La recente costituzione del FP-rpc di Catania

Rapporti Sociali n. 29 - marzo 2002 (versione Open Office / versione MSWord)

 

Grazie all’iniziativa di alcuni compagni, che sono intervenuti nelle fasi finali della diaspora del Circolo Lenin di Catania con lo scopo di volgerle in positivo, si è costituito recentemente a Catania il Fronte Popolare per la ricostruzione del partito comunista.

Il Circolo Lenin, già facente parte di Rifondazione comunista, si era reso autonomo da questa organizzazione nei primi mesi del 1995. A questa scelta il Circolo era stato portato dall’evidente incapacità di Rifondazione, data la sua ideologia come pure la sua struttura di classe, di affrontare il compito di ridare al proletariato e alle masse popolari quanto promesso e cioè il Partito Comunista. E questa incapacità era ancora più riprovevole in un momento in cui si andava manifestando con evidenza che il mondo della globalizzazione imperialista, già allora abbastanza bene delineato, non consentisse alcuno spazio di sopravvivenza ai popoli del mondo e quindi riponesse all’ordine del giorno la Rivoluzione guidata da Partiti Comunisti all’altezza dei nuovi compiti.

All’atto della separazione da Rifondazione il Circolo si era dato una struttura propria e uno Statuto, nel quale aveva scritto che suo scopo era quello di contribuire alla ricostituzione di un partito comunista autenticamente rivoluzionario e che all’atto della fondazione di questo il Circolo, confluendovi, si sarebbe sciolto quale struttura autonoma. Dopo un inizio promettente, tuttavia la pratica del Circolo si era orientata sempre più verso una condizione di attendismo, cioè uno “stare alla finestra” ad aspettare chissà quali eventi, senza mai tentare un vero e proprio raccordo con gli elementi avanzati della classe operaia e delle masse popolari. Nonostante questi limiti il Circolo pubblicava con cadenza quadrimestrale un bollettino politico denominato Il Circolo Lenin informa ... che si faceva notare per la sua vivacità polemica in particolare a proposito del pasticcio revisionista di Rifondazione, e per certi spunti di analisi teorico-ideologica di un certo interesse. Il Circolo inoltre intrecciava rapporti con altre forze organizzate che si richiamavano al marxismo-leninismo, con le quali avviava sovente iniziative comuni e incontri di discussione. Particolarmente privilegiato risultava essere il rapporto con i CARC, con i quali il Circolo mostrava di avere molti punti in comune (quanto meno sul piano dei riferimenti teorici).

Ma a fare da contraltare a questi aspetti positivi erano certi vizi di fondo inerenti la pratica e lo stile di lavoro, estranei al metodo comunista, che poi col tempo, ingigantendosi a dismisura, hanno sempre più minato il corpo della struttura, finendo col condurla alla catastrofe. Questi vizi, contro cui diversi compagni hanno lottato ma che si sono alla lunga rivelati non sradicabili, nascevano dalla pratica dello “pseudo-democraticismo esasperato”. Lo pseudo-democraticismo esasperato non è uno stile introdotto dal Circolo Lenin; esso al contrario da sempre è stato tipico di molte strutture di tipo chiesastico-settario, nelle quali ci siano dei leaders che intendono dominare in eterno la struttura stessa, senza che mai la contestazione della base possa tradursi in rovesciamento della dirigenza. Lo pseudo-democraticismo, esatto contrario del centralismo democratico, consiste semplicemente nell’affidare tutte le decisioni (si badi bene tutte le decisioni: non solo quelle politiche, ma anche quelle dei dettagli esecutivi) all’Assemblea generale degli iscritti, convocata ad ogni piè sospinto. Apparentemente in questo modo nella struttura regna la democrazia, ma in realtà le Assemblee, non essendo in grado - per motivi tecnici - di entrare nel merito delle singole questioni si limitano a ratificare quanto deciso in modo riservato dalla dirigenza. I particolari tecnici di programmi, progetti e iniziative vengono elaborati in anticipo e in separata sede da una forza-lavoro bruta (una equipe di dattilografi, specialisti di computer, grafici, conoscitori di problemi tecnico-politico-sindacali) operante in stretto coordinamento con la dirigenza, fedele a questa e non certamente all’Assemblea, considerata dagli elementi di tale equipe priva di spina dorsale politica e incapace per “ignoranza” di approfondire i problemi. Dal prevalere sistematico delle proposte del “capo”, esce esaltata  la sua figura che finisce con l’imporsi come figura carismatica. Il militante allora non ha più motivo di rispondere all’organizzazione per quel che riguarda il proprio operato, gli basta e gli avanza di rispondere al “capo”; questi a sua volta abolisce regole oggettive scritte, sostituendole con i rapporti di fedeltà a se stesso e limita a un grado estremo i rapporti con l’esterno in quanto - a suo dire - potrebbero sgretolare la compattezza dell’organizzazione. Il ciclo così si chiude con la trasformazione dell’organizzazione in setta.

In tale struttura diviene impossibile qualsiasi processo di maturazione della base che abbia come sbocco la sua trasformazione in organismo comunista cosciente. Questa base però ha sentore di “essere usata” senza godere in cambio di alcun ruolo se non quello di “approvare”; alla fine, delusa, alla spicciolata abbandona l’organizzazione, non senza inveire aspramente contro la sua dirigenza.

Naturalmente nulla viene tentato per recuperare gli elementi dissenzienti e “in fuga”, giacché in costoro si è rotto l’incantesimo della cieca fiducia nel capo, e quindi - col recupero - potrebbe pericolosamente contagiarsi ad altri il virus della conquistata autonomia di pensiero. Essi vengono semplicemente additati come revisionisti o agenti della borghesia (si arriva al ridicolo di indicarli come ... “antipartito”) e, sulla base di una sorta di teoria lombrosiana (1) dell’anticomunismo congenito, interdetti a vita da qualsiasi tentativo di riavvicinamento alla organizzazione. Ovviamente la dirigenza rifiuta categoricamente l’idea di essere essa stessa la causa di tali periodiche crisi: circonfusa di un’aureola di infallibilità spiega a chi chiede una profonda autocritica in relazione all’incapacità di arrestare la diaspora che essa non deve fare alcuna autocritica oggi, come non ne ha mai fatte in passato, in quanto ... non ha mai sbagliato (!).

 

1. Cesare Lombroso (1835-1909) fu antropologo reazionario. Egli si distinse come autore di un’antiscientifica teoria del carattere congenito della criminalità. Secondo Lombroso le tendenze criminali sono sistematicamente correlate alla morfologia cranica e facciale degli individui, onde dallo studio delle forme craniche è possibile inferire crimini potenziali (non ancora commessi). Si tratta di un esempio estremo del pensiero materialistico-volgare.

 

Ciò è quanto accaduto al Circolo Lenin, nel quale la diaspora è stato un fatto incessante fin dalla sua costituzione. Dei 60 elementi che in origine ne formavano la base negli ultimi tempi ne erano rimasti meno di una decina. In queste condizioni è chiaro che un problema assillante del Circolo sia stato da sempre quello di rimpiazzare le perdite attraverso nuove acquisizioni, operazione questa che però non è mai riuscita a colmare i vuoti precedenti.

Il fatto traumatico che tuttavia ha fatto risvegliare molti compagni dal quieto vivere precedente (carico di negatività ma pur sempre quieto) è stato lo scatenamento della repressione del maggio 1999 e la successiva recrudescenza del 19 ottobre, e l’orientamento della borghesia italiana verso un sempre maggiore autoritarismo nella gestione dello stato e della vita pubblica.

È sotto lo stimolo di questi fatti che la struttura pseudo-democratica del Circolo ha generato quelle gravi implicazioni che hanno finito per condurre alla completa cancellazione degli elementi di positività che pur rimanevano al suo interno.

In effetti una struttura di tipo settario e “leaderistico” è in certo senso una “proprietà personale” del leader per cui la struttura non solo segue le sorti materiali e fisiche del dirigente ma ne segue anche gli umori, i capricci, le paure, le esigenze personali. Dal momento che organizzazione e leader si identificano è chiaro che una disgrazia che si abbatte su questo si abbatte anche sull’organizzazione e viceversa. La repressione semplicemente minacciata contro il leader spazza via in un solo colpo l’intera organizzazione, in quanto il leader è tutto e l’organizzazione è nulla. Ed è così che si spiega come mai all’ondata di repressione del 19 ottobre il Circolo Lenin abbia risposto con la strategia dello ... “scomparire” dalla scena: un messaggio forte mandato alle forze repressive della borghesia per dire “noi non esistiamo,  e comunque nel caso si provasse che esistiamo si sappia che non siamo rivoluzionari, che siamo innocui”.

La prima decisione del Circolo o meglio della sua “leadership” è stata quella di troncare immediatamente ogni rapporto con i CARC, organismi con cui era troppo pericoloso accompagnarsi, in quanto oggetto principale della campagna repressiva. La seconda decisione è stata quella di sopprimere il giornalino Il Circolo Lenin informa ... quale chiaro messaggio che il Circolo in sede locale non avrebbe fatto più neppure un minimo di politica e perciò non avrebbe infastidito. Si sarebbe limitato a parlare di cose dell’altro mondo (importanti, ma non coinvolgenti l’Italia) nella nuova rivistina Teoria & Prassi. La terza e ultima decisione è stata quella di legarsi a gruppuscoli, di tipo chiesastico-settario, notoriamente innocui, come quelli che rifiutano il maoismo e si rifanno a Enver Hoxha - aprendosi perfino ai bordighisti e accogliendo uno di questi nel Consiglio Direttivo. Ecco la ammirevole funzione di avanguardia, la splendida funzione stimolante ed educatrice nei confronti delle masse svolta da questa organizzazione!

Queste scelte, chiaramente opportuniste e utili solo al quieto vivere dei leaders ma consententi a questi di fregiarsi ancora del titolo di “comunisti”, hanno fatto comprendere a pressoché la totalità della base del Circolo come questo avesse ormai imboccato il vicolo cieco della mancanza assoluta di prospettiva, dal quale avrebbe potuto uscire solo attraverso l’avvicinamento al processo avviato dalla CP (ipotesi comunque già da tempo scartata dalla dirigenza) oppure attraverso il passaggio al nemico di classe, più o meno occhieggiando con la mobilitazione reazionaria delle masse.

È in questa situazione che i compagni più avveduti e onesti della base del Circolo Lenin hanno deciso di comune accordo di costituirsi come Comitato locale del FP-rpc, rendendosi disponibili a dare il loro modesto contributo all’attuale processo mirante a raccogliere i comunisti nel Congresso di fondazione del (n)PCI.

Abbiamo voluto fare questa breve cronistoria delle vicende non per scagionarci da colpe che in parte ricadono anche su di noi, o per indicare il Circolo Lenin quale causa satanica dei mali del mondo (per ogni comunista le insufficienze si superano prima di tutto attraverso l’analisi spietata ed autocritica dei propri errori e solo secondariamente è consentito di spiegare i fallimenti con la contrarietà delle condizioni oggettive, o con l’azione del nemico, con fattori cioè indipendenti dal proprio operato). Lo scopo che abbiamo voluto perseguire nel presente scritto è di dare una illustrazione, più o meno ricca di insegnamento, di che cosa sia il gruppismo settario e quali guasti può apportare, al fine di consentire a chi lo voglia di utilizzare la nostra esperienza quale fonte di insegnamento.

Il Fronte si è costituito da poco a Catania e, per le insufficienze e i limiti oggettivi delle persone che lo costituiscono, ha finora inciso poco nella realtà. Tuttavia quel poco fatto è già sufficiente a mostrare che la formula del Fronte ha un potenziale di attrattiva enorme. Risulta che chiunque venga contattato, purché in buona fede, non riesce a resistere alle proposte di unità e di lavoro fatte sotto l’egida del Fronte. Risulta altresì che i contatti con elementi ancora in qualche modo legati al Circolo Lenin generalmente si concludono con successo e nella stragrande maggioranza dei casi si stabilisce un duraturo rapporto di collaborazione. Unici casi in cui si manifestano resistenze alle proposte sono quelli basati su pregiudizi diffusi ad arte, e sintetizzati nella contraddittoria formula che non è opportuno colloquiare con i componenti del Fronte ed è bene evitare ogni contatto con essi in quanto sarebbero ... settari (!). Chiaramente si tratta di una tattica anti-Fronte che non può reggere a lungo!

Il Comitato del FP-rpc di Catania

 

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