Buon lavoro, compagni russi!
In occasione delle elezioni presidenziali del 26 marzo

Rapporti Sociali n. 25 - giugno 2000 (versione Open Office / versione MSWord )

 

Con le elezioni del 26 marzo la oligarchia russa considera di aver superato la crisi politica scoppiata in Russia a metà del 1999. L’elezione di Putin al primo turno (con il 52% dei voti dichiarati e il 35% degli elettori) è indubbiamente un successo nella difficile successione a Eltsin. Anche se il risultato risicato nonostante i mezzi impiegati nella “campagna elettorale” la dice lunga sullo stato d’animo della popolazione.

Per alcuni anni la propaganda borghese ha presentato le vicende politiche russe in modo farsesco, come vicende legate ai difetti e alle doti personali di Eltsin. Stando all’immagine dei commentatori borghesi, l’attività della intera classe dirigente russa dipendeva dagli umori e dalla parola di Eltsin.(1) Secondo questa rappresentazione, Eltsin avrebbe fatto e disfatto governi e preso decisioni a capriccio. È un modo di vedere abbastanza diffuso nella borghesia. Secondo la mentalità borghese i grandi personaggi dirigono il mondo, gli individui fanno la storia, i capitalisti fanno vivere le masse. Il culto della personalità è profondamente radicato nella borghesia. Negli anni cinquanta e sessanta la stampa borghese era inondata dalle gesta dei “quattro grandi” (i capi di governo di USA, URSS, Inghilterra e Francia). Oggi è piena delle gesta di Clinton e di Woityla. Il culto dei santi e degli eroi, dalla principessa Diane a Schumacher, è entrato a far parte della sua cultura. E per quanto riguarda la Federazione russa, sembrava che Eltsin fosse il centro di tutto e che tutto dipendesse da lui. In realtà Eltsin era la sintesi di un gruppo politico che raccoglieva i favori del grosso della oligarchia russa e della borghesia imperialista straniera, in particolare americana e tedesca. Questa combinazione di forze aveva trovato in Eltsin il suo uomo e lo aveva portato al potere. Sotto il manto del “nuovo zar” l’oligarchia russa e la borghesia imperialista straniera hanno spogliato le masse popolari russe (e al loro rimorchio quelle degli altri paesi ex sovietici) e hanno saccheggiato le risorse naturali, economiche, finanziarie (lo Stato sovietico aveva grandi riserve auree), artistiche, scientifiche e semplicemente umane (con la tratta delle bianche, il traffico di organi umani, ecc.) del paese. Ovviamente finché gli affari marciavano la borghesia imperialista ha sopportato anche le bizzarrie individuali del suo campione. L’appoggio a Eltsin di quella combinazione di forze era stato compatto persino nel 1993 quando fece bombardare il Parlamento di Mosca ed era rimasto sostanzialmente immutato nel 1996 quando essa pagò la rielezione di Eltsin alla presidenza (“le elezioni si vincono con i soldi”, dice la scienza politica borghese e spesso in effetti nei paesi borghesi sono i soldi che decidono dell’esito delle elezioni). Ma tra il ’96 e oggi le contraddizioni nella borghesia imperialista si sono acuite e le sventure in cui essa ha precipitato il popolo russo sono diventate tali che la successione a Eltsin nel 2000 (alla fine del suo secondo mandato) si presentava particolarmente difficile. Gli alleati del ’96 si sono allora trasformati in briganti che si battevano ognuno per assicurarsi i maggiori vantaggi nella successione. Gli scandali finanziari dell’estate del ’99 sono stati la manifestazione della guerra per la successione a Eltsin. Essi sono scoppiati contemporaneamente in Svizzera, a New York e a Mosca perché ognuno dei gruppi contendenti cercava di assicurarsi un vantaggio nella corsa. Ognuno ha accusato i propri avversari di attività criminali e tutti a gara hanno indicato il maggior responsabile in Eltsin che, da decisionista salvatore della patria qual era, ha rischiato di fare la fine di Craxi. Gli scandali finanziari “russi” sono diventati un affare mondiale e in effetti vi era coinvolta la borghesia imperialista di mezzo mondo. Gridati ai quattro venti, hanno avuto un grande merito: essi hanno mostrato, a chi vuole capire ed è in grado di capire, come funziona il mondo borghese contemporaneo, in particolare che l’identificazione tra la grande borghesia finanziaria e la criminalità organizzata è arrivata a un livello mai raggiunto nel passato. La mondializzazione finanziaria è coincisa con la mondializzazione della criminalità. La Polonia è un piccolo paese e l’autogestione lanciata da Walesa e dal clero in Polonia nel 1980 è finita semplicemente con la svendita e il fallimento dell’apparato industriale polacco.  L’URSS era un fenomeno di scala ben diversa e la trasparenza (glasnost) di Gorbaciov è diventata la rapina più colossale del secolo che ha alimentato la criminalità organizzata di tutto il mondo, le ha fatto fare un salto di qualità e alla fine l’ha fatta esplodere (crisi del FMI, lotta per il controllo dei “paradisi fiscali”, ecc.).

 

1. Nella cultura borghese della seconda metà del secolo scorso è stata elaborata e largamente diffusa la concezione del totalitarismo (portavoce di spicco Hannah Arendt). Questa concezione mette in luce in modo unilaterale l’unità dei regimi fascisti e delle società da essi dirette attorno ai suoi capi. L’osservazione delle profonde contraddizioni che nella realtà hanno accompagnato la pur breve vita dei regimi supposti “totalitari” bastano a dimostrare quanto questa teoria travisa la realtà. Il carattere mistificatorio della teoria è confermato dalla pretesa di omologare fenomeni antitetici come i regimi fascista (1922-1943) e nazista (1933-1945) da una parte e la costruzione del socialismo in URSS (1917-1956) dall’altra, che scientificamente vale quanto omologare un sasso di fiume ed un uovo sulla base della “profonda” considerazione che entrambi hanno una forma tondeggiante. Il fascismo, il nazismo e tutti gli altri regimi terroristici cui la borghesia imperialista ha fatto ricorso durante la prima crisi generale del capitalismo (1910-1945) sono analizzabili, sono cioè unità di opposti. Essi non sono il prodotto dei loro capi, ma al contrario i loro capi sono i portavoce dei regimi di cui la borghesia imperialista ha bisogno.

Questa teoria ha però avuto ed ha un ruolo politico importante che ne spiega il successo di pubblico. Essa assolve la borghesia imperialista dalle responsabilità del fascismo e del nazismo. Una volta sconfitti i due regimi facenti capo a Mussolini e a Hitler e rivelati i crimini mostruosi da essi commessi, la borghesia imperialista si è trovata in difficoltà: come spiegare l’origine dei regimi e dei loro crimini? L’origine reale sta nella stessa borghesia imperialista che difende a ogni costo i suoi privilegi e i suoi ordinamenti sociali dall’avanzata del movimento comunista e per questo in determinate circostanze ha bisogno ed esprime regimi terroristici. Ma la borghesia imperialista non poteva dire questo e quindi non poteva neanche comprenderlo. Chi è interessato a non vedere, non vede. La teoria del totalitarismo le è venuta in soccorso: l’origine dei rispettivi regimi stava nei suoi capi e nell’identificazione psicologica e culturale dei loro seguaci con i capi e dell’intera società con essi. Questo esonerava i grandi industriali, finanzieri e commercianti, i dirigenti politici, religiosi e i grandi intellettuali da ogni responsabilità. Non è un caso che il processo ad Adolf Eichmann (1961) ha messo in imbarazzo i portavoce di questa teoria: infatti il criminale nazista nella sua difesa mostrò che la teoria del totalitarismo era sì una denuncia del nazismo, ma anche una difesa dei nazisti. “Ho obbedito agli ordini” è stata l’applicazione spicciola di questa concezione da parte degli Eichmann di turno quando erano chiamati a rendere ragione del loro operato.

Il materialismo dialettico ci insegna che i capi, i condottieri, i dirigenti sono l’espressione concentrata degli interessi e degli obiettivi della classe di cui sono esponenti e che a questo loro ruolo devono il loro potere personale che essi perdono quando hanno portato a termine il loro compito o se risultano incapaci di portarlo a termine. Questa concezione è esposta in G. Plekhanov, La funzione della personalità nella storia (pubblicata in italiano dalle Edizioni Progress di Mosca e dagli Editori Riuniti, collana Le idee).

 

L’identificazione tra le attività della borghesia imperialista e le attività criminali ha un significato storico e avrà una grande importanza politica. Infatti essa indica che la borghesia imperialista non è più in grado di legalizzare la propria attività, che i gruppi imperialisti non riescono più ad accordarsi per regolare le loro reali attività, di sfruttamento delle masse e di concorrenza tra loro, con leggi e patti fatti su misura, ma validi per tutti i gruppi imperialisti. I gruppi imperialisti non riescono più a stabilire regole comuni tra loro e sempre più è la forza che decide l’esito degli affari. Il monopolio statale della violenza e un ordinamento giuridico delle libere attività economiche sono tratti essenziali della società borghese, che hanno distinto il predone borghese dal barone feudale. La borghesia giunta al suo declino li deve però rinnegare. La lotta tra i gruppi e gli Stati imperialisti sta entrando in uno stadio nuovo. I rapporti di forza sostituiscono le norme giuridiche, gli arbitrati e le corti. La borghesia non riesce a fare norme giuridiche che riconoscano, sanzionino e legalizzino i nuovi rapporti di forza, perché non sono ancora definiti e consolidati. È un aspetto di quello che chiamiamo situazione rivoluzionaria in sviluppo.

Ma ritorniamo alla Russia. Come è emerso Vladimir Putin a candidato unico dell’oligarchia russa e dei gruppi più influenti della borghesia imperialista? Putin non era “uno qualunque”, un “signor nessuno”. Era presidente dal 1998 del FSB (la polizia segreta russa), carica a cui non era arrivato per caso. Che il capo della polizia politica di un paese prenda in mano il potere in prima persona non capita tutti i giorni. L’incarico di primo ministro a Putin (agosto 1999), le stragi di agosto e settembre a Mosca e Rostov con più di 300 morti, la successiva guerra contro la Cecenia, le elezioni della Duma del 20 dicembre e le dimissioni di Eltsin di fine dicembre con conseguente anticipo delle elezioni presidenziali sono state le pietre miliari della campagna elettorale di Putin. Che gli autori delle stragi siano stati gli agenti del governo russo, e precisamente agenti del FSB (che nella Russia “democratica” svolge i ruoli che negli USA sono spartiti tra FBI  e CIA), è certo, per quanto vi può essere certezza circa le attività criminali di uno Stato finché quello Stato è ancora in vita. Lo conferma la mancata strage di Riazan: il 22 novembre la polizia locale scoperse l’esplosivo depositato in un palazzo residenziale da agenti del FSB prima che esplodesse e il conflitto tra i due organismi venne risolto con la versione che gli agenti stavano facendo una esercitazione.

I promotori della candidatura di Putin e il modo in cui l’hanno fatta valere gettano una luce abbastanza chiara su quale sarà l’attività della sua amministrazione. Non è un caso lo scarso rilievo dato al suo programma elettorale. Esso ovviamente prometteva sostegno alla proprietà privata (evidentemente della oligarchia e della borghesia imperialista, visto che i semplici cittadini russi e persino i pensionati sono già stati spogliati di ogni proprietà dagli stessi oligarchi) e nello stesso tempo prometteva di porre fine alla corruzione e al potere degli oligarchi: promesse ridicole ma che chiariscono lo stato d’animo delle masse e quale indignazione abbia suscitato in Russia l’attività degli oligarchi e della borghesia imperialista straniera (e che ovviamente hanno alimentato l’animosità contro gli oligarchi).

 

2. Subito dopo la conquista del potere da parte della classe operaia nel 1917, le classi reazionarie russe ricorsero al terrorismo, al sabotaggio, alle cospirazioni, alle infiltrazioni e ai complotti, oltre che alla guerra civile aperta. L’attentato a Lenin del 1919, l’assassinio di Kirov nel 1934 e quello di Zdanov nel 1948 sono solo le punte emergenti di una attività capillare che si è protratta lungo tutto il periodo della costruzione del socialismo (1917-1956). Le classi reazionarie russe, cui apparteneva dal 10 al 20 % della popolazione (quindi tra i 20 e i 30 milioni di persone), avevano una tradizione di particolare ferocia e mancanza di scrupoli nella oppressione delle masse popolari. Questa tradizione fu esaltata dalla radicalità della rivoluzione proletaria che non trasferisce i privilegi della proprietà e dell’oppressione da una classe ad un’altra, ma abolisce i privilegi di ogni classe sfruttatrice. L’accanita resistenza al potere sovietico opposta dalla borghesia e dalle altre classi reazionarie “sovietiche” ebbe inoltre il sostegno senza scrupoli della borghesia imperialista (in particolare degli USA, della Germania e del Vaticano). A fronte di tutto questo il potere sovietico ricorse a particolari misure di difesa. Una di esse fu l’introduzione del sistema della Nomenklatura: gli incarichi di maggiore responsabilità venivano riservati alle persone che avevano superato un esame di affidabilità, che quindi venivano a costituire uno strato ben definito della popolazione, con particolari legami tra loro. Qualcosa di più forte persino di quello che è il Nulla Osta NATO necessario per accedere a una serie di incarichi pubblici nei paesi della NATO. Questa misura, come altre, fu da una parte un’arma relativamente efficace (relativamente perché nessun esame di affidabilità garantisce in assoluto da infiltrati, spie e traditori) di difesa dell’URSS dalla controrivoluzione finché la direzione del paese fu in mano alla sinistra, ma si tramutò in un’arma della controrivoluzione stessa quando il potere venne preso, nel 1956, dalla destra del partito. Il sistema della Nomenklatura infatti fu la culla già pronta per il consolidamento di una nuova classe dominante.

 

3. L’articolo Sull’esperienza storica dei paesi socialisti (in Rapporti Sociali n. 11, novembre 1991, pagg. 11- 26) illustra a grandi linee i tre periodi fondamentali attraverso cui è passata la Russia (l’Unione Sovietica) dal 1917 a oggi e indica le caratteristiche di ognuno di essi. Gli avvenimenti che si sono succeduti dopo il 1991 (data di pubblicazione dell’articolo) hanno confermato quanto in quell’articolo è detto.

 

Cosa succederà ora in Russia? Il materialismo dialettico insegna a non credere ai miracoli. Il campione della borghesia imperialista e della oligarchia russa cercherà di assecondare gli interessi della classe che l’ha portato al potere e lo sostiene. Vi sono tuttavia delle incertezze sulla sua attività futura ed esse derivano da due fattori. Il primo, che nell’immediato è anche più potente, è che ci sono grandi e inconciliabili contrasti di interessi tra le forze che hanno portato Putin al potere. Il controllo della Russia è uno dei maggiori, nell’immediato forse addirittura il maggiore pomo della discordia tra la borghesia imperialista americana e la borghesia imperialista tedesca (gli altri gruppi europei si aggregano all’una o all’altra cordata). Ma l’oligarchia russa a sua volta non è semplicemente a disposizione, non è una “borghesia compradora”. Essa non viene dal nulla. L’attuale oligarchia russa è costituita per intero dalla Nomenklatura (2) formatasi durante il lungo periodo di direzione dei revisionisti moderni (1956-1989) e dai suoi rampolli.(3) Essa dopo il 1991 ha trasformato in proprietà privata quello che già da alcuni anni amministrava come suo possesso. Questo passaggio ovviamente ha dato luogo a grandi lotte nella Nomenklatura, ha determinato la costituzione di una gerarchia basata sui rapporti di forza che dovettero essere misurati come si misurano i rapporti di forza e ha dovuto fare i conti con la massa della popolazione. Nei lunghi anni del loro dominio i revisionisti avevano allontanato le masse popolari dal potere, ma la privatizzazione dell’apparato produttivo esigeva un immiserimento e un abbrutimento della massa della  popolazione che di fatto hanno superato le più fosche previsioni di noi comunisti che pure da anni vedevamo e dicevamo che i revisionisti stavano portando l’URSS al disastro.(4) I nuovi padroni dovevano disciplinare milioni di lavoratori, riducendoli in condizioni da dover elemosinare un qualsiasi lavoro quali che fossero le condizioni che essi avrebbero imposto.

 

4. Il Rapporto sullo Sviluppo pubblicato dall’ONU nell’estate del 1999 valuta in 10 milioni i “morti in eccesso” avutisi in Russia e in Ucraina nel periodo 1991-1997. Secondo lo stesso Rapporto, i poveri nei paesi ex sovietici sono passati da 13.6 a 119.2 milioni tra il 1984 e il 1998 e il PIL nel 1997 era il 55% di quello del 1990. L’aspettativa di vita in Russia era calata da 62 a 58 anni tra il 1980 e il 1995. Malattie infettive come l’AIDS e sifilide nello stesso periodo erano cresciute di 15 volte ed erano ricomparse malattie ormai scomparse come la tubercolosi, poliomielite, differite. Sottoalimentazione, anemia, alcolismo, droghe, suicidi, bambini abbandonati e crimini di ogni genere erano aumentati vertiginosamente.

 

Quindi anche il passaggio del 1991-1993 dovette avvenire con finzioni e illusioni che impedissero una resistenza troppo forte da parte delle masse popolari. La distribuzione alla popolazione di “azioni” delle imprese in cui lavoravano fu una di esse. Ovviamente però queste operazioni complicarono la privatizzazione: costrinsero la nuova classe dominante a ricorrere a una sequela di operazioni truffaldine (le “piramidi”) che dovevano far sparire le “azioni popolari” e le “pretese” ad esse legate.(5) Ciò esaltò ancora di più il carattere criminale della nuova classe dominante, sia nell’attività verso le masse sia nei rapporti tra i propri esponenti. La nuova classe dominante russa porta i segni di questa sua origine. La mondializzazione finanziaria e l’avanzata criminalizzazione dell’economia mondiale già operata dalla borghesia imperialista del resto del mondo hanno offerto e offrono alla nuova classe dominante russa un campo d’azione ideale. La palla al piede maggiore che essa ha per assumere nel mondo il ruolo a cui pensa di avere diritto, grazie alle enormi risorse materiali e spirituali accumulate dai popoli sovietici, sono le masse popolari russe.

 

5. Ecco il profilo di uno dei membri più giovani di questa classe (uno fra tanti), tratto da giornali russi (Novoia Vremia e Nezavissimaia Gazeta), ovviamente con beneficio di inventario. Herman Oskarovic Graf ha solo 36 anni e di lui si parla come di un candidato alla carica di primo ministro sotto Putin. Nel 1992, neolaureato in legge, è responsabile di una agenzia di Pietroburgo del Comitato di Gestione del Patrimonio Nazionale, al vertice del quale a Mosca c’è Anatoli Ciubais, incaricato della privatizzazione dei beni dello Stato. Nel 1994 diventa vicepresidente del CGPN di Pietroburgo e direttore del Dipartimento dei Beni Immobili. Il suo nome compare poco dopo in quattro procedimenti giudiziari per illeciti nelle privatizzazioni che però finiscono nel nulla perché il teste principale viene ucciso. Nel 1997 diventa presidente dello stesso CGPN a seguito dell’assassinio del presidente. Nel 1998 Ciubais lo chiama a Mosca dove è nominato primo viceministro del Patrimonio Nazionale. Ora è direttore del Centro Studi Strategici ed eminenza grigia di Putin.

 

6. La restaurazione del capitalismo in Russia (in Unione Sovietica) è un avvenimento in gestazione dal 1956 ma lungi dall’essere ancora oggi completato, a conferma della tesi che “è impossibile far girare all’indietro la ruota della storia”. Questo argomento ha diviso per molti anni i marxisti-leninisti (che erano uniti nel denunciare il revisionismo moderno inteso nel senso illustrato in Rapporti Sociali n. 23/24 pagg. 24-27) e ancora oggi divide i comunisti. Su questo argomento indichiamo l’articolo La restaurazione del modo di produzione capitalista in Unione Sovietica pubblicato in Rapporti Sociali n. 8 (novembre 1990) pagg. 24-29. Siccome alcuni compagni insistono ancora oggi a sostenere che l’URSS era un paese capitalista e addirittura imperialista (cioè basato sul capitale monopolista e sul capitale finanziario) fin dagli anni ’60, sarebbe interessante che spiegassero cosa è successo secondo loro in URSS dall’inizio degli anni ’90 a oggi.

Per comprendere nel suo sviluppo effettivo la restaurazione del capitalismo in Russia occorre aver compreso cosa sono i rapporti di produzione e i tre aspetti che li compongono. Chi riduce i rapporti di produzione alla sola proprietà dei mezzi di produzione può dire sia che a partire dagli anni ’30 in URSS non c’era più una classe borghese sia che fino al 1990 in Russia non vi era capitalismo sia che oggi in Russia vi è il capitalismo. Se si ha chiaro che i rapporti di produzione sono costituiti dal possesso delle forze produttive (ivi compresa la forza-lavoro), dalle relazioni tra gli uomini e le donne nella produzione (divisioni sociali del lavoro) e dai rapporti di distribuzione, allora si è in grado, studiando gli avvenimenti, di seguire passo passo il cammino dal capitalismo (e dalle forme precapitaliste) verso il comunismo nel periodo 1917-1956, il regresso graduale verso il capitalismo del periodo 1956-1990 e il tentativo di restaurazione ad ogni costo del periodo successivo al 1990.

 

Il secondo fattore di incertezza sulla futura attività del nuovo Presidente e del suo governo consiste infatti nel fatto che la restaurazione del capitalismo in Russia è lungi dall’essere completata. Non è neanche detto che sarà completata. (6) Essa comporta un inserimento e un abbrutimento ulteriori della massa della popolazione e la moltiplicazione di operazioni di sterminio del genere della guerra contro la Cecenia. Oggi decine di milioni di persone trovano ancora  modo di non arrendersi senza condizioni ai capitalisti grazie alle residue risorse del socialismo. L’incompleta privatizzazione della terra, delle abitazioni e di altre strutture, la sopravvivenza di rapporti semisocialisti nelle aziende, le vaste forme di economia non monetaria, i residui del vecchio regime nelle strutture sanitarie e scolastiche, la ancora approssimativa introduzione di imposte, tasse e tariffe di rapina e altre cose analoghe permettono ad ampie masse una sopravvivenza miserabile che ostacola la libertà dei capitalisti. L’eliminazione di questi residui comporta operazioni che incontreranno sicuramente una resistenza crescente nella popolazione russa. Il revisionismo moderno e poi il tentativo di restaurazione a tutti i costi del capitalismo in corso dall’inizio degli anni ’90 hanno fortemente debilitato un’ampia percentuale della popolazione russa con l’alcolismo, l’uso di droghe, le malattie mentali, la brutalità della vita quotidiana, i suicidi, la prostituzione, il calo delle nascite e dei matrimoni. Ma questa “epidemia” prodotta con la restaurazione del capitalismo non è una cosa che possa intaccare una popolazione di 150 milioni di persone fino a renderla complessivamente incapace di una azione politica, come è avvenuto per alcuni piccoli popoli che il capitalismo ha portato all’estinzione. La rinascita del movimento comunista è quindi inevitabile e sicura in Russia. La frantumazione attuale del movimento comunista internazionale e la comune debolezza dei nostri strumenti di analisi e di elaborazione non ci permettono di comprendere il grado di sviluppo della rinascita del movimento comunista in Russia. Il Partito Comunista Federativo Russo, erede del PCUS, è un partito che sfrutta l’attaccamento delle masse al socialismo (non dimentichiamo che in un referendum fatto nel 1991 alcuni mesi prima che l’oligarchia sovietica dichiarasse sciolta l’URSS, la maggioranza dei cittadini sovietici aveva

votato per la conservazione dell’URSS) e non ha altro di comune col comunismo.(7) Ma il suo successo elettorale, fenomeno analogo a quanto si verifica negli altri paesi ex sovietici e dell’Europa Orientale, è un indice dell’attaccamento delle masse al socialismo. Io non sono in grado di valutare quanta strada abbiano compiuto (nel bilancio della restaurazione del capitalismo, nella comprensione della situazione concreta, nella definizione dei propri compiti, nella raccolta delle forze rivoluzionarie) gli autentici comunisti russi. Ma è certo che il popolo russo ha avuto, come il popolo cinese, una grande scuola di comunismo. Questa scuola ha lasciato al popolo russo strumenti grazie ai quali un po’ alla volta troverà la strada per rovesciare il corso delle cose che lo schiaccia: la classe operaia russa è numerosa e con una grande tradizione. Ciò è reso ancora più sicuro dal fatto che il degrado cui il tentativo di restaurazione del capitalismo sottomette il popolo russo si combina con la situazione rivoluzionaria che va diffondendosi e approfondendosi in tutto il mondo. La stessa borghesia imperialista avverte sempre più acutamente che non può continuare a governare alla vecchia maniera e si orienta sempre più verso una riorganizzazione generale della società i cui termini dividono e contrappongono tra loro i gruppi imperialisti. Quanto alle masse popolari, in tutte le classi va diffondendosi sempre più la consapevolezza della precarietà che si accentua, di un futuro che l’eliminazione delle vecchie conquiste, dei vecchi mestieri e delle vecchie culture rende incerto e minaccioso. In questo contesto sono date le condizioni perché si formi prima o poi anche l’elemento soggettivo della nuova ondata della rivoluzione proletaria, partiti comunisti della classe operaia adeguati ai compiti storici che la situazione pone e che tengano pienamente conto dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria.

 

7. In proposito vedasi l’articolo La crisi della Russia in Rapporti Sociali n. 20 (novembre 1998), pag. 14 e segg.

 

Crede la borghesia imperialista di avere risolto la crisi politica apertasi in Russia nell’estate del ’99. Lasciamoglielo credere, andrà presto incontro a grandi delusioni. Quanto a noi, auguriamo buon lavoro ai comunisti russi e sosteniamoli con tutte le nostre forze. Il maggiore aiuto che noi comunisti italiani possiamo dare consiste nel lavorare attivamente per la ricostruzione del partito comunista italiano e contribuire così alla rinascita del movimento comunista  in tutto il mondo. La ricostruzione del partito comunista nel nostro paese comporta infatti che noi comunisti superiamo, almeno in una certa misura, i limiti del vecchio movimento comunista, quelli per cui il movimento comunista ha subito una sconfitta dopo il grande avanzamento compiuto nel corso della prima crisi generale del capitalismo (1910-1945), quelli grazie ai quali la destra è riuscita a impadronirsi della direzione del movimento stesso, a mantenervi il potere e a farlo arretrare gradualmente e in modo sostanzialmente pacifico fino al collasso. Questi limiti non sono nazionali. Sono limiti del movimento comunista internazionale. Ogni gruppo di comunisti che li individua e li analizza e che indica la via per superarli e la verifica nella pratica, apre la strada a tutto il movimento comunista, così come all’inizio del secolo scorso fecero, rispetto a tutto il mondo, i bolscevichi russi.

Marco Martinengo

 

 

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