Provocazione al popolo di Seattle

Rapporti Sociali n. 29 - marzo 2002 (versione Open Office / versione MSWord)

 

Commento all’articolo di Luigi Cavallaro “Ma Carlo Marx non sarebbe d’accordo con voi”, pubblicato sul il manifesto.

 

Sul Manifesto del 4 agosto 2001 il giornalista Luigi Cavallaro riporta la seguente affermazione di Paul Krugman apparsa sul New York Times il 22 aprile 2001 contro il “popolo di Seattle”: “Chiunque pensi che la risposta alla povertà del mondo sta nell’invettiva contro il commercio globale è privo di cervello o sceglie di non usarlo”. Il giornalista accosta questa posizione a quella di K. Marx del 9 gennaio 1848 che nella polemica sull’abolizione delle tariffe doganali sui cereali appoggiò i liberoscambisti: “In generale il sistema protezionista è conservatore mentre il sistema del libero scambio agisce come fattore di distruzione e spinge al culmine l’antagonismo tra proletariato e borghesia. In una parola, il sistema della libertà di commercio accelera la rivoluzione sociale”. Forte di queste due posizioni Cavallaro critica l’antiglobalizzazione del popolo di Seattle, il loro modo “reticolare” di organizzarsi e si chiede: “Quale autorità e in che modo deve decidere come e cosa produrre, se viene sottratto ogni ruolo al profitto?” Cavallaro, quindi, mette da un lato Krugman e Marx, dall’altro il “popolo di Seattle”. L’accostamento tra Krugman e Marx tuttavia si basa solo sul fatto che entrambi esprimono posizioni contrastanti con alcune idee predominanti nel movimento no-global. Krugman, abbagliato dal commercio globale arriva a sostenere che gli unici in grado di fare qualcosa per migliorare le condizioni del pianeta sono proprio i policy makers (caporioni della borghesia imperialista) assediati, mentre i dimostranti, sarebbero “gente senza cervello innamorata del proprio idealismo”? Insomma si dovrebbe lasciar fare ai rappresentanti del capitalismo per risolvere il problema della povertà. Egli dunque non vede la contraddizione principale della società capitalista, quella tra capitale e forza lavoro e quindi non vede nemmeno da quale posizione economica, politica e culturale questi policy makers muovono. Ma lasciarli fare significa continuare nella logica di subordinare la forza lavoro al capitale. Questa forza lavoro mai potrebbe appropriarsi “di quel ’sapere sociale generale’ che nelle merci è, appunto, oggettivato”, come dice Cavallaro. Il nostro caro Krugman parte bene ma finisce male. Sembra di vedere un equilibrista che inizia a camminare sulla corda tesa e procede bene fino a quando cade perché non è stato capace di valutare tutti gli elementi per mantenersi in equilibrio. Marx, nella sua polemica, si batte perché vengano abbattuti i residui del feudalesimo con la liberalizzazione degli scambi e, ad esempio, sulla questione del prezzo del pane citata nell’articolo egli vede, sì, lo sviluppo del capitalismo, ma nel contempo dichiara che tale condizione facilita al proletariato dei paesi interessati al libero scambio la comprensione della società capitalista che combattono. Il commercio globale oggi agisce allo stesso modo analizzato da Marx nel 1848. Se in quel tempo la questione presa in esame riguardava pochi paesi, essa aveva già i caratteri per divenire globale. Era solo la limitata quantità di merci prodotte e la limitatezza dell’area interessata a non renderla globale. Oggi la struttura produttiva capitalista è in grado di produrre in ogni parte del mondo e dunque il fatto che oggi tutto il mercato sia portato dallo stesso sviluppo capitalistico ad essere sempre più interconnesso e legato in ogni parte del mondo, mostra la giustezza dell’analisi di Marx sulla società capitalista. Basta leggere il Manifesto del partito comunista di K. Marx e F. Engels, stampato nel 1848, per scorgere come la moderna globalizzazione altro non è che la vecchia necessità della borghesia ottocentesca di cacciare il naso in ogni cosa e cambiare continuamente i processi di produzione e distribuzione delle merci pur di mantenere i profitti alti e le condizioni di miglior sfruttamento della forza lavoro oltre al privilegio di dirigere l’intera società. Ma vediamone alcuni passaggi: “La borghesia non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti di produzione,  quindi i rapporti di produzione, quindi tutto l’insieme dei rapporti sociali. (...) Il continuo rivoluzionamento della produzione, l’incessante scuotimento di tutte le condizioni sociali, l’incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l’epoca borghese da tutte le precedenti.” Ed ancora: “Il bisogno di sbocchi sempre più estesi per i suoi prodotti spinge la borghesia per tutto il globo terrestre. Dappertutto essa deve ficcarsi, dappertutto stabilirsi, dappertutto stringere relazioni. Sfruttando il mercato mondiale la borghesia ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i paesi. (...) Col rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, con le comunicazioni infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civiltà anche le nazioni più barbare. I tenui prezzi delle sue merci sono l’artiglieria pesante con cui essa abbatte tutte le muraglie cinesi, e con cui costringe a capitolare il più testardo odio dei barbari per lo straniero. Essa costringe tutte le nazioni ad adottare le forme della produzione borghese se non vogliono perire; le costringe a introdurre nei loro paesi la cosiddetta civiltà, cioè a farsi borghesi. In una parola, essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza”. Ce n’è abbastanza per mettere in guardia non solo Krugman e Cavallaro, ma soprattutto il popolo di Seattle. Questi se continuerà a farsi guidare da parolone quali: globalizzazione, mondializzazione ecc., proposte da intellettuali incapaci di uscire dall’ideologia borghese, come i due citati sopra, oltre che condizionati nel portafoglio dalla borghesia imperialista, finirà per scoprire l’acqua calda. Non perché non si debbano usare parole nuove, ma i fenomeni ai quali si vuole dare sintesi con parole più moderne vanno spiegati a partire dalla loro origine. In questo modo tutti potremo capire meglio in quale contesto e di cosa stiamo parlando. Ma se ad esempio si parte dal commercio globale senza analizzare come ci si è arrivati, allora chiunque potrà sostenere qualsiasi cosa riguardo al presente senza preoccuparsi dei nessi con il passato. Cavallaro critica l’antiglobalizzazione del popolo di Seattle che impedirebbe “il commercio internazionale ... quale... unico fattore capace di favorire la mobilità internazionale del “sapere sociale generale” che nelle merci è, appunto, oggettivato. E l’acquisizione di questo sapere sociale generale, in quanto principale forza produttiva, rappresenta il presupposto decisivo perché i paesi più poveri possano ridurre lo squilibrio nell’appropriazione delle risorse a fini produttivi e di consumo che connota la loro posizione rispetto al club dei ricchi”. Dunque basterebbe il “sapere sociale generale” per ridurre lo sviluppo tra paesi ricchi e poveri secondo l’articolista. Dell’antagonismo tra proletariato e borghesia, di cui parla Marx, non si tiene alcun conto. Non si tiene conto dell’analisi di Lenin sull’imperialismo e sulla borghesia imperialista, la classe che cerca in tutti i modi di perpetuarlo. I CARC ad esempio nel loro foglio mensile Resistenza n.7-8/2001, nell’articolo pubblicato in prima pagina scrivono: “La riunione del G8 esprime anche la pretesa della borghesia imperialista di governare il mondo, di regolare i problemi economici e politici dei vari popoli secondo gli indirizzi dettati dai suoi capi. Questa pretesa è del tutto infondata. La borghesia imperialista per sua natura non è in grado di regolare il corso delle cose e di evitare i danni che il suo stesso sistema, il capitalismo, produce. (...) Ora gli uomini hanno i mezzi materiali e spirituali necessari sia per assicurare la propria sopravvivenza sia per governare collettivamente le proprie relazioni sociali. Ma la borghesia imperialista cerca di impedire che questi mezzi siano messi in opera, perché sarebbe il comunismo e la fine della divisione in classi. (...) La borghesia imperialista non è in grado di dare un indirizzo razionale alla vita dell’umanità. Essa subisce le crisi e gli sconvolgimenti spontanei del suo stesso sistema come forze e avvenimenti misteriosi e cerca solo di mettere una pezza, ora qua ora là”. Questa è un’analisi che non porta a chiedere che la borghesia imperialista diriga meglio la società capitalista, ma porta alla consapevolezza che occorre toglierle il comando sulla società. Questo è il contributo dato dai CARC alla riflessione di quelle migliaia di persone che si mobilitano contro il G8 solo per chiedere più razionalità nello sviluppo capitalista. E più oltre si può ancora leggere: “finché siamo solo contro, possiamo al massimo moderare i peggiori istinti della borghesia imperialista e bloccare alcune delle sue peggiori decisioni. Ma, alla lunga, è impossibile condizionare e correggere il capitalismo. Non esiste  capitalismo privo dei suoi mali. Occorre spazzar via il capitalismo e instaurare il socialismo.” Veniamo ora al modo “reticolare” di organizzarsi del popolo di Seattle e al problema del modo in cui dobbiamo essere governati e da quale autorità, secondo le indicazioni di Cavallaro. Il giornalista spiega come il popolo di Seattle, che ritiene di aver superato i partiti novecenteschi con una organizzazione a conformazione reticolare di tipo orizzontale, in realtà porta in sé una contraddizione. Ma seguiamo il ragionamento là dove dice che: “Si può rinvenirla (la contraddizione) in ciò che le forze morali che il popolo di Seattle ritiene artefici dell’ineguaglianza e della devastazione ambientale che si associano alla globalizzazione (e cioè l’egoismo, la motivazione al profitto, ecc.) sono al contempo quelle che permettono attualmente agli individui di cooperare senza che debbano per forza “conoscersi o amarsi” e possono essere rimosse dal loro ruolo di vettori della cooperazione solo istituendo un’unità centrale che stabilisca, attraverso un piano mondiale, cosa, come e per chi produrre”. La sintesi è data bene dalla seconda manchette messa nell’articolo: “Giustizia ed equità - Quale autorità e in che modo deve decidere come e cosa produrre, se viene sottratto ogni ruolo al profitto?” La domanda può essere così riassunta: può una organizzazione reticolare come quella del popolo di Seattle sostituire un’autorità centrale che dia ordini ben precisi agli imprenditori? I CARC possono rispondere con “Il Programma dei comunisti per l’instaurazione del socialismo” (le Dieci Misure) proposto dalla Segreteria Nazionale dei CARC nell’ambito della costituzione del Fronte Popolare per la ricostruzione del Partito Comunista (FP-rpc). In esso viene indicata la struttura nella quale si decide come e cosa produrre oltre che dare vita ad un nuovo Stato che deve in particolare reprimere la borghesia imperialista e garantire allo stesso tempo la massima libertà per le masse popolari. L’autorità dunque proviene dal nuovo Stato gestito dai lavoratori che garantisce la libera espressione a tutte le classi che appartengono alle masse popolari. Ma per rispondere nello specifico alla domanda chi deve decidere come e cosa produrre, nella prima delle Dieci Misure si indica: “Tutto il potere è assunto da uno Stato i cui organi, ad ogni livello, sono Consigli di delegati dei lavoratori eletti e revocabili. Esso ha lo scopo di reprimere la borghesia imperialista, dirigere la riorganizzazione di tutte le attività collettive, in conformità agli interessi e volontà delle masse...”. E la nona misura prevede: “Nazionalizzazione di tutte le banche e società finanziarie di ogni genere e di tutte le imprese ed enti di proprietà della borghesia imperialista: industriali, agricole, commerciali, dei trasporti, dei servizi, delle comunicazioni e di ogni altro genere. Affidamento di essi in gestione ai Consigli. Rispetto della proprietà delle aziende familiari, individuali e cooperative. Creazione di un Consiglio nazionale dell’economia con l’incarico di coordinare tra loro l’attività di tutti gli organismi economici, bancari e finanziari gestiti dai Consigli e di coordinare con essi l’attività delle imprese familiari, individuali e cooperative, con l’obiettivo di rafforzare la produzione e indirizzarla a soddisfare i bisogni materiali e spirituali delle masse...”. Al “popolo di Seattle” o “movimento di movimenti” o “Social Forum” o comunque si chiami l’attuale ampia opposizione alla società capitalista e che si riconosce nella parola d’ordine “una società migliore è possibile” noi diciamo che occorre definire meglio questa parola d’ordine. Tutti siamo per una società migliore. Il Papa prega ogni giorno per una società migliore, Berlusconi vuole migliorare l’Italia nei cinque anni del suo mandato, le organizzazioni sindacali cercano di migliorare le condizioni dei lavoratori, ecc. I CARC danno una definizione più precisa alla società migliore chiamandola società comunista. Non stiamo dicendo che i CARC hanno ideali migliori, ma che è la stessa attuale società capitalista che ha posto le basi per il suo superamento (il suo miglioramento) in senso comunista. Questa opposizione, almeno nella sua grande maggioranza, sembra voler procedere contro il capitalismo senza tener in nessun conto quanto ha saputo fare il movimento comunista da Marx fino ai nostri giorni per combattere la società capitalista. Non vuole fare un bilancio. Accetta per buona la tesi interessata della classe dominante secondo la quale il comunismo è morto e dunque si arrabatta per cercare una terza via del tutto inesistente. È inesistente perché il superamento del capitalismo non può avvenire sulla base di buoni propositi e di belle, quanto irrealizzabili, condizioni di vera giustizia,  fratellanza, e altro ancora. Il superamento della società capitalista può avvenire se si prende atto della base che essa stessa ci fornisce per essere superata. Giustizia e libertà sbandierati da tutti, al momento sono pii desideri. Nel nostro paese le libertà sono quelle conquistate con la lotta partigiana e non quelle che garantirebbe la Costituzione Italiana. Questa Costituzione non ha impedito quanto abbiamo visto nei giorni del G8 a Genova. Essa viene rispettata fino a che non danneggia gli interessi della classe dominante e dirigente del paese. In conclusione il popolo di Seattle è movimento di resistenza delle masse popolari, tanto più significativo perché coinvolge le masse dei paesi imperialisti al di là dei confini nazionali. Il suo pretendersi come qualcosa di assolutamente nuovo rispetto al passato è un fenomeno negativo, che si accompagna sempre a ciò che è giovane. In realtà non è nuovo: manifesta moltissime analogie con il movimento della cosiddetta “contestazione globale” degli anni ’60 nei paesi imperialisti, e riproduce molti errori di quell’epoca. In ogni caso il suo aspetto principale è quello di ribadire la possibilità di un’alternativa al capitalismo. Compito dei comunisti è quello di trasformare questa alternativa da possibile a necessaria e da progetto a fatto concreto.

 

M. Ross

 

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