L’archiviazione dell’inchiesta 19 ottobre:
una vittoria per tutto il movimento comunista italiano

Rapporti Sociali n. 29 - marzo 2002 (versione Open Office / versione MSWord)

 

Il 4 settembre del 2001 è stata archiviata dal GIP Maria Teresa Covatta del Tribunale di Roma l’inchiesta 19 ottobre. La richiesta di archiviazione, che risale al mese di giugno, è stata motivata dai Procuratori della Repubblica De Siervo, Ionta, Salvi e Saviotti nel seguente modo:

“... Si chiede che sia decretato non doversi promuovere l’azione penale nei confronti di tutti gli indagati. Gli elementi sin qui raccolti non consentono di adire utilmente il giudice del dibattimento. Da un lato sono emersi elementi indicativi della esistenza di un dibattito - solo in parte pubblico - finalizzato alla costruzione di un movimento organizzato, che ha tra i suoi obiettivi il sovvertimento violento dell’ordine costituzionale. Tali elementi non consentono però di ritenere che da tale fase di discussione si sia giunti ad una fase operativa, penalmente rilevante.

Dall’altro vi sono elementi di sospetto gravanti su alcuni dirigenti dei CARC, tra cui Maj Giuseppe, soprattutto a causa della scelta per una militanza clandestina. Tale elemento non è però di per sé sufficiente a far ritenere integrato il delitto di associazione sovversiva.

L’eventuale sopravvenienza di nuovi elementi o fonti di prova potrà consentire la riapertura delle investigazioni”.

L’inchiesta 19 ottobre è stata una delle operazioni di polizia più vaste degli ultimi anni: è durata due anni; ha coinvolto una novantina tra compagni, familiari e collaboratori dei CARC e membri e simpatizzanti di altri organismi; si è tradotta in perquisizioni, sequestri di documenti, computer e agende, interrogatori, intimidazioni, minacce, ripetute campagne stampa diffamatorie, pedinamenti e intercettazioni telefoniche e ambientali.

Ora è stata archiviata. Le ragioni del fallimento di questa operazione, preparata e avviata sotto il governo di centro-sinistra con una vasta mobilitazione di forze di polizia e carabinieri in tutta Italia, schiamazzata attraverso i mezzi d’informazione borghesi, stanno nel fatto che non ha raggiunto l’obiettivo che si proponeva: ostacolare e impedire lo sviluppo dell’attività per la ricostruzione di un vero partito comunista nel nostro paese e, in particolare, isolare la Commissione Preparatoria del congresso di fondazione del (nuovo)Partito Comunista italiano (CP).

 

 Gli apparati della controrivoluzione preventiva hanno attaccato i CARC, allo scopo di spaventarli, di farli sbandare, di farli desistere dal cammino intrapreso, di farli retrocedere dal sostegno e dall’interesse espresso per l’attività della CP. La minaccia della galera, a mo’ di spada di Damocle sulla testa dei compagni inquisiti, era agitata non solo dalla stampa borghese, ma anche dai politici e nelle sedi istituzionali. In sede di Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo, il Senatore Pellegrino (DS), allora presidente della Commissione, e il prefetto Ansoino Andreassi, Direttore generale della Polizia di prevenzione del dipartimento della pubblica sicurezza,(1) nel tentativo di confondere l’attività politica dei CARC e della CP con l’azione BR, con l’omicidio D’Antona, ipotizzavano mandati di cattura verso i CARC, non già per il “reato fine” (ossia per l’uccisione di D’Antona di cui non avevano le prove), ma per il “reato mezzo” rappresentato da una ipotetica associazione sovversiva. Cioè non avendo prove in merito all’attentato  D’Antona, il Senatore Pellegrino suggeriva e sollecitava gli inquirenti (giudici e polizia) ad arrestare i membri dei CARC poiché dai loro documenti “in se stessi - vi era - la prova dell’esistenza di una associazione sovversiva, se non di una banda armata...”. Egli aggiungeva “indagando sul reato mezzo sarebbero scaturiti elementi che avrebbero potuto intercettare quegli indizi molto tenui, su cui si lavora relativamente all’omicidio D’Antona...”.

 

1. Andreassi è stato uno dei principali artefici (era il “coordinatore sul terreno delle operazioni di polizia”) del “massacro di Genova”, rimosso dall’incarico a luglio, a settembre è stato promosso a dirigente dei servizi segreti.

 

 

Nell’inchiesta hanno coinvolto collaboratori, familiari e simpatizzanti dei CARC, allo scopo di fare terra bruciata intorno a loro, di metterli in difficoltà, di intimidire quanti, in qualche modo, avevano dimostrato interesse al lavoro per la ricostruzione del partito comunista. In questi anni hanno alimentato con tutti i mezzi la confusione tra organizzazioni diverse, tra linee, programmi e obiettivi diversi, hanno attaccato altre FSRS, allo scopo di dividere il fronte delle FSRS più coscienti della necessità del partito comunista, di tracciare un solco tra le FSRS legali e quelle clandestine, imponendo con chi si può e con chi non si può avere rapporti, confronto e dibattito: “divide et impera”, i borghesi lo sanno bene. Hanno orchestrato campagne stampa contro i CARC, presentandoli come un’organizzazione “terroristica” che si infiltra nei movimenti di lotta per rompere la pace sociale, allo scopo di allontanare dal movimento di lotta della classe operaia e del proletariato l’appello alla ricostruzione del partito comunista e la bandiera della necessità del socialismo di cui i CARC sono portatori; hanno presentato il compagno Giuseppe Maj, ex segretario nazionale dei CARC e ora membro della CP, a scelta come pedina di qualche servizio segreto dell’Est o pupillo di Milosevic, allo scopo di insinuare ombre e dubbi sulla sua figura di militante comunista e quindi screditare agli occhi delle masse sia la CP sia i CARC.

Non avendo raggiunto l’obiettivo, la magistratura ha dovuto chiudere l’inchiesta: l’archiviazione rappresenta un fallimento per la borghesia imperialista, il suo Stato e il suo apparato di controrivoluzione preventiva e una vittoria per il movimento comunista e, in generale, per il movimento popolare di resistenza del nostro paese. Siamo convinti che sia utile comprendere a fondo i motivi di questo fallimento della borghesia, le ragioni della nostra vittoria, perché sono un punto di forza per noi, per quanti nel nostro paese lavorano alla ricostruzione del partito comunista, per tutte le FSRS e i lavoratori avanzati.

L’archiviazione non è stata un fatto casuale, tutt’altro. Essa è stata determinata dalla resistenza opposta da parte degli inquisiti e in primo luogo dell’organizzazione dei CARC. Dopo le perquisizioni del 19 ottobre, con i comunicati e le conferenze stampa realizzate in più occasioni, le assemblee nazionali e locali, le riunioni pubbliche a più riprese, i CARC hanno denunciato il reale obiettivo politico e i metodi dell’operazione repressiva sia rispetto al tentativo della borghesia di farla passare come un’operazione contro il crimine e contro il “terrorismo” sia rispetto a quanti, nel nostro campo, sottacevano il problema centrale dell’attacco (la ricostruzione del partito comunista nel nostro paese), oppure insinuavano la tesi che i CARC se l’erano cercata, che la colpa era della CP e della scelta della clandestinità, che facendo attività politica “alla luce del sole” non si incappa in simili attenzioni poliziesche.

È su questa base che abbiamo promosso la solidarietà di lavoratori avanzati, avanguardie dei movimenti di lotta e altri organismi politici e di massa. Sarebbe un imbroglio dire che abbiamo raccolto la solidarietà di grandi masse, ma la solidarietà che abbiamo ricevuto, soprattutto da parte dei lavoratori, è stata significativa, perché ha rafforzato e allargato le fila di quanti lavorano alla ricostruzione del partito comunista, visto che l’abbiamo promossa non in quanto “poveri perseguitati”, ma in quanto comunisti colpiti perché lavorano alla ricostruzione di un vero partito comunista nel nostro paese.

Per questo abbiamo preferito, per chiarezza politica, lanciare la proposta della costituzione di “Comitati 19 ottobre” più che aderire al Comitato Nazionale di Difesa Politico e Legale il quale propugnava una linea di difesa non chiara rispetto  all’attacco sferrato dalla borghesia;(2) i “Comitati 19 ottobre”, invece, si proponevano l’obiettivo di raccogliere, a vari livelli, tutte le forze possibili, coinvolte direttamente o indirettamente in questa inchiesta, per orientarle in funzione del rafforzamento della politica rivoluzionaria, che in questa fase storica si sintetizza nel progetto di ricostruzione del partito e della costituzione del fronte delle FSRS d’accordo con esso e nel creare il più vasto fronte comune contro gli attacchi della borghesia.

 

2. La lettura distorta dell’operazione repressiva ha sicuramente contribuito a far naufragare nel giro di pochi mesi l’esperienza del Comitato Nazionale di Difesa Politico e Legale.

 

La chiarezza rispetto agli obiettivi e ai metodi dell’operazione poliziesca ci hanno permesso di adottare, come linea comune, la formula di avvalersi della facoltà di non rispondere ma di conoscere le accuse che venivano mosse, allorquando gli inquisiti sono stati convocati dai giudici per essere sottoposti ad interrogatorio. Perché con le perquisizioni e gli interrogatori i giudici non cercano tanto prove di reato, ma adesioni e collaborazioni alla lotta della borghesia contro la ricostruzione del partito comunista. Affermare che l’attuale regime borghese è un regime di controrivoluzione preventiva resta una tesi campata in aria o buona solo per presentarsi come “rivoluzionari” se poi non guida la nostra azione, anche in questi frangenti, orientando le scelte relative ai modi con cui si affronta realmente la controrivoluzione all’opera.

All’attacco repressivo abbiamo risposto anche affermando la linea di difendere, praticandoli, gli spazi di agibilità politica conquistati dalla classe operaia con la vittoria della Resistenza sul nazifascismo. Cosa significa questa linea? Significa che siamo in un regime di controrivoluzione preventiva, in cui, però, esistono dei diritti e delle libertà che la classe operaia e le masse popolari hanno conquistato e che la borghesia non ha ancora eliminato del tutto. È grazie ad esse che possiamo pubblicare giornali, libri e opuscoli, diffondere volantini, scioperare, manifestare, fare picchetti, ecc., cioè fare attività politica e sindacale comunista legalmente. Questi diritti e queste libertà vengono limitate e attaccate dalla borghesia con sempre maggiore accanimento (vedasi ad esempio l’attacco al diritto di sciopero o all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori) ed è interesse di tutti difenderli. Come? Prima di tutto usandoli, rifiutandosi di cadere nella trappola della borghesia per cui se noi accettiamo di autoregolamentarci, di limitarci, di autocensurarci, di “non esagerare”, allora quei diritti e quelle libertà non verranno attaccate, allora non saremo oggetto di attenzione delle forze della repressione. Ma è chiaro che se accettiamo di fare ciò che la borghesia ci impone di fare con le intimidazioni e le minacce (e non ancora con le sue leggi), di passo in passo dovremo arrivare ad accettare anche di scioglierci come organizzazione, di smettere di essere comunisti, di lottare per il socialismo e lasceremo campo aperto alla borghesia per fare ciò che vuole. Anche i lavoratori per difendersi dagli attacchi della borghesia, per difendere posto di lavoro, salario, diritti sindacali, ecc. devono superare i limiti posti dalla borghesia: guardate, ultimi in ordine di tempo, i lavoratori delle pulizie FS, che hanno fatto gridare Maroni e soci alle forme di lotta illegali! Che fiducia possono avere in noi, che aspiriamo a guidarli alla rivoluzione socialista, se non sappiamo neanche fare ciò che loro fanno, se arretriamo ogni volta che la borghesia abbaia!

I giudici hanno dovuto arrivare a riconoscere che la scelta della militanza clandestina “non è però di per sé sufficiente a far ritenere integrato il delitto di associazione sovversiva”: questo dovrebbe far riflettere chi non ha osato esprimere solidarietà al compagno Maj, chi non ha osato parlare del lavoro della CP per la ricostruzione del partito comunista, chi ha accettato di prendere le distanze dai CARC perché sostenendo la CP “se la sono cercata”, chi non ha osato neppure esporre e vendere la rivista della CP, La Voce o altre pubblicazioni di organismi perché clandestini.

L’autocensura, il non dire come stanno veramente le cose per non suscitare ulteriore irritazione del nemico di classe, il non voler denunciare il vero obiettivo politico dell’inchiesta 19 ottobre, ritenendo che dichiarare apertamente lo scopo  dell’inchiesta favorisse il progetto dei CARC sono tutti atteggiamenti che favoriscono gli scopi della borghesia, creano le condizioni per fare emergere la tendenza della dissociazione, dell’abbandono della politica di classe, del “chi me lo fa fare”.

 

La linea di attacco contro l’inchiesta 19 ottobre e i suoi promotori è proseguita da parte dei CARC anche con il lancio del Fronte Popolare per la ricostruzione del partito comunista (FP-rpc) che da gennaio a maggio 2001 ha partecipato alla campagna per le elezioni politiche. Come abbiamo più volte affermato, la proposta era stata lanciata dalla CP a tutte le FSRS del nostro paese e i CARC hanno deciso di raccoglierla e farla propria, perché anziché rappresentare, come alcune FSRS hanno voluto intendere, una scelta a favore del parlamentarismo o di sostegno alle istituzioni borghesi, era un modo per usare la mobilitazione suscitata dalla borghesia intorno alle elezioni al fine di rafforzare il legame con le masse popolari e i suoi elementi avanzati per la ricostruzione del partito comunista, al fine di raggiungere e unire quanto esiste tra le masse popolari di favorevole al comunismo e disponibile a lavorare per la ricostruzione del partito comunista.

È stata una scelta che ha costretto il nemico di classe a meditare sui risvolti negativi di una eventuale stretta repressiva contro i membri della nostra organizzazione.

 

Detto questo, siamo altrettanto convinti che l’archiviazione dell’inchiesta 19 ottobre non significa la fine dell’attacco e della persecuzione contro i comunisti e le avanguardie del movimento di resistenza operaia e popolare, altre inchieste sono in corso e, grazie alle norme approvate dal governo di centro-sinistra, con l’appoggio del centro destra e l’ipocrita astensione del PRC, oggi si può indagare in “segreto” per due anni senza dare nessuna comunicazione agli indagati: il giudice Ionta, infatti, ha già annunciato all’avvocato di alcuni compagni dei CARC che è stata aperta una nuova inchiesta contro 15 compagni, di cui per ora non sappiamo di più.

Come si evince nella conclusione della richiesta di archiviazione, la controrivoluzione borghese continuerà la sua opera di intimidazione, osservando, spiando, schedando, per cercare “nuovi elementi o fonti di prova”, magari costruirli come spesso usa fare, per ritornare alla carica e colpire con nuove operazioni, nel tentativo di ostacolare il processo di ricostruzione del partito comunista. Per fare questo si è dotata di strumenti vecchi e nuovi. Già sotto il governo Amato, nell’aprile del 2000, è stata fatta un’apposita legge per prolungare da 18 a 24 mesi il tempo massimo delle indagini relative al reato di associazione sovversiva. Il governo della banda Berlusconi ha accresciuto il potere e l’arbitrio delle forze di polizia e, con la scusa della “lotta al terrorismo internazionale”, sta introducendo anche legalmente (la riforma Frattini dei servizi segreti) la licenza per gli agenti dei servizi di uccidere (quella stessa licenza che Scajola aveva verbalmente dato agli sbirri a Genova e che è costata la vita al compagno Carlo Giuliani), la licenza di compiere furti, provocazioni, aggressioni con la “copertura della legge”.

Però l’inchiesta 19 ottobre per noi è stato un vero e proprio banco di prova, ne siamo usciti più forti, più convinti, più coscienti e decisi a proseguire nel cammino per il raggiungimento dell’obiettivo per cui siamo stati attaccati, la ricostruzione di un vero partito comunista. Su questa base affronteremo le prossime battaglie.

 

Viva la ricostruzione del nuovo partito comunista italiano!

Sviluppiamo il fronte comune dei comunisti e dei lavoratori contro il regime della controrivoluzione preventiva!

 

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