DIBATTITO

Rapporti Sociali n. 28 - luglio 2001 (versione Open Office / versione MSWord)

 

Le lotte della classe operaia e la ricostruzione del partito comunista

Il Comitato Comunista Prenestino (ComComPre) ha fatto pervenire ai CARC un intervento sull’“Appello/Piattaforma per costruire il Fronte Popolare per la ricostruzione del partito comunista” e una critica all’articolo “Bilancio della campagna 1 del 2000 dei CARC” (pubblicato su RS 26/27 a pag. 35 e segg.). Anche l’Associazione per la liberazione degli Operai (AsLO - Operai Contro) ha fatto pervenire una critica all’articolo di RS citato. Riportiamo qui di seguito le critiche pervenute ai CARC e le risposte dei CARC stessi. Questi articoli sono stati preparati prima che il ComComPre si sciogliesse per aderire all’AsLO (come abbiamo saputo via e-mail), quindi nella risposta sono trattati distintamente. Il contenuto però non perde di validità a seguito della novità.

 

Intervento del Comitato Comunista Prenestino sull’Appello/Piattaforma del Fronte Popolare

Compagni del CARC, vorremmo introdurre il nostro intervento citando uno che sulla costruzione di un partito comunista può insegnare molto.

Scriveva Lenin in Un passo indietro e due avanti: “I circoli di officina sono per noi particolarmente importanti, perché è nell’organizzazione degli operai delle grandi officine – dato che le grandi officine (e fabbriche) riuniscono quella parte della classe operaia che predomina non soltanto numericamente, ma anche e ancor più per la sua influenza, la sua coscienza, la sua capacità combattiva – che risiede la forza principale del movimento. Ogni officina deve essere una nostra fortezza… Il comitato di officina deve sforzarsi di abbracciare tutta l’impresa, una parte più grande possibile di operai, in una rete di circoli (o di agenti) di ogni genere… tutti i gruppi, i circoli, i sottocomitati, ecc. devono essere considerati come istituzioni o filiali del comitato”, ecc.

Non siamo qui per fare dei formalismi, e non ci dilungheremo nell’apprezzare il vostro chiaro approccio antiparlamentare all’eventualità di presentare una lista elettorale. Diamo per scontato che un tipo di intenzione simile è l’unica praticabile per una organizzazione che si dica comunista e rivoluzionaria. Non ci dilungheremo neanche a sottolineare le numerose parti del documento che sono da noi pienamente condivisibili. Ci riferiamo soprattutto alle parti caratterizzate da un’intenzione analitica e di critica all’imperialismo, alla borghesia, alla sinistra borghese.

La nostra lettura collettiva del documento “Costituiamo il Fronte popolare per la ricostruzione…” ci ha portato ad annotare alcuni paragrafi. Vorremmo qui riproporvi le nostre annotazioni, ritenendo essere questo un atto costruttivo, e in fin dei conti utile alla causa.

Da alcune frasi presenti nel documento appare un chiaro travisamento di quella che è la situazione attuale delle Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista: nel documento si auspica un partito comunista che sia “avanguardia organizzata e, al tempo stesso, parte integrante della classe operaia”. Benissimo, è l’unica forma possibile. Poco prima si parla anche di organizzazioni che “facendo propria la causa del partito comunista e avviando un processo concreto per raggiungere questo importante obiettivo, si sono poste all’avanguardia nello scontro tra classe operaia e borghesia imperialista” (corsivo nostro).

Ora il nostro lavoro come comitato comunista negli ultimi tempi si è incentrato soprattutto sul contatto con le fabbriche, e in alcuni casi sull’appoggio alle lotte che queste fabbriche portavano avanti. Possiamo dire di non aver mai fatto esperienza della connessione tra la classe operaia e le organizzazioni da voi chiamate in causa. Non abbiamo, di fatto, mai avuto riscontro di questo “processo concreto”.

Citiamo ancora il vostro documento: “Tra le FSRS la sinistra è quindi costituita da chi si pone consapevolmente come  compito principale della fase la ricostruzione del pc” (corsivo nostro). A noi proprio questo concetto sembra opinabile: quello che voi date per scontato, cioè la raggiunta integrazione della classe operaia alle avanguardie rivoluzionarie, a noi sembra lontana dalla verità. Parlare di ricostruzione del partito comunista come una risposta alla fase attuale vuol dire dimenticare che le organizzazioni comuniste e rivoluzionarie a tutt’oggi non hanno la necessaria connessione con le realtà di fabbrica, con le lotte operaie, con quei “circoli di officina” che Lenin riteneva essere il cuore del partito, e che purtroppo, oggi come oggi, è doloroso ammetterlo, quasi non esistono più.

La costruzione di un partito comunista che avvii un processo rivoluzionario è un’esigenza oggettiva. Lo è da secoli, dalla teorizzazione stessa del comunismo moderno, o meglio da prima ancora, essendo il comunismo una risposta a questa necessità. Il comunismo è un’esigenza oggettiva delle masse popolari. Ma sarebbe un errore pensare che questa esigenza, benché oggettiva e reale, sia necessariamente vissuta da queste con consapevolezza. La classe operaia non è arrivata finora, malgrado i molti tentativi, a cogliere veramente l’uva rossa del socialismo, e ha concluso che questa è immangiabile, è acerba. Dobbiamo fare i conti con questa prospettiva demotivata, perché questa è la realtà oggettiva della fase attuale, è il terreno che dobbiamo far fruttare.

È vero lo scoraggiamento della classe descritto nel vostro documento. Non è altrettanto vero, a nostro avviso, che una campagna elettorale volta alla ricostruzione del partito comunista sia funzionale al superamento di questa condizione. Come potranno gli operai, i giovani, le donne delle masse popolari (ovvero i destinatari del vostro appello) distinguere il comunista che parla in televisione o sui giornali dalla moltitudine di “presidenti operai”? La comunicazione attraverso i mass-media, si sa, è forzatamente frammentata, sloganistica, “ad effetto”, ed è inoltre facilmente assoggettabile al controllo della borghesia, che sa bene come aggirare le sue leggi sulla par condicio.

Quello che vogliamo comunicarvi non è certamente un messaggio di sfiducia verso la lotta di classe. Non stiamo asserendo che la situazione è irrecuperabile. Stiamo solamente dicendo che per poter veramente mettere in moto un processo serio di ricostruzione del partito comunista è necessario che la classe operaia, o per lo meno parte di essa, senta la necessità di tale istituzione. E per favorire questa presa di coscienza è irrimandabile il lavoro dentro le fabbriche, dentro le realtà operaie, dentro le loro lotte. Gli operai vivono un antagonismo che non è una scelta: è oggettivo, è reale. È l’identificazione di questo antagonismo che porta alla coscienza di classe.

Il rischio che si corre nel costruire un partito su quello che noi, in definitiva, consideriamo una forzatura ideologica, è di subordinare l’interesse della classe operaia a quello di altri gruppi sociali. Infatti, se si salta la condizione posta da Lenin nel brano sopra citato, si costruisce un partito senza operai, gli unici che, organizzati all’interno del partito, sono in grado di difendere i propri interessi.

Comitato Comunista Prenestino

 

 

Risposta dei CARC

Cari compagni, ci aspettavamo che in una certa misura alcune FSRS avrebbero accuratamente evitato di prendere posizione sulla proposta contenuta nell’Appello/Piattaforma. In particolare ce lo aspettavamo da parte di quelle FSRS che non condividono la proposta, che non vedono di buon occhio l’esistenza della Commissione Preparatoria (CP) o il lavoro dei CARC - che hanno raccolto la proposta della Commissione Preparatoria (CP) di costituire un Fronte che partecipi alle elezioni politiche del 2001 - , che non sono d’accordo sul fatto che, nella fase attuale, l’obiettivo principale dei comunisti sia quello di ricostruire il partito comunista, o un insieme di queste posizioni. Quindi ben vengano le critiche perché questo significa che non si vuole nascondere la testa sotto la sabbia per non doversi assumere  l’onere di spiegare chiaramente, non solo ad altre FSRS ma soprattutto alla classe operaia, ai lavoratori e alle masse popolari con cui si è in rapporto, la propria posizione: per quali ragioni la proposta non viene accettata? Che cosa si propone di diverso? Qual è la propria analisi della fase? Ecc.

Innanzitutto occorre intendersi sulla categoria “forze soggettive della rivoluzione socialista” (FSRS). Noi intendiamo per FSRS tutte quelle organizzazioni, e anche quei singoli compagni non inquadrati in organizzazioni, che riconoscono la necessità della trasformazione in senso socialista della società e che si pongono coscientemente all’opera per raggiungere questo obiettivo, ognuno sulla base della propria analisi, metodo e linea. Come potete intendere è un contenitore molto vasto. In esso infatti rientrano tutti coloro che lavorano di fatto e coscientemente guidati dall’obiettivo della rivoluzione socialista: quelli che si dichiarano comunisti, quelli che lo sono già, quelli che vogliono diventarlo e quelli che credono di esserlo. Il fatto che ogni FSRS (organizzazione o singolo compagno che sia) lavori per la rivoluzione socialista seguendo una linea diversa dalle altre non cambia la sostanza della definizione. Quale analisi, linea e metodo siano giusti per raggiungere l’obiettivo della rivoluzione socialista, e quindi della conquista del potere da parte della classe operaia, è una questione che la storia si incaricherà di dimostrare. Ciò che esiste attualmente sono una buona serie di organismi e di singoli compagni che lavorano (poco o tanto, più o meno bene) ponendosi quell’obiettivo.

Quindi voi come noi rientriamo nella categoria forze soggettive della rivoluzione socialista. A noi il termine sembra appropriato, chi ne scopre uno più adatto lo proponga, l’importante è intendersi sul contenuto.

Nel vostro intervento sostenete “di non aver mai fatto esperienza della connessione tra la classe operaia e le organizzazioni da voi [noi] chiamate in causa”. Ci si deve intendere sui termini, una volta intesi su questi si sviluppa il contenuto. Noi abbiamo sempre illustrato non solo il lavoro dei CARC (lo potete leggere ogni mese su Resistenza), ma anche quello di FSRS come il Comitato Comunista Prenestino, l’AsLO, Rosso 16, i Cobas, ecc. come un lavoro caratterizzato positivamente dal legame, più o meno sviluppato, con la classe operaia. Voi stessi sostenete, giustamente, che lavorate per sviluppare un legame con le fabbriche e che di fatto siete interni ad alcune fabbriche e avete costruito dei rapporti con alcuni operai dove interni non siete.

Bene. Tra le organizzazioni da noi chiamate in causa ci siete anche voi, che insieme ad altre, noi compresi, portiamo avanti questo “processo concreto”. Chiariti i soggetti di cui si tratta entriamo nel merito della critica.

Senza esplicitarlo direttamente (il che sarebbe stato meglio, ma non ci nascondiamo dietro la forma) voi sostenete che i CARC, insieme ad altre FSRS, non hanno incentrato il loro lavoro soprattutto “sul contatto con le fabbriche, e in alcuni casi sull’appoggio alle lotte che queste fabbriche portavano avanti”. Noi abbiamo decine e decine di esempi di questo tipo di lavoro nella nostra esperienza diretta (cioè di attività svolta dai CARC) e di esperienza sviluppata da altre FSRS. Certamente è un lavoro ancora limitato, anche unendo insieme l’attività di tutte le FSRS rivolta alle fabbriche non avremmo che un limitato numero di operai contattati dalle “avanguardie”, di fronte a 16-17 milioni di operai presenti nel nostro paese. Ma occorre partire da quello che di positivo esiste, vederne gli aspetti più avanzati e utili e svilupparli in funzione dell’obiettivo: la ricostruzione del partito comunista.

Poco più avanti dite che noi diamo per scontato “la raggiunta integrazione della classe operaia alle avanguardie rivoluzionarie”. Non abbiamo mai detto né scritto una cosa simile! Entrate nel merito della questione: siete d’accordo o no che la sinistra di ogni FSRS sia costituita da chi si pone consapevolmente come compito della fase la ricostruzione del partito comunista? Voi sostenete che non è ancora raggiunta l’integrazione delle avanguardie (FSRS) con la classe operaia, e qui siamo d’accordo almeno nel ritenere minimo il legame costruito, ma non fate nessuna distinzione tra quelle che lavorano per la ricostruzione del partito comunista e quelle che fanno altro o che non si pongono questo come obiettivo principale. Voi come vi ponete in proposito?

 Dal bilancio di 150 anni e oltre di storia del movimento comunista noi affermiamo, concordi con Marx ed Engels, con Lenin e Stalin, con Mao e con milioni di compagni e di operai che in questo arco di tempo hanno lottato contro la borghesia, che senza un partito comunista la classe operaia non può lottare efficacemente contro la borghesia e raggiungere obiettivi duraturi: trasformare la società e farla finita con lo sfruttamento di classe e, in definitiva, con la divisione in classi della società stessa. Voi cosa ne pensate?

Oggi nel nostro paese non esiste un partito comunista, quindi l’obiettivo imprescindibile di ogni compagno od organizzazione che si dichiari comunista deve essere quello di lavorare per la sua ricostruzione. Senza questo strumento la classe operaia non solo non può sviluppare efficacemente le sue lotte, ma non può nemmeno dirigere il resto delle masse popolari nella rivoluzione socialista. Il fatto che “la costruzione di un partito comunista che avvii un processo rivoluzionario” sia “un’esigenza oggettiva” non porta automaticamente alla sua costruzione.

Voi non lo dichiarate apertamente (ripeto che è sempre meglio esprimere chiaramente le proprie concezioni) ma si deduce dal vostro intervento che per voi la ricostruzione del partito comunista deve essere preceduta da una “necessaria connessione con le realtà di fabbrica, con le lotte operaie, ecc.”.

È vero che i circoli di officina di cui parlava Lenin oggi non esistono quasi più, ma anche in periodi in cui le FSRS, o le avanguardie rivoluzionarie, avevano un forte legame con la classe operaia (anni ‘60 e ‘70 in Italia, per fare un esempio) non si è giunti alla costruzione di un partito rivoluzionario, di un partito comunista. Nemmeno quando il PCI era strettamente legato alla classe operaia e composto da operai è riuscito a essere un partito che dirigeva il resto delle masse popolari verso la rivoluzione socialista. Da ciò si deve dedurre che il legame con la classe operaia di per sé non basta a ricostruire il partito comunista. Per questo noi diciamo che sbagliano quelle FSRS che, pur condividendo la positività e addirittura la necessità di un partito comunista, non fanno del loro lavoro di legame con la classe operaia un terreno su cui costruirlo concretamente.

Siamo perfettamente d’accordo con voi nel ritenere un errore pensare che l’esigenza oggettiva del comunismo sia vissuta dalle masse con consapevolezza. Siamo invece completamente discordi con voi sul fatto che dobbiamo far fruttare il terreno della “prospettiva demotivata” che ha portato la classe operaia a concludere che “l’uva rossa del socialismo” sia immangiabile. Compagni: è come concludere che per piantare un chiodo bisogna partire a mani nude! Partiamo dal martello perché quello lo abbiamo costruito! Magari il muro è di cemento e ci vorranno i chiodi di acciaio, o il martello è piccolo e ne occorre uno più pesante, ma non possiamo partire a mani nude: l’esperienza è un tesoro di cui sempre i comunisti devono avvalersi. Non si può “far fruttare” la parte più arretrata, gli operai che sono demotivati, sfiduciati e delusi. Possiamo invece far fruttare quelli che, nonostante i passi indietro del movimento comunista, nonostante la consapevolezza che la strada è lunga, tortuosa e piena di insidie, sono però consapevoli, almeno in una certa misura, che non ce ne sono altre, che ogni altra strada che non porta al comunismo è una via cieca. Se con questi svilupperemo un legame volto alla ricostruzione del partito comunista, riusciremo anche tramite la loro influenza positiva sugli altri operai a estendere il lavoro di ricostruzione. Pensate forse che Lenin (e con lui i compagni del primo CC del POSDR) abbia aspettato a costituire il primo partito comunista della classe operaia fino a quando aveva la maggior parte degli operai convinti e disponibili a costituirlo? Niente affatto. Il primo partito comunista della classe operaia si è costituito sulla base di alcuni (una piccola minoranza) operai presenti in alcune (una piccola minoranza) fabbriche di alcune (poche ma significative) città della Russia zarista. Se Lenin e i suoi compagni avessero aspettato che le masse popolari diventassero consapevoli della necessità del comunismo, la prima grande rivoluzione vittoriosa della classe operaia sulla borghesia probabilmente non si sarebbe mai realizzata.

Il problema è principalmente vostro, non della classe operaia. Chi si pone come avanguardia della classe operaia, anche  come avanguardia delle lotte operaie, ma non è convinto della necessità di trasformare queste lotte in una scuola di comunismo, e quindi in questa fase in un terreno utile all’accumulo delle forze per la ricostruzione del partito comunista, è mosso fondamentalmente da due ragioni: o non è convinto della necessità del partito o non è convinto della capacità della classe operaia di ricostruirlo. In entrambe i casi contribuisce alla demoralizzazione. E qui entriamo nel merito della critica da voi mossa al bilancio della campagna 1/2000 che abbiamo riportato su RS 26/27, ma daremo ad essa, più avanti, una risposta più completa e specifica.

Perché chi non lavora alla ricostruzione del partito comunista contribuisce alla demoralizzazione della classe operaia?

Perché la storia si è incaricata più volte di dimostrare che anche quando la classe operaia lotta tenacemente per difendere le proprie condizioni di lavoro e di vita, anche quando lotta per strappare migliori condizioni, non raggiunge risultati stabili, duraturi e progressivi se non arriva a togliere il potere dalle mani della borghesia. Un vero partito comunista impersona (quindi dirige, finalizza tutta la sua attività, orienta tutta l’attività della classe operaia a rispettare) la necessità della classe operaia di conquistare il potere e di prendere in mano le sorti dell’intera società, quindi le sue stesse sorti e quelle di tutto il resto del proletariato e della masse popolari. È una necessità oggettiva, prima ancora che pensiero consapevole nella testa degli operai. Il partito comunista non è un partito che cerca principalmente e tanto meno solo di comprendere che cosa, in un determinato momento storico, pensano la maggior parte degli operai e quindi che adegua la sua linea e i suoi obiettivi in funzione di questo.(1) Esso impersona innanzitutto la necessità storica (oggettiva) dell’emancipazione della classe operaia e del resto delle masse popolari dallo sfruttamento proprio del sistema capitalista. Il partito comunista è l’elemento soggettivo che rende possibile il salto qualitativo della società umana dal capitalismo al socialismo e poi al comunismo.

La classe operaia senza questo suo strumento fondamentale non può che passare di delusione in delusione, anche se lotta tenacemente e ottiene alcune vittorie. Pensate al Biennio Rosso, non quello che Rossoperaio dice essere il ‘68 – ‘69 (che studino la storia oppure che spieghino in che senso il ‘68 – ‘69, periodo in cui le lotte della classe operaia erano principalmente dirette dai revisionisti del PCI, è stato un periodo talmente importante da cancellare anche il nome del Biennio Rosso vero e proprio, quello ricordato e riconosciuto da migliaia di operai come il ‘19 – ‘20). In quel periodo, dicevo, in Europa e in particolare in Italia e in Germania le lotte della classe operaia avevano raggiunto un livello di scontro tale che molti operai armati avevano assaltato e occupato alcune caserme e prefetture, la mobilitazione negli scioperi e nelle manifestazioni era tale da mettere in serio pericolo la stabilità anche militare della borghesia. Non a caso il fascismo nascente trovò la strada sgombra e il sostegno della grande borghesia: la classe operaia doveva essere fermata prima che riuscisse a dare alle grandi mobilitazioni e lotte l’orientamento giusto per fare come in Russia. I fascisti si impegnarono particolarmente per reprimere soprattutto i comunisti. Perché era così importante reprimere i comunisti? In fondo essi allora erano un numero esiguo rispetto alla grande massa degli operai e dei lavoratori (un po’ come oggi). La risposta è semplice: i comunisti che fanno tesoro dell’esperienza della lotta di classe (e se non facessero così non sarebbero tali) sanno dirigere la masse a fare la rivoluzione, anche se la stragrande maggioranza delle masse non ha piena coscienza della necessità della rivoluzione stessa, anche se ogni componente della stragrande maggioranza delle masse si muove spinto soprattutto dalle necessità immediate. I comunisti non fanno opera di proselitismo predicando alle masse di imparare l’importanza della rivoluzione e poi di farla. Quindi i comunisti conseguenti, facendo tesoro dell’esperienza, lavorano per far prevalere una linea rivoluzionaria all’interno della mobilitazione delle masse. I comunisti conseguenti, facendo tesoro dell’esperienza, costruiscono il loro partito che è lo strumento fondamentale per esercitare la direzione giusta nella mobilitazione della masse, verso la rivoluzione socialista.

Infatti il PCd’I si costituì proprio in un periodo di grande mobilitazione. Esisteva allora un nutrito partito socialista, ma  la prospettiva della divisione del partito non spaventò i comunisti, che sapevano bene che era fondamentale avere un partito caratterizzato da una linea giusta, non bastava un grande partito comunista, ci voleva un vero partito comunista. Ma lo capirono tardi. La borghesia eliminò il Comitato Centrale (incarcerò Gramsci) e mise in condizione il neonato partito comunista di lavorare con tutte le difficoltà che comporta un’attività clandestina avviata da poco sotto il fascismo.

Certo, commenteranno i compagni del ComComPre, i comunisti che costituirono il partito comunista allora erano strettamente legati alla classe operaia, non come voi dei CARC oggi. Verissimo! Infatti noi affermiamo che il legame della classe operaia è fondamentale non solo per la riuscita della rivoluzione, ma anche per il processo di ricostruzione del partito comunista oggi in atto, anche per la determinazione di una linea corrispondente agli interessi della classe operaia all’interno del partito, anche per condurre con successo la lotta contro la borghesia all’interno del partito, anche per conquistare il potere, per difenderlo e per costruire il socialismo, è necessario avere un partito composto principalmente da operai e strettamente legato agli operai che non ne sono membri. Ma il problema, ciò che ci trova in disaccordo, è il processo di costruzione di questo partito (dando al momento per scontato che anche i compagni del ComComPre riconoscano la necessità di un partito comunista che lotti per il potere).

Un partito con pochi operai ma che lavorano su una linea giusta è sempre meglio di un partito che raccoglie molti operai e che ha un diffuso legame con gli altri operai esterni ad esso, ma che lavora su una linea sbagliata. Prendete il PRC: è l’esempio più eclatante e più vicino a noi! È un partito nato con una buona composizione operaia e, pur avendoli persi per strada, ne contiene molti e con molti è in rapporto. È forse sufficiente? No! Perché è un partito revisionista in una fase in cui i revisionisti non possono ottenere nessun successo (nemmeno dalle lotte rivendicative). Perché non è un partito rivoluzionario, non lotta per la conquista del potere e quindi non può che raccogliere, quando la raccoglie, la parte più arretrata degli operai, mentre perde per strada quella più avanzata.

Un piccolo partito ottiene piccoli risultati, ma è sempre meglio di nessun partito e di risultati un po’ più grandi (oggi nemmeno tanto) ma senza prospettiva. Un partito che commette degli errori è sempre meglio di nessun partito: dagli errori si impara, mentre da un’attività che è finalizzata al semplice risultato immediato non si possono imparare che poche indicazioni specifiche che nella migliore delle ipotesi possono valere solo per situazioni specificamente analoghe. Pensate ad esempio, per restare legati alla questione concreta, a ciò che si può apprendere da una lotta condotta, oltre naturalmente che con l’obiettivo di ottenere la vittoria specifica per cui viene condotta (ad esempio impedire un licenziamento o la chiusura di una fabbrica), anche con l’obiettivo di reclutare membri per il partito, di accumulare forze, insegnamenti specifici, verifica della linea, risorse, strumentazione, logistica per il partito, ecc. Confrontate questo con la conduzione di una lotta che ha come unico obiettivo la vittoria sulla questione specifica. Soprattutto oggi che le vittorie sono rare e poco durature, e gli operai con cui anche voi vi rapportate lo dicono continuamente, è molto alto il rischio di offrire agli operai prospettive scarsamente allettanti, perché loro stessi per primi sanno che quello che ottengono oggi gli verrà probabilmente tolto domani. Sono come vittorie di Pirro se non vengono inquadrate in un progetto più complessivo, strategico.

Compagni, è inutile prendersela perché abbiamo detto che demoralizzate gli operai: vediamo se è vero, chiedetelo a loro e ne troverete certamente molti che sono scoraggiati. Forse non è vero che siete voi a demoralizzarli? In parte è sicuramente così, non avete certo il potere (come noi del resto) di fare il bello e il cattivo tempo sull’umore della classe operaia, ma i comunisti devono occuparsi del loro ruolo in funzione degli interessi della classe operaia, se anche in minima parte contribuiamo noi alla demoralizzazione è anche di questo che dobbiamo occuparci. Non offrire una prospettiva strategica rende le sconfitte molto più gravi e quindi più pesanti da digerire: se l’unica cosa che potevo fare  era lottare per difendere il posto e questo non mi è riuscito, vuol dire un pieno fallimento; se nel combattere una battaglia contemporaneamente accumulo le forze per vincere una guerra, la sconfitta in quella battaglia ha un peso relativo.

Voi pensate che gli operai non vogliono sentir parlare di partito? Che non sono pronti e che pensano che chi va da loro a fare questo viene considerato un parolaio inutile? Fate bene a non voler passare per parolai inutili ma questo non risolve il problema. Dobbiamo chiederci: se è vero che la rivoluzione socialista è l’unico futuro positivo possibile per la classe operaia e le masse popolari, se è vero che un partito comunista è indispensabile alla classe operaia per far sì che essa possa dirigere il resto delle masse popolari nella rivoluzione socialista, se è vero che molti operai non vogliono sentir parlare di partito e detestano i parolai (il che è sano), cosa possono fare i comunisti per raggiungere l’obiettivo della ricostruzione nonostante questi ostacoli? È inutile combattere contro chi cerca, con mezzi suoi e secondo le sue concezioni, di superare questo ostacolo. Se lo si considera un ostacolo comune occorre illustrare come si sta cercando di svolgere il proprio lavoro in funzione di quell’obiettivo e quali sono i limiti e i successi relativamente a quell’obiettivo.

Se invece i compagni del ComComPre non condividono con noi l’obiettivo allora è un altro paio di maniche, e sarebbe certamente utile che anche loro indicassero come pensano sia possibile superare definitivamente, nonostante inevitabili arretramenti, la condizione di sfruttamento degli operai.

Noi siamo convinti che la positività e l’utilità delle lotte degli operai, come anche del resto dei lavoratori, non consista soltanto nel fatto che questi oppongono una certa resistenza agli attacchi sempre più frequenti e pesanti dei padroni, che dimostrano la loro capacità di lottare e di essere uniti su obiettivi pratici molto di più di quanto lo sono altri settori delle masse popolari. Noi siamo convinti che da queste lotte possa sorgere qualcosa di più grande e importante: lo strumento fondamentale che spazzerà via una volta per tutte i padroni e i loro lacchè, il partito comunista che riuscirà, anche se attraverso mille difficoltà, a mobilitare le masse popolari e conquistare il potere nell’interesse della classe operaia e per costruire le condizioni affinché sia essa a decidere cosa e come produrre e distribuire per soddisfare i bisogni materiali e spirituali di se stessa e del resto delle masse popolari. La classe operaia è la sola classe che può fare questo e soprattutto è la sola classe che può dirigere la rivoluzione, cioè il processo che strapperà dalle mani della borghesia imperialista la direzione della società. Ma per fare questo la classe operaia ha bisogno del suo partito: il partito comunista! La storia ci ha già dimostrato questo. I tentativi di costruire qualcosa di diverso da un partito comunista che lotti per la conquista del potere, di un partito comunista rivoluzionario, si sono già scontrati con i fatti. Le lotte operaie c’erano anche quando non esistevano i primi partiti comunisti, così come oggi le lotte operaie ci sono e si sviluppano nonostante la mancanza di un partito comunista. Ma ciò che fa la differenza, e che ha fatto storicamente la differenza, tra lotte rivendicative e lotte politiche non è solo la forma delle lotte, che in molti casi coincide, ma soprattutto la direzione. La lotta di difesa è la base, l’attacco è la linea guida. E oggi l’attacco alla borghesia vuol dire ricostruzione del partito comunista. Al centro della lotta di classe tra classe operaia e borghesia imperialista nel nostro paese vi è la ricostruzione del partito comunista. Ogni comunista deve porsi questo compito e finalizzare ad esso ogni sua attività. Il lavoro concreto che ne consegue dimostrerà qual è la strada giusta (la linea giusta) che le diverse FSRS e ognuna di esse intraprendono per ricostruirlo.

La campagna elettorale volta alla ricostruzione del partito comunista non è “funzionale al superamento di questa condizione” [lo scoraggiamento della classe]. Se fosse così avreste ragione voi a ritenere che non serve. Lo scoraggiamento lo si supera costruendo il partito e costruendolo in modo che cresca e migliori. La campagna elettorale è uno dei tanti strumenti con cui noi intendiamo raccogliere le forze già oggi disponibili (quindi non scoraggiate) alla ricostruzione del partito comunista. Certo, in questo modo combattiamo anche lo scoraggiamento, ma soprattutto  invitando coloro che non sono scoraggiati ad incoraggiare coloro che lavorano per la ricostruzione. Quelli che hanno perso ogni fiducia si mobiliteranno se vedranno qualche spiraglio concreto e se vedranno che il lavoro di ricostruzione procede raccogliendo adesioni e contributi. Occorre far leva sul positivo! Infatti nell’Appello/Piattaforma noi scriviamo: “… La campagna elettorale è il modo per impegnare al massimo tutte le forze che possiamo mobilitare (e per vedere quali possiamo mobilitare) per creare su quel terreno (che è ancora il terreno a cui partecipa il 65% delle masse popolari) le condizioni migliori per la realizzazione del nostro compito.

1. Mobilitando a condurre la campagna elettorale tutti quelli che già sono in qualche modo convinti della necessità della ricostruzione del partito (e non sono affetti da estremismo di sinistra o da snobismo da setta e da élite o da opportunismo mascherato da estremismo o da deviazione militarista).

2. Portando un messaggio positivo e antisfiducia in una cerchia più ampia di quella a cui arriviamo attualmente. Rafforzeremo la trasformazione positiva in corso tra le FSRS (la mobilitazione della sinistra). Raccoglieremo il voto, la sottoscrizione, una qualche forma di appoggio da quelli che sono già disponibili alla nostra propaganda (e l’esito delle elezioni passate dimostra che una parte degli elettori di sinistra sta perdendo e quindi continua a perdere le sue illusioni nei riformisti e nel regime tutto) e stabiliremo una qualche forma di legame (pratico o per il momento anche solo ideale) con essi.

Il nostro campo (le masse popolari, compresa la classe operaia, anche la parte politicamente più attiva degli operai avanzati) è oggi profondamente impregnato di sfiducia nel comunismo e di sfiducia nelle proprie forze. È combattuto perché è chiaro che le cose peggiorano e non si vede dove potranno finire, ma ha sfiducia in se stesso e una parte guarda addirittura a destra.

Il nostro compito di ricostruzione del partito è profondamente intralciato dalla sfiducia degli operai in se stessi. Dobbiamo usare tutti i mezzi per combatterla, per superarla, per infondere fiducia. E per infondere fiducia bisogna averla e mostrarla apertamente, in ogni modo e in ogni circostanza. Sarà un lavoro complesso e lungo. Le elezioni e la campagna elettorale possono servire molto in questo campo. Bisogna che quelli che hanno fiducia nel comunismo, quelli che hanno un bilancio giusto (scientifico, fondato sull’analisi dei fatti e quindi positivo) del movimento comunista, quelli che vedono che il comunismo è il futuro necessario dell’attuale società, quelli che vedono che la cronaca di oggi conferma che il socialismo è l’unico sbocco favorevole alle masse popolari della crisi attuale, ecc. che questi non perdano occasione per proclamarlo e per spiegarlo, per porsi come punto di riferimento, orientamento e aggregazione, per alzare la rossa bandiera del comunismo.

Si è creata una situazione generale in cui occorre impegnare le nostre forze e impegnare tutte le forze (FSRS e lavoratori avanzati) che ci sono e che riusciamo a mobilitare per chiamare a raccolta tutti quelli che sono per il partito comunista; tutti quelli che si rendono conto che finché c’era un partito comunista i lavoratori erano più forti; tutti quelli che vogliono cambiare, tutti quelli che non ne possono più del regime attuale. Con la parola d’ordine della ricostruzione del partito comunista, del socialismo e del comunismo, spiegando che col capitalismo si va alla rovina, si va alla malavita, si va alla legge della giungla applicata capillarmente e senza altro freno che non sia l’elemosina, si va al marasma, si va alla distruzione, si va alla guerra…”.

Il fatto che gli operai, le donne e i giovani delle masse popolari faranno fatica a distinguere il comunista che parla in televisione dai vari “presidenti operai” è un problema particolare che dovremmo porci nel caso riuscissimo ad utilizzare questo strumento. Ma non può essere certo l’ostacolo che blocca la nostra iniziativa! Già ora i giornali e la tivù lavorano per diffondere confusione a proposito dei comunisti del nostro paese e di tutto il mondo. Anzi: da sempre la borghesia utilizza i suoi strumenti di propaganda per confondere, diffamare, ostacolare in ogni modo l’attività dei comunisti.  Dobbiamo lasciarle il campo libero per questo? Se ragionassimo così alla borghesia basterebbe mettersi a diffondere i suoi volantini e giornali lì dove li diffondiamo anche noi (tra gli operai, i lavoratori e le masse popolari), per metterci in difficoltà. Infatti in una certa misura lo fa e spesso con risultati migliori dei nostri. Voi smetterete di diffondere volantini e giornali per questo? Noi no, e credo nemmeno voi. Sotto questo aspetto dobbiamo avere più fiducia nelle masse, nei lavoratori e negli operai ed essere meno impressionati dal potere della borghesia (non sopravvalutarla). Oggi gli operai sono più diffidenti perché hanno sentito tante balle nella loro vita, tante promesse mai mantenute, tante aspettative deluse che, giustamente, fanno orecchie da mercante anche nei nostri confronti. Ma la borghesia continua a promettere loro cose che non manterrà, a indicare loro strade false, inutili, impraticabili, contemporaneamente continua a parlar male di noi. Chi ascolta principalmente la borghesia, cioè la maggior parte degli operai (perché noi siamo pochi e arriviamo dove possiamo), prima o poi sarà invogliato a cercarci perché se chi gli racconta balle e gli rende la vita una merda, contemporaneamente parla male di qualcuno, allora può darsi che quel qualcuno valga lo sforzo di cercarlo, di starlo a sentire, anche se usa gli stessi mezzi di comunicazione della borghesia. L’esperienza pratica insegnerà alle masse che non si fidano di noi che dalla borghesia si ottiene solo miseria, fame e guerre. Noi dobbiamo approfittare di ogni canale possibile (i nostri come quelli del nemico) per far sapere che ci siamo e cosa diciamo. Chi ci ascolta prima o poi sarà spinto a cercarci e a partecipare al nostro lavoro: scoprirà che è nei suoi interessi fare questo!

Basiamoci sulla pratica. La campagna ci ha già dimostrato che siamo giunti molto più lontano di quanto sperassimo e da questo semplice lavoro di propaganda abbiamo già ottenuto decine di contatti disponibili a fare qualcosa (dal minimo voler seguire la nostra attività chiedendoci di tenerlo informato, fino alla collaborazione concreta); per non parlare poi delle migliaia di lavoratori che prima non sapevano nemmeno che esistevamo e che ora lo sanno.

Noi non intendiamo costruire un partito slegato dalla classe operaia. Però non pensiamo nemmeno che un partito possa essere costruito solo quando si realizza la condizione di cui scriveva Lenin e che voi avete citato in apertura. Infatti Lenin parlava di una situazione (Un passo avanti e due indietro risale a febbraio-maggio del 1904) in cui il partito esisteva già da diversi anni: l’esistenza di quel partito comunista permetteva di costruire quel rapporto con e tra gli operai russi, non l’opposto. Quel rapporto non si sarebbe mai costruito senza prima realizzare in una certa misura le condizioni concrete dell’esistenza di un partito composto dalle sue strutture organizzative e dirigenti. Leggendo proprio tutto il testo di Un passo avanti e due indietro si comprende bene quale sia il processo di sviluppo di un partito comunista secondo Lenin.

 

NOTE

1. La maggior parte degli operai pensa più o meno quello che pensano la maggior parte delle masse popolari, cioè quello che impone la cultura dominante (che è la cultura determinata dalla direzione della classe che detiene il potere, oggi nel nostro paese la borghesia imperialista e il suo clero, che insieme costituiscono la classe dominante). Quindi fintanto che la borghesia imperialista e il suo clero dirigeranno la società, e anche, addirittura, per un certo periodo dopo che la classe operaia avrà conquistato il potere strappandolo dalle mani della borghesia imperialista, le concezioni più diffuse, la coscienza più diffusa con cui i comunisti e gli operai avanzati avranno a che fare, saranno quelle più diffuse nel periodo precedente all’instaurazione del socialismo. Campa cavallo quindi se per instaurare il socialismo dovessimo aspettare che la maggior parte degli operai prenda coscienza della necessità del socialismo e quindi della necessità del partito comunista per raggiungerlo.

 

 

Intervento del Comitato Comunista Prenestino sull’articolo di RS 26/27

Risposta a Rapporti Sociali

Cari compagni vi scriviamo a proposito dell’articolo "Bilancio della campagna 1 del 2000 dei Carc: Legare gli elementi  avanzati delle masse popolari al processo di ricostruzione del partito comunista" (pag. 31) firmato dal responsabile nazionale della campagna.

L’autore dell’articolo nel fare il bilancio del 2000 e in riferimento alla necessità della ricostruzione del partito comunista che la realtà “reclama”, porta ad esempio la giornata di “solidarietà operaia” da noi organizzata al Villaggio Globale di Roma.

Leggendo la ricostruzione fatta dal compagno ci sembra di aver partecipato a due eventi diversi, vorremmo perciò fare un brevissimo riassunto dell’incontro.

L’evento è stato organizzato dai “Lavoratori del Comitato di Solidarietà con le Lotte Operaie” al Villaggio Globale di Roma. La giornata è stata aperta da una mostra fotografica (foto di R. Canò) sulle lotte operaie nel Lazio che il comitato ha seguito e appoggiato (Goodyear di Cisterna, Abb Alstom e General 4 di Pomezia, Linostar di Patrica (FR), Saba Electronic di Montecompatri (Roma), ecc.); l’evento è proseguito con il video autoprodotto dal comitato sulle lotte della G4, Saba, Abb e Goodyear.

Al dibattito hanno partecipato 60/70 persone, erano presenti alcune realtà di fabbrica: General 4, Mistel, Fiat New Holland di Modena, Martinelli di Sassuolo (Mo). Per le “forze soggettive” erano presenti la AsLO, Assalto al cielo, CARC, Cobas, Comitato Comunista Prenestino, ex Rosso 16, Usi–ait, erano presenti anche alcuni militanti del Prc. A fine serata circa 50 persone si sono fermate, nei locali gentilmente concessi dal centro sociale, alla cena sociale per sostenere l’attività del comitato.

Il dibattito si è aperto con l’intervento di una compagna del comitato che confutava (citando dati forniti dall’Ilo (International labour organitation) il luogo comune sulla scomparsa degli operai.

Le operaie della G4 hanno portato la loro esperienza di lotta. L’operaia intervenuta parlava anche delle difficoltà incontrate nella loro vertenza, lamentando la scarsa partecipazione operaia all’iniziativa da loro convocata il 3/8/2000. Gli operai della Fiat e della Martinelli hanno parlato della loro esperienza e portato la loro solidarietà.

Una compagna di un centro sociale di Pomezia nel suo intervento denunciava le responsabilità dei sindacati (soprattutto della CGIL) nel tentativo di disarmare la capacità di resistenza operaia. Un compagno di Napoli ha fatto alcune riflessioni sulla condizione generale della resistenza operaia sottolineando l’importanza del superamento dello scoraggiamento e della divisioni tra operai che favoriscono solo il padrone.

L’assemblea ha sottoscritto un comunicato di solidarietà agli operai in lotta della nuova Scaini di Villacidro (CA) (che vi alleghiamo) a cui le operaie della General 4 in delegazione avevano portato la loro solidarietà quando questi ad agosto hanno presidiato per 15 giorni, giorno e notte, l’ingresso dell’Agip petroli all’Eur. Il comunicato veniva inviato agli operai sardi via fax con la sola firma delle realtà operaie.

Ora il resoconto da voi pubblicato stravolge la realtà dei fatti, chiunque abbia partecipato e seguito quell’incontro se ne renderà conto, ma il responsabile nazionale si spinge oltre, scrive che i CARC avrebbero favorito (se fossero stati presenti) il collegamento tra gli operai di diverse fabbriche in lotta, che avrebbero trasformato “in scuola di comunismo” ogni singola lotta operaia. Conclude dicendo che questo avrebbe potuto essere il loro intervento (mai fatto) al Villaggio Globale. Ci sembra che l’articolista tenda ad usare il condizionale in maniera eccessiva. Oltretutto il RNdC1/2000 si dimentica che i CARC sono intervenuti a Pomezia il 3/8/2000!

Distrazione? Lapsus? Noi preferiamo non infierire. Ma gli operai e i compagni presenti a quell’incontro non hanno sicuramente dimenticato l’intervento… quello sì lamentoso!

Su “chi si cala le braghe o si rassegna” l’articolista, evidentemente non avendo seguito né prima né ora le lotte di resistenza operaia nel Lazio, anche qui lavora di fantasia. Altrimenti sarebbe a conoscenza del fatto che la lunga lotta di  resistenza degli operai Goodyear ha pagato. Le operaie della G4 non hanno mai mollato, anzi al momento è il padrone che si trova con le braghe calate. Quindi il RNdC1/2000 continui pure a dissertare su lotte e iniziative fatte da altri. Noi per quanto ci concerne continuiamo a portare avanti “iniziative demoralizzanti” come a Colleferro il 9 dicembre 2000 e a Pomezia il 20 di gennaio 2001 o a Cisterna di Latina il 10/3/2001.

Saluti comunisti e buon lavoro

I promotori dell’iniziativa del 23/9/2000 al Villaggio Globale di Roma

I lavoratori del comitato di solidarietà con le lotte operaie

Roma, marzo 2000

 

 

Risposta di un compagno dei CARC, presente all’iniziativa al Villaggio Globale, alla critica del Comitato Comunista Prenestino

Quello che è venuto fuori dall’iniziativa al Villaggio Globale, guardando alla sostanza (1) e non alla cronaca della giornata, è la mancata risposta delle forze soggettive presenti alla demoralizzazione manifestata dalle operaie/i della G4 quando denunciavano la mancata solidarietà degli altri operai, soprattutto di quelli della Mistel, fabbrica di proprietà dello stesso padrone della G4 e operante nello stesso settore.

Quello che nella sostanza è venuto fuori da alcune forze soggettive dell’area romana nel seguire e appoggiare le lotte di difesa è la mancanza del nesso dialettico delle lotte di difesa con la ricostruzione del partito comunista.

Non a caso nella citata iniziativa del 3 agosto i CARC hanno ribadito la necessità del partito comunista, hanno ribadito che non può esserci un sindacato di classe senza un partito di classe, hanno ribadito che la borghesia farà di tutto per impedire la ricostruzione del partito comunista e hanno parlato dell’Operazione 19 Ottobre. Hanno detto che la borghesia fa di tutto per ghettizzare le lotte operaie. Non c’è nessun lapsus in questo.

Nascondere l’esistenza delle lotte di difesa, per la borghesia è una necessità. La borghesia infatti non conosce la dialettica, ma conosce l’esperienza e ne tiene conto. Per esperienza diretta la borghesia sa che il coagularsi delle lotte di difesa e la trasformazione in lotta politica diretta dal partito della classe operaia possono mettere in seria crisi la permanenza della borghesia stessa al potere.

Alcune forze soggettive romane non conoscono la dialettica e nemmeno l’esperienza; sono peggio della borghesia imperialista in fatto di conoscenza della classe operaia. La dimostrazione di quanto affermo? Nelle varie iniziative nell’area romana, compresa quella al Villaggio Globale, l’espressione “partito comunista” è vissuta come per un prete una bestemmia detta in chiesa. Mai una sola volta si è sentito l’espressione “partito comunista”. Si è parlato di “coordinamento tra fabbriche in lotta” e quant’altro, ma del partito comunista nemmeno l’ombra. Perché tanta autocensura? Perché dire che il nostro intervento del 3 agosto è stato deprimente?(2) Forse perché non abbiamo detto agli operai quello che dovevano fare nell’immediato per risolvere da subito la situazione, non abbiamo fatto colpo con assi nella manica o scoop: del resto nessuno aveva né ha assi nella manica. Lo abbiamo detto: non siamo oratori di professione, non abbiamo fatto scuole a tale scopo, non abbiamo nemmeno chi ce li scrive i discorsi. Siamo proletari che non hanno gli stessi mezzi di chi propaganda “faccine sorridenti” che ci consigliano di essere felici nella merda. Deprimere la classe operaia vuol dire non proporre sbocchi positivi come la ricostruzione del partito comunista, ma proporre solamente facezie.

Perché non si vuole comprendere il significato di quanto scritto nell’articolo di Rapporti Sociali e ci si comporta in stile “coda di paglia”? In quell’articolo non si critica nessuno, non si criticano forze soggettive od operai avanzati. Si fa il  bilancio di esperienze che possono svilupparsi in tendenze positive e negative senza trionfalismi alla Rossoperaio e senza deprimersi perché siamo pochi o perché gli operai non sono solidali.

Quando gli operai della G4 hanno lamentato la mancanza di solidarietà, era inutile mettersi alla loro coda. Andava detto chiaramente che ben pochi si prendono rischi senza neanche uno straccetto di organizzazione. Perché dovremmo rischiare anche il nostro posto di lavoro? Hanno ragione le operaie della G4 quando affermano che gli operai sanno che oggi è il turno di altri e domani il loro, ma cosa possono fare disorganizzati? Cosa possono fare con forze che si propongono come avanguardie e nella realtà si agitano alla loro coda? Gli operai sanno che la forza (comunista o no) senza la ragione (senza la teoria e il metodo rivoluzionari e il partito che l’impersona) non vale niente, anzi torna a favore della borghesia imperialista. Sarà facile mettere l’anello al naso ad una forza disorganizzata e usarla a proprio piacere come i contadini facevano con i buoi. Tanto più grossa è la forza, tanto maggiore sarà la mole di lavoro fatta per il padrone.

Quello che viene messo in risalto da queste forze soggettive è la necessità di essere presenti in tutte le situazioni di lotta: quanto più numerose esse sono, tanto più abbiamo da fare e noi comunisti dobbiamo essere disposti al sacrificio di correre qua e là senza perderci una lotta.

Nell’articolo di Rapporti Sociali viene ribadito che le lotte di difesa sono scuola di comunismo. Questo non significa dover essere presenti per forza, rincorrere affannosamente ogni situazione di lotta pena il nostro declassamento a comunisti di serie B che non sono dalla parte degli operai e che stanno in poltrona a sputare sentenze. Essere presenti è importante e i compagni che hanno preso parte all’iniziativa del Villaggio Globale fanno bene a sentire questa responsabilità, fanno bene a portare la loro solidarietà e a far conoscere le lotte al di fuori dei confini in cui si sviluppano. Questi compagni devono anche sforzarsi di comprendere le ragioni di chi afferma la necessità del partito. E devono farle proprie non solamente come enunciazione, ma soprattutto come metodo di lavoro e obiettivo del loro lavoro. Altrimenti si rischia di fare il contrario di ciò che si vuole, finendo con il contrapporre le lotte operaie alla società socialista, la quantità alla qualità, la pratica alla teoria, il fare per fare alla dialettica, la classe operaia al partito, ottenendo come risultato il rifiuto dell’organizzazione e della disciplina, riuscendo a far odiare il comunismo dalle masse popolari e a propagandare tra esse l’anarchismo, il trotzkismo, il carrierismo e tutti i peggiori difetti che la mentalità borghese istiga.

Il confronto e le critiche, se ci sono, devono essere portate per migliorare il nostro rapporto con le masse popolari, per formarci politicamente, per contribuire positivamente alla ricostruzione del partito. Gli atteggiamenti di chiusura sono propri della mentalità piccolo borghese e di essi la classe operaia non ha certo bisogno.

 

NOTE

1. Alcune forze soggettive romane presenti al Villaggio Globale scambiano la demoralizzazione politica con quella fisica, tant’è che fanno l’elenco delle cose fatte ma non parlano del loro contenuto, non dicono come è giusto intervenire, come è giusto propagandare la ricostruzione del partito comunista. Nell’articolo di Rapporti Sociali si vogliono far risaltare altri obiettivi, basta leggerlo. Lo scopo non era dire quello che era stato fatto, non era un diario di iniziative dirette da altre FSRS.

2. Senza considerare che l’intervento del CARC è stato disturbato e interrotto.

 

 

Intervento dell’AsLO sull’articolo di RS

Primo: ristabilire la verità, secondo: collegarla all'insorgenza operaia, terzo: indietro non si torna.

Caro resp. Naz. Comm. Prep. Mi chiamo Ficiarà Francesco sono un operaio FIAT.

 Sono un membro dell’Associazione per la Liberazione degli Operai di Modena (AsLO) e ho l’onore (e l’onere) di far parte di un'organizzazione che da anni si batte per la piena indipendenza degli operai dal capitale. Ero invitato all'assemblea del 23 settembre al Villaggio Globale a Roma, ero quindi presente.

Nonostante alcuni anni di fabbrica mi funzionano ancora bene i 5 sensi e non c'è nessuna demoralizzazione che si è propagata a mo' di peste in quella riunione a cui hai accennato nello scritto del tuo bilancio. I padroni non ci permettono di essere demoralizzati, certo c’è sfiducia anche nel partito comunista (quello che abbiamo visto!?) ma qual è quello giusto? Quello che ha spacciato Palazzo Chigi per la presa al Palazzo d’Inverno?

Le idee dominanti… le idee sovversive si esprimono solo nella sovversione degli operai.

Veniamo quindi alle cose serie. Il ragionamento direi “oggettivo” partiva dal fatto che gli operai oggi sono “sguarniti” di un proprio partito politico indipendente. Non c'era nessuna mistica negli interventi e si vedeva concretamente anche la differenza tra gli interventi fatti in sala tra chi quelle lotte le aveva fatte, sviluppate, ecc. (cioè noi operai e pochissimi altri compagni di Roma) e chi no.

Dico questo non per polemica ma per fare un “bilancio”. Parziale? Ma la mia è una parzialità di un operaio ribelle (spero anche nel pensiero) e sono sicuro che potete capire. Si ragionava intorno al fatto che gli operai nelle loro lotte di resistenza come alla General 4 e altre sono rimasti soli a difendersi dai licenziamenti e dalle peggiori porcherie del padrone che non ha avuto problemi ad utilizzare anche i sindacati contro gli operai in lotta.

C’erano circa una cinquantina di persone all’assemblea e la composizione operaia era forte. Già solo questo è antidemoralizzante (per me). Nella crisi del capitale si evidenziano anche gli elementi migliori del proletariato perché nel campo operaio si estendono gli obiettivi delle lotte alla critica a tutto il sistema capitalistico, il suo Stato, le sue “istituzioni” (che non possono fare granché per arginare la schiavitù operaia di fronte al capitale, anzi). Il caso della General 4 era paradigmatico: licenziare per aver prodotto troppo. Infatti il padrone le licenziava per “adeguarne” anche le condizioni giuridiche dello sfruttamento (il padrone ha tentato di rioccuparle in cooperative di comodo a condizioni settecentesche), poi ha dovuto desistere di fronte alla lotta contro di lui e i suoi scribacchini.

Mi pare che nelle “istituzioni” ci sia anche da criticare l’effettivo ruolo svolto dal sindacato ufficiale che ha tentato di sedare le operaie inizialmente e, quando le 20 operaie unite (totalmente) hanno occupato la fabbrica, sono andati ai cancelli cercando di dividerle….

Mi pare altresì che nei mesi (non nei giorni) della lotta dura di queste operaie anche la cosiddetta "sinistra di classe" semplicemente non c’era. Non c’erano le FSRS, né i movimentisti né altre categorie.

In breve ristabiliamo un po’ di verità prima di pontificare (sulla testa degli operai). Che lo si voglia o no qualunque org. riv. si dovrà confrontare con gli operai particolarmente con il proletariato industriale che sta oggettivamente a pagare il ciclo attuale del capitale. E non mancherà di far sentire a tutto il baraccone capitalistico tutta la sua forza d’urto.

La supponenza e la superficialità del “bilancio” e dell’esempio 23 settembre mi fanno pensare ai tempisti Fiat che dall’interno dei loro acquari (uffici) preparano i tempi di lavorazione degli operai.

Siamo proprio schiavizzati!!! È ora che costruiamo una nostra grande organizzazione contro vecchi e nuovi borghesi. È ora che gli operai più solidi rompano dappertutto i muri di gomma, dicano la loro anche nelle questioni ideologiche costitutive di una forza comunista. Avremo da scontrarci con tanti declassati di altre classi, è ora che facciamo sentire di non essere a ruota né del sindacalotto né del borghese con valigia né del rivoluzionario comunista più o meno puro.

Per ora mi fermo qui.

 

 

Risposta del Responsabile nazionale della campagna 1/2000 dei CARC

A proposito della critica del ComComPre e dell’AsLO all’articolo di Rapporti Sociali

Innanzitutto una precisazione. Il compagno Francesco Ficiarà dell’AsLO inizia la sua critica con “Caro resp. Naz. Comm. Prep. …”. A chi si riferisce? Il responsabile nazionale della campagna 1/2000 dei CARC (cioè chi scrive) potrebbe essere abbreviato con Resp. Naz. camp. 1 …, mentre il compagno Francesco evidentemente allude a un ipotetico responsabile nazionale della Commissione Preparatoria (CP). Distrazione? Lapsus? Per dirla come i compagni del ComComPre. Noi invece preferiamo infierire! La confusione tra organismi e le loro sigle è una delle operazioni che la borghesia mette sempre in atto per non far comprendere la verità agli operai, ai lavoratori e alle masse popolari, per fare in modo che essi siano confusi nello stabilire rapporti con questi organismi (FSRS). Lo abbiamo visto chiaramente fin dall’inizio dell’Operazione 19 ottobre e continuiamo a vederlo dagli articoli dei quotidiani e dai tele e radio giornali. Perché il compagno parla evidentemente di un ipotetico responsabile nazionale della CP quando vuole evidentemente riferirsi a un compagno dei CARC? A chi giova foraggiare questa confusione? Cosa sia la CP è scritto chiaramente e in più occasioni nella stampa che essa produce, la rivista La Voce, cosa siano i CARC è scritto chiaramente in più occasioni nella loro stampa, Resistenza, Rapporti Sociali, ecc. La Commissione Preparatoria è un organismo che lavora nella clandestinità, mentre i CARC sono una FSRS che lavora negli ambiti ristretti permessi dalle leggi borghesi. La differenza, anche solo per questo è ovvia. Ma anche i compiti che questi due organismi distinti hanno sono differenti. Fare confusione tra gli operai in merito a questi o ad altri organismi non aiuta gli operai stessi a farsi un’idea della situazione politica e della lotta che i comunisti conducono contro la borghesia, fare confusione invece alimenta il gioco che avvantaggia la borghesia nel tentativo di tenere isolati i comunisti dagli operai e dalle masse. Che il compagno Francesco sia più chiaro se non vuole fare il coro ai propagandisti borghesi!

Entriamo ora nel merito della critica.

I compagni del Comitato Comunista Prenestino e dell’AsLO ci criticano perché, parlando dell’Assemblea tenuta il 23.09.00 al Villaggio Globale durante la Giornata di “solidarietà operaia”, diciamo che gli interventi dei portavoce delle due organizzazioni “favorivano principalmente la demoralizzazione” perché si limitavano a denunciare le difficoltà incontrate dai lavoratori nelle lotte rivendicative e di difesa senza indicare come superarle e, un po’ più avanti, qualifichiamo i loro interventi come “lamenti”. Ovviamente i compagni hanno tutte le ragioni di risentirsi per le nostre espressioni. Essi infatti non solo soggettivamente non sono dei disfattisti (cioè non parlavano per demoralizzare i lavoratori) e non erano presenti all’assemblea per lamentarsi, ma al contrario avevano sostenuto le lotte rivendicative di cui l’assemblea trattava e avevano promosso la Giornata di “solidarietà operaia” proprio per mobilitare solidarietà e per dare ulteriore sostegno ai lavoratori in lotta. E nei loro interventi hanno anche fatto molte sollecitazioni a continuare e intensificare la lotta. Se consideriamo i loro sentimenti e la loro volontà, non possiamo che chiedere scusa per le nostre espressioni. Ma è tutto? Niente affatto! Consideriamo un momento (e lo chiediamo anche agli offesi) il fatto che l’autore dell’articolo di Rapporti Sociali non parla della Giornata di “solidarietà operaia” al Villaggio Globale per criticare i promotori e gli intervenuti, ma per criticare i CARC che prendendo la parola non hanno adeguatamente sottolineato, collegato la necessità della ricostruzione del partito comunista di fronte alle lotte operaie e, in generale, per indicare come i CARC devono migliorare la propria propaganda. Tanto vero che dopo l’esempio preso dalla Giornata di “solidarietà operaia” al Villaggio Globale, l’autore passa nello stesso articolo a fare considerazioni critiche sul volantino diffuso dal CARC di MI il 13.11.00. L’autore, un dirigente dei CARC, stava facendo dell’autocritica e i portavoce dell’AsLO e del ComComPre hanno ravvisato nella sua autocritica solo una critica a loro e per di più ingiusta. Come mai non hanno per nulla rilevato che l’autore parlava (malamente) di loro ma nel contesto di una critica ai CARC? C’è  qualcosa che non quadra. Cos'è?

Ciò che non quadra è che è così abituale tra le FSRS denunciare il “cattivo presente”, cioè le condizioni difficili in cui si trovano i lavoratori nelle loro lotte rivendicative, che questa sola denuncia è considerata da molti un atto di solidarietà. Così come succedeva e succede nelle iniziative di solidarietà verso i Rivoluzionari Prigionieri: alcuni oratori denunciano l’orrore del carcere e la crudeltà degli aguzzini e con questo pensano di aver svolto il loro compito di promuovere la solidarietà verso i Rivoluzionari Prigionieri. Supponiamo pure che le denunce siano in entrambi i casi veritiere, che non si ricorra ad esagerazioni. Ebbene noi diciamo che in entrambi i casi la verità non è stata detta in modo rivoluzionario, che noi comunisti non possiamo accontentarci di questo modo di dire la verità, che non è stata detta tutta la verità. Noi dei CARC non ci accontentiamo e, secondo noi, anche i compagni dell’AsLO e del ComComPre non dovrebbero accontentarsene. Perché? Perché la verità che diciamo è un raccontare al disgraziato le sue disgrazie. E ciò vale sia che l’oratore sia anche lui un “disgraziato” (operaio in un caso e prigioniero nell’altro) sia che non lo sia. Se è un comunista non deve accontentarsi della denuncia. Perché esiste una verità più grande e più profonda che oltre alle cattive condizioni del presente comprende anche i mezzi disponibili nel presente per trasformare il cattivo presente, per eliminarlo. E noi comunisti dobbiamo dire questa verità più grande e più profonda. Questo è il nostro compito. I nostri due critici criticano l’autore (e i CARC) perché non erano presenti di persona a dare il loro sostegno durante le lotte rivendicative di cui parliamo. Questa critica, scusate l’espressione, ma è infantile, non ci insegna nulla, perché non possiamo certo proporci di essere presenti a tutte le lotte rivendicative! Per poche che siano, sono comunque abbastanza numerose da superare la nostra capacità di presenza (anche perché in generale i membri dei CARC a loro volta lavorano sotto padrone!). E per fortuna, migliaia di lotte rivendicative si svolgono egualmente bene anche senza la nostra presenza. Noi non ci riteniamo così importanti da pensare che senza di noi i lavoratori non fanno lotte rivendicative, cerchiamo di imparare anche dalle lotte a cui non siamo presenti e di portare il nostro contributo per altra via! Non ci sogniamo neanche di citare questa o quella lotta in cui nostri compagni (quindi i CARC) sono stati presenti e non c’erano compagni dell’AsLO o del ComComPre, come un rimprovero per l’AsLO o per il ComComPre. Infatti sarebbe una critica futile, stizzosa, che mostrerebbe solo il nostro desiderio di “togliere la parola” a chi ci critica. La critica giusta da farci, e che noi ci facciamo, è che eravamo presenti all’Assemblea del Villaggio Globale e non abbiamo preso la parola per dire la verità più grande e più profonda che le lotte rivendicative di cui si parlava mettevano in luce: “che gli operai e le masse popolari per superare le difficoltà che incontrano nelle lotte rivendicative devono legarsi al lavoro di ricostruzione del partito comunista, che essi hanno bisogno del partito comunista anche per superare quelle difficoltà” e quindi per chiedere ai presenti di collaborare alla ricostruzione del partito. E se l’intervento fatto dal portavoce dei CARC a Pomezia il 03.08.00 era lamentoso, motivo di più per dire che l’autocritica fatta da noi su Rapporti Sociali 26/27 è giusta e necessaria! A noi la critica e l’autocritica non ci spaventa: abbiamo sicuramente molto da imparare per diventare dei comunisti e siamo decisi a imparare molto.

Ma conviene dilungarci un altro po’ sulla questione. Sopra ho detto che i compagni “soggettivamente non sono dei disfattisti (cioè non parlano per demoralizzare i lavoratori) e non erano presenti all’assemblea per lamentarsi”. Perché ho precisato “soggettivamente”? Cosa significa disfattista? In guerra, viene considerato disfattista e come tale trattato chi nelle nostre fila diffonde notizie anche vere ma che inducono i nostri combattenti a pensare che la nostra causa è senza speranza oppure che richiede, per essere difesa, sacrifici superiori a quelli che siamo disposti ad affrontare e quindi spingono ad abbandonare la lotta, alla resa. La propaganda disfattista, se è efficace, ha quell’effetto. Ora, che tra borghesia e masse popolari sia in corso una guerra è indubbio e i nostri due critici non lo negheranno. Che in guerra, per vincere, il morale dei combattenti conti molto, ognuno lo sa. Orbene, che effetto ha sul morale dei nostri combattenti la  denuncia delle difficoltà che rendono difficile per noi vincere, senza indicare cosa fare per superare quelle difficoltà e vincere? Con questo non vogliamo dire che quindi dobbiamo nascondere le nostre difficoltà, che dobbiamo addirittura mentire e dire che la nostra vittoria è facile e sicura. Anche la superficialità e l’imprevidenza portano alla sconfitta, come la demoralizzazione. Vogliamo dire che noi comunisti dobbiamo fare un’analisi precisa e impietosa delle nostre difficoltà, ma contemporaneamente trovare e indicare cosa dobbiamo fare per sormontarle e che dobbiamo contemporaneamente indicare quali sono i fattori favorevoli che rendono sicura la nostra vittoria se li sfruttiamo a dovere. Il comunista è un dirigente. La denuncia è un aspetto del nostro lavoro, è indispensabile per mobilitare l’odio di classe e lo spirito di lotta. Ma non basta. Anche l’on. Brunetta (FI), Marco Revelli e altra gente simile parla in lungo e in largo delle difficoltà in cui si dibattono oggi i lavoratori e spesso addirittura le ingigantiscono. Giustamente noi diciamo che fanno propaganda disfattista, che fomentano tra i lavoratori la resa e la rassegnazione oppure l’individualismo e la ricerca della scalata sociale individuale. Che la sola denuncia delle difficoltà che ostacolano oggi le lotte rivendicative abbia un effetto disfattista sulla massa dei lavoratori è indubbio, anche se chi fa quella denuncia non ha quell’intenzione, cioè soggettivamente non è un disfattista. Le masse e in particolare gli operai sono realisti. Lottano solo quando vedono ragionevoli prospettive di vittoria. I sacrifici individuali sono atti di eroismo solo quando sono la condizione necessaria per la vittoria del collettivo. Noi comunisti come onoriamo i nostri eroi e i nostri martiri e ne difendiamo la memoria, altrettanto siamo contrari ai don Chisciotte. A volte tra le FSRS si trovano degli idealisti, che combattono anche se le prospettive di vittoria sono nulle, perché “bisogna combattere”. Ma le masse popolari e in particolare gli operai non fanno così. E noi impariamo da loro. Ciò che distingue un comunista da un disfattista è che il comunista non si ferma alla denuncia delle difficoltà, ma indica come superarle. Nel caso concreto, non bastava “sottolineare l’importanza del superamento dello scoraggiamento e delle divisioni tra operai che favoriscono solo il padrone”, cosa vera ma che è solo un’esortazione. Non basta dire che bisogna combattere nonostante le difficoltà, occorre dire e dimostrare che partecipando al lavoro di ricostruzione del partito comunista e tramite l’azione del partito comunista, con un’azione tenace e duratura nel giro di un certo tempo si superano le difficoltà che oggi ostacolano le lotte rivendicative. Bisogna dire chiaramente che per superare lo scoraggiamento e le difficoltà bisogna ricostruire il partito comunista, cioè indicare quelle cose che nell’articolo a ragione ci autocritichiamo di non aver detto, visto che noi stiamo lavorando proprio per la ricostruzione del partito comunista. È questo che diciamo ai nostri compagni, che diciamo a tutti quelli che vogliono diventare comunisti, che diciamo a tutti i lavoratori d’avanguardia. Noi vogliamo imparare a fare meglio e per questo ci autocritichiamo e ascoltiamo attentamente le critiche che ci vengono fatte. Ci auguriamo che anche i nostri due critici, offesi giustamente perché abbiamo parlato di loro in modo che si poteva intendere che li accusassimo di essere dei disfattisti intenzionali, cioè di essere soggettivamente dei disfattisti, vogliano imparare a non esserlo anche oggettivamente, cioè si impegnino anche a capire come i lavoratori possono superare gli ostacoli che oggi rendono così difficili anche le lotte rivendicative e diventino ardenti propagandisti e organizzatori tra le masse dei rimedi: secondo noi il rimedio è un lavoro tenace per ricostruire il partito e quindi per fare di ogni lotta rivendicativa una scuola di comunismo (in proposito rimandiamo all’articolo “Fare di ogni lotta rivendicativa una scuola di comunismo” pubblicato in Resistenza n. 7-8/2000).

Chiudo il mio commento (e la richiesta di scuse ai due compagni per quel tanto che la nostra critica suonava ingiusta rispetto ai loro sentimenti, al loro stato d’animo e alle loro intenzioni e anche offensiva), riportando i brani di due autori cari ai comunisti che trattano di questo tema.

“L’arte di rendere la verità maneggevole come un’arma. La verità deve essere detta per trarne determinate conclusioni circa il proprio comportamento. ... Dopo un grande terremoto che distrusse Yokohama, in molte riviste americane si  potevano vedere delle fotografie che mostravano una distesa di macerie. Sotto c’era scritto “steel stood” (l’acciaio è rimasto in piedi) e in effetti chi alla prima occhiata non aveva visto altro che rovine ora, reso più attento dalla didascalia, notava alcuni alti edifici che erano rimasti in piedi. Tra tutte le possibili maniere di parlare di un terremoto, la più importante è senza confronto quella degli ingegneri che, tenendo conto degli spostamenti del terreno, della violenza delle scosse e del calore che si sviluppa, ecc., aprono la via a nuove costruzioni antisismiche. Chi vuole descrivere il fascismo e la guerra, grandi catastrofi che non sono catastrofi naturali, deve costruire una verità suscettibile di essere tradotta in pratica. ... Quando si vuole scrivere efficacemente la verità su certe condizioni deplorevoli, bisogna scriverla in modo che se ne possano riconoscere le cause evitabili. Quando le cause evitabili vengono riconosciute, le condizioni deplorevoli si possono combattere.” (da B. Brecht, Cinque difficoltà per chi scrive la verità, 1935).

Scrivendo nel 1930 a proposito di B. Souvarine (Liefscitz) che in una sua rivista aveva ripetutamente denunciato la volgarizzazione del materialismo dialettico che a parere di Souvarine prevaleva tra le fila dell'Internazionale Comunista, Gramsci ha scritto: “Per il Liefscitz il problema è semplicemente un motivo di disfattismo. Non è infatti puro disfattismo trovare che tutto va male e non indicare criticamente un via d’uscita da questo male? Un “intellettuale”, come crede di essere il Liefscitz, ha un modo di impostare e risolvere il problema: lavorando concretamente a creare quelle opere scientifiche di cui piange amaramente l’assenza e non limitarsi a esigere che altri (chi?) lavori. Né il Liefscitz pretenderà che la sua rivista sia già questo lavoro: essa potrebbe essere un’attività utile se fosse scritta con modestia e con migliore autocritica e senso critico in generale. Una rivista è “un terreno” per iniziare a lavorare per la soluzione di un problema di cultura, non è essa stessa una soluzione. E, ancora, deve avere un indirizzo preciso e quindi offrire modo a un lavoro collettivo di un gruppo intellettuale, tutte cose che non si vedono nella rivista del Liefscitz. Recensire i libri è molto più facile che scrivere dei libri, tuttavia è cosa utile: ma un “recensore” per programma [di professione] può, senza essere un puro disfattista, piangere sconsolatamente sul fatto che “altri” non scrivono libri? E se anche gli altri preferiscono scrivere “recensioni”? (A. Gramsci, Quaderni dal carcere n. 7, 1930-1931).

Come si vede la questione del disfattismo non è solo una questione di intenzioni e di stato d’animo, ma una questione di linea politica. Quando parliamo di FSRS, è principalmente una questione di linea politica. Ci sono linee politiche disfattiste (che inducono le masse ad abbandonare la lotta) e linee politiche che sollevano le masse alla lotta e le organizzano per la vittoria. Di questo noi parliamo nel nostro articolo. Occorre una propaganda che indichi alle masse cosa fare per superare ogni singola difficoltà e arrivare alla vittoria, senza retorica e senza nascondere che la lotta sarà lunga e dura; una propaganda che proprio sproni alla lotta perché dà indicazioni concrete su come condurla, illustra gli insegnamenti da trarre da ogni esperienza e permette di conseguire dei successi. E così infonde fiducia nella sicura vittoria delle masse popolari sulla borghesia imperialista.

Finiamo sollecitando i nostri lettori a leggere e meditare sullo scritto “Il destino di Matteotti” steso da A. Gramsci nell’estate del 1924 a proposito di Giacomo Matteotti assassinato dai fascisti (per comodità dei nostri lettori riproduciamo di seguito a questo articolo lo scritto di Gramsci). Se leggiamo quello scritto con un po’ di senso della storia e facciamo le trasposizioni necessarie alle condizioni attuali per tener conto di ciò che è cambiato, esso è ricco di insegnamenti per la lotta che conduciamo in questi mesi e dà ulteriori chiarimenti su cosa noi comunisti intendiamo per disfattismo, che può benissimo, come nel caso illustrato da Gramsci, convivere con l’idealismo e il sacrificio individuali. Compagni, cessiamo di essere “pellegrini del nulla” e abbracciamo la causa della ricostruzione del partito comunista, perché nessuna vittoria, nessuna conquista è possibile senza un vero partito comunista!

 

 

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