PRC: rifondazione del neorevisionismo

Rapporti Sociali n. 30 - giugno 2002 (versione Open Office / versione MSWord)

 

Dal 4 al 7 aprile 2002 si è tenuto a Rimini il V° congresso nazionale del Partito della Rifondazione Comunista (PRC). Entro il congresso “si è espressa la volontà di lotta contro il governo Berlusconi che ferve tra membri, simpatizzanti e collaboratori, il legame con il movimento di resistenza alle sue misure antipopolari, l’attenzione e il riconoscimento dell’importanza del vasto movimento contro la globalizzazione e gli effetti disastrosi prodotti dall’imperialismo, la necessità di un cambiamento radicale e di costruzione di ‘un altro mondo possibile’, la percezione che il partito deve trasformarsi per rendersi adeguato a questi obiettivi”.(1)

 

1. Resistenza, n. 5, maggio 2002, p. 2.

 

Entro il congresso, una maggioranza e una minoranza si sono confrontate su temi e categorie centrali nella storia del movimento comunista e dei suoi partiti: l’imperialismo, la centralità operaia, il bilancio del movimento comunista, il centralismo democratico. Il congresso si è concluso con un’ampia vittoria delle tesi di maggioranza (87,28 % dei voti, ottenuto dopo alcune modifiche), decretando l’abbandono di categorie analitiche e strumenti organizzativi su cui si sono fondate le esperienze vittoriose dei più grandi partiti comunisti della storia.

Analizziamo l’andamento del congresso e le sue conclusioni. Intendiamo dimostrare quanto il preteso lavoro di rifondazione del partito comunista è in realtà negazione di ogni ricostruzione possibile, indicare su quali fondamenti un partito comunista vero può innalzarsi e indicare, infine, il lavoro che i CARC e il Fronte Popolare per la ricostruzione del partito comunista svolgono per stabilire tali fondamenti.

 

“La Rifondazione. È questo lo slogan del nostro congresso. È questo l’impegno per il futuro che comincia oggi. Rifondazione del partito, rifondazione del comunismo, rifondazione del nostro modo di essere nel partito e di immaginare e lottare per il cambiamento.” Inizia così, spiegando la ripetizione della parola “Rifondazione” per ben tre volte e i relativi significati, il primo articolo dei cinque inserti de “Il giornale del congresso” che Liberazione ha dedicato al V° congresso del PRC. L’articolo è firmato da Ritanna Armeni e Rina Gagliardi.(2)

 

2. Il giornale del congresso, 4 aprile 2002, pp. II - III.

 

Tutte queste rifondazioni gettano un’ombra negativa su quel grande movimento comunista che in poco più di un secolo, tramite i partiti comunisti, aveva portato alla transizione al comunismo oltre un terzo della popolazione mondiale nel corso del ventesimo secolo. Se rifondare significa rimettere tutto in discussione senza definire prima con quali strumenti si vuole procedere ad un bilancio del ‘900, di fatto, si corre il pericolo di non acquisire tutti gli elementi utili per il movimento comunista nella sua lotta per costruire la società socialista. Alcune forze soggettive della rivoluzione socialista, e tra queste anche i CARC intendono procedere nell’alveo tracciato da tutto il percorso del movimento comunista cercando di discernere il positivo dal negativo avvalendosi del marxismo-leninismo-maoismo nella lotta per il superamento del capitalismo. Questo percorso mostra in primo luogo la necessità di ricostruire un partito comunista che risponda alle esigenze di questa fase, caratterizzata dalla seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale. Nel ricostruire il partito si deve tener conto dell’esperienza del passato. Nel “rifondare” si corre il rischio di mescolare il positivo col negativo dell’esperienza passata, mettendo sullo stesso piano i tanti elementi positivi dell’esperienza del movimento comunista (le conquiste e i passi avanti del proletariato fatti negli ultimi 150 anni) con gli inevitabili elementi negativi (limiti ed errori), ritrovandosi, in definitiva, nelle stesse condizioni di partenza.

 

 Il PRC con il V° congresso vuole diventare un partito “moderno” e di “massa”. Per arrivare ad essere questo partito il documento approvato dal congresso propone i seguenti argomenti: il bilancio del movimento comunista del ‘900 e la questione di Stalin,(3) il ritorno a Marx e una pretesa svolta a sinistra,(4) l’abbandono “della nozione classica di imperialismo”,(5) l’abbandono del centralismo democratico,(6) la negazione della centralità operaia.(7) Questi sono i temi sui quali intendiamo portare alcune riflessioni per verificare se il PRC intende rimanere nel solco dell’esperienza teorica e pratica del movimento comunista, non solo con le belle intenzioni, ma anche con un’impostazione teorica e pratica coerente, con un’impostazione materialista.

 

La ricostruzione di un vero partito comunista è il compito prioritario di questa fase. Su questo si concentra lo scontro tra classe operaia e borghesia imperialista. Questo è quanto affermano i CARC e altre Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista (FSRS). Cercheremo di esaminare i temi indicati sopra alla luce di questo obiettivo.

 

3. Tesi congressuali di maggioranza: 51, 52, 53 (approvate dal Comitato Politico Nazionale) e 51 - 52 alternative. Tesi di minoranza del Comitato Politico Nazionale: 8.

 

4. Tesi congressuale di maggioranza: 52. (approvata dal Comitato Politico Nazionale) e 51 - 52 alternative.

 

5. Tesi congressuali di maggioranza: 14 (approvata dal Comitato Politico Nazionale) e 14 - 15 alternative. Tesi di minoranza del Comitato Politico Nazionale: 3.

 

6. Tesi congressuali di maggioranza 61. Tesi di minoranza del Comitato Politico Nazionale: 35 e 35 alternativa (la 35 alternativa è l’unica che difende il centralismo democratico).

 

7. Tesi congressuali di maggioranza: 38 - 39 (approvate dal Comitato Politico Nazionale) e 38 - 39 alternative. Tesi di minoranza del Comitato Politico Nazionale: 9.

 

8. Al proposito vedi in questo numero l’articolo su La critica dogmatica (a proposito di un recente articolo di ‘Scintilla’ contro il maoismo). Sull’argomento i CARC hanno pubblicato l’opuscolo Sul maoismo, terza tappa del pensiero comunista (Ed. Rapporti Sociali, Milano, 1994). Vedi, inoltre, L’ottava discriminante in La Voce del (nuovo) Partito comunista italiano, n. 9 (pp. 46 e segg.) e n. 10 (pp. 19 e segg.), e L’attività della prima Internazionale Comunista in Europa e il maoismo in La Voce del (nuovo) Partito comunista italiano n. 10 (pp. 52 e segg.). A livello internazionale è stato il Partito comunista peruviano a lanciare la tesi del maoismo quale terza tappa del pensiero comunista.

 

9. Progetto di Manifesto Programma del Nuovo Partito Comunista Italiano, ed. Rapporti Sociali, Milano, 1998, pagg. 35 - 36.

 

Bilancio del movimento comunista del ‘900

Nel documento congressuale si scrive: “Lo sviluppo e l’innovazione nell’analisi e nella teoria politica sono possibili solo attuando contemporaneamente un serio, coraggioso e anche severo bilancio della storia del movimento comunista del secolo passato e delle esperienze di costruzione di società socialiste.”

Per fare un bilancio di qualsivoglia esperienza dobbiamo prima munirci degli strumenti più idonei, più collaudati che abbiamo a disposizione. Nel documento preso in esame e nelle 63 tesi del Documento 1 non è dato capire se si è utilizzato il marxismo o il marxismo-leninismo. Di certo non si è utilizzato il marxismo-leninismo-maoismo, che è l’insieme dell’esperienza teorica e pratica costruita nei 150 anni del movimento comunista.

I CARC, insieme con altre FSRS, sostengono che il maoismo è la terza superiore tappa del pensiero comunista e sono stati portati a questa conclusione tramite il bilancio delle esperienze del movimento rivoluzionario e comunista internazionale.(8) Alla stessa conclusione sono giunti attraverso il bilancio delle esperienze della classe operaia italiana in lotta per il potere e per il comunismo nell’ambito della rivoluzione proletaria mondiale e attraverso la ricerca di una via per l’avanzamento della rivoluzione proletaria nel nostro paese. Questo bilancio è indicato nei suoi tratti essenziali nel Progetto di Manifesto Programma del Nuovo Partito Comunista Italiano.(9) Il bilancio che abbiamo tratto è positivo e non può non esserlo. Il movimento comunista si sviluppa all’interno del mondo capitalista. L’origine del  movimento è data dalle contraddizioni interne al modo di produzione capitalista. Quelle contraddizioni spingono la classe operaia a prendere coscienza di sé, a qualificarsi.(10) Le basi del socialismo si presentano nella società capitalista, ma perché il socialismo si affermi, servono soggetti che consapevolmente lavorino in quella direzione. Ha bisogno di essere diretto, difeso, sviluppato fino alla sua completa maturazione, il trapasso alla società comunista. Il movimento comunista assolve questo compito se riesce a svilupparsi sulla base “degli elementi fondativi e originali del pensiero marxiano”, come recita anche il documento approvato dal V° congresso del PRC. Se tuttavia questo significa fuggire nel passato alla ricerca di una presunta verginità perduta allora siamo di fronte ad un ennesimo spaccio di merce falsa. Il movimento comunista assolve il suo compito, nel presente, se si dota un vero partito comunista che sappia dirigere la lotta per la conquista del potere e per la costruzione della società socialista.

 

10. In questo processo di trasformazione qualitativa gioca un ruolo essenziale la riflessione intellettuale che scopre i fondamenti scientifici della teoria rivoluzionaria. Le basi di questo lavoro furono poste prima di tutto da Marx e da Engels. La trasformazione qualitativa è superamento dello stato di cose esistente e superamento della condizione da cui la cosa è stata generata.

 

Il dissolvimento dei paesi socialisti mostra che lo sviluppo verso la società comunista non è automatico. A questo proposito Mao ha mostrato che il socialismo, ossia la transizione dal capitalismo al comunismo, copre un lungo periodo storico durante il quale la lotta tra le classi e tra le due vie resta il motore principale dello sviluppo della società e durante il quale sono possibili anche arresti e passi indietro, che la transizione al comunismo procede per tappe dello scontro tra le due vie (cammino verso il comunismo o ritorno al capitalismo). Mao ha chiamato “Rivoluzione culturale proletaria” il rivolgimento che segna il passaggio da una tappa alla successiva, e ha mostrato che la crescita e il rafforzamento del partito comunista avviene attraverso la lotta tra le due linee.

Il crollo dei paesi socialisti è da imputarsi alla direzione del PCUS e degli altri partiti comunisti da parte dei revisionisti moderni,(11) cioè alla vittoria della linea di destra sulla sinistra all’interno del partito. Il PCC, a botta calda, mise in guardia più volte che il pericolo maggiore per il movimento comunista veniva proprio dal revisionismo moderno e, in effetti, la direzione del revisionista Kruscev ha portato a regredire verso il capitalismo (e a sperimentare che lo smantellamento della base socialista non è cosa facile).

 

11. Vedi Il crollo del revisionismo moderno e Per il bilancio dell’esperienza dei paesi socialisti in Rapporti Sociali n. 5/6, Ancora sul bilancio dell’esperienza dei paesi socialisti e Democrazia e socialismo in Rapporti Sociali n. 7, Il socialismo: transizione dal capitalismo al comunismo in Rapporti Sociali n. 9/10, Per un bilancio dell’esperienza di costruzione del socialismo in Rapporti Sociali n. 19, Il revisionismo moderno in Rapporti Sociali n. 23/24).

 

In conclusione, il metodo utilizzato dal PRC di fare il cosiddetto “bilancio del ‘900” non è materialista, non serve alla classe operaia e alle FSRS per trarre frutto dall’esperienza del movimento comunista, a costruire un’organizzazione capace di dirigere la lotta della classe operaia e delle masse popolari contro la borghesia imperialista. Alimenta e rafforza nel nostro campo le tesi della borghesia sui “fallimenti e disastri” del “socialismo reale”. Alimenta demoralizzazione, sfiducia nelle capacità e nella possibilità della classe operaia di conquistare il potere e di cambiare il mondo. Non aiuta, e anzi ostacola il processo di ricostruzione di un vero partito comunista.

 

La questione di Stalin

Nelle tesi congressuali si scrive: “Ma in questa storia (del movimento comunista N.d.R.), che dunque non vogliamo mettere da parte o fossilizzare, si sono manifestati errori e anche orrori - quali quelli dell’epoca staliniana -, che dobbiamo indagare per evitare che possano ripresentarsi nel presente e nel futuro”.

Dare un giudizio su Stalin sostanzialmente simile a quello dato dalla borghesia imperialista tramite i suoi ben pagati  politici, professori, sociologi, ecc. significa non riuscire a rendersi autonomi dalla cultura idealista della classe dominante e utilizzare uno strumento di analisi del tutto inadeguato.

Nel Documento 1 - Tesi 53 (Comunismo contro lo stalinismo) s’insiste: “Il progetto della rifondazione comunista implica una rottura radicale con lo stalinismo. Non soltanto come esperienza storica, ma come paradigma della rivoluzione, concezione della politica, funzione del partito”.

Stalin è stato il massimo dirigente che, senza alcun esempio concreto, materiale cui riferirsi per l’edificazione e la costruzione della società socialista, tappa fondamentale per passare dal capitalismo al comunismo, è riuscito per tutto il periodo della sua dirigenza a mantenere la dittatura del proletariato, anche e nonostante i suoi errori. Non dimentichiamo che fino al 1917 il socialismo scientifico non era stato che una teoria ed un ideale. Basterebbe questo dato per giudicare il grande dirigente con il rispetto dovuto.(12)

 

12.I comunisti e il proletariato sovietici con alla testa Stalin riuscirono a resistere alle pressioni interne ed esterne e alle aggressioni da cui erano investiti, fino a portare il movimento comunista ad un livello superiore in tutto il mondo, a permettere il trionfo della rivoluzione in Cina e lo sviluppo del movimento di liberazione nazionale in tutte le colonie. Essi costruirono un sistema industriale completo pianificato e basato sulle tecnologie più avanzate dell’epoca; introdussero la produzione collettiva in agricoltura ponendo le basi per la crescita culturale e politica; introdussero un sistema di distribuzione del prodotto basato per l’essenziale sulla quantità e qualità del lavoro prestato, introdussero forme (quanto si vuole iniziali) di potere diretto dei lavoratori; trovarono soluzioni per far vivere in qualche misura il nuovo mondo in tutte le forme della vita sociale (sistemi di istruzione generale, di partecipazione diffusa al patrimonio culturale della società, di uso diffuso delle cure mediche, ecc.” (Rapporti Sociali n. 5/6, p. 12).

 

Citiamo ciò che di Stalin dice Mao Tse-tung: “Nella sua giovinezza, egli ha lottato contro lo zarismo e ha propagandato il marxismo-leninismo; entrato nell’organo centrale dirigente del partito, ha lottato per preparare la rivoluzione del 1917; dopo la Rivoluzione d’Ottobre ha lottato per difenderne i frutti; dopo la morte di Lenin, durante circa trent’anni, ha lottato per l’edificazione del socialismo, per la difesa della pace socialista, per lo sviluppo del movimento comunista mondiale. Insomma egli è sempre stato all’avanguardia del movimento storico, ha diretto la lotta, è stato l’intransigente nemico dell’imperialismo. La tragedia di Stalin fu di aver creduto, nel momento stesso in cui commetteva i suoi errori, che i suoi atti fossero necessari per difendere gli interessi dei lavoratori contro gli attacchi del nemico. Gli errori di Stalin recarono all’Unione Sovietica un danno che sarebbe potuto essere evitato. Nondimeno l’Unione Sovietica fece immensi progressi durante il periodo in cui Stalin fu alla sua testa. Questo è incontestabile e testimonia non soltanto la forza del sistema socialista, ma anche il fatto che Stalin era, nonostante tutto, un comunista incrollabile. Perciò, nel riassumere l’ideologia e l’attività di Stalin, dobbiamo considerare sia gli aspetti positivi sia quelli negativi, sia i successi sia gli errori. Se si esamina la questione tenendo conto di ambedue gli aspetti, anche se qualcuno vuole assolutamente parlare di ‘stalinismo’, si può dire solo questo: ‘stalinismo’ è innanzi tutto comunismo, marxismo-leninismo. Questo è l’aspetto principale. In secondo luogo restano alcuni errori estremamente seri in contrasto con il marxismo-leninismo e da correggere a fondo. Se è necessario in certi casi sottolineare questi errori per correggerli, è altrettanto necessario ristabilire la loro vera entità per darne una valutazione giusta e non permettere un’interpretazione errata. A nostro avviso gli errori di Stalin stanno in secondo piano rispetto ai suoi successi”.(13)

 

13. Mao Tse-tung, Ancora a proposito dell’esperienza storica della dittatura del proletariato, in Opere, ed. Rapporti Sociali, Milano, 1991, vol. 13, pag. 257.

 

Anche per noi gli errori di Stalin stanno in secondo piano rispetto ai successi e ai passi avanti fatti dal movimento comunista sotto la sua direzione del PCUS. I comunisti non devono farsi confondere le idee dalla borghesia che, aiutata dai revisionisti moderni, vuole far passare gli errori di Stalin come “orrori” del sistema socialista, come dimostrazione del carattere fallimentare della società socialista e della bontà della società capitalista. Inoltre, siccome la borghesia  vede il mondo a rovescio e lo propaganda come tale, ciò che essa indica come “errore” spesso è ciò che noi indichiamo come giusto. Non dimentichiamo che il massimo “errore” per la borghesia è l’esercizio della dittatura della classe operaia. In definitiva i comunisti inaccettabili sono proprio quelli che hanno sconfitto e schiacciato la borghesia (mentre accettabili sono gli sconfitti, meglio se martiri).

Infine, anche in un sistema giusto ci si pone il problema di attivare una politica giusta, metodi e stile di lavoro giusti e dunque anche in un sistema giusto gli errori non sono del tutto evitabili. In questa luce e con questo spirito si fanno i conti nel campo comunista.

Anche per questa via il PRC fa proprie e alimenta nel nostro campo le tesi della borghesia su “fallimenti e disastri” prodotti dallo “stalinismo” nei paesi socialisti e nei partiti comunisti. Sono tesi false, che giustificano la linea di subordinazione alla borghesia dei partiti comunisti diretti dai revisionisti moderni, che giustificano la tesi secondo cui oggi la rivoluzione socialista è impossibile. Anche queste tesi alimentano demoralizzazione, sfiducia nelle FSRS, nei lavoratori avanzati e nelle masse popolari e ostacolano il processo per la costruzione di un vero partito comunista.

 

Il ritorno a Marx

“Questa ricerca, sulla base di un ritorno agli elementi fondativi e originali del pensiero marxiano, dovrà continuare e approfondirsi ed il nostro congresso ci ha dato un contributo determinante in questa direzione”. Questo è quanto leggiamo nei documenti congressuali.

Il PRC, dunque, tornerebbe di colpo a Marx (all’inizio del processo teorico e pratico del movimento comunista) disconoscendo, in buona sostanza, l’esperienza del movimento comunista di tutto il secolo scorso. Un secolo dunque è trascorso invano, senza che si sia svolto alcun lavoro né dal punto di vista teorico né da quello pratico? Chi ci ha preceduto non ha raggiunto alcun successo? D’altra parte il PRC non ci dà alcuna indicazione di come intende rifondare e attualizzare il pensiero “marxiano”. Da più di cento anni revisionisti vecchi e nuovi tentano di rifondare il marxismo e tutti sono approdati armi e bagagli al servizio della borghesia.

Compagni del PRC, come potete sostenere cose del genere? Voi cancellate tutta la lotta e l’esperienza che il movimento comunista tramite i suoi partiti ha potuto accumulare da Marx fino ai giorni nostri. Le direzioni di marcia del PRC e dei CARC sono diametralmente opposte. Voi dite di tornare a Marx. I CARC con il maoismo valorizzano tutta l’esperienza del ‘900, rivisitandolo con il miglior strumento del quale il movimento comunista può attualmente disporre e perciò si pongono nel solco tracciato dal movimento comunista per continuare la lotta contro il capitalismo, ma in modo netto, senza prendere tesi pescate nelle torbide acque dell’idealismo borghese. Tutto questo ha consentito ai CARC di definire, come obiettivo principale in questa fase, la ricostruzione del partito comunista, quale primo strumento che permette di passare dalla resistenza delle masse a fronte del procedere della crisi all’attacco contro il capitalismo, di passare da un generico e diffuso “no all’imperialismo” al “sì al comunismo”. Senza un vero partito comunista non può svilupparsi nessun concreto cammino verso il superamento della società capitalista. Questo è uno dei principali insegnamenti tratti dal bilancio del movimento comunista, uno dei principali apporti dato da Lenin al movimento comunista, che un secolo fa iniziò la costruzione del primo vero partito comunista, quello bolscevico. Tornare a Marx calandosi nel “movimento dei movimenti” significa sottrarsi al ruolo che Marx, già nel 1848, individua per i comunisti: “I comunisti sono la parte più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, quella che sempre spinge avanti; dal punto di vista della teoria, essi hanno un vantaggio sulla restante massa del proletariato per il fatto che conoscono le condizioni, l’andamento e i risultati generali del movimento proletario” (dal Manifesto del partito comunista). Per tornare a Marx dovreste aver almeno studiato la sua dottrina. Certo potete sostenere che dopo Marx nessun comunista ha fatto qualcosa di buono, e dunque ci proverete voi. Il difficile sarà dimostrarlo. Sostenete che per tutto il ‘900 nessuno è stato in grado di sviluppare l’elaborazione teorica del movimento comunista e che la classe operaia non ha fatto passi avanti in tutto il secolo? È  possibile una cosa del genere? Sono queste affermazioni da compagni seri?

C’è chi proclama il ritorno ad una natura incontaminata, simboleggiata dal Mulino Bianco, un mulino dove non si lavora (si mangiano biscotti). C’è chi proclama il ritorno a un Marx immaginario, un ritorno che giustifica chi non ha nessuna intenzione di farsi carico del lavoro duro e necessario alla ricostruzione del partito e che, d’altra parte, ci tiene a vantarsi d’essere comunista. Il PRC innalza la bandiera di Marx contro il resto dei dirigenti del movimento comunista (Lenin, Stalin, Mao Tse-tung), per giustificare le proprie scelte riformiste e antirivoluzionarie. Anche per questa via il PRC invece di assolvere il compito di “rifondare il comunismo” si avvia a “rifondare il riformismo”.

 

La svolta “a sinistra”

“Con questo congresso il nostro partito attua e propone una svolta a sinistra. Questa è resa necessaria dalla crisi attuale del processo di globalizzazione, che è crisi economica, culturale, politica e di consenso, alla quale il sistema capitalista risponde con uno stato permanente di guerra. È necessaria per essere in sintonia con la crescita dei movimenti, che, nel nostro paese in particolare, conosce l’incontro sempre più stretto tra il movimento contro la globalizzazione, la guerra e il liberismo e la straordinaria ripresa della combattività del movimento operaio”.

Qui c’è da mettersi le mani nei capelli. Il PRC vuole tornare a Marx ma non usa nemmeno una briciola di quanto Marx ha analizzato nella sua principale opera Il Capitale. Non si tratta di crisi del processo di globalizzazione, cari compagni del PRC! “La crisi economica in corso è la seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, iniziata grossomodo a metà degli anni Settanta. Essa consiste nell’impossibilità di valorizzare tutto il capitale già prodotto, nell’impossibilità di proseguire, nell’ambito della formazione economico-sociale consolidatasi dopo la seconda guerra mondiale, l’accumulazione del capitale in misura adeguata al capitale già esistente”.(14)

 

14. Vedi: La crisi attuale: crisi per sovrapproduzione di capitale (Rapporti Sociali n. 0), Ancora sulla crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale (Rapporti Sociali n. 5/6), Marx e la crisi per sovrapproduzione di capitale (Rapporti Sociali n. 8), La seconda crisi generale per sovrapproduzione di capitale (Rapporti Sociali n. 12), Per il dibattito sulla causa e sulla natura della crisi attuale (Rapporti Sociali n. 17), Il procedere della seconda crisi generale del capitalismo (Rapporti Sociali n. 20).

 

La prima analisi della crisi si trova sul numero zero di Rapporti Sociali pubblicato nel lontano 1985, e voi nel 2002 ci venite a parlare di crisi della globalizzazione, giustificando la svolta a sinistra con la necessità di rispondere alle crisi ed essere in sintonia con la crescita dei movimenti! Più oltre nel documento approvato dal congresso si legge “Il latente anticapitalismo di questo movimento è andato sempre più rafforzandosi ed emergendo. Possiamo e dobbiamo contribuire, partecipando alla pari con altri e con le nostre idee, alla discussione già in atto sui nodi strategici della trasformazione, all’allargamento dell’egemonia del movimento nella società, al suo radicamento nel territorio, al suo contributo nel processo di riunificazione delle diverse figure di sfruttati, alienati ed emarginati, divisi e contrapposti dalla ristrutturazione capitalistica, in un nuovo movimento operaio”. Non solo non vi è chiara la natura della seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, ma non comprendete nemmeno il ruolo che il partito deve avere, quando sostenete che partecipa alla pari con altri. Su questo abbiamo già ricordato cosa dice quel Marx cui voi pretendete di tornare. Il vostro modo di calarsi nei movimenti significa sbriciolarsi. Vi precludete il ruolo di guida del movimento verso il superamento del capitalismo, per quel socialismo che pure dite di perseguire. È il bilancio concreto della storia di oltre 150 anni della lotta di classe tra borghesia e proletariato che indica la necessità del partito comunista quale strumento indispensabile per raggiungere il socialismo, di un partito comunista che al suo interno si regola sul “centralismo democratico” e nel rapporto con l’esterno lavora con la “linea di massa”.

Queste sono anche indicazioni molto chiare di cosa intendiamo per partito. Nella Tesi 61 si legge: “Rifondazione comunista non ha mai praticato il centralismo democratico: una modalità di vita interna che non solo non è ‘realistica’,  nell’era della comunicazione globale (15) ma che certamente confligge con le istanze diffuse di democrazia e l’essenza di sensibilità, culture politiche, tendenze politico-culturali radicate da sempre nel PRC”. Qui si può parlare di due concezioni del partito comunista in netto contrasto l’una con l’altra. La prima ha portato alla dittatura del proletariato, disarcionando la classe dominante dal potere. Solo i limiti della conoscenza scientifica del movimento comunista hanno momentaneamente interrotto questa esperienza, comunque positiva e ricca d’insegnamenti. La seconda non fa altro che mantenere il PRC prigioniero dello Stato borghese, incapace di strutturarsi secondo i criteri necessari a giungere alla società socialista. Il rifiuto del centralismo democratico è ciò che lo rende incapace di strutturarsi all’interno, così come il rifiuto del ruolo di guida del partito è ciò che lo rende incapace di definirsi rispetto all’esterno.

 

15. Dovreste spiegare perché non è realistico “nell’era della comunicazione globale” usare il criterio del centralismo democratico, che stabilisce il massimo grado di discussione e per cui, una volta presa una decisione, la minoranza si subordina alla maggioranza e tutto il partito lavora per attuare la linea decisa dalla maggioranza. Cosa c’è di tanto “non realistico” in questo principio organizzativo adottato dal movimento comunista?

 

Tutta l’esperienza pratica del secolo scorso e l’esperienza dei nostri giorni ci confermano i disastri e le sconfitte che hanno subito organizzazioni e partiti che non hanno applicato correttamente il centralismo democratico al loro interno, le deviazioni e la corruzione che comporta il non utilizzare questo principio.

Questa “svolta a sinistra” sembra invece una vera e propria sterzata decisa a destra, per distruggere quanto esiste di organizzato all’interno del partito, per attaccare le residue forze che all’interno del partito si rifanno ai valori del vecchio PCI, per attaccare le posizioni di coloro che credono ancora nella necessità e importanza di costruire un vero partito comunista. È una chiara svolta verso il “movimentismo” e contro il partito.

 

Tesi 14 - Il superamento della nozione classica di imperialismo

Si legge nella tesi in esame: “L’imperialismo, nei termini definiti da Lenin(...), si è sviluppato a partire dagli ultimi decenni del 19° secolo ed ha raggiunto il suo culmine con la Prima guerra mondiale. Dopo la Seconda guerra mondiale, ha assunto nuove forme per cui è stata pertinentemente usata la categoria di neocolonialismo o neoimperialismo. L’analisi del fenomeno imperialista, come si presentava nella prima parte del secolo scorso, si basava essenzialmente sull’osservazione della fusione tra il capitale finanziario e il capitale industriale, sulla tendenza a creare monopoli, su processi di centralizzazione capitalistica che avvenivano a livello statale ed attraverso gli stati esercitavano la loro potenza a livello internazionale, sull’esportazione di merci e capitali verso nuove terre, ... Oggi le condizioni sono radicalmente mutate. I processi di centralizzazione e concentrazione capitalistica hanno assunto un carattere sovranazionale senza precedenti con mutazioni nella strutturazione della proprietà dei mezzi di produzione e di scambio, con una diversa distribuzione territoriale e con un ruolo enormemente accresciuto dei mercati finanziari che tendono ad operare con una relativa autonomia... Queste tendenze contemporanee e il nuovo contesto segnato dal crollo dei paesi del ‘socialismo reale’ e dalla fine della ‘guerra fredda’, autorizzano la conclusione che non è affidabile ai contrasti tra paesi capitalisti e alle contraddizioni interimperialistiche la crisi e la sconfitta della globalizzazione capitalistica e che è improponibile l’ipotesi di guerre interimperialistiche”. Si conclude sostenendo che non vi possono essere conflitti tra le maggiori potenze, ma essi vanno collocati dentro l’esigenza di gestione della globalizzazione.

Questa analisi della fase imperialista è sbagliata. D’altra parte il vostro convinto ritorno a Marx mostra tutta la vostra incapacità a leggere il “novecento”, perché ignorate l’importante e ancora attuale apporto dato da Lenin sulla questione nella sua analisi dell’imperialismo come fase suprema del capitalismo.

L’epoca imperialista si divide in tre fasi:

1. Dalla fine del secolo scorso fino alla conclusione della seconda guerra mondiale si ha la fase della prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, una conseguente crisi generale dei regimi politici nei singoli paesi e  delle relazioni tra gli Stati a livello mondiale, una lunga situazione rivoluzionaria nel corso della quale in una serie di paesi trionfa la rivoluzione proletaria (rivoluzioni socialiste e rivoluzioni di nuova democrazia) e il marxismo (la coscienza delle forze soggettive della rivoluzione socialista) raggiunge una nuova superiore tappa, il leninismo.

2. Dalla fine della seconda guerra mondiale fino all’inizio della seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (all’incirca alla metà degli anni Settanta), si ha la seconda fase e nel corso di essa si ha

- la temporanea ripresa dell’accumulazione del capitale a livello internazionale,

- il ‘capitalismo dal volto umano’ nei paesi imperialisti e la trasformazione delle colonie in semicolonie (con il risvolto politico e culturale, il revisionismo moderno),

- nei paesi ancora dominati dalla borghesia, il grande sviluppo delle forme antitetiche dell’unità sociale che è la manifestazione, nella situazione specifica, dell’inarrestabile marcia della società umana verso il comunismo,

- nei paesi socialisti, le lotte per la transizione dal capitalismo al comunismo con al centro la grande rivoluzione culturale proletaria cinese e il tentativo di restaurazione graduale e pacifica del capitalismo condotto dai revisionisti moderni.

3. Dall’inizio della seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (all’incirca alla metà degli anni Settanta) si ha la terza fase, fase che è iniziata da poco, nell’ambito della quale hanno iniziato a svilupparsi una nuova crisi generale dei regimi politici nei singoli paesi e delle relazioni tra gli Stati e una nuova situazione rivoluzionaria; tutto ciò a un livello più alto di quello relativo alla prima fase, perché la società umana ha fatto ovunque enormi passi verso il comunismo, perché il contrasto tra il carattere sociale delle forze produttive e la proprietà individuale di esse si è fatto ben più acuto e più universale, perché le forze soggettive della rivoluzione socialista hanno accumulato grandi esperienze, perché il marxismo ha raggiunto una terza superiore tappa, il maoismo.(16)

Sulla questione si è svolto un ricco dibattito all’interno del partito con proposte di modifica, ma vista la “deriva riformista” imboccata dalla dirigenza del partito tali proposte non potevano trovare spazio. La lettura distorta della crisi e della fase imperialista non poteva che portare alle conclusioni del congresso: bisogna buttare a mare tutta l’esperienza del movimento comunista e scioglierci nei movimenti.

 

16. Vedi Rapporti Sociali n. 12/13, pag. 36.

 

17. L’articolo sulle “tre deviazioni” è riportato in Rapporti Sociali, n. 29, pp. 28 - 30.

 

 

Tra le organizzazioni che lavorano alla ricostruzione del partito comunista del nostro paese la Commissione preparatoria del congresso di fondazione del (nuovo) Partito comunista italiano (CP) è quella che più di altre ha indicato la natura e il ruolo del partito comunista nella fase imperialista, che ha avviato un processo teorico e pratico e si è messa nella condizione di lavorare per questo obiettivo riuscendo a svincolarsi dalle grinfie della classe dominante. Percorre una strada inconciliabile e antagonista a quella della borghesia imperialista che governa il nostro paese. Da questa posizione essa meglio di altri può vedere come le FSRS si muovono rispetto alla ricostruzione del partito comunista e può mettere in guardia da possibili deviazioni. Essa ne ha individuate tre molto importanti: il neorevisionismo, l’economicismo, il militarismo.(17) Il tratto saliente del neorevisionismo è sostanzialmente la “via pacifica e democratica al socialismo”. I neorevisionisti orientano la loro attività credendo possibile arrivare al socialismo mobilitando le masse all’interno delle regole dettate dalla classe dominante. Ma la classe dominante appena possibile elimina o svuota di contenuto le libertà politiche conquistate con la Resistenza. Il vecchio partito comunista anche se guidato dai revisionisti aveva potuto lavorare in una situazione “favorevole” determinata dalla ripresa dell’accumulazione capitalista nel periodo seguito alla seconda guerra mondiale fino a metà degli anni settanta, fase nella quale il capitale ha potuto concedere migliori condizioni di vita e di lavoro a fronte di dure lotte della classe operaia. Da ciò ebbe origine il suo successo tra le masse popolari. Oggi quelle condizioni non ci sono più. Siamo nella  seconda crisi generale del sistema capitalista. Per uscire da questa crisi la classe dominante deve reprimere, tenere a bada, incanalare il movimento di massa entro un percorso di continua subordinazione alle sue esigenze di potere e controllo. Engels aveva già avvertito che la classe dominante, ove ne avesse avuto la necessità, avrebbe sovvertito la sua stessa legalità. A tale proposito basta ricordare il Cile del 1973. Le conclusioni del V° congresso del PRC collocano questo partito nell’alveo della prima delle tre deviazioni sopra indicate. Il PRC non si pone il problema di avere “un partito che sia all’altezza del compito che il procedere della seconda crisi generale del capitalismo e la conseguente situazione rivoluzionaria in sviluppo pongono ad esso e che tenga pienamente conto dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria”.(18)

 

18. La Voce n. 1, pag. 17.

 

Il PRC si avvia a riprodurre in scala minore la fase di decadenza, di corruzione e dissolvimento del vecchio PCI. Questa conclusione apre una nuova fase e i compagni e le compagne che oggi militano nel PRC, che si riconoscono ancora nel movimento operaio e comunista sono chiamati a decidere se lavorare alla ricostruzione di un vero partito comunista o impantanarsi nel movimentismo. I CARC e altre organizzazioni oggi pensano che bisogna lavorare alla ricostruzione di un nuovo e vero partito comunista, che bisogna raccogliere forze e risorse per questo obiettivo, che bisogna raccogliersi in un Fronte comune per rafforzare questo processo.

Ai compagni del PRC che credono ancora nel comunismo diciamo: “Un altro mondo è possibile, il comunismo è il nostro futuro!”

 

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