La critica dogmatica

Rapporti Sociali n. 30 - giugno 2002 (versione Open Office / versione MSWord)

 

A proposito di un recente articolo di Scintilla contro il maoismo

“Senza una teoria rivoluzionaria, è impossibile che il movimento rivoluzionario vada oltre un livello elementare e spontaneo”. Guidati da questo insegnamento del movimento comunista, i CARC hanno stabilito che una delle condizioni da creare per la ricostruzione del partito comunista è “sviluppare il lavoro sul programma del partito, sul suo metodo di lavoro, sull’analisi della fase e sulla linea generale del partito”. Tutto il lavoro fatto in questo campo, compresa la pubblicazione del Progetto di Manifesto Programma (ottobre ‘98), fa parte della creazione dei fondamenti teorici del nuovo partito comunista. Non basta invocare una concezione teorica giusta, proclamare che essa è indispensabile, che tutti i membri del partito devono essere uniti sulla concezione comunista del mondo. Occorre assimilare la concezione del mondo che il movimento comunista nei suoi più che 150 anni di storia ha elaborato, applicarla e arricchirla. È un lavoro da cui i dogmatici rifuggono. Essi al massimo ripetono che bisogna farlo.

Vale la pena soffermarsi sullo scritto Marxismo-Leninismo o Maoismo? diffuso nel febbraio 2002 (nel sito web http:/www.geocities.com/scintilla_mail) dalla redazione di Scintilla-Roma (e quindi probabilmente condiviso anche dal Circolo Lenin-Catania e dalla redazione di Politica Comunista-Firenze che con la redazione di Scintilla hanno sottoscritto nel 2001 una dichiarazione di unità d’azione per la ricostruzione del partito comunista, nel cui ambito secondo i comunisti primeggia il dibattito sui fondamenti teorici del partito). Infatti questo scritto costituisce un modello del modo in cui i dogmatici combattono il Marxismo-Leninismo-Maoismo e rivela la loro natura. Nella sostanza le obiezioni esposte nel documento di Scintilla coincidono con quelle esposte da altri dogmatici: da Enver Hoxha (1908-1985), il defunto segretario generale del Partito del Lavoro d’Albania, dagli esponenti dell’ISML (International Struggle Marxist-Leninist), da Antorcha (rivista teorica del PCE(r)) e da altri. La discussione in corso sul Maoismo è una discussione sui Fondamenti teorici del nuovo partito: una questione essenziale e discriminante. A ragione la Commissione Preparatoria del congresso di fondazione del (nuovo)Partito comunista italiano l’ha indicata come “ottava discriminante” nell’omonimo articolo di Nicola P..(1) Nessun compagno che vuole dare un contributo alla fondazione del partito può eludere questa questione e rifiutare di analizzare le obiezioni. È una questione su cui non ci devono essere “zone grigie”.

 

1. Nicola P. L’ottava discriminante in La Voce n. 9 e 10. In Rapporti Sociali n. 19 (agosto 1998), nell’articolo Le sei discriminanti e i quattro problemi, si diceva che la questione del Maoismo era uno dei quattro problemi su cui le posizioni delle singole FSRS non erano ancora chiare. Il Progetto di Manifesto Programma della Segreteria Nazionale dei CARC (ottobre 1998) sostiene (pag. 54) che il Maoismo è la terza superiore tappa del pensiero comunista.

 

 

1.

In primo luogo occorre chiarire che i dogmatici barano e per comodità polemica deformano la nostra posizione, espressa anche nel Progetto di Manifesto Programma (1998). Essi presentano la questione del Maoismo come se noi contrapponessimo il Marxismo-Leninismo e il Maoismo: o l’uno o l’altro. Invece il rapporto tra il Maoismo e il Marxismo-Leninismo è analogo al rapporto tra Leninismo e Marxismo indicato da Stalin nell’introduzione di Principi del Leninismo (1924). Il Maoismo non sostituisce il Marxismo-Leninismo, ma è costituito dagli apporti importanti ed essenziali di Mao al Marxismo-Leninismo.(2) Si tratta però di apporti tanto importanti e indispensabili ai fini politici, da poter affermare che oggi non si può più essere Marxisti-Leninisti se non si è Marxisti-Leninisti-Maoisti, come nel 1924 Stalin affermava che non si poteva più essere Marxisti se non si era Marxisti-Leninisti. E gli avvenimenti gli hanno dato  ragione. Così pone la questione anche Nicola P. nell’articolo citato. Come vedremo, gli stessi dogmatici senza volerlo confermano la nostra affermazione.

 

2. Vero è però che non sono solo i dogmatici a contrapporre il Maoismo al patrimonio teorico del vecchio movimento comunista, cioè al Marxismo-Leninismo. Lo hanno fatto e lo fanno anche una serie di sedicenti Maoisti, in particolare negli anni ‘70: un misto di comunisti ingenui e di anticomunisti. Ma Scintilla non critica questa genia, ma critica proprio quelli che vogliono “aggiungere un trattino al Marxismo-Leninismo, metterci il Maoismo”, cioè noi Marxisti-Leninisti-Maoisti.

 

 

2.

In secondo luogo, proprio perché rivendichiamo, facciamo nostro e utilizziamo il patrimonio teorico e l’esperienza del movimento comunista contro i revisionisti moderni e i loro epigoni (anche quelli del PRC), occorre che ci distinguiamo nettamente dai dogmatici. Scintilla, come in generale i dogmatici, nasconde che nel movimento comunista, ogni volta che è sorta una corrente revisionista, contro di essa vi sono state e vi sono due tipi di opposizioni.

Una è l’opposizione costruttiva, che difende efficacemente il patrimonio teorico del movimento comunista perché individua i problemi sui quali fa leva la corrente revisionista e dà ad essi risposte rivoluzionarie, coerenti col patrimonio del movimento comunista e adatte ai compiti pratici del movimento. È questa l’opposizione che sviluppa il patrimonio teorico del movimento comunista portandolo ad un livello superiore e apre vie di sviluppo e di vittoria al movimento comunista in quanto movimento pratico. Di questo tipo è stata la risposta di Lenin al primo revisionismo (quello promosso da Bernstein (1850-1932) negli ultimi anni del secolo XIX). Lenin non si limitò a dimostrare l’inconsistenza delle tesi dei revisionisti. Essi avevano un certo seguito nel movimento comunista (che allora si chiamava socialdemocratico) non per l’inconsistenza delle loro tesi, ma perché mancavano ancora risposte giuste ad alcuni problemi che lo sviluppo della lotta di classe aveva posto all’ordine del giorno. Lenin individuò i problemi nuovi: l’ingresso del capitalismo nella sua fase imperialista e l’inizio dell’epoca delle rivoluzioni proletarie. I vecchi partiti non erano attrezzati per rispondere ai nuovi compiti e per questo resistevano male al revisionismo, anche quando non lo accettavano e persino quando lo ripudiavano. Lenin diede risposte adeguate a questi nuovi problemi in campo teorico e in campo politico: queste risposte costituiscono il Leninismo.(3) Di questo tipo è stata anche la risposta di Mao Tse-tung (1893-1976) al revisionismo moderno, quello promosso da Kruscev (1894-1971) negli anni ‘50 del secolo scorso e che ha avuto come suoi principali esponenti Togliatti (1893-1964), Breznev (1906-1982) e i suoi successori. Mao ha riconosciuto che vi era qualcosa di nuovo, a cui la scienza della rivoluzione fino allora elaborata non dava soluzione: come continuare la rivoluzione proletaria nelle condizioni create dai grandi successi raggiunti nella prima ondata della rivoluzione proletaria con la costituzione di un campo socialista che copriva un terzo dell’umanità e con la costituzione di forti e influenti partiti comunisti praticamente in ogni paese. Era proprio la mancanza di risposte adeguate a questa situazione nuova che spiegava il successo dei revisionisti moderni nel movimento comunista, per devastante che fosse la loro azione e inconsistenti le loro concezioni. Il Maoismo è l’insieme delle risposte che Mao ha dato a questo problema.

 

3. L’esposizione più organica del Leninismo è stata data da Stalin in Principi del Leninismo (1924), reperibile nel vol. 6 delle Opere di Stalin (Edizioni Rapporti Sociali) di prossima pubblicazione.

Ovviamente vi è una grande differenza nella relazione tra noi comunisti di oggi e il Leninismo e la relazione tra noi e il Maoismo. L’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria ha confermato che il Leninismo dava soluzioni giuste ai compiti che si ponevano ai comunisti all’inizio del secolo scorso. La pratica non ha invece ancora confermato definitivamente e su grande scala che il Maoismo dà soluzioni giuste e sufficienti ai compiti che si pongono a noi comunisti all’inizio di questo nuovo secolo. Noi ci troviamo, rispetto al Maoismo, grossomodo nella posizione in cui si trovarono all’inizio del secolo scorso i nostri predecessori rispetto al Leninismo. Questa situazione lascia inevitabilmente un certo spazio anche ai nemici dogmatici del Maoismo, che si installano nella comoda posizione di chi si  accontenta di ripetere le verità già confermate dalla pratica.

 

L’altra è l’opposizione dogmatica che vorrebbe difendere le posizioni già acquisite, ma non individua i problemi su cui fa leva la corrente revisionista e tanto meno dà soluzione ad essi. Questa opposizione è sterile e destinata alla sconfitta. Secondo i dogmatici il successo dei revisionisti sarebbe dovuto al caso, al tradimento di individui, alla forza della borghesia o all’ignoranza delle masse popolari (e già qui sono fuori della concezione comunista). I comunisti non ci potrebbero fare niente. Loro, i dogmatici, hanno la coscienza tranquilla e nessuna responsabilità per il successo dei revisionisti. Quanto al futuro, secondo i dogmatici i comunisti dovrebbero solo resistere in attesa che le disgrazie, che il predominio della borghesia imperialista inevitabilmente porta con sé, smentiscano i revisionisti e facciano rinsavire i proletari che allora riconosceranno la giustezza delle idee che i comunisti nel frattempo hanno continuato a ripetere a chi li voleva ascoltare. Ma le cose non procedono così. In realtà, se i revisionisti hanno avuto successo, ciò dipende da limiti del movimento comunista che dobbiamo individuare e superare. E non bastano gli eventi a spingere le masse verso di noi. Occorre che noi comunisti siamo capaci di dare soluzioni giuste almeno ai principali problemi che il movimento della società pone alle masse, che portiamo queste soluzioni alle masse e che le guidiamo di lotta in lotta fino alla vittoria.

Scintilla occulta che è esistita anche un’opposizione dogmatica al vecchio revisionismo, per togliere di mezzo un imbarazzante precedente, per paura di “vedersi allo specchio”. Furbescamente mette nello stesso sacco Kautsky (1854-1938) e Bernstein come “padri del revisionismo”. Eh, no! Dal 1899 e fino al 1914 Kautsky fu il portavoce più autorevole dei “Marxisti ortodossi” e capofila nella polemica contro il revisionismo di Bernstein. In quegli anni persino Lenin si riferì ripetutamente a Kautsky come a suo maestro in campo teorico, benché ripetutamente si scontrasse con lui sulle questioni politiche del partito russo. Dopo il 1914 Kautsky e altri suoi simili per anni continuarono ad atteggiarsi a “veri Marxisti” e a sostenere che Lenin aveva deviato dal Marxismo. La parabola di Kautsky è emblematica del ruolo di una delle famiglie dei critici dogmatici del revisionismo (non tutti fecero una così brutta fine). È ovvio l’interesse dei dogmatici a nascondere questo loro illustre predecessore.

Per combattere efficacemente il revisionismo non basta ripetere le verità già note, né basta mostrare l’inconsistenza delle loro concezioni. Bisogna mettere in luce i problemi su cui il revisionismo ha fatto leva per riuscire a prevalere in tutto il movimento comunista, dare una giusta soluzione a quei problemi e con questo promuovere la rinascita del movimento comunista. Cosa hanno fatto i nostri dogmatici in questo campo?

Quanto al Maoismo, Scintilla, come gli altri dogmatici, deforma grossolanamente in più campi le posizioni di Mao, la storia del Partito comunista cinese (PCC) e della Repubblica popolare cinese (RPC). È impossibile e in definitiva anche inutile ripercorrere tutti i dieci testi di Mao che Scintilla cita (di sfuggita e senza entrare in dettaglio) come “prove a carico” dei diciassette errori che attribuisce a Mao. Scintilla rimanda a futuri “interventi specifici un’analisi dettagliata di alcune opere”: li leggeremo con interesse se mai vedranno la luce (cosa non scontata, dato che, come diceva Mao, “il dogmatismo è proprio delle persone pigre”). Mi limito ad esaminare tre tra delle critiche di Scintilla che ogni lettore è in grado di valutare senza esegesi dei testi Maoisti.

 

3.

Scintilla sostiene che Mao e il PCC, dopo la vittoria della rivoluzione democratico-borghese nel 1949, non avrebbero dato inizio nella RPC alla rivoluzione socialista, che il PCC non sarebbe mai stato un partito comunista e che la RPC non sarebbe mai stata un vero paese socialista.

Di fronte a tali affermazioni, potrei limitarmi a chiedere ai dogmatici di spiegarci cosa mai è stata la RPC tra il 1949 e il 1976 se non era un paese socialista e di spiegarci come mai né Stalin né altri eminenti Marxisti-Leninisti si sono mai accorti di quanto i dogmatici affermano, fino a quando se ne sarebbe accorto Enver Hoxha nel 1978, di fronte al nuovo  corso che dal 1976 Teng Hsiao-ping e i revisionisti cinesi avevano impresso all’attività del PCC e alla politica della RPC.(4) Ma i loro ragionamenti si prestano ad alcune considerazioni che credo utili.

Infatti contestualmente Scintilla 1. sostiene che la rivoluzione democratico-borghese culminata nel 1949 avrebbe liberato la Cina dal feudalesimo e dalla soggezione all’imperialismo, 2. sostiene che il partito comunista ricostruito dopo la Rivoluzione Culturale avrebbe portato, dopo la morte di Mao, la Cina “sulla strada dello sviluppo capitalistico aperto e del predominio borghese” fino a farla diventare “un moderno paese capitalista”.

È facile rendersi conto che queste affermazioni sono un groviglio di contraddizioni logiche e che porterebbero a conclusioni politiche sbagliate chi le applicasse praticamente.

 

 

4. Non mi soffermo qui sui motivi per cui Enver Hoxha ricercò e inventò nell’opera di Mao e nella linea seguita dal PCC fino al 1976 i motivi per cui il revisionismo moderno nel 1976, vent’anni dopo avere prevalso nel PCUS, riuscì a prevalere anche nel PCC.

 

Anzitutto implicano che nell’epoca imperialista siano ancora possibili rivoluzioni democratico-borghesi vittoriose non dirette dalla classe operaia tramite il suo partito comunista. Questa tesi è stata più volte confutata da Lenin nella lotta contro i menscevichi. I menscevichi contro Lenin sostenevano precisamente che la Russia poteva percorrere la strada di una rivoluzione democratico-borghese diretta dalla borghesia, come avevano fatto l’Inghilterra, la Francia e altri paesi in un’epoca precedente l’epoca imperialista del capitalismo. Lenin invece sosteneva contro i menscevichi che nell’epoca dell’imperialismo una rivoluzione democratico-borghese vittoriosa era possibile solo se diretta dalla classe operaia tramite il suo partito comunista, una rivoluzione che quindi avrebbe aperto la porta alla rivoluzione socialista. Nell’epoca dell’imperialismo la borghesia era oramai passata alla reazione, aveva stabilito legami con le classi feudali per sfruttare assieme i lavoratori dei paesi imperialisti e dei paesi oppressi e non avrebbe mai più portato a fondo una rivoluzione contro di esse. Gli avvenimenti hanno più volte dimostrato che la tesi dei menscevichi era sbagliata e che quella di Lenin era giusta. Non solo la Russia ha seguito la strada indicata da Lenin, ma tutte le rivoluzioni democratico-borghesi che non hanno preso quella strada sono abortite: non hanno né eliminato i rapporti di produzione feudali né hanno liberato i loro paesi dal giogo dell’imperialismo. Ciò è confermato lungo tutto il secolo XX dall’andamento della rivoluzione democratico-borghese in Turchia, in Cina fino al 1927, in India, in Persia, in vari paesi dell’America Latina, nei paesi arabi, in tutti i paesi coloniali e semicoloniali. La rivoluzione democratico-borghese ha avuto invece successo in Cina perché era diretta dalla classe operaia tramite il suo partito comunista. Fu, per usare l’espressione coniata da Mao, una “rivoluzione di nuova democrazia”. Cosa che i Marxisti-Leninisti di tutto il mondo, con Stalin in testa, non hanno mai messo in dubbio. Ora i dogmatici ci vengono invece a dire, in contrasto con la concezione Marxista-Leninista e con il corso generale delle cose, che fu sì vittoriosa, ma non diretta dalla classe operaia e che diede vita a un paese capitalista.

Questa immagine denigratoria della rivoluzione cinese come rivoluzione democratico-borghese di vecchio tipo e della RPC come paese capitalista la diffusero per primi, già negli anni ‘50, i trotzkisti e i bordighisti. Ma da parte loro è comprensibile: le affermazioni corrispondevano perfettamente al ruolo che essi svolgevano contro il movimento comunista e alle loro concezioni. La loro tesi fu poi ripresa negli anni ‘60 dai revisionisti sovietici quando ebbero bisogno di contrastare l’influenza del PCC che portava la lotta contro il revisionismo moderno in tutto il movimento comunista mondiale.(5) Infine, a partire dal 1978, fu ripresa anche da Enver Hoxha, che si era opposto al revisionismo moderno, ma su posizioni dogmatiche, come tutta una parte del “Movimento Marxista-Leninista” degli anni ‘60 (es. Grippa in Belgio).

 

5. Alcuni dei saggi diffusi in merito dai revisionisti sovietici sono raccolti nel volume Per lo studio della Rivoluzione Cinese, 1972, curato dalla redazione della rivista pro-brezneviana Ideologie a cui collaborarono anche alcuni dei personaggi oggi raccolti attorno a Scintilla.

  

In secondo luogo, come sarebbe stato possibile a Teng Hsiao-ping, dopo la morte di Mao, mettere la RPC “sulla strada dello sviluppo capitalistico aperto” se la RPC era già un paese capitalista? Forse che si trattava di uno sviluppo capitalista mascherato? È veramente ridicolo, oltre che contrario ai fatti, sostenere che tra il 1949 e il 1976 un paese di un miliardo di uomini sviluppava il capitalismo nascostamente, furtivamente, mentre il partito che la dirigeva continuava in tutto il movimento comunista mondiale a sviluppare una lotta a favore del comunismo. E questo senza che per anni nessuno dei Marxisti-Leninisti di tutto il mondo se ne accorgesse e mentre gli imperialisti sabotavano e boicottavano la RPC appunto perché paese socialista e retroterra del movimento comunista mondiale. E mentre proprio Mao a partire dagli anni ‘60 lanciava ripetutamente, fino alla morte nel ‘76, l’allarme contro un possibile regresso della RPC al capitalismo che effettivamente si verificò dopo il 1976, come gli stessi dogmatici riconoscono.(6)

Infine è da notare che i dogmatici nelle loro argomentazioni danno per scontato che “l’entrata a piena titolo della Cina nel mercato imperialista mondiale” sia già cosa fatta. In realtà la cautela con cui i revisionisti cinesi procedono nella “condanna del Maoismo” (7) e nell’eliminazione delle conquiste socialiste delle masse popolari cinesi è una conferma delle resistenze che trovano all’interno del loro paese e una conferma dell’importanza delle conquiste socialiste che le masse popolari avevano realizzato nel periodo 1949-1976. Dando per già completata la restaurazione del capitalismo, i dogmatici travisano il quadro delle contraddizioni internazionali in cui operiamo e indeboliscono la solidarietà internazionalista con quanti nella RPC resistono alla restaurazione in corso.(8)

 

6. Chi vuole approfondire direttamente il problema, può partire dalla lettura delle affermazioni reperibili in Opere di Mao Tse-tung (Edizioni Rapporti Sociali) vol. 23, pagg. 68 e 69 (1966), vol. 24 pag. 91 (1969) e vol. 25 pag. 172 (1975).

 

7. La condanna più solenne e ufficiale del Maoismo cui si sono azzardati i revisionisti cinesi è contenuta nella Risoluzione su alcune questioni della storia del nostro partito dopo la fondazione della RPC, adottata dal CC del PCC il 27 giugno 1981.

 

8. Per una periodizzazione della vita dei paesi socialisti, rinvio a Rapporti Sociali n. 11. Sull’esperienza storica dei paesi socialisti. Distinguere i diversi periodi della vita dei paesi socialisti è essenziale. Quelli che non lo fanno non riescono a ricavare gli insegnamenti possibili, cadono nella denigrazione dell’esperienza dei paesi socialisti, creano confusione. Anche Scintilla per denigrare l’opera di Mao e del PCC mette assieme politiche appartenenti alla fase della rivoluzione di nuova democrazia (1927-1949), con politiche appartenenti alla fase di costruzione del socialismo (1949-1976), con politiche appartenenti alla fase di restaurazione graduale e pacifica del capitalismo (iniziata nel 1976 e tuttora in corso). Se si valutano le politiche di una fase alla luce dei compiti di un’altra fase, ovviamente si arriva a conclusioni senza senso.

 

 

4.

Una tesi ripetuta da tutti i dogmatici, e anche da Scintilla, è che Mao avrebbe nascosto, misconosciuto o sottovalutato la contraddizione tra la classe operaia e la borghesia nazionale nella fase socialista della RPC (1949-1976). Contro questa tesi stanno sia l’opera compiuta da Mao alla testa del PCC dal 1949 al 1976 per sviluppare la transizione dall’economia mercantile e capitalista al comunismo, sia l’opinione di tutto il movimento comunista fino alla “scoperta” fatta da Enver Hoxha nel 1978. Ma a dimostrare quanto Scintilla travisi le posizioni teoriche di Mao, voglio citare quanto egli dice nel rapporto tenuto l’8 marzo 1949, alla vigilia della vittoria della rivoluzione di nuova democrazia, alla seconda sessione plenaria del Comitato Centrale del PCC: “Dopo che la rivoluzione cinese avrà trionfato in tutto il paese e il problema della terra sarà risolto, anche allora sussisteranno in Cina due contraddizioni fondamentali. La prima, d’ordine interno, è la contraddizione tra la classe operaia e la borghesia. La seconda, d’ordine esterno, è la contraddizione tra la Cina e i paesi imperialisti. È per questo che, dopo la vittoria della rivoluzione democratica popolare, il potere statale della  repubblica popolare sotto la direzione della classe operaia non dovrà essere indebolito, ma rafforzato. Le due misure politiche fondamentali che lo Stato adotterà nella sua lotta in campo economico saranno il controllo sul capitale all’interno e il controllo del commercio con l’estero”.(9)

Ciò che i dogmatici non capiscono è che il modo di trattare le contraddizioni varia in base alle concrete condizioni interne ed esterne e che col mutare delle condizioni concrete il carattere delle contraddizioni può passare da antagonista a non antagonista e viceversa. Se il potere della classe operaia è assicurato e la borghesia è rassegnata alla sconfitta, il modo in cui la classe operaia tratta la contraddizione con essa è diverso da quello che usa se la borghesia conduce la guerra civile o fomenta il sabotaggio e il boicottaggio. Ciò è confermato anche dall’autorevole parere di Marx ed Engels che (vedi ad esempio il discorso tenuto da Marx ad Amsterdam l’8 settembre 1872 e la prefazione di Engels alla prima edizione inglese del libro I di Il capitale del novembre 1886) non escludevano la possibilità che in alcuni paesi, come l’Inghilterra e gli USA di allora, i lavoratori riuscissero a prendere in mano la direzione del paese e a rivoluzionare gli ordinamenti della società con mezzi pacifici e che la borghesia potesse rassegnarsi all’inevitabile in cambio di una rendita vitalizia come riscatto. Ciò è confermato anche dall’esperienza del Partito comunista russo dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Dall’ottobre del ‘17 alla fine del ‘18 Lenin fece piani e prese misure che contemplavano la sottomissione della borghesia al potere sovietico e una certa collaborazione di essa alla ricostruzione economica del paese in cambio della concessione di alcuni privilegi.(10) Solo dopo che alla fine del 1918 la borghesia imperialista pose precipitosamente fine alla prima Guerra mondiale e concentrò le sue forze per soffocare il potere sovietico e in Russia tutte le classi reazionarie e tutti i partiti (compresi i socialisti rivoluzionari e i menscevichi) si coalizzarono contro il potere sovietico, solo allora il potere sovietico trattò di nuovo la borghesia in modo antagonista. Ma nel 1921, una volta vinta la guerra civile, Lenin ritornò con la NEP a stabilire le condizioni necessarie per fare in modo che la borghesia, la piccola borghesia e perfino gruppi del capitale internazionale (con le “concessioni” minerarie, forestali, ecc.) collaborassero col potere sovietico alla ricostruzione economica del paese. Solo quando si crearono le condizioni economiche e politiche interne e internazionali necessarie il Partito comunista russo sotto la direzione di Stalin lanciò i piani quinquennali e la collettivizzazione delle campagne. Le misure tattiche dipendono dalle situazioni concrete. Una misura sbagliata oggi, diventa opportuna e necessaria domani e magari nuovamente sbagliata dopodomani. Quando nel 1927-28 il partito in URSS lanciò la collettivizzazione delle campagne e i piani quinquennali, i trotzkisti gridarono che Stalin copiava il programma da essi proposto alcuni anni prima. Ma le loro grida valevano quanto la soddisfazione di un individuo che crede di essere un uomo di genio e d’avanguardia perché quando arriva l’estate gli uomini escono senza cappotto come egli li pressava a fare già da tempo, ancora in pieno inverno.

 

9. Opere di Mao Tse-tung (Edizioni Rapporti Sociali), Rapporto alla seconda sessione plenaria del settimo Comitato Centrale del PCC (8 marzo 1949), vol. 11, pag. 86.

 

10. Si veda ad esempio l’opuscolo di Lenin I compiti immediati del potere sovietico, marzo-aprile 1918 (Opere, vol. 27). Dice tra l’altro Lenin: “Se volessimo ora continuare ad espropriare il capitale con lo stesso ritmo seguito finora, certamente subiremmo una sconfitta, giacché è chiaro, evidente per ogni uomo pensante, che il nostro lavoro di organizzazione dell’inventario e del controllo proletario è rimasto indietro rispetto al lavoro di immediata ‘espropriazione degli espropriatori’”.

 

I dogmatici non tengono conto delle situazioni concrete. Essi confondono strategia e tattica. Dato che la strategia della rivoluzione socialista è l’eliminazione della borghesia come classe, per essi ogni misura tattica deve essere di “eliminazione”. Dato che l’attacco è la legge generale della rivoluzione socialista, ogni misura tattica deve essere d’attacco. Invece giustamente il PCC sotto la direzione di Mao seguì una strategia di eliminazione della borghesia nazionale attuando una successione di misure tattiche corrispondenti alle concrete condizioni interne e internazionali nei  rapporti di forza tra le due classi in campo politico, economico e culturale. Lo stretto legame con le masse popolari e in particolare con le diverse classi dei contadini stabilito dal PCC durante la rivoluzione di nuova democrazia, l’esistenza di un campo socialista (fin quando la RPC poté contare su di esso), la stessa ostilità intransigente dell’imperialismo (blocco economico, boicottaggio e sabotaggio) e la servitù semicoloniale a cui la Cina era stata sottoposta permisero al PCC in successione prima di applicare verso la borghesia nazionale una politica di controllo e limitazione tramite contratti di acquisto e di vendita tra le imprese della borghesia nazionale e lo Stato diretto dalla classe operaia tramite il suo partito comunista, poi di trasformare le imprese capitaliste in imprese miste tra Stato e capitalisti, poi di trasformare la proprietà delle imprese in una rendita vitalizia per i vecchi proprietari e infine di abolire la rendita vitalizia (beninteso assicurando ai titolari possibilità di vita e di lavoro come al resto della popolazione). Nel discorso Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo del 27 febbraio 1957 (quando ancora reputava che la RPC potesse contare su un campo socialista) Mao spiega chiaramente: “Nel nostro paese, le contraddizioni tra classe operaia e borghesia nazionale fanno parte delle contraddizioni in seno al popolo. La lotta di classe fra la classe operaia e la borghesia nazionale appartiene in linea di massima alla lotta di classe in seno al popolo. Ciò perché la borghesia nazionale nel nostro paese ha un carattere duplice. Nel periodo della rivoluzione democratica borghese essa aveva un carattere rivoluzionario e, contemporaneamente, una tendenza al compromesso [con l’imperialismo, i proprietari terrieri e la borghesia burocratica, NdR]. Nel periodo della rivoluzione socialista lo sfruttamento della classe operaia per trarne profitto costituisce un aspetto della natura della borghesia nazionale, mentre il sostegno alla Costituzione e la disponibilità ad accettare la trasformazione socialista ne costituisce l’altro. La borghesia nazionale è diversa dagli imperialisti, dai proprietari terrieri e dalla borghesia burocratica. La contraddizione tra la classe operaia e la borghesia nazionale è una contraddizione tra sfruttati e sfruttatori ed è per sua natura una contraddizione antagonista. Tuttavia nelle condizioni concrete del nostro paese, se la si tratta nel dovuto modo, la contraddizione antagonista tra queste due classi si può trasformare in una contraddizione non antagonista ed essere risolta con metodi pacifici. Se invece noi non la trattiamo correttamente, vale a dire se non applichiamo nei riguardi della borghesia nazionale una politica di unione, di critica e di educazione, o se la borghesia nazionale non accetta una tale politica, la contraddizione tra la classe operaia e la borghesia nazionale può trasformarsi in una contraddizione tra noi e i nostri nemici”.(11)

 

 

11. Opere di Mao Tse-tung (Edizioni Rapporti Sociali), vol. 14, pag. 96 e 97.

 

12. Si veda ad esempio lo scritto di Chang Chun-chiao, La dittatura completa sulla borghesia (aprile 1975) in Opere di Mao Tse-tung (Edizioni Rapporti Sociali), vol. 25.

 

Ma perché i dogmatici non esaminano le “condizioni concrete” e si affrettano a dire che sarebbero i metodi usati dal PCC nel periodo 1949-1976 per trattare la contraddizione con la borghesia nazionale che avrebbero portato nel 1976 al colpo di stato vittorioso dei revisionisti moderni e all’inizio del regresso della RPC verso il capitalismo (regresso tuttavia iniziato già dal 1956 in URSS dove la “influenza perniciosa” del Maoismo era esclusa)? Perché essi non accettano il fatto che la borghesia continua ad esistere e continuerà ad esistere durante tutta l’epoca storica del socialismo, anche dopo l’eliminazione completa della proprietà privata capitalista dei mezzi di produzione. La possibilità di restaurazione (di ritorno al capitalismo) non deriva dalla sopravvivenza della vecchia borghesia, quella che c’era al momento della conquista del potere da parte del proletariato. Essa era completamente espropriata sia in URSS nel 1956 sia nella RPC nel 1976 ed era priva sia in URSS sia nella RPC dell’influenza sociale necessaria per prendere il potere. La possibilità di un regresso graduale al capitalismo è legata alla borghesia specifica della fase socialista ed è connessa ai rapporti di produzione propri della fase socialista della società, ben analizzati dalla sinistra del PCC sotto la direzione di Mao durante la Rivoluzione Culturale.(12) Il socialismo è socialismo, e non ancora comunismo ma non più capitalismo, proprio perché nella società socialista elementi di capitalismo sussistono in lotta con elementi di  comunismo. Per questo è una società di transizione. Per questo può avanzare verso il comunismo o regredire al capitalismo. Un processo che proprio Mao ha ben messo in luce e spiegato e che Nicola P. espone chiaramente nel punto 3 della seconda parte del suo articolo L’ottava discriminante a cui rimando.(13) I dogmatici invece riducono la restaurazione del capitalismo in Unione Sovietica ad un miracolo del complotto e del tradimento di individui (Kruscev, Breznev o il “giuda Gorbaciov”) e delle trame degli imperialisti, come in generale attribuiscono il crollo del campo socialista nel 1989-1991 a un miracolo della Madonna di Fatima di Woityla e alla Guerra all’Impero del Male di Ronald Reagan.

 

13. Si veda anche Marco Martinengo, Critica a “Per una discussione sull’esperienza della costruzione del socialismo”, in Rapporti Sociali n. 22.

 

 

5.

Infine Scintilla, al pari di tutti i dogmatici, ripete la calunnia, messa in circolazione da Enver Hoxha, che Mao sarebbe l’autore della reazionaria “teoria dei tre mondi” con cui gli avversari di Mao, quelli che Mao aveva ripetutamente denunciato come portavoce della nuova borghesia cinese, Teng Hsiao-ping e i revisionisti cinesi, giustificarono la loro collaborazione con gli imperialisti europei ed americani contro i revisionisti sovietici e i loro seguaci. La falsità di questa paternità è stata dimostrata da numerosi autori. Cito tra gli altri l’articolo di Natale Bentivegna, Lotta al revisionismo e unità dei Marxisti-Leninisti: il dibattito sul ruolo di Enver Hoxha, pubblicato in una rivista che i redattori di Scintilla certamente conoscono: Teoria & Prassi, rivista del Circolo Lenin, n. 1 Catania, gennaio 2000. Perché allora ripetono vecchie e già smentite calunnie? Perché il dogmatismo incancrenito può portare passo dopo passo a denigrare il movimento comunista per difendere i propri schemi.

 

 

6.

Ma la questione del Maoismo come terza e superiore tappa del pensiero comunista non è una questione che si può risolvere unicamente e neanche principalmente “analizzando i testi” e mostrando l’inconsistenza delle argomentazioni dei suoi avversari. Si può risolvere in definitiva solo procedendo nel definire i fondamenti teorici del nuovo partito. Al proposito ben dice Scintilla: “Essere i partigiani dell’ortodossia rivoluzionaria, essere intransigenti sui principi non significa però - come ritiene qualche Marxista d’accatto - considerare immutabile, “data una volta per sempre” la teoria rivoluzionaria, chiudersi al dibattito, rifiutare ogni critica, difetti in cui si manifesta non solo il dogmatismo ma anche l’opportunismo. Il Marxismo-Leninismo è la scienza della rivoluzione socialista del proletariato e delle masse oppresse, la scienza delle leggi di sviluppo della natura e della società. Come tale ha la necessità di arricchirsi, di perfezionarsi, di svilupparsi alla luce dei cambiamenti che avvengono nelle condizioni di sviluppo della società, dei progressi delle altre scienze, delle nuove conoscenze. Per questo non può rimanere immobile, ma al contrario le sue conclusioni, le sue formule devono mutare, devono essere sostituite con altre conclusioni e formule adeguate ai nuovi compiti, se non vogliono divenire articoli di fede inutilizzabili”. Giustissimo! Il guaio è che Scintilla da quando esiste continua a ripetere queste sacrosante tesi e a compilare liste di affermazioni tratte dai manuali del Marxismo-Leninismo (e che noi condividiamo), ma non ha ancora avanzato, che io sappia, alcuno degli arricchimenti, perfezionamenti o sviluppi cui accenna, né è mai intervenuta in modo argomentato in merito a quelli enunciati da altri. Ritengo che sia perfettamente adatta alla situazione l’osservazione che fa Nicola P. nell’articolo già citato pubblicato in La Voce: “È probabile che le perplessità di alcuni lettori non siano tutte sciolte dalle argomentazioni svolte in questo articolo. Ciò è comprensibile. Il valore di una concezione in definitiva lo si verifica mettendola alla prova della pratica, applicandola. (...) Invito quindi i lettori a ‘fare la prova della pratica’ e rispondere essi stessi alle seguenti tre domande. 1. Come mai in una certa fase il  revisionismo moderno ha preso la direzione di quasi tutti i partiti comunisti creati dalla prima Internazionale Comunista e li ha corrosi fino a trasformarli nel loro contrario (in promotori della restaurazione pacifica e graduale del capitalismo) e a distruggerli? 2. Quali sono stati i limiti della sinistra di questi partiti comunisti per cui essa non è riuscita a impedire il successo del revisionismo moderno? 3. Quali sono i principali insegnamenti che essi traggono dall’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria e di cui dobbiamo far tesoro nella ricostruzione dei partiti comunisti e nella preparazione, promozione e direzione della seconda ondata della rivoluzione proletaria? Chi cercherà di rispondere a queste tre domande, ed è evidente che chiunque vuole avere un ruolo d’avanguardia nella ricostruzione del partito comunista deve rispondervi, troverà nel Maoismo la guida per arrivare a risposte feconde. E con ciò verificherà che il Maoismo è la terza superiore tappa del pensiero comunista.”

Marco Martinengo

 

 

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