La svolta USA e le FSRS italiane

Rapporti Sociali n. 29 - marzo 2002 (versione Open Office / versione MSWord)

 

Cibo e veleno

Dopo gli attentati di martedì 11 settembre e la svolta che, prendendo pretesto da essi, il governo Bush ha impresso alla politica USA, per quanto mi risulta tutte le FSRS italiane hanno denunciato l’aggressione imperialista contro l’Afghanistan e le restrizioni imposte dagli Stati imperialisti alle conquiste politiche e di civiltà che nel passato le masse popolari dei paesi imperialisti hanno strappato nell’ambito del movimento comunista. Questa convergenza delle FSRS su posizioni politiche giuste è positiva e importante ai fini della ricostruzione del partito comunista e ogni comunista non può che rallegrarsene.

A questo aggiungete i 100 - 150 mila manifestanti che hanno sfilato a Roma il 10 novembre contro la guerra. Considerata l’ostilità dei partiti del centro-sinistra e dei sindacati di regime a mobilitare la piazza contro il governo della banda di mafiosi, fascisti, clericali, razzisti e avventurieri che essi però considerano “democraticamente eletto”, considerate l’assoluto rifiuto del Vaticano e della Chiesa per ogni movimento di piazza antimperialista, tenuto conto della pochezza dei centri di aggregazione e mobilitazione, la partecipazione di Roma conferma quello che le Giornate di Genova (20-22 luglio) e la settimana successiva avevano mostrato: quanto sia diffusa la coscienza antimperialista tra le masse popolari italiane. Tanto più se teniamo conto che sempre il 10 novembre, nel suo American Day, il governo della banda Berlusconi e le forze che compongono la sua maggioranza, con tutto il loro dispiegamento di autorità e di soldi fatto per tutta Italia e con una larga connivenza del centro-sinistra e di Woityla, hanno portato a Roma in piazza del Popolo solo 30-40 mila persone. Un’altra conferma questa che la banda raccolta attorno a Berlusconi ha ancora scarso seguito tra la parte politicamente attiva delle masse popolari, che la sua risicata maggioranza elettorale è ancora in gran parte frutto della tradizionale e costituzionale autorità dei gruppi imperialisti, che hanno sì “eletto” quella banda, sulla parte delle masse popolari estranea all’attività politica. Una conferma che nella parte politicamente attiva delle masse popolari è forte l’opposizione al governo Berlusconi che impersona nella forma più pura e palese l’attacco della borghesia alle conquiste delle masse popolari dei paesi imperialisti e la politica di aggressione e di ricolonizzazione dei gruppi imperialisti contro le masse popolari dei paesi oppressi.

Tutto bene quindi? Mentiremmo se rispondessimo positivamente e verremmo meno al nostro dovere di combattenti per la ricostruzione del partito comunista se tacessimo. Infatti se andiamo a considerare come varie FSRS giustificano la loro presa di posizione, le riflessioni con cui la accompagnano e quindi la teoria, la concezione del mondo che le guida, diventa chiaro il motivo della loro scarsa influenza politica. Senza teoria rivoluzionaria, il movimento rivoluzionario non può svilupparsi oltre un livello elementare, ci hanno insegnato Lenin, Mao e tutto il movimento comunista. Le giustificazioni addotte da molte FSRS mostrano chiaramente proprio la mancanza di una teoria rivoluzionaria, l’assoggettamento ideologico alla borghesia. Emergono la mancanza di un orientamento rivoluzionario, di una concezione del mondo comunista, l’adesione alle più varie ideuzze sparse dalla borghesia imperialista. Una situazione ideologica che impedisce quel lavoro continuativo, sistematico, multiforme ma coerente, aderente alla realtà che è il solo che può portare i comunisti ad avere un ruolo determinante nell’orientamento e nella direzione del movimento delle masse popolari. Esamino qui di seguito alcuni degli errori più importanti diffusi nella letteratura delle FSRS italiane.

  

1. Alcuni compagni “molto sgamati” presentano l’aggressione all’Afghanistan come un episodio della “guerra per il petrolio”. Come esponente esemplare di questo genere si può prendere Critica e conflitto (n. 9/10, anno 5, settembre/ottobre 2001). Sarebbero le società petrolifere americane che avrebbero scatenato il governo USA contro l’Afghanistan. L’aggressione all’Afghanistan sarebbe principalmente dovuta alla volontà di impadronirsi delle riserve di petrolio e di gas naturale accertate in Asia centrale e l’Afghanistan sarebbe il paese di transito per oleodotti e gasdotti dall’Asia centrale all’oceano Indiano. In effetti tra i tanti progetti di oleodotti e gasdotti, vi era anche quello della americano-saudita Unocal che doveva attraversare l’Afghanistan e certamente i suoi padrini non avranno risparmiato sforzi per “stabilizzare” l’Afghanistan. E sono note le loro connessioni con l’amministrazione Bush. Non a caso avevano finanziato l’avvento al potere dei talebani (1994-1996). Ma se di guerra del petrolio si trattasse, bisognerebbe spiegare 1. perché i talebani non hanno avuto il sostegno necessario per fare in Afghanistan quello che i loro amici wahabiti hanno fatto e fanno in Arabia Saudita, 2. perché i gruppi imperialisti americani non hanno mantenuto il controllo sull’Afghanistan dopo la cacciata dei sovietici, 3. perché proprio in Asia centrale per impadronirsi delle riserve naturali gli imperialisti devono ricorrere all’occupazione, quando già partecipano al loro sfruttamento. Che la “guerra per il petrolio” non possa essere che una motivazione secondaria del vasto movimento politico-militare condotto dai gruppi imperialisti USA lo vedremo del resto nei prossimi mesi, quando aggrediranno paesi che solo con molta buona volontà si possono implicare negli affari legati all’estrazione, al trasporto e alla commercializzazione delle fonti energetiche.(1) Del resto le stesse ragioni petrolifere erano state indicate anche per le aggressioni nei Balcani negli anni ’90: anche lì si trattava di rotte del petrolio, dicevano i “ben informati”. Siccome grandi riserve di petrolio e di gas vi sono un po’ in tutto il mondo, credo che quasi per ogni paese aggredito si potrà tirar fuori questa spiegazione molto “marxista”. Non è “noto”, non è una “verità marxista” che l’economia comanda la politica? Al petrolio alcuni aggiungono con sussiego le “ragioni geostrategiche”. Siccome ogni paese è vicino ad altri e sulla rotta per raggiungerne altri “a piedi”, si può sempre insinuare con fare misterioso che ha una “posizione strategica”. Anche il Liechtenstein a pensarci bene ha una posizione strategica, per non parlare della repubblica di Andorra. Si tratta di vedere strategica per che cosa e per chi.

 

1. Si tenga inoltre presente che il mondo rigurgita di petrolio. Le riserve di petrolio e di gas accertate in Africa (lato oceano Atlantico e lato oceano Indiano) sono già enormi e crescono di mese in mese. La Russia mira a sostituire l’Arabia Saudita come fornitrice degli USA: non lo è ancora diventata per motivi di sicurezza del rifornimento e di accaparramento delle rendite. In Canada sono accertate riserve petrolifere equivalenti all’intero consumo mondiale di svariate decine di anni, le maggiori finora note, negli scisti bituminosi (l’estrazione di petrolio dagli scisti bituminosi diventa conveniente quando il prezzo al barile supera i 13$: nell’estate 2001 era salito a 32$ e ora è sceso a 18$). A ciò si aggiungono le riserve accertate in Alaska e le esplorazioni che restano da fare in zone dove i giacimenti sono probabili.

 

Che la cultura borghese chiacchieri di guerra del petrolio per nascondere la crisi generale delle istituzioni e delle relazioni politiche, è ovvio. Che delle FSRS la seguano, è segno di ingenuità e subordinazione. Queste spiegazioni molto “marxiste” in realtà sono una caricatura del marxismo proprio perché nascondono dietro interessi economici veri ma particolari, le motivazioni squisitamente politiche dell’aggressione all’Afghanistan e della vasta operazione messa in opera dai gruppi imperialisti americani. La crisi economica in cui il capitalismo è entrato dalla metà degli anni ’70 ha generato una crisi politica (una situazione rivoluzionaria in sviluppo) che sta diventando sempre più acuta. I gruppi imperialisti americani devono vedersela con le masse popolari americane, con i gruppi imperialisti degli altri paesi (in  particolare europei e giapponesi), con governi e movimenti dei paesi oppressi.(2) Chi non capisce questo meccanismo politico generato dalla crisi economica cerca di ricondurre ogni episodio politico a un particolare interesse economico, producendo altrettante “caricature del marxismo” al seguito della cultura borghese. Ed è ovvio che non riesca ad approfittare degli sviluppi della situazione rivoluzionaria per accumulare forze.

 

2. L’analisi più esauriente e interessante del meccanismo politico di cui l’aggressione all’Afghanistan fa parte è contenuta nel comunicato della Commissione Preparatoria del congresso di fondazione del (nuovo)Partito comunista italiano datato 30 settembre (disponibile sul sito: www.lavoce.freehomepage.com) e nell’articolo di Nicola P. (Un passo avanti) del n. 9 di La Voce. Ad essi rimando.

 

2. Altre FSRS invece ammettono che siamo nel bel mezzo di una crisi generale e che l’aggressione all’Afghanistan è un episodio del suo svolgimento. Il problema è la spiegazione che danno della causa e della natura di questa crisi. Come esponente esemplare di questo genere si può prendere l’articolo Le vere ragioni della guerra di Manlio Dinucci pubblicato su Operai contro (organo dell’AsLO) n. 42 del 14 novembre 2001. Secondo M. Dinucci la guerra deriverebbe dalla crisi che a sua volta deriverebbe da “un eccesso di capacità produttiva ... in rapporto a un mercato interno e internazionale che non solo ha precisi limiti [?!], ma in diversi casi si restringe a causa del peggioramento delle condizioni di vita anche delle classi medie” e sarebbe promossa dalle industrie militari che vi avrebbero il loro tornaconto e inoltre dalla “enorme importanza economica e strategica” dell’Asia centrale. Lasciamo perdere la “posizione strategica” di cui ho già detto, restiamo alla crisi. All’inizio dell’epoca imperialista, cioè più di 100 anni fa, il tentativo di spiegare le crisi economiche dell’epoca imperialista con il “sottoconsumo delle masse popolari”, era già di moda. Le teorie economiche di J. Sismondi facevano testo. Lenin in numerosi scritti, tra cui La cosiddetta questione dei mercati (1893), le ha minuziosamente confutate. Che la cultura borghese di sinistra le ripeta lo stesso, nessuna meraviglia: giustifica “scientificamente” il suo programma politico. E non ha altra musica da suonare. Keynes ha dato nuovo lustro alle vecchie teorie, come il clero aggiorna i vecchi dogmi. E Bush per Natale ha fatto la telefonata pubblica alla mamma, per incitarla a spendere.(3) Ma questa “spiegazione delle crisi” è ancora accolta da alcune FSRS italiane come marxismo puro. Con queste teorie in testa, è ovvio che l’opposizione alla concertazione non può fare molta strada. Al massimo si fa dell’estremismo sindacale.

 

3. “Quindi, madri di famiglie, piene di patriottismo, uscite con slancio domattina presto, invadete le strade, approfittate dei saldi straordinari in bella mostra ad ogni angolo. Farete ottimi affari. ... E, guadagno a parte, concedetevi in più la gioia di dare più lavoro ai vostri compatrioti!”. Cos’è, il discorso di Bush al popolo americano per la fine dell’anno 2001? No! È J. Maynard Keynes che parla ai suoi “compatrioti” dalla radio inglese nel gennaio del 1931.

 

 

3. Un’altra posizione paralizzante è quella che esclude le masse popolari americane dal novero dei bersagli dei gruppi imperialisti USA (e le masse popolari degli altri paesi imperialisti dal novero dei bersagli delle misure che i rispettivi gruppi imperialisti hanno preso sulla scia dei gruppi imperialisti americani e della loro “guerra al terrorismo”). Nascondono o minimizzano la contraddizione tra la borghesia e le masse popolari dei paesi imperialisti. Come esponente esemplare di questo genere si può prendere il comunicato Opponiamo alla “guerra globale” dell’imperialismo la guerra popolare fino al comunismo pubblicato in Rossoperaio (n. 12, ottobre 2001) e diffuso in inglese dal MRI come “Comunicato del PCm-I” datato 8 ottobre 2001. Questo comunicato indica (alla rinfusa) vari bersagli dei gruppi imperialisti americani: “tutti gli oppressi, tutti i loro combattenti, tutte le nazioni che non si allineano”, “le guerre popolari, le lotte armate antimperialiste, le ribellioni dei popoli arabo-palestinese-musulmani,  ogni governo che non si allinei alla logica imperiale”, “i movimenti di massa anti-globalizzazione”, “i proletari e gli sfruttati delle metropoli formati in parte da afroamericani, ispanici, immigrati turchi, arabi, asiatici, africani”. Insomma, tutti tranne le masse popolari americane. Va da sé che è impossibile svolgere il lavoro di mobilitazione necessario e possibile in un paese come il nostro se non si vede che le misure prese dai gruppi imperialisti americani sono una sorta di messa in stato d’assedio proprio delle masse popolari americane, uno stato d’assedio che cerca di promuovere la mobilitazione reazionaria delle masse popolari americane imponendo un clima di sospetto e di delazione. Esso urterà in modo particolare una popolazione per tradizione ostile alle imprese brigantesche dei propri gruppi imperialisti e con una tradizione di grande libertà. Solo facendo leva su questo e sul procedere della crisi economica i nostri compagni, i comunisti americani, promuoveranno la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari americane. Queste sono in definitiva quelle che possono eliminare l’imperialismo americano. Dato che questi è il gendarme mondiale, il massimo baluardo internazionale dell’imperialismo, la sua eliminazione o almeno il suo indebolimento è una questione che riguarda direttamente tutti i popoli del mondo. A questa impresa noi e i comunisti degli altri paesi imperialisti contribuiamo principalmente aprendo la via alla rivoluzione socialista nel nostro paese. Ma come potranno orientare in questo senso la loro azione i comunisti che non vedono la contraddizione che oppone i gruppi imperialisti in primo luogo alle masse popolari del loro paese? Solo se si rendono conto che i gruppi imperialisti stanno comprimendo da ogni parte la vita delle masse popolari dei paesi imperialisti e che stanno limitando o eliminando le conquiste che queste avevano strappato nel passato nell’ambito del movimento comunista, i comunisti sono in grado di denunciare quell’attività degli imperialisti e di promuovere, organizzare e dirigere la resistenza delle masse popolari al procedere della crisi. Quelli che degli imperialisti vedono solo il male che fanno ai popoli oppressi, alle minoranze nazionali, agli immigrati e al “movimento”, non vanno oltre le manifestazioni di solidarietà. Utili ma altra cosa dal lavoro multiforme e di lungo respiro che oggi i comunisti devono fare.

 

4. Infine, a titolo di curiosità, in questa rassegna delle arretratezze, figura la tesi del CIP di Sesto S. Giovanni (MI). Nel suo opuscolo Stelle Strisce (pag. 1) sostiene addirittura che “la storia ha ampiamente dimostrato come le religioni monoteiste siano state la causa delle più grandi tragedie per l’umanità, generando violenze, genocidi e sottomissioni”. Cioè le religioni sono state la forza motrice, la causa delle attività pratiche delle classi dominanti o delle masse (alla faccia del materialismo storico!) e “viva il politeismo”?

In conclusione, se consideriamo le motivazioni con cui varie FSRS argomentano la loro opposizione all’aggressione all’Afghanistan, abbiamo la conferma della mancanza di quel fattore, indispensabile per lo sviluppo del movimento rivoluzionario, che è la teoria rivoluzionaria. Ciò fa sì che la mobilitazione contro la guerra indebolisca anziché rafforzare il complesso del lavoro rivoluzionario e indebolisce in definitiva anche la mobilitazione contro la guerra, in cui il governo Berlusconi sta implicandosi ogni giorno di più senza risparmio di mezzi e di denaro pubblico. Negli scritti di molte FSRS troviamo che il cibo (della denuncia dell’aggressione) è ampiamente condito col veleno (di argomentazioni inconsistenti attinte ai luoghi comuni e correnti elaborati e diffusi dalla borghesia imperialista). La rassegna di tanto squallore in tema di teoria rivoluzionaria conferma la necessità della trasformazione delle FSRS e in particolare di un’ampia e accanita battaglia per diffondere e far prevalere la teoria rivoluzionaria. Per promuovere, dirigere e portare alla vittoria un movimento rivoluzionario occorre un lavoro di largo respiro, multiforme, flessibile che può compiere solo un partito guidato da una concezione rivoluzionaria elaborata dall’esperienza del presente alla luce del patrimonio teorico e dell’esperienza del movimento comunista.

Alcuni commentatori sostengono che ciò che è avvenuto negli USA in settembre è un “colpo di Stato camuffato”. Che  esso mira a sottomettere le masse popolari americane alla cupola dei gruppi imperialisti USA a sostegno delle imprese brigantesche con cui essi devono difendere il loro diritto allo sfruttamento dagli effetti della crisi economica negli stessi USA, dall’azione invadente degli altri gruppi imperialisti e dalla ribellione dei popoli oppressi. I rapporti politici tra i gruppi imperialisti americani sono particolarmente opachi e noi non li conosciamo a sufficienza per affermare con certezza che vi è stato proprio un colpo di Stato. Ma in ogni caso questa tesi contiene mille volte più verità e caratterizza l’effettiva situazione interna americana e la situazione mondiale mille volte meglio di tutte le infinite frasi sull’aggressività e il fanatismo dei musulmani e dei seguaci delle religioni monoteiste in generale, sullo scontro di civiltà, sulle motivazioni particolari di questa o quella guerra e le altre mille ideuzze sparse a piene mani in questi mesi. E proprio perché caratterizza meglio l’effettiva situazione, essa spiega meglio gli avvenimenti di questi mesi e fa risaltare con maggiore chiarezza il carattere rivoluzionario della situazione in cui viviamo e i compiti che spettano ai comunisti.

 

Marco Martinengo

 

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