Le elezioni europee del 13 giugno e la situazione politica italiana

Rapporti Sociali 35 - novembre 2004   (versione Open Office / versione MSWord)

 

I risultati delle elezioni del 13 giugno 2004 forniscono indicazioni preziose sullo stato d’animo che le esperienze dirette, gli avvenimenti e le lotte degli ultimi anni, le manovre delle forze politiche della classe dominante e l’attività dei comunisti, delle FSRS e dei lavoratori avanzati hanno fatto sorgere nelle masse popolari che a loro volta, occorre sempre ricordarlo finché la prassi prevalente è dimenticarlo, sono già di per sé cresciute nel solco creato dalla prima ondata della rivoluzione proletaria. La conoscenza dello stato d’animo delle masse popolari è un elemento fondamentale per svolgere in modo giusto e con successo il nostro ruolo di comunisti nel movimento delle masse. I risultati elettorali aiutano molto a capirlo, se li elaboriamo alla luce della concezione comunista del mondo e dell’esperienza storica del movimento comunista e confrontandoli con le conoscenze attinte dall’esperienza diretta, dal lavoro di massa e dal nostro complessivo lavoro comunista.

Ma c’è di più: i risultati delle elezioni del 13 giugno hanno anche creato una situazione che peserà sulle iniziative della borghesia imperialista nei prossimi mesi. In un regime di controrivoluzione preventiva le elezioni non decidono l’indirizzo politico del paese e delle sue istituzioni. Esso è deciso dalla classe dominante in altre sedi, le sedi reali del potere politico del paese. Tra gli analisti politici, sostengono il contrario solo gli imbroglioni (quelli che lo dicono, ma non ci credono) e le persone affette da “cretinismo parlamentare” (quelli che lo dicono e ci credono pure). I revisionisti moderni (Kruscev, Togliatti, Berlinguer, ecc.) erano arrivati addirittura a sostenere che era possibile “instaurare il socialismo per via elettorale”. La chiamavano “la via democratica e parlamentare al socialismo”. Ma abbiamo tutti visto dove ha condotto le masse popolari.

Ma solo delle persone affette da “cretinismo antiparlamentare” possono negare la grande importanza che hanno le elezioni politiche e il “teatrino della politica” (per usare l’espressione di Berlusconi) ad esse connesso. Anche in regime di controrivoluzione preventiva, nei “paesi democratici” i gruppi imperialisti devono rappresentare i loro interessi e giocare la loro parte anche su questo “teatrino”. Le regole proprie del “teatrino” condizionano, a volte persino in modo determinante, la loro attività, i modi e i tempi in cui si sviluppa e quindi i risultati che ottengono. Essi devono esprimere i loro interessi e farli valere anche nel linguaggio del “teatrino della politica”. Per questo investono grandi risorse finanziarie e grandi risorse intellettuali nel “teatrino della politica borghese” (nelle campagne elettorali, nelle manovre di corruzione e di lobbing, ecc.), compiono grandi manovre per conquistare vittorie in questo “teatrino” ed esso è in ogni paese imperialista un terreno importante per le operazioni di destabilizzazione politica. Questo è tanto vero che, quando il gioco su questo “teatrino della politica borghese” diventa per loro insostenibile, quando condurre operazioni dietro le quinte e barare non basta più, essi lo buttano in aria, aboliscono elezioni e parlamenti. Questa ribellione dei gruppi imperialisti al loro stesso gioco non è solo la conferma dell’importanza che esso riveste, ma genera anche, essa stessa, contrasti nella classe dominante e mobilitazioni che diventano armi preziose per la nuova fase di lotta che segue l’abolizione di elezioni e parlamenti.

Proprio perché il “teatrino della politica borghese” presenta anche inconvenienti seri per la classe dominante (come gli stessi antiparlamentaristi riconoscono), la borghesia si sforza di sottrarre materia e competenze al “teatrino della politica”, di “esecutivizzare” sempre più la politica: cioè di ridurre le competenze delle assemblee elettive, di ridurre e ostacolare con leggi e regolamenti la loro attività, di attribuire maggiori competenze al governo e alla burocrazia statale. In questa linea, negli ultimi decenni la borghesia europea si è ampiamente servita della Comunità prima e dell’Unione Europea poi.(1) Essa ha sempre più ampiamente ridotto i parlamenti nazionali ad organi che sanzionano le direttive  comunitarie e rafforzato le competenze del Consiglio Europeo (la riunione dei capi dei governi e dei ministri dei 25 paesi UE) e della Commissione Europea. Contemporaneamente ha mantenuto il Parlamento Europeo nel ruolo di luogo d’incontro dei deputati e di scambio di opinioni. In tutti i paesi imperialisti la borghesia ad ogni livello ha trasformato sempre più le campagne elettorali in campagne pubblicitarie. Tanto è ancora importante e pericoloso per la classe dominante il “teatrino della politica”, tanto è il disturbo che introduce nei lavori dei suoi esclusivi “consigli di amministrazione”! Insomma tutti gli argomenti che gli “antiparlamentaristi di principio” portano per mostrare che la classe dominante svuota, corrompe, elude, aggira, manipola il “teatrino della politica”, tanto sono validi a dimostrazione che non è lì che si decide l’indirizzo politico del paese, quanto sono validi a dimostrazione del disturbo che esso comporta nell’attività della classe dominante e degli appigli che esso offre a un partito comunista capace di approfittarne. Che i partiti comunisti ne possano approfittare con vantaggio, la storia della prima ondata della rivoluzione proletaria lo ha ampiamente mostrato e più volte e in più circostanze confermato.

 

1. Giova ricordare che la Comunità Europea è nata nella seconda metà degli anni ’40 (dal piano Marshall) e si è sviluppata in primo luogo per volontà dei gruppi imperialisti USA allora pienamente dominanti e in secondo luogo per volontà dei gruppi imperialisti dei singoli paesi. Il principale scopo assegnato alla costruzione era imbrigliare e svuotare anche per questa via i “teatrini della politica borghese” dei singoli paesi europei. Gli esiti della seconda Guerra Mondiale e della connessa lotta popolare contro il nazifascismo avevano infatti reso particolarmente permeabili questi “teatrini” alle forze popolari. I revisionisti moderni né erano ancora del tutto affidabili né il loro predominio nei rispettivi partiti comunisti era ancora incontrastato, né lo fu fino al ’56 (XX congresso del PCUS) e in qualche misura addirittura fino al ’76 (sconfitta della Rivoluzione Culturale Proletaria in Cina). Non a caso la “costruzione europea” al suo inizio riguardò solo i paesi politicamente più fragili: Italia, Francia, Germania (dove il partito comunista fu addirittura proibito per legge e la destabilizzazione della Repubblica Democratica Tedesca divenne un capitolo imprescindibile dell’azione della classe dominante) e Belgio - che in base agli accordi del Benelux si trascinava inevitabilmente al seguito Olanda e Lussemburgo. Solo nel corso del generale cambiamento della situazione economica e politica (ripresa economica dei gruppi imperialisti europei, crisi del movimento comunista internazionale, declino della supremazia USA, inizio della seconda crisi generale del capitalismo) la Comunità si trasformò da strumento di dominio USA sull’Europa in strumento di organizzazione dei gruppi imperialisti franco-tedeschi, di costruzione del loro dominio in Europa e della loro lotta per far fronte ai gruppi imperialisti USA. Quelli che si occupano dell’Unione Europea devono tenere presenti queste elementari nozioni di storia. Il tentativo di costruire l’Unione Europea come “Stato di tutti i popoli europei”, di dare legittimità storica e popolare alla costruzione dei gruppi imperialisti franco-tedeschi e di dotarla dei corrispondenti strumenti politici, è il tentativo di consolidare, nelle concrete condizioni, il dominio dei gruppi imperialisti franco-tedeschi allargando la “comunità” agli altri gruppi imperialisti europei. La Costituzione europea approvata il 18 giugno non è importante per le disposizioni che contiene, ma per il successo che la sua approvazione assegna ai suoi promotori, i gruppi imperialisti franco-tedeschi. Anche l’andamento delle elezioni europee di quest’anno nel resto d’Europa, caratterizzato dall’indifferenza popolare per la “costruzione europea” e dalla condanna dei governi nazionali in carica, indica le grandi possibilità di rinascita del movimento comunista che ci sono in Europa.

 

 

Per quanto riguarda la nostra parte, la parte della classe operaia che lotta per il potere, il “teatrino della politica borghese” ci offre, se impariamo a usarlo, grandi risorse e strumenti per educare alla lotta politica rivoluzionaria ampie masse e per aggregarle attorno al partito della classe operaia. Esso inoltre tempra i nostri compagni a resistere alle pressioni e alle promesse, ai ricatti e alla corruzione. Contemporaneamente offre un terreno di verifica e di formazione dei dirigenti operai alla politica rivoluzionaria che è tale solo se mira ad arrivare e arriva alla mobilitazione, all’orientamento, all’organizzazione e alla direzione di milioni e milioni di uomini e di donne, delle masse popolari che “fanno la storia”.

L’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria, l’esperienza dei partiti della prima Internazionale Comunista nei paesi imperialisti nel periodo che comprende tutta la prima metà del secolo scorso ci mostrano ripetutamente il ruolo svolto dall’attività dei partiti comunisti proprio nel “teatrino della politica borghese” a favore dell’accumulazione delle forze rivoluzionarie e per portare le ampie masse popolari sul terreno della guerra civile contro la borghesia imperialista in condizioni favorevoli alla loro vittoria. Negare, cancellare, ignorare questa esperienza è una delle forme più subdole di dissociazione dal movimento comunista e dalla sua esperienza storica. La denunciamo perché è una forma di dissociazione dal movimento comunista che ha ancora ampio corso nel movimento  rivoluzionario: essa mostra quanto esso è ancora distante dal movimento comunista ed è anche la ragione delle difficoltà che incontra nel suo sviluppo verso la vittoria.

Negare il significato dei risultati elettorali come indice dello stato d’animo delle masse e l’importanza del “teatrino della politica borghese” come terreno della politica rivoluzionaria dei comunisti è ancora oggi, per varie Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista (FSRS) del nostro paese, il rifiuto infantile (a 85 anni da quando Lenin scrisse L’estremismo, malattia infantile del comunismo) di misurarsi con la mobilitazione di ampie masse, la sfiducia nella capacità dei comunisti e dei lavoratori avanzati (dell’avanguardia organizzata) di imparare a farlo, la sfiducia nella capacità delle masse popolari di seguire i comunisti. è mascherare con vuote frasi rivoluzionarie la propria attuale debolezza, che non si ha fiducia di poter superare o si è tanto opportunisti e superficiali che non ci si impegna a superare.

Noi comunisti siamo certi che possiamo imparare, prendere nuovamente la direzione delle ampie masse popolari e condurle alla vittoria. Le masse popolari e la classe operaia in particolare hanno bisogno della direzione dei comunisti e prima o poi le due cose si incontreranno nuovamente. La storia non è finita. L’umanità sta appena ora, nei nostri secoli, uscendo dallo stadio barbarico della sua storia.

 

Premesso questo, veniamo dunque ai risultati delle elezioni europee del 13 giugno nel nostro paese. In cifre approssimate, arrotondate, i risultati rilevanti sono i seguenti.

I voti validi sono stati 1.6 milioni in più rispetto alle precedenti europee del ’99 (32.6 milioni invece di 31). Anche se si tiene conto della crescita del corpo elettorale (da 43.8 a 44.6 milioni), si è comunque avuto circa un milione di voti in più di quelli che ci sarebbero stati con un tasso di astensione eguale a quello del ’99 (29.2% invece dell’attuale 26.9%). Si è quindi avuto un aumento anziché una diminuzione della partecipazione al voto. Questo è la prima volta che avviene ed è in controtendenza con quanto in Italia è avvenuto regolarmente di elezione in elezione. Da quando (1979) si tengono elezioni europee la partecipazione è sempre regolarmente diminuita.(2) Per la prima volta quest’anno non solo il numero degli astenuti non è aumentato, ma è diminuito da 12.8 nel ’99 a 12 milioni. Tenendo conto dell’aumento del corpo elettorale, abbiamo che almeno un milione di persone che nel ’99 non erano andate a votare, quest’anno ci sono andate.(3) Non perché trascinate da un maggiore interesse per il Parlamento europeo. Tutti i sondaggi confermano che il disinteresse per l’Unione Europea è anzi ancora cresciuto. È una questione che riguarda tutti i paesi dell’UE. Sono andati a votare per pronunciarsi contro il governo Berlusconi. Le elezioni del 14 marzo in Spagna hanno mostrato lo stesso fenomeno: milioni di astenuti sono ritornati alle urne per votare contro il governo di banditi capeggiato da Aznar.

2. Le percentuali degli elettori che non sono andati a votare alle elezioni europee (o hanno votato scheda nulla o bianca) sono 14.3 nel 1979, 16.5 nel 1984, 18.9 nel 1989, 26.4 nel 1994, 29.2 nel 1999. Ma quest’anno invece solo il 26.9%.

 

3. Gli elettori che sicuramente sono andati a votare solo per pronunciarsi contro Berlusconi sono (29.2 - 26.9)/100 x 44.6 = 1.0 milioni. Probabilmente sono di più, perché, senza questa motivazione, gli astenuti sarebbero stati più del 29.2%, vista la progressione di astensioni mostrata nella nota 2.

 

Quelli che, nell’attuale nostra situazione, vedono nella “astensione dalle elezioni” un segnale di mobilitazione rivoluzionaria delle masse, ne tirino le conseguenze. Se persistono a ritenere che oggi l’astensione equivale a mobilitazione rivoluzionaria, devono concludere che dalle elezioni europee viene il segnale che la mobilitazione rivoluzionaria è diminuita: conclusione che contrasta con tutti gli altri segnali che vengono dalle masse popolari e con quello che constata chiunque compie un lavoro di massa. Secondo noi comunisti, nelle attuali condizioni l’astensione è certo mancanza di fiducia nelle attuali forze politiche borghesi: questo è il lato positivo. Ma è anche dall’altro lato, a  seconda dei casi, abbrutimento, emarginazione, arretratezza, indifferenza, sfiducia o rassegnazione e resa di fronte al fatto che non abbiamo ancora costruito un partito comunista capace di usare il “teatrino della politica borghese” per sviluppare la politica rivoluzionaria.

A fronte dell’aumento complessivo dei voti validi dalle europee del ’99 a quelle di quest’anno, da 31 a 32.6 milioni, tra i partiti organici dei due schieramenti (centro-destra e centro-sinistra), ha perso voti solo il partito dei ciechi servitori, dei fedeli impiegati di Berlusconi, Forza Italia (“se FI avesse il 51% dei voti, le riforme si farebbero senza discussioni: mica devo discutere con me stesso”, disse pochi giorni prima Berlusconi). FI ha avuto 1 milione di voti in meno, 6.8 invece dei 7.8 del ’99. Dunque le masse popolari hanno dato uno schiaffo sonoro a Berlusconi! Il centro-destra nel complesso ha invece guadagnato quasi 1 milione di voti e il centro-sinistra 1.8. I partiti non organici ai due schieramenti (tra cui il partito della coppia Pannella-Bonino che ha avuto un tracollo) hanno infatti perso circa 1.2 milioni di voti che si sono sommati al numero maggiore di voti validi (1.6 milioni). Quindi apparentemente il bipolarismo si è rafforzato. I due poli ora raccolgono il 92.2% dei voti validi, mentre nel ’99 ne raccoglievano solo l’88.1%.

Se confrontiamo i risultati delle elezioni europee di quest’anno con le ultime elezioni politiche (del 2001), bisogna tener conto che i voti validi nel 2004 sono stati molti di meno, ben 4.6 milioni di meno di quelli del 2001: 32.6 milioni a fronte dei 37.2 del 2001. Il monte dei voti validi si è quindi ridotto del 12.4%: cosa abituale passando dalle elezioni politiche a quelle europee. Ma nonostante la diminuzione complessiva dei voti validi, alcuni partiti guadagnano voti rispetto alle ultime politiche: UDC (+740.000) e Lega Nord (+ 150.000) nel centro-destra e PDCI (+150.000) e PRC (+ 130.000) nel centro-sinistra. Nel centro-destra Forza Italia perde invece 4.1 milioni di voti. Abbiamo quindi per i voti di FI una riduzione del 37.4% rispetto a quelli del 2001 (10.9 milioni), ben superiore alla riduzione del monte complessivo dei voti validi che, come abbiamo visto, è stata del 12.4%. FI ha quindi perso per conto suo ben 2.7 milioni di voti.(4) Cosa che conferma che le masse popolari hanno con queste elezioni dato uno schiaffo sonoro a Berlusconi. AN a sua volta rispetto al 2001 perde 700.000 voti, quindi una riduzione del 15.8%: ma per AN vale un discorso a parte.(5) Nel centro-sinistra l’Ulivo perde 1.8 milioni di voti (quindi una riduzione del 15.3%). I voti del centro-destra complessivamente si riducono del 16.5% rispetto alle politiche e quelli del centro-sinistra (compreso il PRC) solo del 8.9%. I voti complessivi dei due poli si riducono del 12.9% rispetto alle politiche, cioè quasi quanto il monte complessivo dei voti validi (12.4%). Anche da questo confronto il bipolarismo sembra in salute discreta.

 

4. Tra i 4.1 milioni di voti persi da FI quest’anno rispetto al 2001, sono sicuramente dovuti al rigetto del partito di Berlusconi (37.4 - 12.4)/100 x 10.9 (i voti di FI nel 2001) = 2.7 milioni. Gli altri 1.4 milioni potrebbero essere ascritti alla generale diminuzione del monte dei voti validi.

 

5. I 700.000 voti mancanti ad AN rispetto al 2001 sono il risultato 1. di 500.000 voti mancanti per la diminuzione generale del monte dei voti validi, 2. di circa 400.000 voti portati via dalla Mussolini con la scissione di Alternativa Sociale e 3. di circa 200.000 voti nuovi arrivati ad AN. Quindi AN non ha perso voti, ma ha avuto una scissione. Rispetto alle europee del 1999 infatti AN guadagna 560.000 voti.

 

Ma se andiamo a vedere le cose più in dettaglio, è subito evidente che il rafforzamento del bipolarismo è solo apparente. I risultati delle elezioni europee (rafforzati dai risultati delle elezioni amministrative che si sono svolte in contemporanea) hanno al contrario creato condizioni che alimenteranno i contrasti nazionali già esistenti tra gruppi, centri di potere e forze politiche della classe dominante e precisano alcune vie attraverso cui quei contrasti potrebbero esprimersi in iniziative politiche.

Nel centro-destra Forza Italia, il gruppo dei servitori ciecamente fedeli, degli impiegati di Berlusconi, si è indebolito: aveva il 55.6% dei voti del centro-destra nel ’99, il 60.6% nel 2001 e solo il 45.5% nelle elezioni di quest’anno.  Berlusconi non ha più il dono del consenso elettorale. Le sue campagne pubblicitarie non fanno più presa. Quindi non è più in grado di far valere presso il resto della borghesia la sua padronanza del “teatrino della politica” (nel ’94 aveva preso di sorpresa anche gli Agnelli!).(6) Cosa tanto più grave perché oramai, dopo tre anni che Berlusconi governa in condizioni da “pieni poteri”, la borghesia ha perso l’illusione che egli sia capace di guidarla a giorni di gloria e di affari, che sia insomma capace di realizzare il programma comune per cui tutta la borghesia imperialista gli aveva nel 2001 affidato il governo del paese. Eliminarlo non sarà però facile: infatti il suo peso nelle istituzioni finanziarie italiane è enormemente cresciuto in questi anni, le sue alleanze internazionali si sono consolidate e i gruppi imperialisti USA e i gruppi sionisti faranno fiamme e fuoco per far durare il suo governo.(7) D’altra parte Berlusconi non può “succedere a Berlusconi”. In politica estera non può rovesciare il fronte, associarsi ai gruppi imperialisti franco-tedeschi e adottare una linea contraria agli interessi dei gruppi imperialisti USA, da cui è personalmente ricattato da sempre. In politica interna non può rovesciare le sue posizioni con l’adozione di una linea che si basi sulla “concertazione”, cioè sulla collaborazione dell’aristocrazia operaia all’eliminazione delle conquiste, all’aumento dello sfruttamento e alla ricolonizzazione dei paesi oppressi. A parte le difficoltà che comporta un rovesciamento di posizioni, vorrebbe dire per gli altri gruppi imperialisti sommare i difetti del governo del centro-sinistra (in sintesi la lentezza nella eliminazione delle conquiste per rispettare il bisogno dell’aristocrazia operaia di “somministrare il veleno a piccole dosi”) a quelli del governo Berlusconi (in sintesi l’uso da parte di Berlusconi del potere politico a vantaggio del proprio gruppo d’affari). Ma proprio a questo rovesciamento di posizioni sia in politica estera sia in politica interna si sono invece da tempo preparati Casini e Fini. I risultati delle elezioni europee non cambiano direttamente i numeri nel Parlamento italiano, ma hanno mostrato che Berlusconi non domina più il “teatrino della politica”: quindi che i numeri e i ruoli nel “teatrino della politica borghese” si possono cambiare.

 

6. Vedasi Il fiasco del 27 marzo ’94 in Rapporti Sociali n. 16 (inverno 1994-1995). Sulle elezioni italiane degli anni scorsi, vedere anche La putrefazione del regime DC in RS n. 17/18 (autunno ’96) e Il nuovo governo e il programma comune della borghesia in RS 28 (luglio 2001)

 

7. Il distacco dell’Italia dagli USA e la sua confluenza con i gruppi franco-tedeschi rafforzerebbe di molto l’UE che potrebbe accelerare il distacco dagli USA di cui ha assoluto bisogno. I gruppi imperialisti europei infatti sono spinti allo scontro con i gruppi imperialisti USA dalla necessità della loro sopravvivenza. Alla luce di questo scontro anche il sostegno finora dato dall’UE all’avamposto USA in Medio Oriente, all’insediamento sionista d’Israele e la licenza per attività di ogni genere accordata ai gruppi sionisti in Europa diventeranno sempre meno sostenibili. Dovendo far fronte agli USA, l’UE dovrebbe per forza di cose ridurre o annullare il suo sostegno a Israele, che oramai è legato ai gruppi imperialisti USA per la vita e per la morte e, soprattutto, dovrebbe annullare la licenza di cui oggi i gruppi sionisti godono sul territorio dell’Unione per ogni genere di attività, che in tale circostanze diventerebbero attività contrarie anche agli interessi dell’UE.

 

Al contrario di FI, l’UDC di Casini, Fazio, ecc. (cioè il partito prediletto del Vaticano) aveva il 10.6% dei voti del centro-destra nel ’99, solo il 6.6% nel 2001, ma ha raccolto il 12.8% quest’anno. La Lega Nord ha accresciuto il suo peso nel centro-destra abbastanza per avanzare pretese che soddisfino i suoi tifosi, ma non è abbastanza forte da fare concessioni sostanziali: quindi deve pretendere e quindi accrescere la precarietà della coalizione di centro-destra. AN non può concedere molto alle pretese della Lega Nord perché, pur avendo il 25% dei voti del centro-destra, corre il rischio di cedimenti interni, confermati dalla importante scissione Mussolini. È quindi evidente la fragilità interna della banda di razzisti, fascisti, mafiosi, clericali, speculatori, avventurieri raccolta intorno a Berlusconi e a cui tutta la borghesia imperialista aveva affidato il governo del paese tre anni fa. Questa banda non può continuare la vecchia politica che oramai solo i gruppi imperialisti USA, la Mafia e i gruppi sionisti appoggiano, ma non può neanche cambiare politica senza sfasciarsi. Quindi la borghesia imperialista la deve sfasciare.

 Il Vaticano, la Confindustria, gli Agnelli e i gruppi imperialisti franco-tedeschi oramai non si fidano e anzi sono delusi di Berlusconi, sono danneggiati dalla sua permanenza al governo e non possono più fargli credito. A grandi linee i motivi sono chiari. Il Vaticano sopravvive e fa affari grazie a una “nicchia di mercato” che si è ricavato nel sistema imperialista: essa consiste nell’infondere speranza di vita celeste a quelli a cui l’ordinamento della società di cui esso è parte integrante e pilastro importante rende amara se non impossibile la vita terrena. Non può quindi adattarsi ad una linea che dichiara arrogantemente che è giusto che i ricchi paghino meno tasse dei lavoratori perché la loro ricchezza è una benedizione di Dio per tutta la società e che è naturale che la vita di un americano o di un israeliano valga più di quella di alcune centinaia di arabi. La Confindustria ha bisogno di “pace sociale” nelle aziende e di collaborazione europea. L’elezione in primavera di Luca Cordero di Montezemolo, uomo FIAT, a presidente è stata un segnale eloquente, come lo era stata, in senso opposto, il 7 marzo 2000 la bocciatura dell’uomo Fiat di allora, Carlo Calleri e l’elezione di Antonio D’Amato. I gruppi imperialisti franco-tedeschi hanno bisogno di scuotersi di dosso l’oppressione dei gruppi imperialisti USA che fanno la parte del leone nella spartizione del bottino mondiale dello sfruttamento e impediscono quindi ogni “ripresa economica” dell’UE.

Ma sfasciare la banda Berlusconi oramai è cosa dura: per la borghesia significa anche approfondire le contraddizioni al suo interno data la forza finanziaria raggiunta dal gruppo Berlusconi e un brusco cambio di alleanze a livello internazionale che tenderebbe le relazioni tra tutti gli anelli della catena imperialista, ben più di quanto lo abbia fatto il cambio di alleanze della Spagna. Si profila quindi un cambio di cavallo più traumatico di quello avvenuto in marzo a Madrid da Aznar a Zapatero. Probabilmente solo una situazione d’emergenza potrebbe aprire la strada ad una combinazione politica che sostanzialmente sarebbe un’alleanza Ulivo-UDC-AN all’insegna della “concertazione” già lanciata anche dal nuovo presidente della Confindustria e dell’unità europea. Una situazione d’emergenza potrebbe egualmente, in alternativa, ricompattare la banda Berlusconi nella difesa del proprio potere e nel rafforzamento del potere personale di Berlusconi. Quest’ultima sarebbe una soluzione più rischiosa, incerta e avventurosa come Madrid ha mostrato. Ma Berlusconi è un avventuriero, come i suoi amici Bush e Sharon: dipende da quello che avrebbe da perdere con la prima soluzione, cosa che dipende da fattori ancora fluidi. Gli esiti delle elezioni europee hanno comunque accentuato la crisi politica e la borghesia imperialista non ha ancora pronta una soluzione di ricambio di ampia convergenza. Si tratta di vedere chi farà la prima mossa.

Quanto al centro-sinistra, il dato più rilevante è il peso assunto al suo interno e ai suoi margini dai Verdi, dal PDCI e dal PRC e la vittoria di Cofferati a Bologna. I due partiti che si presentano come comunisti (PRC e PDCI) insieme raccolgono quasi 2.8 milioni di voti, 820.000 più che nelle precedenti europee e 280.000 più che nelle ultime politiche (nonostante che, come si è visto, il monte dei voti validi sia molto minore). I partiti che si sono dichiarati chiaramente e comunque contro l’aggressione all’Iraq e favorevoli al ritiro immediato delle truppe italiane dalla guerra (PRC, PDCI, Verdi) hanno raccolto quasi 3.6 milioni di voti, 1 milione più che nelle precedenti europee e 280.000 più che nelle ultime politiche. Cofferati a Bologna è risultato sindaco al primo turno con un ampio margine contro il sindaco uscente di centro-destra, Guazzaloca. Tutto questo è la traduzione diretta sul piano elettorale del clima creato tra le masse dalle grandi lotte di questi ultimi tre anni, dall’azione dei lavoratori avanzati, delle FSRS e di noi comunisti. Vista la nostra situazione attuale, possiamo dirci soddisfatti del risultato. Il sostituto procuratore di Bologna, Paolo Giovagnoli, sta alacremente lavorando per rilanciare su grande scala la persecuzione giudiziaria contro la ricostruzione del partito comunista, incriminando i compagni veri o supposti membri del (n)PCI di associazione sovversiva e banda armata. Quando e se riuscirà, come già più volte ha tentato dallo scorso novembre, a convincere le autorità francesi a chiedere ai compagni del (nuovo)Partito Comunista Italiano confinati in Francia quanti Comitati di Partito esistono già e dove, i  compagni potranno a ragione rispondergli di studiare accuratamente i risultati elettorali oltre che la cronaca delle lotte aziendali e territoriali.

L’avanzata elettorale di PRC, PDCI e Verdi rende più difficile a Prodi e alla sua banda di preti e altri “amici del popolo” di portare l’intero centro-sinistra ad adottare un programma apertamente di destra. Aumenta quindi la tentazione di un accordo che si basi su una qualche combinazione Ulivo-UDC-AN, sotto l’insegna comune ai tre partiti della “concertazione” e dell’unità europea. Una combinazione che però potrebbe aprire ulteriormente la frana per ora piccola che si è aperta in AN con la secessione della Mussolini. La Mussolini potrebbe infatti avere altri seguaci di peso.(8)

 

8. La Mussolini con Alternativa Sociale ha portato via alcune centinaia di migliaia di voti a Fini. Ma è probabile che di fronte ad un’alleanza con l’Ulivo in AN ci sarebbero nuove scissioni. Complessivamente le organizzazioni che si proclamano apertamente fasciste (Alternativa Sociale con quasi 400.000 voti, Fiamma Tricolore con 230.000 e il movimento di Rauti con circa 40.000) hanno aumentato i loro voti: da meno di mezzo milione nelle europee del ’99 a  più di 650.000 nelle europee di quest’anno. Questo dato elettorale riflette e aggrava il pericolo costituito dal crescente insediamento di gruppi fascisti sul territorio. Essi trovano nella precarietà, nella malavita e nell’abbrutimento creati a piene mani dalla borghesia tra le masse popolari, un brodo di coltura favorevole e inalberano sempre più chiaramente la bandiera del razzismo. Sono insediamenti che agiscono nei quartieri popolari come altrettante sorgenti di infezione, protette dalla polizia e alimentate dai potenti mezzi che la borghesia in un modo o nell’altro fornisce a questi focolai. I fascisti non sono pericolosi per quello che sono oggi, ma per i calcoli che parti più importanti della borghesia, in difficoltà crescente, potrebbero fare su loro se dovessero rafforzarsi tra le masse popolari. Le aggressioni dei paesi coloniali con gli eserciti di mercenari in divisa e in civile che vi vengono impiegati presentano canali importanti di espansione del reclutamento fascista tra le masse popolari. Impedire l’agibilità politica dei quartieri popolari ai gruppi fascisti è quindi un aspetto imprescindibile della rinascita del movimento comunista.

 

Ovviamente, per partecipare al governo, Verdi, PRC e PDCI sarebbero disposti a fare molte concessioni a spese delle masse popolari. Lo hanno già fatto nel passato. La loro concezione della società non va oltre l’orizzonte della società borghese. Quindi trovano inevitabile, medicina necessaria per quanto amara, l’eliminazione delle conquiste e neanche immaginabile la loro estensione: dal momento che non si propongono di fare dell’Italia un nuovo paese socialista, in effetti non hanno altra soluzione realista che dare ai capitalisti buoni motivi per investire. Ma sanno anche bene che i voti che hanno preso nelle europee e che potrebbero prendere in eventuali prossime elezioni politiche anticipate sono legati allo spostamento a sinistra delle masse popolari. Possono procedere egualmente all’accordo con Prodi e la sua banda solo se sono ragionevolmente sicuri che tra le masse popolari non c’è chi denuncia in modo efficace il loro tradimento, raccoglie organizzativamente la rivolta dei loro elettori, consolida in un fronte l’indignazione dei loro elettori evitando che si consumi nel giro di un po’ di tempo, come avvenne nel 1995 quando il centro-sinistra ripropose pari pari la “riforma delle pensioni” di Berlusconi. In breve, Verdi, PDCI e PRC non possono tollerare nemici a sinistra. Per allearsi con Prodi e la sua banda devono impedire la rinascita del movimento comunista e la ricostruzione di un vero partito comunista, anche se l’aumento dei loro voti è legato proprio a questi due fenomeni. Da qui il comportamento apparentemente schizofrenico del PRC che a Catania e a Napoli cerca l’appoggio del FP-rpc e dei CARC, che in Toscana partecipa alle iniziative “contro la repressione” e nello stesso tempo partecipa alla caccia contro i comunisti nei sindacati di regime e alternativi. L’espulsione dei compagni del SLL dal SinCobas implica una responsabilità diretta del PRC e il tutto avviene a Napoli dove lo stesso PRC candida una compagna dei CARC come indipendente nella sua lista. L’espulsione dei compagni del FP-rpc dello Spallanzani (Roma) dal Cobas sanità di Bernocchi & C (Autonomia - Onda Rossa) difficilmente sarebbe avvenuta senza l’approvazione di PRC, PDCI e Verdi. Le espulsioni di comunisti dai sindacati della CGIL non sarebbero avvenute e non avverrebbero se PRC e PDCI non avessero approvato e non approvassero. Così come la persecuzione politica del (nuovo)Partito comunista italiano, rilanciata su grande scala nel  giugno ’03 con le perquisizioni in Italia, Francia e Svizzera e gli arresti di Parigi, tanto sfacciatamente persecuzione puramente anticomunista, difficilmente sarebbe stata rilanciata e potrebbe procedere senza l’approvazione di PRC, PDCI, Verdi. La “guerra contro il terrorismo” sempre più apertamente si traduce in persecuzione di immigrati, di organismi di movimento e di comunisti: difficilmente la partecipazione di PRC, PDCI e Verdi ad essa si concilierà a lungo con la loro dichiarata opposizione all’aggressione dell’Iraq e con la loro dichiarata avversione alle razzie e alle stragi delle bande sioniste d’Israele in Palestina.

Insomma le difficoltà di accordarsi tra le forze politiche borghesi sono aumentate. Nello stesso tempo è diventato più pressante per esse il bisogno di accordarsi. E tanto più esso diventerà pressante quanto più si allargheranno nel paese l’agitazione e la mobilitazione contro l’eliminazione delle conquiste e il proseguimento delle aggressioni neocoloniali, quanto più crescerà la solidarietà con i compagni e i lavoratori italiani e immigrati colpiti dalla repressione, quanto più forte si svilupperà la resistenza delle masse popolari irachene, palestinesi e degli altri paesi arabi e musulmani in cui la borghesia imperialista italiana è fortemente implicata, quanto più si acuiranno i contrasti tra i gruppi imperialisti USA e i gruppi imperialisti franco-tedeschi.

Occorre quindi continuare la lotta unitaria per porre fine al governo della banda di razzisti, fascisti, mafiosi, clericali, speculatori, avventurieri raccolta attorno a Berlusconi. L’esito di questa lotta è oramai vicino e quasi certo. Ma è importante che la borghesia imperialista sia costretta dal movimento popolare a liberarsi di questa banda malefica, che non lo possa fare tranquillamente, di sua iniziativa, nei modi e nei tempi che più le convengono. L’obiettivo diretto di una fase della guerra è quasi conquistato, ma quello che è ancora incerto sono i rapporti di forza del dopoguerra, a partire dai quali dovremo combattere la fase successiva della guerra più generale contro la borghesia imperialista che stiamo conducendo. Per questi bisogna ora battersi, avendo questi di mira. Bisogna portare alla conclusione la fase particolare della guerra contro la borghesia imperialista costituita dalla sconfitta del piano di “lacrime e sangue” per le masse popolari che essa aveva incaricato Berlusconi di realizzare. Bisogna che alla sua conclusione si sia costituita una più solida rete di comunisti e un più solido e vasto legame tra comunisti e lavoratori avanzati di quando questa lotta è incominciata. Allora ne sarà valsa la pena, anche se nella nuova fase che si aprirà i nostri rapporti con l’aristocrazia operaia saranno più difficili, perché essa rafforzerà la sua collaborazione con la borghesia imperialista.

Più la cacciata di Berlusconi dal governo avverrà sotto l’incalzare della mobilitazione popolare e della resistenza dei popoli iracheno e palestinese, meno possibilità avrà la borghesia imperialista di preparare una soluzione di ampia convergenza che tenga conto degli interessi dei suoi vari gruppi e faccia sostanziali concessioni al gruppo d’affari di Berlusconi. Quanto più nella lotta contro il governo Berlusconi i comunisti si saranno legati ai lavoratori avanzati, quanto più sarà avanzata la ricostruzione del partito, tanto meno facile sarà alla borghesia ristabilire una piena collaborazione dell’aristocrazia operaia all’oppressione delle masse popolari (la “concertazione”), sia sotto il manto dell’alleanza Ulivo-UDC-AN sia sotto il manto di un nuovo centro-sinistra che includa Verdi, PDCI e PRC.

I risultati delle elezioni europee dimostrano che noi comunisti possiamo portare le masse popolari a influire sulla politica borghese anche già ora che le nostre forze sono ancora molto deboli. Occorre che proseguiamo con più forza e chiarezza sulla strada tracciata. Anzitutto occorre quindi che tutti gli organismi e i compagni che hanno partecipato alla campagna elettorale facciano un accurato, concreto bilancio dei risultati ottenuti, nel concreto della loro zona d’azione, della campagna condotta, in termini di “raccogliere forze e risorse per la ricostruzione del partito comunista”, “creare un terreno più favorevole alla ricostruzione del partito comunista”. Occorre che questi bilanci siano diffusi e discussi, come strumento per portare avanti la lotta ideologica riguardante la “scelta chiara, pubblica e pratica per la concezione comunista del nostro ruolo”. Se qua o là abbiamo sbagliato, non è grave. Sarebbe grave nasconderlo. È grave continuare  a lavorare in modo superficiale, senza andare a vedere i risultati delle nostre attività. È grave insistere in attività abitudinarie o facili e suggerite dalla corrente generale e dal vento in cui ancora predomina la borghesia e sperare in dio. Le cose che abbiamo imparato sono molte, ma sono poca cosa rispetto a quelle che dobbiamo ancora imparare. La strada è ancora per la gran parte davanti a noi. Quindi è inevitabile che facciamo errori. Quello che è importante è imparare a individuarli e correggerli. Quanto più siamo capaci di farlo e abbiamo il coraggio di farlo, tanto più la causa della rinascita del movimento comunista e della ricostruzione del partito avanzerà.

 

Marco Martinengo

 

Rapporti Sociali 1985-2008 - Indice di tutti gli articoli