre classi delle masse popolari) e favorisce la confusione. Infatti la borghesia imperialista oggi sfrutta e opprime tutte le masse popolari dei paesi imperialisti e ancora più ferocemente le masse popolari dei paesi coloniali e semicoloniali e dei paesi ex socialisti. Ma questo non cancella le differenze tra la classe operaia e il resto delle masse sfruttate e oppresse, anzi questo rende ancora più importante e decisivo il ruolo della classe operaia e rovinoso l’interclassismo.

A causa della sua concezione interclassista lo scrittore confonde la nostra causa con quella di un “buon governo”, di un “governo popolare” e sostiene che la contraddizione principale della società attuale può essere risolta da uno Stato socialista. Che essa non possa essere risolta neanche da uno Stato socialista lo si è visto e lo sí vede nei paesi socialisti. Non può essere risolta da alcuno Stato perché la sua soluzione coincide anche con l’estinzione dello Stato. Può essere risolta solo dalla stessa classe operaia che tramite il suo partito comunista si mobilita e mobilita le altre classi delle masse popolari per instaurare uno Stato socialista, eliminare (come classe) la borghesia imperialista e poi trasformare gli attuali rapporti sociali (capitalisti) in rapporti sociali comunisti (e quindi far estinguere sia lo Stato socialista sia la divisione della società in classi su cui è fondato ogni Stato, compreso quello socialista).

2. “In alcuni momenti storici essere messi al bando da coloro che impersonavano il potere attraverso il loro sistema di sfruttamento e d’oppressione dell’uomo sull’uomo [supponiamo volesse dire: da coloro il cui potere personificava il sistema di sfruttamento e di oppressione sull’uomo], significava fregiarsi di una vera e propria onorificenza per la quale valeva addirittura la pena di lottare e di morire.

Questo è per lo meno quello che ci insegna tutto il percorso della storia rivoluzionaria dell’uomo alla ricerca del progresso sociale e umano: da Spartaco a Giordano Bruno, da Carlo Pisacane a Rosa Luxemburg, da Antonio Gramsci ad Ernesto Che Guevara, da Giuseppe Pinelli a Fabrizio Pelli...

La tortuosa e contraddittoria linea rossa di resistenza al potere degli oppressori e degli sfruttatori di tutte le epoche, che unisce la vita di questi “banditi” è oramai riconosciuta, proporzionalmente al tempo trascorso dal loro sacrificio, pressoché da tutti come la via della liberazione e dell’emancipazione umana”.

Noi riteniamo che in tutti i momenti storici gli esponenti d’avanguardia della classe rivoluzionaria sono stati ammirati e amati dai membri rivoluzionari della stessa classe e delle altre classi popolari dell’epoca; sono stati proprio in quei momenti, contemporaneamente, odiati, denigrati, additati al disprezzo e perseguitati dai membri della classe dominante. Proprio come avviene ora per gli attuali esponenti d’avanguardia della classe rivoluzionaria di oggi. Anche oggi i rivoluzionari considerano “una vera e propria onorificenza” l’odio, le calunnie e le persecuzioni di cui gli aguzzini dei lavoratori li fanno oggetto e considerano che vale “la pena di lottare e di morire” (meglio “di lottare fino alla vittoria”) per la attuale causa del comunismo.

È significativo che l’articolista di AaC indichi alla memoria e all’ammirazione dei suoi lettori solo rivoluzionari che sono stati sconfitti e che quindi possono esserci presentati nel ruolo di “vittime” “riconosciute” in qualche misura anche dalla borghesia (“proporzionalmente al tempo trascorso dal loro sacrificio, pressoché da tutti”). La borghesia non è la  nostra maestra di pensiero e di morale. È per soggezione alla concezione della borghesia che l’articolista di AaC non va oltre quelli che anche la borghesia in qualche misura “riconosce” (perché lontani e/o sconfitti) e non indica alla memoria, all’ammirazione e all’imitazione quelli che la borghesia ancora odia e denigra perché hanno guidato rivoluzioni vittoriose: uomini come Marx, Engels, Lenin, Stalin, Mao Tse-tung. Il nostro obiettivo non è sacrificarci e morire, ma vincere. Anche se la morte è il prezzo che ogni comunista deve essere pronto a pagare per la vittoria della nostra causa.

Stante la sua soggezione ideologica e morale alla borghesia, naturalmente la “linea rossa di resistenza al potere degli oppressori e degli sfruttatori” all’articolista di AaC appare “tortuosa e contraddittoria”.

3. “In tutte le perquisizioni effettuate non è stata sequestrata l’ombra di un’arma, ma... “. Vero, ma in questo modo ai lettori lo scrittore dice (peggio ancora, insinua, sottintende ahi, ci risiamo con la clandestinità verso i propri lettori) che se avessero trovato armi le forze della repressione qualche ragione a perseguitare i comunisti in fondo l’avrebbero avuta. Lenin invece diceva che una classe di schiavi che non si addestra all’uso delle armi, non si libererà mai. Marx faceva notare che “la borghesia moderna, come il barone dei tempi antichi, considera lecito per sé usare qualsiasi arma contro i proletari, mentre considera un reato anche il solo possesso di un’arma da parte dei proletari”. Se le forze della repressione durante una perquisizione avessero trovato armi, sarebbe forse stato cosa infamante per il compagno interessato? Confrontiamo questo passo dell’articolo con quello che è scritto nella manchette inserita nella stessa pagina di AaC: “..il Corriere della sera...è stato l’alfiere di questa campagna di diffamazione a mezzo stampa: prima spacciando il Campo Antimperialista di Giano dell’Umbria come clandestino...”. Si diffama una persona o un’opera quando si attribuisce ad essa qualcosa di disonesto o di losco, di brutto. Ovviamente dire che il campo di Giano era clandestino è una menzogna. Ma perché sarebbe anche infamante? È forse infamante fare un campo clandestino? Se la redazione di AaC la pensa così, perché fa regolarmente dichiarazioni di solidarietà e di stima per il partito comunista filippino, colombiano, spagnolo, ecc. e persino per Pisacane, Che Guevara e Pelli che notoriamente di attività clandestine ne hanno fatte non poche? L’obiettivo dichiarato delle forze della repressione nell’Operazione del 19 ottobre era stroncare l’azione della Commissione Preparatoria del congresso di fondazione del (nuovo)Partito Comunista Italiano, notoriamente clandestina. È allora chiaro che l’estensore della manchette insinua (ancora!) che la CP fa cose infamanti (attività clandestine). Ma non osa dirlo apertamente. Tira il sasso e nasconde il braccio. Pensate un momento! Egli che ritiene sia infamante fare (praticare) qualcosa di nascosto dalla borghesia, d’altra parte dice nascostamente, insinua cose contro dei compagni, fa affermazioni oscure (clandestine) per i suoi lettori! E poi AaC parla di “uniti come un solo uomo” e di “nostre file”!

Da tutto ciò quello che risulta è che l’autore è succube (o ritiene di doversi mostrare ai suoi lettori come se fosse succube) della morale della classe dominante per cui nei membri delle classi sottoposte è reato (delitto grave, cosa molto riprovevole e molto infamante) ogni attività clandestina e il possesso di armi. In sostanza è questa morale che l’autore predica ai suoi lettori dalle pagine di AaC.

4. Quanto agli effetti dell’Operazione del 19 ottobre, l’articolista di AaC dice che “le intimidazioni poliziesche non hanno sortito alcun effetto se non quello di avvicinare moltissimi compagni in un abbraccio solidale per resistere alle vigliacche persecuzioni dello Stato borghese”. È un quadro un po’ troppo roseo ma c’è del vero. Prosegue dicendo che “le organizzazioni politiche e sindacali dipendenti dallo Stato…si trovano a fronteggiare una situazione di crescente difficoltà rispetto alle reazioni di settori anche arretrati della classe operaia e del proletariato”, che “D’Alema, Cossutta e Cofferati cominciano a perdere [non è vero che “cominciano” ora, è da tempo che stanno perdendo, ma andiamo avanti] credibilità presso le masse”. Cose giuste, che fanno pensare che “i settori più coscienti, avanzati e coerenti nella  lotta contro il capitalismo” si trovano davanti un terreno di lavoro molto fertile. Nossignori! Ascoltate cosa dice lo stesso scrittore, qualche riga dopo. “Oggi siamo dentro un’altra epoca storica, che vede la classe operaia divisa, smembrata, addomesticata in una gerarchia subordinata al comando e al controllo assoluto del sistema di sfruttamento capitalistico attraverso i suoi settori aristocratici coinvolti dal micro rivendicazionismo corporativistico nella corruzione economica e sociale, oppure disintegrata e annichilita dal crescente ricatto della disoccupazione e della vertiginosa espansione della cosiddetta flessibilità della forza-lavoro. Ancora, i tutori dell’ordine borghese vegliano alla conservazione dei propri interessi di classe sfruttatrice e oppressiva attraverso le provocazioni che minano la solidarietà tra i settori più avanzati e coscienti in termini anticapitalisti della classe operaia, compiendo quella opera di prevenzione controrivoluzionaria sperimentata per troppi (sic!) anni”.

Se la classe operaia fosse davvero nelle condizioni descritte e se le provocazioni bastassero davvero a “minare la solidarietà tra i settori più avanzati e coscienti”, da dove verrebbero le sopraindicate difficoltà delle “organizzazioni politiche e sindacali” borghesi? Non ha l’articolista vergogna a dire le fregnacce dei sociologi borghesi, cioè che gli operai sono “disintegrati e annichiliti dal ricatto della disoccupazione”, in un paese come il nostro in cui gli operai hanno scioperato (marzo 1943, marzo 1944, ecc.) persino a costo di essere fucilati o caricati sui carri bestiame e spediti alla morte in Germania dai nazifascisti? Gli operai oggi non lottano più di quel che fanno (e che l’articolista misconosce e denigra chiamandola “micro rivendicazionismo corporativistico” che coinvolge “nella corruzione economica e sociale”: viva la pace sociale! abbasso la conflittualità in fabbrica; non lo scrivono Cipolletta o Calleri, ma il compagno di AaC!) non per il “crescente ricatto della disoccupazione”, ma perché si ritrovano senza un vero partito comunista (che invece avevano nel 1943 e 1944, grazie anche a una lunga attività clandestina dei comunisti), con “sindacati di Stato” e con sedicenti “settori avanzati” che hanno la concezione del mondo detta nell’articolo di cui parliamo e una pratica che è grosso modo scalcinata come il dire! Gli operai “spontaneamente” hanno sufficiente buon senso per non lanciarsi allo sbaraglio senza prospettive di vittoria a combattere per le “nobili cause” e finché non saranno create condizioni diverse si limitano al “micro rivendicazionismo corporativistico” che tanto indigna il nostro autore...i padroni e il loro governo.

Ritornando al bilancio dell’Operazione del 19 ottobre, ecco che il nostro autore dopo aver detto due cose quasi vere, si è affrettato a dire il contrario. È chiaro che con questo dire noi non siamo affatto d’accordo. Ma non basta. La manchette inserita nella stesse pagine di AaC in cui vi è l’articolo in questione inizia; “Non essendo riuscite a scompaginare completamente il vasto movimento di solidarietà… le forze della repressione… hanno lanciato una “fase 2” ecc. ecc.”. Quindi le forze della repressione sono riuscite a scompaginare; non completamente, ma comunque hanno scompaginato il vasto movimento di solidarietà. I redattori di AaC si sono dimenticati che nella stessa pagina hanno scritto che “le intimidazioni poliziesche non hanno sortito alcun effetto se non quello di avvicinare moltissimi compagni in un abbraccio solidale per resistere alle vigliacche persecuzioni dello Stato borghese”. Quale delle due cose è vera? O non è vera nessuna delle due?

A noi risulta che il movimento è ancora in corso, che è vivo e vegeto, che si sono mobilitate anche persone che prima sonnecchiavano, benché il movimento non sia “vasto” quanto vorremmo. Ma supponiamo per un momento che sia vero quello che dice l’autore. In questo caso il suo dire sarebbe semplicemente vergognoso. Infatti se fosse vero che le forze della repressione hanno scompaginato il vasto movimento di solidarietà, egli dovrebbe chiedersi perché le forze della repressione sono riuscite a scompaginare. Non è inevitabile né ovvio che le forze della repressione con qualche perquisizione e con qualche avviso di garanzia scompaginino un “vasto movimento di solidarietà”. Ragioniamo. La borghesia ha sguinzagliato agenti a fare perquisizioni, interrogatori e sequestri, sta facendo tribolare e spendere con  avvisi di garanzia e cerca di spaventare con calunnie, menzogne e minacce sui giornali e in TV e con qualche operazione intimidatoria (pedinamenti, sorveglianza, ecc.). Contro questa è sorto un “vasto movimento di solidarietà”. Poi le forze della repressione sono riuscite a scompaginarlo (anche se non completamente). Forse viviamo in paesi diversi perché i fatti non tornano né sul “vasto” né sullo “scompaginato”. Ma in linea di principio se le forze della repressione riescono a scompaginare un movimento, bisogna cercare i punti deboli di quel movimento e porvi rimedio. L’insegnamento universale del movimento comunista infatti è che se un movimento è ben diretto la repressione lo rafforza, anche quando usa mezzi ben più feroci delle perquisizioni e degli avvisi di garanzia. Se il movimento è stato scompaginato, occorre correggere gli errori della sua direzione. Perché l’autore proclama la sconfitta ma tace assolutamente sui rimedi? In lingua italiana ciò si chiama disfattismo. Noi pensiamo e diciamo che in caso di sconfitta, l’atteggiamento giusto è il bilancio dell’esperienza, la critica e l’autocritica e la rettifica.

5. Non possiamo tralasciare la valutazione che l’autore dell’articolo dà degli anni ’70 e della sconfitta delle OCC. Sentite bene! Negli anni ’70 “... la classe operaia... aveva destabilizzato e messo in grave pericolo i meccanismi del sistema di riproduzione del profitto,... stava affannosamente (avrà avuto l’asma! Forse effetto dell’inquinamento!) cercando la via della sua liberazione attraverso la suprema rivendicazione (sic!) del potere agli operai”. Abbandonando le frasi ad effetto e traducendo in linguaggio marxista, quello che l’autore dice è che negli anni 70 in Italia vi era una situazione rivoluzionaria: la classe dominante non poteva più continuare a dirigere nelle forme esistenti e le classi oppresse non erano più disposte a continuare a subire la loro condizione. Ma ciò non si concilia con la “rivendicazione” del potere agli operai. La classe operaia può prendere il potere togliendolo alla borghesia imperialista, la classe operaia può rivendicare un aumento di salario dal padrone che continua a tenere la cassa nelle sue mani: ma non può rivendicare il potere. È un non senso, per chiunque sa cosa sia il potere e cosa sia rivendicare. Neanche si concilia col fatto che i “migliori e più coerenti quadri comunisti” della classe operaia di quegli anni si erano “purtroppo, limitati ad individuare, anche violentemente (sic!), le disfunzioni presenti nell’apparato economico, sociale e politico del sistema borghese, ma (erano) incapaci di programmare i passaggi concreti” per la conquista del potere. Il movimento comunista ha verificato oramai da ottanta anni che è impossibile conquistare (lasciamo perdere il rivendicare) il potere senza partito comunista. Cosa vuol dire allora l’autore quando dice che “la classe operaia... aveva destabilizzato e messo in grave pericolo ecc.”? Quanto ai “migliori e più coerenti quadri comunisti” degli anni ’70, facciamo notare che essi avevano programmato (quindi detto), e come, passaggi concreti e avevano coerentemente cercato di percorrerli. E in questo sta il loro merito storico! hanno detto e fatto. Il problema è che i passaggi programmati erano sbagliati. Lo scrittore di AaC, per cui il dire non ha importanza, si limita a dire che non c’erano: noi invece riteniamo indispensabile dire che erano sbagliati e dire quali sono i passaggi giusti: ricostruzione del partito comunista ecc. Cosa è successo poi, secondo l’articolista, a questa classe operaia sempre negli anni ’70? Il “... Sindacato Unitario ha permesso di evirare “ il movimento operaio dei suoi migliori e più coerenti [a cosa erano coerenti se non avevano individuato i passaggi?] quadri comunisti sacrificandoli, in nome della solidarietà nazionale e della fine della lotta di classe, sull’altare della difesa e della riforma del sistema capitalista” e il PCI ha accettato “passivamente” “una strategia di riconversione e riadeguamento della classe operaia nelle articolazioni e meccanismi del sistema di produzione capitalista pianificata, sviluppata dai servizi di sicurezza di Stato...”. E la classe operaia che aveva destabilizzato ecc. dove era? Basta che Sindacato Unitario, PCI e servizi di sicurezza collaborino e... la rivoluzione è rinviata! Ma via, come potete dire scempiaggini simili, stamparle e diffonderle! Forse è perché vi vergognate delle cose che dite che non volete alcun “confronto attivo” sulle cose che dite! Pensate di uscirne meglio dal “confronto attivo” sulle cose che fate sulla base di cotanta scienza?

 6. Infine dobbiamo chiedere allo scrittore di AaC di dire in cosa consiste il “radicare la necessità della Rivoluzione Proletaria nelle masse”. Tempo fa un articolista di Rapporti Sociali (n. 19, pag. 36-38) aveva già mosso alcune obiezioni a questa parola d’ordine. Non essendoci stata risposta, mi associo a chiedere all’articolista di AaC o chi per lui di dire a noi e ai lettori di AaC in cosa consiste il radicare e chi è che deve radicare. Noi riteniamo che la parola d’ordine attuale sia ricostruire il partito comunista. Solo il partito comunista potrà con successo compiere il lavoro di raccolta, formazione e accumulazione delle forze rivoluzionarie e mobilitare le masse nella rivoluzione socialista (proletaria è ancora una volta generico: in Italia l’unica rivoluzione proletaria possibile è la rivoluzione socialista).

In conclusione, noi riteniamo che dir delle cose giuste sia necessario, addirittura indispensabile. Riteniamo anche che sia impossibile che la classe operaia conquisti la vittoria se non è guidata da una teoria giusta. “Senza teoria rivoluzionaria il movimento rivoluzionario non può svilupparsi oltre un livello elementare”: ricordate?

È perché quello che si dice ha un’importanza determinante che si stampano volantini, manifesti, giornali, riviste e libri, che si tengono conferenze, che si lanciano parole d’ordine. Vorremmo che il nostro scrittore ci dicesse che cosa secondo lui ha importanza, se elimina dalla nostra attività lo studio, la propaganda, l’agitazione? Solo la costituzione di organizzazioni e il lavoro organizzativo, le dimostrazioni di strada e di piazza, gli scioperi, le attività combattenti, le insurrezioni, ecc.? Ma quali di queste cose la classe operaia è mai riuscita a fare, quali di queste cose sono mai approdate al successo senza programmi, linee e obiettivi pensati, detti, scritti, concordati e unanimemente perseguiti?

Dopo questo lungo scritto crediamo sia chiaro a ogni lettore di achtung banditen! che tra il suo autore e noi esistono importanti divergenze sulla concezione della società e della lotta per il comunismo. Quindi esistono anche importanti divergenze sulle cose che facciamo, perché almeno per quanto ci riguarda e salvo sbagli nel fare cerchiamo di essere coerenti con quello che pensiamo e diciamo. È su questa concezione che quindi occorre anzitutto un confronto, sia pure “attivo”!

All’inizio abbiamo detto che la frase citata sintetizza la posizione espressa da tutto l’articolo di AaC. A questo punto è doveroso indicare con precisione questa posizione: indifferenza se non ostilità verso la teoria comunista, subordinazione alla concezione borghese del mondo (più esattamente: ai pregiudizi e ai luoghi comuni correnti nella cultura borghese di sinistra), pressappochismo nell’analisi politica. In una parola spontaneismo. Culto della spontaneità, rifiuto di andare oltre, di assimilare la teoria comunista e di esprimere una propria coerente e organica concezione del mondo e di regolare su di essa la propria attività.

 

Marco Martinengo

 

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