Guardie e ladri

Rapporti Sociali n. 25 - giugno 2000 (versione Open Office / versione MSWord )

 

A proposito dei referendum del 21 maggio

 

Grazie all’iniziativa di Pannella, Bonino & C le forze politiche borghesi in questi mesi si sono divise in guardie e ladri. Alcune fanno la parte dei ladri e alcune quella delle guardie.

Le guardie si sono lanciate a gareggiare con i ladri per dimostrare ai padroni che loro sono più bravi a togliere ai lavoratori e ad abolire le regole che in qualche modo tutelano i lavoratori contro i padroni. La riforma della regolamentazione del lavoro part-time e delle liquidazioni (fondi pensione) di fine gennaio, le privatizzazioni e la nuova legge antisciopero lo dimostrano chiaramente. Ovviamente con la giustificazione che forse così i padroni creeranno più posti di lavoro. Il risultato complessivo del loro “gioco” sarà che gli operai, gli altri proletari e i lavoratori autonomi si ritroveranno con le tasche ancora un po’ più vuote e in condizioni più precarie, a meno che riescano ad approfittare loro del “gioco” della borghesia per dare una manica di legnate non solo ai ladri ma anche alle guardie, cosa nell’immediato impossibile perché mancano le condizioni politiche, in primo luogo un partito comunista.

I ladri invece sono per sancire anche per legge che ogni padrone può licenziare un lavoratore perché non si piega ai suoi desideri o ha dei problemi per cui non può “essere a completa disposizione dell’azienda” (abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori). In ogni campo sono per il capitalismo selvaggio. Perché? In parole povere perché è l’unico capitalismo che può esistere o almeno, è il migliore capitalismo che oggi i capitalisti possono fare.

Le guardie vogliono che il padrone possa sì licenziare il lavoratore, ma previo il benestare delle mafie dei sindacalisti di regime o degli esponenti della magistratura. Sono per un capitalismo più ordinato e civile, meno lasciato all’arbitrio del singolo capitalista. Ma di passo in passo aprono la via al capitalismo selvaggio.

Siamo sicuri che tra i nostri lettori non ce n’è uno che non si renda conto che, anche dove non è discriminato dalla legge e gode dell’uguaglianza giuridica, ogni lavoratore, e in particolare ogni proletario, individualmente è in condizione di assoluta inferiorità rispetto al capitalista. Il capitalista ha bisogno della classe dei proletari, ma può fare a meno di ogni singolo proletario. I proletari come classe possono fare a meno della classe dei capitalisti (creando la società socialista), ma finché ci sono i capitalisti ogni proletario può vivere solo se un capitalista lo assume. Solo l’organizzazione e l’unità permettono ai lavoratori di farsi valere in una certa misura di fronte ai capitalisti. È significativo del ruolo particolare che la classe ha nella società il fatto che la borghesia proclami che devono finire le leggi che tutelano i proletari nei confronti dei capitalisti proprio mentre la stessa borghesia ufficialmente vara leggi (e ancora più discute di leggi) che introducono nella sovrastruttura “discriminazioni” a favore dei “gruppi più deboli” (quote riservate alle donne, alla gente di colore, ecc.).

Nessuno tra i nostri lettori può negare che le misure che tutelano i lavoratori contro i capitalisti sono monche, parziali, che lasciano ai capitalisti e ai padroni il coltello dalla parte del manico. Anche quando la legge è dalla sua parte, per il lavoratore ottenere dalla magistratura una sentenza favorevole che ristabilisca i suoi diritti è un’impresa lunga, tormentosa, costosa e incerta e lo segnala a tutti i padroni come un proletario da non assumere.

Da vent’anni a questa parte i sindacalisti di regime e tutti i partiti della borghesia compresi quelli di sinistra, non hanno fatto che eliminare, ridurre, immiserire le conquiste che i lavoratori avevano strappato a tutela parziale contro lo strapotere dei capitalisti. Ogni riforma e ristrutturazione ha voluto dire un peggioramento per i lavoratori, giustificato dal bisogno di evitare un peggioramento ancora maggiore. La riforma delle pensioni del ’95 (governo Dini) arrivata  dopo la lotta contro la riforma delle pensioni progettata dal governo Berlusconi (novembre ’94) è emblematica.

Non è un caso che i sindacalisti sono diventati sempre più sindacalisti di regime sempre più staccati dai lavoratori, che i sindacalisti di regime hanno paura della parola d’ordine “eletti e revocabili” (che il nuovo partito comunista metterà nel suo programma - v. art. 5 cap. 4.1 del Progetto di Manifesto Programma), che essi sono rotti ad accordi sottobanco e a complotti, sono legati alla borghesia e al suo regime da mille fili legali (finanziamenti pubblici, partecipazione agli organismi paritetici, ritenute sindacali in busta paga) e illegali (corruzione, tangenti), sono una autentica mafia del regime DC in putrefazione.

L’attuale scontro tra guardie e ladri è un episodio della decomposizione del regime dei padroni che si attua su iniziativa dell’ingordigia padronale. È già stato illustrato altrove che lo scossone impresso da Tangentopoli e Mani Pulite al regime DC era la via per eliminare un ceto politico per altra via inamovibile e incapace, per la sua doppia natura clientelare (chiesastica e mafiosa), di gestire i bisogni della borghesia imperialista nella nuova fase.(1) Dall’operazione Mani Pulite ha tratto naturalmente profitto un ceto politico (ex PCI, sinistra DC e riformatori PSI) che nel vecchio arco costituzionale era il nemico naturale della combinazione di potere che Mani Pulite ha abbattuto. Ma proprio il nuovo ceto, che ha realizzato il programma politico di Mani Pulite e ha accelerato la liquidazione del vecchio regime sociale, si scontra ora con i suoi limiti interni: la sua ala “riformista” e i sindacati di regime. Esso ha trovato la sua naturale espressione nella “concertazione”. Ma la sua forza è in declino. Mani Pulite si è esaurita. Agnelli e la sua corte hanno subito un secondo fiasco il 9 marzo: la Confindustria ha scartato il candidato degli Agnelli, Carlo Callieri, e ha eletto a proprio presidente Antonio D’Amato, un nemico dichiarato della concertazione. È un avvenimento storico, perché gli Agnelli sono stati i grandi elettori del presidente della Confindustria in tutto il dopoguerra. È probabile che ciò aggravi le difficoltà anche per tutto il gruppo dirigente andato al potere grazie a Tangentopoli. Potrebbe indicare un’ulteriore accelerazione della eliminazione delle conquiste o almeno che i padroni cercheranno di manovrare in questo senso.

 

1. Il fiasco del 27 marzo ’94, in Rapporti Sociali n. 16, pag. 19-24

 

I padroni non ne hanno mai abbastanza, vogliono sempre di più. Più i lavoratori cedono terreno, maggiori sono le pretese che i padroni avanzano. A ragione è stata negata ogni legittimità alla denominazione di seconda repubblica che non fosse il bisogno di creare confusione e di imbrogliare le carte in tavola. L’attuale regime è semplicemente la putrefazione del vecchio regime DC. I vecchi amici di Craxi e della DC (Berlusconi, Fini, Cossiga, Amato) si sono ora candidati a realizzare il programma sociale di Mani Pulite. Se ci riusciranno o no non dipende solo dal travaglio della borghesia imperialista italiana e dei vari poteri che governano l’Italia, dalle contraddizioni tra essi relativamente al governo dell’Italia. Dipende anche dalla rinascita politica della classe operaia italiana e dalla situazione internazionale.

Pannella, Bonino e soci sono per un momento diventati i portavoce più radicali della borghesia imperialista italiana come Di Pietro, Caselli e Borrelli lo erano nel ‘92. Se la loro iniziativa avrà successo, le condizioni degli operai, degli altri proletari e dei lavoratori autonomi peggioreranno ancora più rapidamente.

Cosa dà forza all’iniziativa di Pannella. Bonino & C?

Le loro proposte esprimono le aspirazioni di tutta la borghesia, anche di quella parte che però non ritiene opportuno realizzarle subito, così di colpo, così radicalmente. Al di là delle decisioni formali della Confindustria e delle altre associazioni padronali, la loro iniziativa riceverà quindi un largo appoggio da parte della borghesia imperialista, della borghesia nazionale e anche di quei settori della piccola borghesia che assume o potrebbe assumere proletari. L’opposizione di D’Alema, Cofferati, Castagnetti, D’Antoni, Berlusconi ecc., sarà incerta, esitante, timorosa, con mille accordi e appoggi sotto banco, con mille passi in quella direzione (vedi la riforma del part-time, le avances sulle pensioni, ecc.), con motivazioni di forma (il referendum, il bisogno di regole), ma concedendo che sulla sostanza i  referendari hanno ragione (vedi le dichiarazioni di Treu e di Fazio al Corriere della sera del 30 gennaio). In sostanza sono d’accordo con Pannella, ma temono che sia politicamente pericoloso abolire tutto e di colpo. In più, a certe incerte conquiste delle masse sono legati soldi e potere dei sindacati di regime CGIL-CISL-UIL.

In secondo luogo, l’iniziativa di Pannella, Bonino & C mischiava misure che aprono direttamente uno spazio di maggiore libertà ai padroni e in particolare all’arbitrio individuale del singolo padrone (concedeva a ogni padrone di fare contratti a termine, contratti part time, ecc., senza più contrattare con sindacati e altre mafie di regime), con misure che sono solo un primo passo su percorsi che ai padroni fanno luccicare gli occhi di avidità (abolizione della giusta causa per i licenziamenti individuali, abolizione del servizio sanitario nazionale, abolizione del contratto collettivo nazionale di lavoro, abolizione dei controlli della burocrazia statale e dei sindacati di regime su apertura e chiusura di aziende e sulle condizioni igieniche e di sicurezza, sostituzione del sistema di previdenza sociale con le assicurazioni private), con l’abolizione di vessazioni a carico dei proletari a favore della pubblica amministrazione e delle mafie sindacali di regime (ritenuta delle tasse sulla basta paga, ritenuta delle quote sindacali sulla busta paga e sulle pensioni, finanziamento pubblico dei patronati). L’abolizione della ritenuta sindacale in busta paga fu addirittura chiesta nel ’95 anche dai comitati di base e da altre strutture sindacali.

Il 3 febbraio la Corte Costituzionale ha annunciato che aveva bocciato 14 referendum e ne aveva ammessi 7. Le motivazioni rese note il 7 febbraio sono in generale risibili: l’abolizione della norma avrebbe lasciato un vuoto legislativo nell’attuazione di dettati costituzionali (come è ovvio che avvenga per ogni referendum abrogativo che infatti deve essere seguito dalla emanazione di una nuova norma di attuazione). In sostanza la CC è sfacciatamente venuta incontro ai desideri del governo D’Alema. Nessuna novità rispetto alla storia della Repubblica, salvo che questa volta si è verificata in merito una spaccatura importante nella classe dominante.(2) È rimasto come iniziativa particolarmente diretta contro i proletari il referendum che elimina il diritto a essere reintegrato nel posto di lavoro per il lavoratore licenziato “senza giusta causa” (art. 18 dello Statuto dei Lavoratori).

 

2. Da segnalare che la CC ha bocciato il referendum che avrebbe abolito la trattenuta delle tasse in busta paga: una misura che colpisce tutti i lavoratori dipendenti e li discrimina rispetto al resto delle masse popolari e alla borghesia imperialista.

 

In terzo luogo, l’iniziativa di Pannella, Bonino & C punta sulla disperazione e sulla miseria: chi non trova lavoro spera che i padroni assumano più lavoratori dopo che il successo dei referendum avrà consentito ai padroni di sfruttare di più i dipendenti e le risorse naturali. Già ora più di tre milioni di lavoratori lavorano in nero, altri milioni lavorano in condizioni insalubri, a rischio d’incidente, più di mille muoiono sul lavoro ogni anno (circa 4 al giorno), decine di migliaia restano invalidi, centinaia di migliaia subiscono lesioni. Qualche proletario spera di poter più facilmente aprire un’azienda, mettersi in proprio. Può anche effettivamente darsi che, se potranno sfruttare di più, i padroni assumeranno qualche lavoratore in più. In Irlanda, dove i padroni hanno avuto le libertà che ora Pannella, Bonino & C fanno intravedere, in qualche misura è successo così. I padroni traslocano aziende in Albania e in altri paesi dove sono più liberi di sfruttare.

In quarto luogo, tutte le conquiste dei lavoratori gestite dalla borghesia contengono anche molta merda. Tutte le conquiste strappate dai lavoratori e dalle masse popolari ma amministrate dalla borghesia e in una società borghese comportano aspetti miserabili per i lavoratori e diventano per la borghesia terreno su cui sviluppare l’arricchimento individuale e la corruzione. Il servizio sanitario nazionale in una società borghese fornisce a molti lavoratori un’assistenza di merda. Molte pensioni sono da fame. La burocrazia statale e le mafie dei sindacati di regime intralciano molte iniziative vantaggiose per le masse popolari. La corruzione, la concussione, il clientelismo, stipendi d’oro,  tangenti, appropriazioni illecite e incuria dilapidano una gran parte degli stanziamenti destinati a finanziare le conquiste e pagati dai lavoratori con tasse e contributi. L’indignazione dei lavoratori per come la borghesia imperialista amministra le loro conquiste è grande.

L’iniziativa di Pannella, Bonino & C. ha offerto a Cofferati, Larizza, D’Antoni, D’Alema, Bertinotti & C. l’occasione per ridarsi un po’ di lustro, per rafforzare il loro prestigio compromesso presso le masse popolari. Essi hanno disgustato più volte i lavoratori, proprio introducendo e allargando con nuove regole quelle libertà padronali che ora Pannella vuole che dilaghino liberamente. Essi non sostengono neanche la conservazione della situazione attuale, ma la loro partecipazione al suo peggioramento (la “concertazione”). In effetti, da vent’anni a questa parte i licenziamenti individuali sono diventati più frequenti, più diffusi i contratti di lavoro a termine, part time, week end, con salari di ingresso, di formazione-lavoro (senza formazione), ecc. Pannella offre invece ai sindacati di regime la possibilità di combinare la difesa del proprio ruolo, delle proprie fonti di finanziamento, del proprio potere con la difesa di alcune conquiste dei lavoratori. Molti lavoratori avanzati si sono mobilitati e si mobiliteranno contro i referendum di Pannella e le altre iniziative di attacco alle conquiste che seguiranno.

Dobbiamo partecipare alle mobilitazioni, ma dobbiamo assolutamente mantenere autonomia di propaganda, perché altrimenti faremmo di fatto i portatori di acqua per le mafie sindacali di regime che prima o dopo il referendum si metteranno d’accordo per approvare leggi che attuano la sostanza degli interessi difesi dai proponenti dei referendum o perlomeno fanno un passo in quella direzione. Dobbiamo rivendicare e soprattutto esercitare autonomia di propaganda: questo disturberà i sindacati di regime che cercheranno di soffocarci in ogni modo.

Nella nostra propaganda dobbiamo mettere l’accento sul comunismo come necessità storica e obiettivo realista, sulla lotta contro la borghesia imperialista come unico mezzo per difendere le conquiste e sulla ricostruzione del partito come strumento indispensabile anche per la difesa delle conquiste e perché la campagna contro il referendum Pannella-Bonino non abbia la stessa conclusione della campagna contro la riduzione delle pensioni progettata da Berlusconi (conclusa con la riforma Dini). Dobbiamo far valere al massimo i passi avanti nella ricostruzione del partito che sono stati compiuti nel 1999 (lavoro per l’elaborazione del Manifesto Programma, costituzione della Commissione Preparatoria per la fondazione del congresso del (nuovo) Partito comunista italiano). Dobbiamo raccogliere tutte le forze oggi già disponibili per la nostra causa, cosa possibile man mano che si costituisce il centro di raccolta e la bandiera sotto cui raccoglierle (il programma e l’organizzazione).

Dobbiamo fare della lotta contro i referendum una scuola di comunismo per chi vi partecipa, un cantiere in cui si raccolgono nuove forze per la ricostruzione del partito comunista e si temprano le forze che già lavorano alla ricostruzione del partito comunista.

Tonia Cannizzaro

 

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