CELEBRIAMO IL 50° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI GIUSEPPE STALIN, GUIDA DEL PROCESSO DI COSTRUZIONE DEL SOCIALISMO E DELLA RESISTENZA VITTORIOSA CONTRO LA GUERRA IMPERIALISTA E IL NAZIFASCISMO
Il 50° anniversario della morte di Stalin e l’esperienza dei primi paesi socialisti
(prima parte - dall’opuscolo I primi paesi socialisti di Marco Martinengo)

Rapporti Sociali 33 - aprile 2003   (versione Open Office / versione MSWord)

 

Schema dell’articolo

 

1. Studiare l’esperienza storica dei primi paesi socialisti, prima della biografia di Stalin (concezione marxista e concezione borghese della storia).

2. Non l’esperienza storica dei primi paesi socialisti, ma l’esperienza della società borghese ha dimostrato che l’avvento della società comunista è inevitabile.

3. Breve schizzo della formazione, ascesa e declino dei primi paesi socialisti.

4. Il ruolo storico dei primi paesi socialisti.

5. I primi paesi socialisti hanno dimostrato che la borghesia non è in grado di vincere un paese socialista aggredendolo o assediandolo (cioè dall’esterno).

6. Ciò che rese impossibile alla borghesia di vincere un paese socialista fu l’unità tra la linea di trasformazione comunista della società e il sistema di direzione messo in vigore dai partiti comunisti.

7. Quel sistema di direzione fu efficace solo perché e finché attuò una linea di trasformazione comunista della società.

8. Perché e come i primi paesi socialisti presero la via del logoramento che li ha condotti al crollo.

 

1.

Dobbiamo approfittare del 50° anniversario della morte di Stalin (5 marzo 1953) per studiare l’esperienza dei primi paesi socialisti e farla conoscere.

I borghesi e quanti per la loro concezione del mondo restano nell’ambito dell’influenza della borghesia, se si occuperanno di questo anniversario, discuteranno dell’individuo Stalin (1879-1953), delle sue caratteristiche e del suo ruolo nella storia. La borghesia per sua natura ha una concezione della storia fortemente individualista. Essa, anche se ha riconosciuto che la storia degli uomini non la fa Dio, resta ferma alla convinzione che nel bene e nel male la facciano i grandi personaggi. Per essa i primi paesi socialisti sono una creazione dei grandi personaggi che li diressero. La maggior parte dei borghesi che si occuperanno dell’anniversario, ritireranno quindi fuori dagli armadi discorsi più o meno elaborati sui “crimini di Stalin e dello stalinismo”. È inevitabile che sia così. Effettivamente per i borghesi per decenni Stalin ha personificato l’incubo della fine dei loro valori e dei loro privilegi, l’incubo che i primi paesi socialisti hanno fatto per decenni gravare sulla loro esistenza. Quelli che si vorranno distinguere, concederanno che l’uomo aveva anche delle qualità. Quelli che vorranno far colpo sui frequentatori dei loro salotti sosterranno che fu un uomo di grandi qualità. Sono tutti discorsi che non ci interessano. Essi hanno un comune obiettivo politico: denigrare l’esperienza dei primi paesi socialisti o almeno distrarre l’attenzione da quella esperienza che oggi è invece di grande importanza per la storia futura dell’umanità. Di più: è una grande e attuale fonte di insegnamento per i compiti che ci aspettano in questa fase di rinascita del movimento comunista.

La concezione marxista della storia, che è la nostra, ovviamente riconosce che vi sono differenze tra i ruoli svolti dai singoli individui nella vita sociale e nella storia. E Stalin ha avuto un grande ruolo nell’esperienza dei primi paesi socialisti.(1) Egli ha diretto per circa 30 anni il partito comunista del primo e più importante paese socialista, l’Unione Sovietica. Ha impersonato da un angolo all’altro del mondo le speranze, le passioni e le iniziative che questo paese ha suscitato e alimentato nelle classi e nei popoli oppressi lungo gran parte del secolo passato. Per decenni “fare come la Russia” fu la luce che illuminava la vita di milioni di uomini e donne oppressi e la minaccia che turbava la vita dei  borghesi, dei nobili, del clero e dei ricchi in generale. Ma è possibile individuare giustamente i differenti ruoli degli individui, anche dei più importanti, solo sulla base della comprensione delle caratteristiche del movimento sociale in cui essi hanno operato. Lo stesso individuo con le stesse caratteristiche personali se, per ipotesi, compie le stesse azioni in contesti e circostanze sociali diversi, dà luogo di fatto a fenomeni assolutamente diversi, che possono addirittura essere opposti. Consideriamo un uomo tutto slancio e animosità: in battaglia può essere un soldato apprezzato; ritornato alla vita civile rischia di non riuscire a integrarsi nella società. Consideriamo un operaio appassionato del proprio lavoro: nella società capitalista rischia di essere strumentalizzato dal padrone e restio a partecipare alla lotta di classe; nel socialismo ha molte probabilità di diventare un elemento d’avanguardia.

Non a caso da quando è entrata nella fase imperialista la borghesia rifugge dall’esaminare il contesto sociale concreto e trovare nella loro relazione con esso il significato delle azioni degli individui: perché se ci chiediamo che ruolo hanno avuto nel risolvere i problemi fondamentali della loro epoca, emerge il ruolo negativo anche dei suoi esponenti più celebrati nell’attuale fase imperialista. Se invece si costruisce la storia con la concezione borghese, il campo resta aperto a ogni truffa e a ogni fantasia. Improvvisamente a fine gennaio di quest’anno a noi italiani hanno detto che abbiamo avuto per anni tra noi un genio e un santo, un “avvocato dei lavoratori”: il Giovanni Agnelli che gli operai italiani avevano subito per anni nella veste di sfruttatore. E Gabriel Nissim, ideatore dell’iniziativa sionista del “Giardino dei Giusti di tutto il mondo”, teorizza: “Non importa che uno sia fascista, comunista o fondamentalista: l’importante è che sappia riconoscere il male e scegliere l’uomo”. Resta misterioso cosa sia quest’uomo che un fascista e un comunista entrambi egualmente riconoscerebbero, finché non si pone la frase di Nissim in relazione con il suo contesto. Allora essa diventa la tesi razzista che l’uomo è l’ebreo perseguitato e che va bene anche essere fascisti a condizione di aiutare gli ebrei, che per Nissim sono ancora il “popolo eletto”.

Non dobbiamo farci distogliere dall’esperienza storica dei primi paesi socialisti, a favore di discorsi (denigratori o elogiativi che siano) sulle caratteristiche personali di Stalin. Solo studiandoli nel loro concreto contesto storico potremo individuare i meriti e gli errori di dirigenti comunisti che, come Stalin, hanno diretto quella grande e titanica impresa di cui parleremo nel seguito. In questa fase poi, per chi vuole essere comunista, è particolarmente importante e urgente conoscere, studiare e capire l’esperienza storica dei primi paesi socialisti. Di fronte al marasma economico, politico e culturale in cui ha sprofondato il mondo, la classe dominante e gli individui al suo servizio o comunque succubi della sua influenza ideologica obiettano che “comunque non è possibile un mondo diverso”, che “comunque non è possibile un ordinamento sociale diverso” e cercano di indurre alla rassegnazione e alla disperazione o al massimo a cercare di contenere gli eccessi e di rabberciare qua e là le falle più intollerabili della società attuale. I borghesi più progressisti arrivano a predicare e praticare l’elemosina e la beneficenza: riconoscono che anche i proletari hanno diritto a mangiare a sazietà. I più audaci, arrivano a esortare gli esponenti della classe dominante a “creare un fondo internazionale per porre fine alla fame e alla miseria”! I borghesi combinano l’oblio e la denigrazione dei primi paesi socialisti per impedire che si diffonda la coscienza che un mondo diverso, un ordinamento sociale diverso non solo è possibile, ma ha già mosso i primi passi, ha dato le prime prove di sé nei primi paesi socialisti costruiti dalla prima ondata della rivoluzione proletaria nella prima metà del secolo appena finito.

Perché la borghesia e i suoi seguaci trattano i primi paesi socialisti come la pecora nera della storia dell’umanità? Noi siamo immersi da quasi 30 anni nella seconda crisi generale del capitalismo. La classe dominante, la borghesia imperialista, ha grande interesse a nascondere o denigrare l’esperienza di quei paesi che sorsero come via di uscita alla prima crisi generale del capitalismo (1910-1945) e che sottrassero per alcuni decenni al dominio della borghesia imperialista fino a un terzo dell’umanità. È altrettanto evidente il nostro interesse e l’interesse di tutti quanti cercano una via d’uscita dall’attuale marasma della seconda crisi generale del capitalismo a studiare con cura quell’esperienza.

 

 2.

La comprensione che la società borghese lascerà prima o poi il posto alla società comunista non è derivata dalla comparsa e dalle prestazioni offerte dai primi paesi socialisti. Quella coscienza era precedente all’instaurazione dei primi paesi socialisti. Aveva preceduto di settant’anni la rivoluzione d’Ottobre (1917) che segnò l’inizio dell’instaurazione del primo dei paesi socialisti, l’Unione Sovietica, su gran parte del territorio su cui fin allora si era esteso l’impero degli zar di Russia. Che la società comunista avrebbe prima o poi inevitabilmente sostituito la società borghese è una scoperta fatta da Marx ed Engels nella prima metà del secolo XIX, circa 150 anni fa, sulla base dello studio dell’evoluzione della società borghese e di ciò che essa rappresentava nella storia dell’umanità. Nel Manifesto del partito comunista (1848) essi annunciano e spiegano questa scoperta. Gli uomini hanno oramai costruito forze produttive materiali e intellettuali sufficienti per non essere più costretti a vivere nella precarietà e a spendere gran parte della loro vita per tentare di strappare alla natura quanto necessario a vivere. Le forze produttive che consentono questo passaggio storico hanno carattere collettivo. Questi due fattori, che gli uomini hanno creato e continuamente incrementano proprio sotto la direzione della borghesia stessa, rendono possibile e necessario l’avvento della società comunista. Con la precisione e la sicurezza con cui di fronte a una donna incinta si può indicare che prima o poi nascerà un nuovo uomo, senza aspettare che esso sia effettivamente nato e a prescindere dal come e dal quando del parto e dalle accidentalità della sua futura vita. L’evoluzione che la società borghese e l’umanità nel suo complesso hanno compiuto nei 150 anni trascorsi da quando Marx ed Engels fecero questa scoperta, l’ha pienamente confermata. Noi oggi siamo in grado di misurare i passi compiuti dall’umanità verso quel parto, quella trasformazione, anche se non siamo ancora in grado di stabilire quando e in quali forme essa si completerà. Perché si tratta di una creazione che gli uomini, più in particolare gli operai e le masse popolari sotto la loro direzione, compiranno liberamente: cioè provando, correggendo e riprovando, come è avvenuto per tutte le grandi trasformazioni storiche che gli uomini hanno compiuto nei 5 mila anni della loro vita che noi conosciamo. Non esiste né un Dio né un genio che sa già tutto e ci guida: quindi questo parto può avvenire solo con l’intervento attivo e mirato delle grandi masse mobilitate, organizzate e dirette dai partiti comunisti: “la violenza è l’ostetrica della storia”. Ma questo è un discorso diverso da quello che vogliamo ora fare. Noi vogliamo ora occuparci invece proprio 1. delle forme che hanno avuto i primi paesi socialisti, 2. degli insegnamenti che hanno dato a quelli che oggi lottano contro la borghesia imperialista e contro le altre forze conservatrici e reazionarie.

Per ricavare dall’esperienza dei primi paesi socialisti gli insegnamenti che essa contiene bisogna però valutare i paesi socialisti con le categorie che sono loro proprie. Bisogna considerarli una formazione economico-sociale nuova comparsa nella storia e lo studioso deve scoprire le sue categorie e le sue contraddizioni specifiche. Se dobbiamo studiare una nuova specie animale, approderemo a poco se ci limitiamo a eguagliarla a un’altra che già conosciamo. Bisogna in particolare evitare di “misurare i paesi socialisti col metro dei paesi capitalisti”. Chi persiste nel farlo e cerca di assimilare il sistema economico-sociale dei primi paesi socialisti o al capitalismo di Stato o al dispotismo asiatico o a qualche altra formazione economico-sociale del passato, si mette in una posizione analoga a quella di quegli esponenti del mondo feudale che per secoli, lungo tutto il periodo dell’affermazione del modo di produzione capitalista e della società borghese, persistettero a valutare la nuova società che stava sorgendo con il metro della vecchia. Oggi balza all’occhio che nei loro giudizi sui borghesi, sulle loro attività, sui loro costumi, sul loro carattere l’insipienza degli autori è almeno pari al disprezzo e alla condanna del nuovo mondo di cui traboccano.

I primi paesi socialisti sono stati il primo tentativo pratico e su grande scala compiuto dalla moderna classe operaia di guidare l’insieme dei lavoratori fino ad allora sfruttati e oppressi ad abbandonare la propria condizione servile e le concezioni e abitudini ad essa connesse, frutto di una storia millenaria di divisione in classi, a creare relazioni sociali e concezioni basate sull’associazione dei lavoratori che attuano in misura crescente il dominio degli stessi lavoratori associati sulla propria attività e su se stessi marciando così passo dopo passo verso la società comunista. Chi non è  convinto che questo è il compito storico cui attesero i primi paesi socialisti, è inutile che studi la loro esperienza: deve studiare meglio l’esperienza dei paesi capitalisti fino a capire dove porta il movimento delle loro specifiche contraddizioni. Chi ha chiaro il compito storico dei paesi socialisti, per cogliere gli insegnamenti dell’esperienza dei primi di essi, deve chiedersi: fino a che punto sono arrivati i primi paesi socialisti nel realizzare quel loro compito prima di invertire la direzione di marcia? Come, attraverso quali misure, istituti e movimenti, ci sono arrivati?

 

***** Manchette

 

“Al posto della vecchia società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi di classe subentra un’associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti”

 

(Marx-Engels, Manifesto del partito comunista, 1848)

 

*****

 

3.

Il primo paese socialista, l’Unione Sovietica, venne costituito durante la prima guerra interimperialista (1914-1918). La seconda guerra interimperialista (1939-1945) portò alla creazione delle 8 democrazie popolari dell’Europa Orientale (Albania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Polonia, Repubblica Democratica Tedesca, Romania, Ungheria), della Repubblica Popolare della Mongolia (1924) e di quella della Corea del Nord. Nel 1949 venne costituita la Repubblica Popolare Cinese. Nei 25 anni successivi vennero costituiti paesi socialisti a Cuba, nel Vietnam, nel Laos e nella Cambogia. Nel massimo della loro estensione i primi paesi socialisti compresero un terzo dell’umanità. A metà degli anni ‘50 nell’Unione Sovietica e nelle democrazie popolari dell’Europa Orientale incominciò la restaurazione graduale e pacifica del capitalismo che proseguì fino all’implosione e al crollo a cavallo del 1990.(2) La RPC con il colpo di Stato del 1976 contro la “banda dei quattro”, sanzionato dalla Risoluzione sulla storia del Partito comunista cinese (1949-1981) approvata il 27 giugno 1981, entrò a sua volta nella fase della restaurazione graduale e pacifica del capitalismo (che è in corso tuttora in forme per alcuni aspetti diverse da quelle seguite in URSS: si è già formato un settore dell’economia in cui vigono la proprietà privata dei mezzi di produzione e la compravendita della forza-lavoro). La svolta politica fatta alla fine degli anni ‘70 ha comunque liquidato il ruolo della RPC e del PCC nel movimento comunista internazionale, ha già distrutto molte delle conquiste compiute dalle masse popolari e dagli operai cinesi, ha rafforzato fortemente la borghesia e ha fatto sorgere gravi contraddizioni nazionali che minano già oggi il regime politico della Repubblica Popolare Cinese. Per la sua vita economica la RPC oggi è legata in modo sostanziale agli investimenti diretti e finanziari dei gruppi imperialisti internazionali e alle esportazioni in particolare negli USA: nel 2002 la bilancia commerciale con gli USA ha raggiunto un avanzo a favore della RPC di circa 100 miliardi di dollari a fronte, nello stesso anno, di un Prodotto Interno Lordo della RPC di circa 2.000 miliardi di dollari. Quindi la RPC dipende dal sistema imperialista mondiale più di quanto ne dipendesse l’Unione Sovietica nell’epoca di Breznev (1964-1982).

Quanto agli altri paesi dell’ex campo socialista, i partiti comunisti che dirigono a Cuba, nella Corea del Nord, nel Vietnam e nel Laos proclamano tuttora di seguire una linea socialista. Le relazioni esistenti attualmente tra partiti e organizzazioni del movimento comunista internazionale sono poche e superficiali e le nostre forze attuali ancora deboli: noi non siamo quindi in grado di conoscere a sufficienza l’orientamento che essi effettivamente seguono. Di nessuno di questi paesi conosciamo qual è, secondo i rispettivi partiti comunisti, la composizione di classe e a che punto e in quale fase è, secondo essi, la lotta di classe. Certamente però l’influenza revisionista che hanno subito nel passato ha prodotto in essi confusione e disorientamento ideologici e non ci risulta che abbiano superato i limiti che hanno permesso ai  revisionisti di prevalere in tutto il vecchio movimento comunista. Dopo il crollo del campo socialista nel 1989-91 essi hanno dovuto far fronte con forze estremamente ridotte non solo alla lotta di classe all’interno, ma anche a una situazione internazionale molto sfavorevole. Per far fronte alle difficoltà essi hanno fatto e fanno in molti campi concessioni alla borghesia interna e al capitale internazionale che possono essere arretramenti momentanei necessari per guadagnare tempo, ma che contemporaneamente hanno un’influenza disgregatrice su una parte dei membri del partito, soprattutto sui suoi elementi non operai, rafforzano i fautori della restaurazione del capitalismo e indeboliscono la resistenza del paese all’imperialismo. Tutto questo fa sì che essi attualmente non svolgono nella rinascita del movimento comunista in corso a livello mondiale un ruolo d’avanguardia tale che sia per noi indispensabile o urgente conoscere e comprendere il loro orientamento e la loro attività. Noi tuttavia salutiamo e nei limiti delle nostre forze appoggiamo la loro resistenza di fronte agli sforzi compiuti dai gruppi imperialisti, in particolare dai gruppi imperialisti USA, per promuovere in essi la controrivoluzione, eliminare le conquiste socialiste, sottometterli al loro dominio e distruggerli. Con la loro resistenza essi contribuiscono alla rinascita del movimento comunista.

Da questo breve schizzo risulta che il ruolo dei primi paesi socialisti come diretti protagonisti d’avanguardia del movimento comunista a livello mondiale si è sostanzialmente esaurito. Il crollo del campo socialista ha influito negativamente sulla lotta tra le due vie, le due classi e le due linee ovunque nel mondo. Esso ha riportato indietro l’orologio della storia e ci costringe a percorrere nuovamente una parte del cammino che già avevamo percorso. Lo ripercorreremo però in condizioni in parte diverse e ricchi dell’esperienza dei primi paesi socialisti. Per noi oggi si tratta principalmente di capire gli insegnamenti della grande e storica esperienza dei primi paesi socialisti per usarli nella rinascita del movimento comunista che è in corso e nella seconda ondata della rivoluzione proletaria che si avvicina man mano che progrediscono la seconda crisi generale del capitalismo e la connessa situazione rivoluzionaria in sviluppo.

 

4.

Quale fu il ruolo dei primi paesi socialisti nella storia? I primi paesi socialisti non crearono la società comunista né potevano farlo. Essi hanno percorso una parte del cammino che porta dalla società capitalista alla società comunista.

Per sua natura la società comunista sarà internazionale, estesa a tutto il mondo. I primi paesi socialisti invece arrivarono a coprire solo un terzo dell’umanità e non arrivarono neanche a fondersi tutti tra loro. Ma in molti campi hanno creato forme nuove di collaborazione internazionale.

Per sua natura nella società comunista gli uomini e le donne non saranno più divisi in classi. Nei primi paesi socialisti invece sopravvisse la divisione in classi né poteva essere diversamente. Il marxismo aveva già spiegato che la divisione in classi era stata una condizione necessaria allo sviluppo della civiltà umana e che è impossibile abolirla con un atto di forza: la si supera e si estingue man mano che i lavoratori si organizzano e, organizzati, si governano da soli. Nella fase socialista i comunisti conducono i lavoratori a imparare a farlo.

Per sua natura nella società comunista non esisterà più né Stato né politica, intesa questa come gestione degli affari pubblici riservata a una minoranza di persone che si concretizza nello Stato, organo distinto dal resto della società che detiene il monopolio della violenza con cui impone quella gestione e mantiene un ordine pubblico adatto e conforme ad essa. Ognuno dei primi paesi socialisti invece fu ancora governato da uno Stato, sia pure, come vedremo, di tipo particolare.

La società comunista sorgerà solo come risultato e conclusione di un periodo storico di transizione nel corso del quale gradualmente e per salti la divisione della popolazione in classi, la politica e lo Stato saranno superati, le nazioni si fonderanno, scompariranno non solo la proprietà privata delle forze produttive, ma anche le molteplici divisioni di ruolo sociale tra lavoratori intellettuali e lavoratori manuali, tra dirigenti ed esecutori, tra i sessi, tra città e campagna, tra  settori, zone e popoli avanzati e settori, zone e popoli arretrati e gli individui disporranno dei beni e dei servizi necessari alla loro vita secondo i loro bisogni. Ciò avverrà man mano che le forze materiali e spirituali degli uomini e delle donne si svilupperanno fino a raggiungere una condizione in cui ogni individuo contribuirà alla produzione e alle altre funzioni della vita sociale secondo le sue forze e capacità e riceverà dalla società quanto gli occorre, secondo i suoi bisogni. Una condizione dalla quale i primi paesi socialisti erano ancora lontani quando incominciò il loro viaggio a ritroso verso il capitalismo, la fase di indebolimento e corrosione: nel 1956 per quanto riguarda l’URSS e i paesi socialisti dell’Europa Orientale, nel 1976 per quanto riguarda la Repubblica Popolare Cinese.(3) I paesi socialisti riuscirono, nel periodo del loro sviluppo, ad accrescere enormemente le forze produttive materiali e intellettuali. Tuttavia essi rimasero lontano dal livello che è stato raggiunto solo ora all’inizio del secolo XXI, quando le forze produttive sono arrivate al punto che la quantità di beni e servizi prodotti è oramai limitata principalmente dai rapporti di produzione e non più dalla limitata potenza delle forze produttive di cui gli uomini dispongono e dalle limitate risorse naturali.

Tutti i primi paesi socialisti, nella fase del loro sviluppo, dovettero invece principalmente affrontare il compito di aumentare la produzione con le forze produttive già esistenti. Il cibo e gli altri beni di consumo erano ancora prodotti in misura insufficiente per soddisfare i bisogni di ogni persona. Nel contempo, essendosi il socialismo instaurato in paesi arretrati ed esposti al boicottaggio e all’aggressione dei paesi imperialisti, i primi paesi socialisti dovettero accumulare autonomamente nuove forze produttive: le strutture, i macchinari, le conoscenze e l’esperienza necessarie per incrementare la produzione. Quindi la gestione delle aziende produttive agricole, industriali e di servizi esistenti e la costruzione di nuove aziende produttive fu il principale compito sociale nei primi paesi socialisti, quando non furono costretti a distogliere forze e risorse per difendersi dalle aggressioni della borghesia imperialista. La lotta contro la natura per strappare di che vivere restò in tutti i primi paesi socialisti la principale attività umana. Le unità produttive dei beni essenziali e dei mezzi di produzione restarono le principali istituzioni pubbliche e fu attorno ad esse che vennero organizzate con una concezione unitaria tutte le altre attività e istituzioni: il consumo, le abitazioni, l’istruzione, l’educazione dei bambini, l’attività culturale, ecc. Essi vissero tutto il periodo del loro sviluppo (fino alla metà degli anni ‘50 per l’URSS e i paesi dell’Europa Orientale e fino alla fine degli anni ‘70 per la RPC) all’insegna della necessità dettata dall’arretratezza economica e culturale delle posizioni di partenza e dall’aggressione calda o fredda e dal boicottaggio della borghesia imperialista a cui dovettero costantemente far fronte. Da questo punto di vista l’esperienza dei primi paesi socialisti fu fortemente influenzata dal fatto che la classe operaia durante la prima ondata della rivoluzione proletaria (1910-1945) non arrivò a conquistare il potere nei più progrediti paesi imperialisti. I partiti comunisti dei paesi socialisti attuavano il più avanzato programma di trasformazione sociale prodotto dal movimento della classe operaia a livello mondiale, ma lo attuavano a partire dalle condizioni di paesi capitalisti ancora arretrati.

Che la conquista del potere da parte degli operai diretti dal loro partito comunista non bastasse a instaurare una società comunista, non è una cosa che abbiamo visto dopo la Rivoluzione d’Ottobre del 1917. Era una cosa indicata chiaramente da Marx almeno a partire dal 1875 (Critica al Programma di Gotha). I primi paesi socialisti hanno solo dimostrato per primi e su grande scala che è possibile andare dal capitalismo al comunismo in modo consapevole e mirato, in contrapposizione alla marcia disordinata, tormentosa e cosparsa di distruzioni che gran parte dell’umanità sta ancora compiendo. Essi hanno indicato e sperimentato una strada più avanzata di quella su cui procediamo ancora oggi. Il declino e il crollo dei primi paesi socialisti non tolgono nulla al valore della dimostrazione che essi hanno dato. Essi ci hanno indicato la strada su cui l’umanità dovrà mettersi nei prossimi anni per uscire dall’attuale crisi del capitalismo.

 

5.

Di fronte al declino e al crollo 12 anni fa dell’URSS e delle democrazie popolari dell’Europa Orientale, avviene qualcosa di simile a quello che avvenne dopo la sconfitta del primo tentativo di instaurare un paese socialista, cioè dopo  la sconfitta della Comune di Parigi del 1871, 130 anni fa. I reazionari e i conservatori, dalla borghesia al clero, si diedero a proclamare la morte definitiva del comunismo e, contraddittoriamente, a dare la caccia ai comunisti. I comunisti (citiamo in particolare Marx, Engels e Lenin) studiarono invece l’esperienza della Comune di Parigi per capire cosa aveva insegnato quel fenomeno nuovo della storia. Essi compresero come mai la borghesia era riuscita a soffocarla nel sangue di svariate decine di migliaia di operai e rivoluzionari di Parigi o accorsi a Parigi a sostenere la Comune. Il risultato di quello studio aiutò, nel giro di alcuni decenni, a instaurare i primi paesi socialisti che nessuno sforzo della borghesia riuscì più a soffocare.(4) E questo benché il socialismo fosse stato instaurato in paesi economicamente e culturalmente arretrati dove la società borghese e le sue forze produttive erano ancora poco sviluppate e benché i primi paesi socialisti abbiano dovuto fare i conti con la forte presenza di elementi di economia patriarcale e di piccola produzione mercantile e di rapporti di dipendenza personale di tipo ancora feudale;(5) benché la borghesia rimasta al potere nei paesi più progrediti e più ricchi del mondo mettesse in opera contro i primi paesi socialisti tutti i mezzi di cui disponeva e ne inventasse di nuovi: dall’aggressione militare, alla collaborazione con le forze reazionarie interne, al blocco economico, alla messa a punto di nuove armi, tecniche e strategie di guerra, al sabotaggio e all’isolamento. “Soffocare il bambino ancora nella culla”: così W. Churchill (1874-1965) sintetizzò nel 1918 la politica che la borghesia imperialista di tutto il mondo avrebbe seguito contro i primi paesi socialisti.

I primi paesi socialisti non sono stati vinti dall’aggressione della borghesia imperialista cui essi anzi resistettero vittoriosamente ogni volta che furono aggrediti. Essi sono crollati solo a seguito di un periodo relativamente lungo di decadenza dovuta a fattori interni. Quando caddero, allora sia gli imperialisti USA sia il Vaticano, che da sempre cospiravano e lottavano per abbatterli, rivendicarono ognuno per sé il merito di averli distrutti: gli uni con la loro “guerra contro l’impero del male”, l’altro grazie ai suoi rapporti con la Madonna di Fatima. Ma in realtà i primi paesi socialisti caddero solo a causa dell’inversione operata al loro interno della direzione di marcia seguita nella loro costruzione e nel loro sviluppo: un rovesciamento che ebbe cause precise (il prevalere della corrente dei revisionisti moderni nella direzione dei partiti comunisti) e ha date precise: nella seconda metà del secolo scorso a partire dal 1956 con il 20° congresso del PCUS. Ma ci vollero decine di anni di logoramento e di corruzione del loro tessuto sociale, prima che i paesi socialisti crollassero, tanto essi erano intimamente forti. Ci sono voluti più di 30 anni di logorio interno prima che l’Unione Sovietica crollasse nel 1991. E benché i primi paesi socialisti siano crollati, è impossibile comprendere il mondo di oggi senza tener conto del ruolo svolto dai primi paesi socialisti. Essi hanno lasciato nel mondo attuale una traccia indelebile della loro esistenza. Essi hanno cambiato la “costituzione materiale” del mondo in modo irreversibile. La loro esistenza ha influito sui rapporti di forza tra le classi in ogni paese. In ogni angolo del mondo gli operai e il resto dei lavoratori hanno strappato alla borghesia e alle altre classi reazionarie conquiste che prima della nascita dei paesi socialisti non erano neppure sognate. Le classi oppresse e in particolare la classe operaia hanno raggiunto in ogni parte del mondo un superiore livello culturale e organizzativo. Quanto poi ai paesi dove venne per la prima volta instaurato il socialismo, essi sono ancora oggi lontano dall’aver raggiunto la condizione di normali paesi borghesi e molti elementi inducono a ritenere che difficilmente la raggiungeranno mai. Probabilmente non la raggiungeranno neanche le regioni della ex Repubblica Democratica Tedesca nonostante siano state semplicemente inglobate nella Repubblica Federale Tedesca, uno dei maggiori paesi imperialisti. Comunque gli ex paesi socialisti costituiscono tuttora, a più di 12 anni dal crollo e di 45 anni dall’inversione di rotta, una categoria di paesi a sé, con problemi, conflitti, relazioni interne e internazionali, forme di sviluppo e prospettive specifici. La restaurazione del capitalismo ha cancellato l’opera della prima ondata della rivoluzione proletaria grossomodo solo come la Restaurazione del 1815 aveva cancellato l’opera della Rivoluzione Francese.

 

6.

 Cosa ha reso così forti i primi paesi socialisti? L’unità dialettica della linea di trasformazione della società promossa dai partiti comunisti (che abbiamo in sintesi indicato alla fine del punto 2) e del sistema di direzione che i partiti comunisti vi instaurarono per realizzarla. Vediamo ora in cosa consisteva quel sistema di direzione.

Il sistema di direzione di ognuno dei primi paesi socialisti ha avuto tratti specifici e particolari, legati alla storia, alla tradizione, alle caratteristiche, al grado di sviluppo del paese e al modo in cui si era svolta nel singolo paese la lotta per instaurare il socialismo. In ogni paese socialista il sistema di direzione ha subito molteplici trasformazioni nel corso degli anni. Vi sono stati tuttavia importanti tratti comuni a tutti i primi paesi socialisti, tratti che sono rimasti immutati lungo tutta la loro vita e che sono specifici della formazione economico-politica. Pur nella loro grande varietà, in tutti i primi paesi socialisti il sistema di direzione fu imperniato sul partito comunista e sulle organizzazioni di massa promosse dal partito, sul principio organizzativo del centralismo democratico e sulla linea di massa come principale metodo di direzione (anche se questa denominazione entrò nell’uso solo tardi, quando la sua teoria fu elaborata da Mao Tse-tung). La struttura di potere formata dal partito e dalle organizzazioni di massa era poi in ogni paese combinata in modo originale e mutevole con uno Stato inteso nel senso tradizionale del termine: organismo staccato dal resto della società e, almeno in ultima istanza, ancora depositario del monopolio della violenza.(6) Solo per semplicità e per maggiore concretezza di esposizione, nel seguito ci riferiremo principalmente all’Unione Sovietica che fu il primo paese socialista e anche quello dove la transizione è proceduta più profondamente e più a lungo (dal 1917 al 1956).

 

 

***** Manchette

 

Centralismo democratico

 

Il centralismo democratico è il principio direttivo della struttura organizzativa del partito comunista. Esso è caratterizzato da:

1. elettività di tutti gli organi dirigenti dal basso in alto;

2. obbligo di ogni organo di partito di rendere periodicamente conto della sua attività all’organizzazione che lo ha eletto e agli organi superiori;

3. severa disciplina di partito e subordinazione della minoranza alla maggioranza;

4. le decisioni degli organi superiori sono incondizionatamente obbligatorie per gli organi inferiori.

 

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Il rifiuto di prendere atto di questo particolare sistema di direzione e di studiarlo come una nuova e specifica forma storica di società politica è alla base delle incomprensioni che spesso si verificano anche nelle discussioni in buona fede sul carattere “democratico” dei primi paesi socialisti. I protagonisti di molte di queste discussioni in realtà conducono una discussione accademica sul tema se sono più “democratici” (e proprio l’indeterminatezza di questo termine rende la discussione accademica) i paesi borghesi o i primi paesi socialisti: in sostanza discutono se i primi paesi socialisti furono o no più democratici nel senso della democrazia borghese, ossia più vicini al modello ideale della democrazia borghese di quanto lo sono i paesi borghesi. Il libero sviluppo personale e la partecipazione della massa della popolazione, e in particolare degli operai, alla gestione degli affari pubblici in un paese socialista non si manifestano e non possono manifestarsi nelle forme in cui nella società borghese si attuano lo sviluppo personale e la partecipazione dei membri delle classi sfruttatrici alla politica. La democrazia proletaria o dittatura del proletariato non è l’estensione agli operai, l’apertura anche agli operai degli istituti e delle istituzioni politiche della società borghese. Questa apertura è un sogno dei gruppi riformisti. Gli istituti e le istituzioni della democrazia borghese rispecchiano le relazioni tra i membri della borghesia e sono adatti alle condizioni pratiche di vita della borghesia, sono la trasposizione nel campo politico delle forme e dei metodi delle relazioni d’affari che i borghesi hanno tra loro: non possono quindi essere estese ai proletari. Non a caso gran parte dei promotori dei primi movimenti politici dei proletari, all’inizio del secolo XIX,  erano anche loro borghesi, piccolo-borghesi o professionisti (insegnanti, avvocati, ecc.). Solo quando il movimento politico dei proletari raggiunse un livello tale da mantenere, formare e selezionare propri funzionari nacquero i partiti comunisti nel senso attuale dell’espressione. L’esclusione dei proletari dalle istituzioni e dagli istituti della democrazia borghese non è opera forzosa, volontaria, imposta artificiosamente. Al contrario essa è connaturata con i diversi ruoli delle classi nella “società civile”, nell’insieme di relazioni che si formano prima e indipendentemente dall’attività politica nei traffici della vita economica e culturale di ogni giorno ed è inseparabile dalla struttura di classe della società borghese. In essa i proletari, e con loro la massa della popolazione, non possono partecipare alla gestione degli affari pubblici e tanto meno avere un libero sviluppo personale al modo dei borghesi. Non sono gli scostamenti accidentali dalla democrazia borghese che si riscontrano nella pratica di ogni paese, non è la limitata attuazione nella pratica dei suoi principi e istituti che escludono da essa i proletari, ma proprio la sua natura, considerata a prescindere dalle particolarità e accidentalità che accompagnano ogni sua concreta manifestazione. La partecipazione dei proletari agli istituti e alle istituzioni della società borghese è incompatibile con la posizione che essi come classe occupano nella società. Quando attorno all’inizio del secolo XX la loro partecipazione alla vita politica della società borghese venne imposta per legge (con la formazione dei partiti socialisti accanto agli altri partiti con cui i vari gruppi della società borghese cercano di far prevalere i loro interessi e con l’estensione del diritto di voto a tutta o a gran parte della popolazione maschile), i borghesi parlarono della nascita con i “partiti di massa” della “società di massa” e gridarono: “Questa legalità ci uccide”. In effetti segnò la fine della democrazia borghese.

L’imposizione della partecipazione dei proletari alla politica ha sovvertito le istituzioni e gli istituti della vecchia democrazia borghese che si era affermata nella lotta contro la nobiltà, il clero, la monarchia assoluta e il loro monopolio dell’attività politica. Essa ha dato luogo o alla loro soppressione o alla loro trasformazione in “teatrino della politica” (per dirla con Berlusconi): alla compravendita di voti, alla trasformazione del dibattito politico pubblico in schermaglie teatrali, campagne pubblicitarie e truffe promosse dai maggiori centri finanziari, alla manipolazione sistematica e programmatica delle informazioni e dell’opinione pubblica con lo sviluppo di specifici strumenti, procedimenti, tecniche e scienze. I proletari avevano imposto la loro presenza nella politica come elettori: allora i capitalisti hanno riversato la loro forza sociale, misurata per ogni borghese dal capitale di cui dispone, nella conquista del consenso e dei voti delle masse popolari al loro indirizzo politico. Già prima il capitalista mobilitava per arricchirsi un numero di proletari proporzionato al capitale di cui disponeva: ora con lo stesso capitale mobilitò le masse popolari a favore degli indirizzi politici favorevoli ai suoi interessi e contro i suoi avversari. Più lo Stato era democratico nel senso borghese, cioè determinato dal voto degli elettori e libero da monopoli ereditari e di casta, maggiore era la libertà di disporne per il capitalista mobilitando con il suo capitale il consenso popolare a suo favore. Il massimo di venalità dello Stato e della politica venne infatti raggiunto nel paese più democratico nel senso borghese del termine: gli USA. Il voto e il consenso popolari divennero merci accaparrate da chi ha più soldi da gettare nel mercato elettorale, per assoldare demagoghi e per condizionare e manipolare l’opinione pubblica secondo i suoi particolari interessi e intendimenti. La borghesia dovette sviluppare e sviluppò su grande scala mezzi e manovre atti a portare “le masse ignoranti e istintive”, intese solo a “soddisfare appetiti e passioni bestiali”, “a una reale collaborazione con l’onore e con gli interessi dello Stato” (per dirla con W. Churchill). E di fronte alla forza politica che il numero organizzato conferiva ai partiti proletari, in un modo o nell’altro la “sicurezza nazionale” dovette diventare e divenne in tutti i paesi imperialisti il principale criterio di governo e ha sostituito l’intangibilità dei diritti politici e civili di ogni individuo che era stata la bandiera con cui la borghesia aveva combattuto contro i regimi feudali, contro la nobiltà e contro il clero. Lo stato borghese si assunse il compito di prevenire i reati politici anziché semplicemente punire chi se ne rendeva responsabile. La prevenzione dei reati e quindi il controllo degli individui e delle loro associazioni sono diventate le principali forme di politica interna e  internazionale: nella politica interna la controrivoluzione preventiva e nella politica internazionale la guerra preventiva sono diventate le linee politiche della borghesia che fino allora era stata democratica e pacifista.

I primi paesi socialisti dunque non adottarono e non potevano adottare lo stesso sistema di direzione dei paesi borghesi. Il sistema di direzione dei primi paesi socialisti si basò su proprie forme originali, adatte alla natura della nuova classe dominante (la classe operaia) e al suo compito storico: sulla premessa della proprietà pubblica almeno delle principali forze produttive, realizzare la massima e crescente partecipazione alla politica degli operai, degli altri semplici lavoratori, delle donne, dei giovani e in generale delle categorie che nella società borghese sono oppresse, sfruttate, discriminate, emarginate ed escluse e fare della loro crescente partecipazione il mezzo principale della trasformazione delle condizioni materiali e intellettuali della loro vita che le masse stesse operavano. Non si trattava di ottenere in un modo o nell’altro che una classe dominante concedesse questo o quello alle masse, che eliminasse le punte più estreme della loro miseria o desse loro almeno da mangiare (come predicavano i programmi utopistici dei riformisti). Si trattava di creare le condizioni per cui le masse stesse risolvessero a loro modo i loro problemi. La loro crescente partecipazione alla politica, comprensiva anzitutto della direzione e amministrazione della produzione e della distribuzione di quanto serviva a loro per vivere, arrivata ad un certo livello, avrebbe fatto scomparire la politica e lo Stato. La quantità si sarebbe tramutata in qualità.

Il tratto originale e innovativo del sistema di direzione dei primi paesi socialisti fu perciò una struttura di potere composta dal partito comunista, dalle sue organizzazioni di massa (sindacati, organizzazione dei giovani, delle donne, di categorie e ceti), dai collettivi di lavoro con le loro assemblee e i loro organi esecutivi, dalle assemblee di caseggiato, villaggio, quartiere, città, ecc. con i loro consigli di delegati revocabili (soviet) e i rispettivi organi esecutivi. In ogni paese socialista e fin dalla sua instaurazione questo sistema aveva un netto e dichiarato carattere di classe (alla testa vi era la classe operaia alleata e dirigente delle altre classi di lavoratori, mentre erano escluse le classi antisocialiste), si esercitava in tutti i campi (prendeva decisioni, le eseguiva ed esercitava compiti giudiziari, di polizia e militari), poneva il perseguimento della trasformazione socialista al di sopra di ogni norma giuridica, funzionava secondo il principio organizzativo del centralismo democratico e usava come principale metodo di direzione la linea di massa.

 

Sul partito comunista

L’esperienza della costituzione dei primi paesi socialisti e della loro seppur breve esistenza ha gettato nuova luce sulla natura e sul ruolo del partito comunista. Anche se si costituisce nella società borghese accanto agli altri partiti e, in determinate circostanze e per una certa fase, svolge per alcuni aspetti compiti analoghi a quelli degli altri partiti e partecipa alla lotta politica tipica della società borghese, il partito comunista non è un partito come gli altri partiti che nella società borghese lottano per accaparrarsi il potere. Il partito comunista è l’avanguardia organizzata della classe operaia. È l’organizzazione degli operai più avanzati, più autorevoli, più generosi, più energici, più capaci di assimilare la concezione materialista dialettica del mondo e di usarla come strumento per dirigere la propria classe affinché a sua volta trascini tutte le masse popolari sia a togliere il potere alla borghesia imperialista sia a prendere esse stesse in mano la gestione di tutti gli aspetti della loro vita. A differenza degli altri partiti, esso non cerca il potere per sé, non chiede una delega a governare. Esso mobilita, organizza ed educa la classe operaia perché essa governi e la guida a mobilitare il resto delle masse popolari perché esse si liberino da ogni tutela e dalle vecchie inibizioni e concezioni. Che il partito comunista dovesse avere questa particolare natura era risultato evidente già nel periodo della lotta per la conquista del potere. L’esperienza dei primi paesi socialisti ha non solo confermato che questa deve essere la natura del partito comunista, ma ha portato a una maggiore comprensione della sua natura e del suo ruolo.

A quanto detto alcuni obietteranno che non ogni partito che si è dichiarato comunista ha avuto le caratteristiche che abbiamo indicato. Ciò è del tutto vero. Per avere quelle caratteristiche, non basta neanche che un partito sia composto  da individui che vogliono sinceramente essere comunisti e credono onestamente nel comunismo. Ma è altrettanto vero che i primi paesi socialisti furono instaurati grazie a partiti comunisti del genere indicato e che durante il loro periodo di sviluppo essi furono diretti proprio da partiti di quel genere. I partiti che nel corso nella prima ondata della rivoluzione proletaria non raggiunsero quelle caratteristiche, non riuscirono a dirigere vittoriosamente l’attività rivoluzionaria delle masse popolari e quindi non arrivarono a instaurare il socialismo e a dirigere alcun paese socialista. Vi è di più: quando i partiti che dirigevano i primi paesi socialisti cessarono, per i motivi che vedremo, di avere le caratteristiche che abbiamo indicato, nel giro di un po’ di tempo portarono i paesi socialisti alla rovina. È quello che è successo nei primi paesi socialisti, dopo che i revisionisti moderni presero la direzione dei rispettivi partiti comunisti.

Ognuno dei partiti che costruirono e diressero i primi paesi socialisti incarnava e realizzava la volontà e l’aspirazione diffuse della classe operaia di passare dal capitalismo al comunismo, di emanciparsi dalla dipendenza dai capitalisti, di trasformare i rapporti sociali capitalisti in rapporti comunisti. Le incarnava in un organismo capace (con la sua struttura, con le sue organizzazioni di base, con i suoi organi dirigenti, con le sue riunioni, con i suoi dibattiti, con i suoi congressi, con la sua vita interna, con la sua disciplina) di elaborazione, di decisione e di azione. Esso riuniva una percentuale ancora piccola di operai: gli operai comunisti che associati nel partito imparavano ad essere classe dirigente, che tramite la partecipazione alla vita del partito seguivano un processo continuo di formazione intellettuale, morale e politica che li rendeva capaci di guidare tutta la massa dei lavoratori a uscire dalle condizioni di miseria e di dipendenza morale e intellettuale dalle classi dominanti in cui vivono da millenni. Il partito dava ad ogni suo membro gli strumenti (in termini di concezione del mondo, di linea politica, di parole d’ordine, di metodo di lavoro, di relazioni sociali e di prestigio) necessari per essere il lievito della massa dei suoi compagni di lavoro e l’animatore della loro attività sociale, capace di orientarli e mobilitarli per realizzare gli obiettivi proposti e nello stesso tempo capace di comprendere il loro stato d’animo e le loro aspirazioni ed esperienze e portarle nelle istanze di partito in modo che diventassero materiale e componente dell’elaborazione del partito e ritornassero alle masse come obiettivi da realizzare. Il partito era composto da quella piccola parte di operai che non solo non erano abbrutiti e rassegnati alla condizione servile della loro classe, ma già non concepivano per sé altra forma di emancipazione dalla miseria e dall’abbrutimento culturale propri della loro classe che non fosse l’emancipazione di tutta la classe. Essi tramite un particolare sforzo e impegno individuali, associandosi nel partito conquistavano autonomia soggettiva rispetto alla propria specifica individuale condizione e diventavano dirigenti dei loro compagni di lavoro, parte ancora della loro classe ma già dotati, grazie al partito, di una comprensione generale delle condizioni nazionali e internazionali della lotta di classe e capaci di usare i metodi necessari per organizzare e mobilitare i loro compagni di lavoro. La forza di questi partiti non stava principalmente nella genialità dei loro capi, ma nella loro “struttura di base” costituita da operai che, coesi e coerenti con i loro interessi di classe, continuavano a lavorare a fianco degli altri operai e riuniti in cellule di reparto conoscevano uno a uno nella pratica quotidiana gli operai che dovevano dirigere. Essi li collegavano con la loro opera al resto del partito prevalentemente fatto di rivoluzionari di professione (funzionari) che a sua volta li collegava con il resto della classe operaia a livello nazionale e internazionale. La combinazione di questa struttura di base con la sovrastruttura dei rivoluzionari di professione nell’organizzazione di partito, la linea politica di trasformazione della società verso il comunismo e la concezione comunista del mondo rendevano il partito comunista una invincibile macchina da guerra. I legami esistenti tra la classe operaia e il resto delle masse popolari (le classi che partecipavano alla rivoluzione, che facevano parte del campo della rivoluzione) provvedevano ad aggregare e mobilitare tutta la massa della popolazione lavoratrice. I membri di questi partiti comunisti non furono mai molto numerosi, neanche dopo la conquista del potere. In Unione Sovietica il partito comunista nel marzo del 1917 (al momento della caduta dello zar) contava 24.000 membri e candidati su circa 3 milioni di operai di fabbrica e una popolazione di oltre 100 milioni, 472.000 nel 1924, 3.555.000 nel 1933, 1.920.000 nel 1938, 6.390.000 nel 1948 e 6.897.000 nel 1953. I membri e candidati divennero poi 11.758.000  nel 1965 e circa 16 milioni nel 1976 su una popolazione complessiva di 260 milioni. Se si tiene conto della particolare composizione di classe dell’URSS fino al lancio dei piani quinquennali (il primo piano comprende gli anni 1928-1932) che presentava una bassa percentuale di operai e un’alta percentuale di contadini, si vede che il numero degli operai comunisti oscillava tra l’1 e il 6 ogni 100 operai. Alla fine degli anni ‘20 i salariati recensiti in URSS erano 11 milioni su una popolazione complessiva di 150 milioni e 32 milioni alla fine degli anni ‘30. Si ricordi poi che i funzionari (rivoluzionari di professione) costituivano a seconda dei periodi dal 2 al 3 % dei membri del partito.(7) Ovviamente il numero (limitato) di comunisti rispetto al totale dei lavoratori può essere assunto come un indice di quanto era ancora limitato il cammino compiuto verso la società comunista: la quantità era ancora lontana dal potersi trasformare in qualità. Dai numeri che abbiamo dato si potrebbe concludere che i primi paesi socialisti nella migliore delle ipotesi (6 operai comunisti su 100) hanno percorso circa il 10% della strada da percorrere per arrivare alla società comunista (assumendo che la quantità si trasformi in qualità quando almeno il 60% degli operai sono membri del partito comunista). Ovviamente si tratta di un ragionamento che serve solo a dare un’idea del fenomeno di cui stiamo trattando.

Il rapporto particolare tra il partito comunista e la classe operaia si traduceva anche in istituti particolari specifici del partito comunista.

Anzitutto la costruzione delle organizzazioni di base del partito secondo i collettivi di lavoro (le cellule di fabbrica o di reparto). In ogni luogo di lavoro vi era una cellula di comunisti (minimo tre), essi stessi lavoratori, a contatto diretto e quotidiano con gli altri lavoratori. Questi lavoratori comunisti, che già spontaneamente avevano nel collettivo un ruolo d’avanguardia, erano resi ancora più capaci e autorevoli dal legame con il resto del partito e orientavano, educavano e mobilitavano l’intero collettivo.

Poi per quanto riguarda la vita interna del partito, l’appartenenza al partito comportava l’assimilazione da parte di ogni membro della concezione materialista dialettica del mondo e del metodo materialista dialettico di pensiero e di azione, l’uso sistematico della critica e dell’autocritica in ogni istanza del partito, rapporti interni tra individui e istanza di partito e tra le istanze di partito conformi al centralismo democratico come principio per elaborare le decisioni e applicarle. Si trattava di lavoratori che per loro libera scelta seguivano con slancio e passione il processo di “formazione continua” del partito: riunioni, circolari, corsi, convegni. Con esso il partito li portava ad assimilare una concezione del mondo facile da assimilare per gli operai perché è la spiegazione razionale della loro natura e della loro esperienza, un’analisi della situazione internazionale e nazionale in ogni campo di qualche interesse, una linea, metodi di propaganda, di organizzazione e di mobilitazione. D’altra parte essi imparavano a raccogliere e formulare in termini di obiettivi e di linea le aspirazioni e i compiti del loro collettivo perché fossero assunti dall’intero partito, diventassero suoi compiti ed esso li ponesse come compiti dell’intera società. Essi erano quello che i loro compagni di lavoro non potevano ancora essere ma che sarebbero prima o poi diventati anche grazie alla loro attività.

In terzo luogo, per quanto riguarda i rapporti tra il partito e il resto degli operai, le nuove candidature al partito erano vagliate anche da parte delle assemblee del collettivo di lavoratori di cui il candidato faceva parte, le assemblee dei collettivi di lavoro partecipavano con il loro parere alle epurazioni periodiche delle fila del partito, vi erano un contatto quotidiano dei membri e degli organismi del partito con i rispettivi collettivi di lavoro e l’applicazione sistematica della linea di massa.

In quarto luogo l’ammissione al partito era regolata da precise discriminazioni di classe. Andrei Zdanov (1896-1948), il futuro dirigente della resistenza di Leningrado all’assedio nazista, al 18° congresso del PCUS (nel 1939) ricorda che l’11° congresso (nel 1922) aveva fissato quattro categorie di candidati (operai semplici, operai con funzioni da capi, contadini, intellettuali e dirigenti) cui corrispondevano periodi di candidatura crescenti, la richiesta di un maggior numero di garanti e con maggiore anzianità di partito e una selezione più severa. Zdanov propone di abolire le quattro categorie, in conformità con l’indirizzo prevalente in quegli anni secondo cui i contrasti tra le tre classi che si  consideravano (operai, contadini e intellettuali) andavano attenuandosi. Le categorie infatti nel ‘39 scomparvero dallo Statuto del partito, ma grazie alla discrezionalità lasciata alle organizzazioni di partito non scomparvero nella pratica.(8)

Quindi da una parte il partito non era un’associazione privata che risolveva unicamente tra l’organizzazione e ognuno dei suoi membri i problemi della sua vita interna (reclutamento, formazione, promozione, rimozione, critica, valutazione, espulsione, ecc.) e a cui ognuno poteva aderire alla sola condizione di condividerne il programma politico. Dall’altra, in ogni contingenza e in ogni ambito e luogo, il partito agiva come una istituzione pubblica, si assumeva il compito di fare inchiesta, definire una linea, mobilitare la popolazione per risolvere ogni problema usando essa stessa i mezzi e le risorse di cui la società disponeva. Il partito comunista era animato e trasfondeva nella società un’indomabile volontà di trasformare il mondo e di creare una nuova società conforme agli interessi e all’esperienza dei lavoratori coinvolgendoli tutti in ruoli attivi nella produzione e nella gestione degli altri affari sociali: dagli affari più diretti e immediati a quelli più universali, comuni a tutta la società. Questi non potevano essere spontaneamente e istintivamente percepiti come propri e indispensabili da ogni collettivo di base. Era solo grazie all’opera dei comunisti che ogni collettivo li trattava consapevolmente come propri e dava consapevolmente il suo contributo alla loro soluzione secondo la divisione sociale del lavoro. In ogni collettivo di lavoro o locale, chi si urtava con un problema (dalla donna picchiata dal marito a un’innovazione da introdurre nel lavoro) sapeva che rivolgendosi al partito metteva in moto un meccanismo che avrebbe con tenacia fatto diventare il suo problema un problema del collettivo. E in questa attività di ogni collettivo avveniva la trasformazione delle condizioni materiali, del carattere e delle concezioni di ogni individuo: la formazione dell’uomo nuovo.

(segue sul prossimo numero)

 

 

Note bibliografiche per chi vuole approfondire la propria conoscenza del tema

 

1. Sulla questione di Stalin in Opere di Mao Tse-tung vol. 20 (Edizioni Rapporti Sociali), riportato in questo numero a pag. 17.

 

2. L’esperienza storica dei paesi socialisti in Rapporti Sociali n. 11 (1991) e Che i comunisti dei paesi imperialisti uniscano le loro forze per la rinascita del movimento comunista, cap. 5 in La Voce n. 12 (2002), pag. 54.

 

3. Ibidem

 

4. Lenin, Stato e rivoluzione in Opere vol. 25.

 

5. Lenin, I compiti immediati del potere sovietico in Opere vol. 27 pag. 211; Lenin, Sull’infantilismo di sinistra in Opere vol. 27 pag. 292.

 

6. Lenin, Stato e rivoluzione, op. cit.

 

7. La Costituzione sovietica del 1977 di P. Biscaretti di Ruffià e G. Crespi Reghizzi (ed. A. Giuffré, 1979).

 

8. Modifiche allo Statuto del PC(b) dell’URSS, rapporto presentato da A. Zdanov al 18° congresso, 18 marzo 1939

 

 

***** Manchette

Bibliografia relativa ai primi paesi socialisti.

 

Racconti e saggi

L’era di Stalin di Anne Luise Strong, Edizioni Rapporti Sociali

Come fu temprato l’acciaio di Nicolas Ostrovski, Edizioni Rapporti Sociali

Poema pedagogico di Anton Makarenko Edizioni Rapporti Sociali

Palazzi il lunedì di Sheila Fitzpatrick Edizioni Rapporti Sociali

Storia del Partito Comunista (bolscevico) dell’Unione Sovietica. Breve corso di G. Stalin, Edizioni Rapporti Sociali

 

Opuscoli

La Rivoluzione d’Ottobre e alcuni suoi insegnamenti attuali, Edizioni Rapporti Sociali

 

Film

La fabbrica aperta

 

Articoli teorici

 

da Rapporti Sociali

n. 3 Osservazioni su questioni di economia relative alla discussione del novembre 1951 di J.V. Stalin.

n. 5/6 Il crollo del revisionismo moderno

n. 5/6 Per il bilancio dell’esperienza dei paesi socialisti

n. 7 Ancora sul bilancio dell’esperienza dei paesi socialisti

n. 8 La restaurazione del modo di produzione capitalista in Unione Sovietica

n. 11 Sull’esperienza storica dei paesi socialisti

n. 19 Per un bilancio dell’esperienza di costruzione del socialismo

n. 22 Critica a “Per una discussione sull’esperienza della costruzione del socialismo”

n. 23/24 Le conquiste pratiche realizzate dal movimento comunista nel periodo di attività dell’Internazionale Comunista

n. 23/24 Il revisionismo moderno

n. 23/24 A 50 anni dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese

 

da La Voce del (nuovo) Partito comunista italiano

n. 2 Il ruolo storico dell’Internazionale Comunista - Le conquiste e i limiti

n. 9 e 10 L’ottava discriminante

n. 10 L’attività della prima Internazionale Comunista in Europa e il maoismo

n. 12 La Rivoluzione d’Ottobre e il 50° anniversario della morte di Stalin

 

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