Guidati dal maoismo, riprendiamo la gloriosa
e vittoriosa tradizione della prima Internazionale Comunista!

Rapporti Sociali 35 - novembre 2004   (versione Open Office / versione MSWord)

 

La prima Internazionale Comunista ha approvato queste Tesi sull’attività parlamentare durante il secondo congresso che tenne dal 19 luglio all’8 agosto 1920. Al congresso parteciparono 200 delegati di 67 organizzazioni di 37 paesi. Fu il congresso che tracciò le linee secondo le quali l’IC avrebbe lavorato nei poco più di vent’anni della sua vita. Esso 1. definì la concezione e l’orientamento generale e nei principali campi d’attività del movimento comunista cosciente e organizzato nella “nuova epoca”, l’epoca dell’imperialismo (l’epoca della decadenza del capitalismo, l’epoca del capitalismo che ha esaurito il suo ruolo progressista nella storia umana) e della rivoluzione proletaria che inizia ad affermarsi e 2. prese le decisioni organizzative che miravano a costituire un partito internazionale con le sue sezioni nazionali corrispondente, secondo i più avanzati comunisti di allora, ai compiti che i comunisti dovevano assolvere nella nuova epoca.

Per quanto riguarda concezione e orientamento, il congresso approvò documenti molto importanti: Tesi sui compiti fondamentali dell’Internazionale, Tesi sul ruolo del partito nella rivoluzione proletaria, Tesi sull’attività parlamentare, Tesi sul movimento sindacale e i consigli di fabbrica, Tesi sulle condizioni per la creazione dei consigli, Tesi sulla questione nazionale e coloniale, Tesi sulla questione agraria. Per quanto riguarda la struttura organizzativa il congresso approvò gli Statuti dell’Internazionale Comunista e le Condizioni per l’ammissione all’Internazionale Comunista.

È auspicabile che tutti i comunisti, in particolare tutti i comunisti dei paesi imperialisti, studino i documenti approvati dal secondo congresso dell’IC, quasi quanto è necessario che studino il Manifesto del partito comunista del 1848. Infatti si tratta di documenti che tracciano la linea generale per l’instaurazione del socialismo proprio nei paesi imperialisti, che hanno di mira la vittoria della rivoluzione proletaria proprio nei paesi imperialisti, pongono in luce le difficoltà che già allora si frapponevano a questa vittoria e danno le indicazioni più avanzate per l’epoca su cosa fare per superarle. Essi esprimono il livello più elevato di coscienza che i comunisti di allora avevano della situazione mondiale, dei loro compiti e dei mezzi per realizzarli.

Sono passati quasi 85 anni da quel congresso. Vi è stata la grande avanzata compiuta dal movimento comunista nei 35-40 anni che seguirono il congresso. Vi è stato il lento declino degli anni successivi. Quindi il movimento pratico ci ha fornito elementi abbondanti per verificare la validità della concezione e dell’orientamento che quel congresso diede al movimento comunista dei paesi imperialisti, esaminando la pratica di vari decenni e di vari paesi. Alla luce del maoismo possiamo trarre da questo bilancio le indicazioni necessarie per affrontare in maniera più giusta i compiti della ricostruzione del partito e dell’accumulazione delle forze rivoluzionarie. Essere comunisti vuol dire essere parte e continuatori del movimento comunista internazionale che in termini consapevoli e coscienti inizia con la pubblicazione del Manifesto del partito comunista, nel 1848 e si prolunga fino ad oggi. Vuol dire anche non dissociarsi dal movimento comunista, dalla sua esperienza pratica e dal suo patrimonio teorico. Non accantonare e gettare nel dimenticatoio questo patrimonio, ma servirsene come guida per l’azione e con ciò svilupparlo, come si fa per ogni scienza viva e per il corrispondente settore di attività (ad esempio la chimica e l’industria chimica). Vuol dire considerare come fondamentalmente positiva l’opera che il movimento comunista ha svolto nella storia dell’umanità nei circa 150 anni trascorsi dalla sua fondazione e proporsi di portarla a compimento. I comunisti non possono ignorare il patrimonio teorico e non prendere in esame l’esperienza storica del movimento internazionale di cui si dicono parte: chi lo fa è o un superficiale o un imbroglione.

 Quel patrimonio teorico e quella esperienza pratica diventano oggi tanto più ricchi di insegnamenti perché li consideriamo con gli strumenti del maoismo. Il maoismo ci ha dato una chiave di lettura di cui i comunisti di allora ancora non disponevano, che ce li rende immensamente più ricchi: vediamo cose che prima i comunisti non videro. Vediamone alcune che riguardano le Tesi sull’attività parlamentare.

 

Anzitutto l’IC giustamente indica ai comunisti che la loro attività parlamentare nella nuova epoca ha un ruolo diverso da quello che ebbe nell’epoca precedente, nell’epoca preimperialista, quando la borghesia aveva un ruolo progressista nella storia umana. I socialdemocratici, i riformisti e i revisionisti vorrebbero continuare a svolgere il vecchio ruolo che non esiste più. Gli “astensionisti di principio” (nel 1920 bordighisti, anarco-sindacalisti, anarchici e comunisti estremisti - quelli di cui Lenin aveva trattato nell’opuscolo del 1919 L’estremismo, malattia infantile del comunismo; ora i militaristi come le nuove Brigate Rosse, gli “autonomi”, molti sostenitori del “sindacalismo alternativo” e varie FSRS come Teoria & Prassi e Rossoperaio) sono fermi alla critica del vecchio ruolo e dei suoi sostenitori: non considerano il ruolo che l’attività parlamentare dei comunisti può e deve assolvere per l’accumulazione delle forze rivoluzionarie nella prima fase della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, proprio perché non hanno un’idea concreta e d’insieme della via attraverso cui si compirà la rivoluzione socialista nei paesi imperialisti. Hanno imparato poco o nulla dalla prima ondata della rivoluzione proletaria, anche quelli che, come Rossoperaio, si riempiono la bocca di frasi vuote sul maoismo. A ragione non accettano più il vecchio, ma non concepiscono ancora il nuovo: quindi anche la loro opposizione al vecchio è incoerente e inefficace. Inesperienza e influenze ideologiche di varie classi non proletarie si confondono nelle loro posizioni.

Nell’epoca imperialista del capitalismo i parlamenti e gli altri organismi elettivi e rappresentativi dei paesi imperialisti, di qualsiasi livello (statale, regionale, comunale, locale), sono ingranaggi, strumenti del sistema di sfruttamento, di oppressione e di repressione della borghesia sulle masse popolari. Sono organi del potere politico della borghesia e questo, nell’epoca imperialista, è principalmente rivolto contro il proletariato e il resto delle masse popolari.

Non solo è impossibile instaurare il socialismo tramite la conquista dei parlamenti e degli altri organismi elettivi. Proporselo è tanto intelligente come proporsi di eliminare la chiesa cattolica diventando papa o la monarchia diventando re. Certo il potere della borghesia è di natura diversa da quello dei papi e dei re, ma solo chi crede sulla parola alla borghesia considera il suo potere come potere di tutto il popolo, inesistenti le differenze di classe e organi di tutti gli organi del potere della borghesia. Chi se lo propone, non pensa all’emancipazione delle masse popolari dalla borghesia e alla fine della divisione degli uomini in classi: nel migliore dei casi si illude che sia possibile gestire il capitalismo in modo più umano.

Ma nell’epoca imperialista un partito che fa dell’attività nel parlamento o negli altri organismi elettivi dello Stato la sua sola o la sua principale attività, comunque il centro della sua attività, non riesce neanche a strappare riforme e concessioni di una qualche utilità per le masse popolari. Concessioni e riforme utili alle masse popolari sono certo possibili anche nell’epoca imperialista, ma solo come effetti collaterali della lotta rivoluzionaria contro la borghesia. In ogni paese le conquiste strappate nel periodo del “capitalismo dal volto umano” (1945-1975) sono state un effetto della grande avanzata compiuta dal movimento comunista a livello mondiale. Quando esso ha declinato e ha cessato di costituire una minaccia per la borghesia, questa ha incominciato a eliminare o ridurre le conquiste. Nell’epoca imperialista l’attività che i comunisti devono svolgere negli organismi rappresentativi, negli organi del potere della borghesia approfittando della sua particolare natura rispetto alle precedenti classi dominanti, è un contributo al rafforzamento della lotta rivoluzionaria contro la borghesia. Il successo dei comunisti nell’azione parlamentare non porta all’instaurazione del socialismo, ma porta alla guerra civile però in condizioni più favorevoli alla vittoria delle masse popolari.

 Le Tesi illustrano il ruolo progressista che i parlamenti svolsero nell’epoca di ascesa del capitalismo. In quell’epoca in campo politico la borghesia lottava principalmente contro i nobili, le monarchie e il clero per affermare il suo potere politico e culturale. La classe operaia era ancora poco sviluppata. Quindi le masse popolari non avevano in campo politico un ruolo autonomo dalla borghesia e dalle altre classi sfruttatrici. Al massimo fungevano da “massa di manovra” della borghesia o di una delle classi reazionarie. Allora l’instaurazione e il rafforzamento di organi rappresentativi dei notabili e delle persone influenti (dei benestanti maschi) e la loro stessa attività servirono 1. per eliminare i privilegi delle vecchie classi sfruttatrici basati sul diritto del sangue o sul diritto divino (e questo fu un progresso per l’insieme delle masse popolari) e 2. per dare unità politica alla nuova classe dirigente, trovare una composizione tra gli interessi e le opinioni contrastanti dei suoi membri e instaurare in ogni campo della vita sociale leggi, norme e ordinamenti corrispondenti alla sua nuova superiore civiltà. Ma le Tesi illustrano questo ruolo progressista per mostrare che esso ha cessato di esistere da quando è cambiata la natura della lotta politica nella società, cioè da quando siamo entrati nell’epoca imperialista. L’ingresso nell’epoca imperialista, in campo politico vuol dire che la borghesia ora lotta principalmente contro la classe operaia e il resto delle masse popolari per mantenersi al potere, per impedire la loro emancipazione dal suo ordinamento sociale. Le masse popolari sotto la direzione della classe operaia e del suo partito comunista sono diventate un protagonista della lotta politica autonomo dalla borghesia e dalle altre classi sfruttatrici. La borghesia trova accordi con quanto sopravvive della nobiltà, del clero (come in Italia col Vaticano), della monarchia e delle altre vecchie classi reazionarie. La lotta politica nei paesi capitalisti quindi ha cambiato di natura. Le Tesi dicono in altre parole che con l’inizio dell’epoca imperialista del capitalismo in campo politico la borghesia è passata dalla democrazia borghese ad un regime di controrivoluzione preventiva. Questa è la “nuova situazione” di cui parlano le Tesi che tuttavia non le danno un nome (e questo è un limite delle Tesi, che riflette uno dei limiti della prima IC che oggi possiamo vedere chiaramente). Questa nuova situazione si è creata a cavallo tra il secolo XIX e il secolo XX. Essa ha obbligato i comunisti (socialisti) coerenti a cambiare la loro attività parlamentare. Quelli che non l’hanno cambiata, sono caduti nel pantano del parlamentarismo corrotto, ingannatore e oppressore delle masse popolari. Sono diventati strumento politico della borghesia, di fatto prima ancora di divenirlo consapevolmente. I migliori hanno avvertito il disagio del ruolo nuovo in cui la nuova situazione li metteva: alcuni vi si sono adagiati corrompendosi, altri hanno cercato con più o meno successo di uscirne e le Tesi del 1920 li additano ad esempio.

Cosa caratterizza la nuova situazione politica, il regime di controrivoluzione preventiva? Elusioni delle costituzioni democratiche, divaricazione crescente tra il ruolo costituzionalmente dichiarato dei parlamenti e il loro ruolo reale, riunificazione dei poteri esecutivo, legislativo, giudiziario nelle mani di organismi dirigenti di fatto (extracostituzionali), aggiramento degli organismi rappresentativi e riduzione dei loro poteri ufficiali, trasformazione del dibattito politico pubblico in campagne pubblicitarie per carpire voti, occultamento della verità, disinformazione sistematica e campagne di intossicazione dell’opinione pubblica, sdoppiamento dell’attività politica della borghesia in manovre e accordi privati tra gruppi e individui da una parte e in “teatrino della politica” per il gran pubblico dall’altra. E, nell’attività dell’amministrazione pubblica, militarismo, autoritarismo, anteposizione sistematica delle necessità della “sicurezza nazionale” (cioè in definitiva della conservazione del dominio della borghesia) al rispetto dei diritti civili e politici dei cittadini che la democrazia borghese aveva invece scoperto, sostenuto e imposto alle classi reazionarie come diritti inalienabili, inviolabili, intangibili anche per le autorità: una cosa che oggi ci fa ridere quando confrontiamo quel “vecchio mondo antico” con la pratica dei più “democratici” paesi capitalisti di oggi.

Il tratto distintivo, caratteristico e principale della democrazia borghese in campo politico era stato la divisione dei poteri (esecutivo, giudiziario, legislativo) e la costituzione ad ogni livello della macchina statale di organismi rappresentativi (dai parlamenti ai consigli comunali) dei ricchi, degli industriali, dei mercanti, degli imprenditori, dei trafficanti, dei professionisti, dei possidenti, degli artigiani e dei contadini più ricchi: insomma di tutti i maschi che  contavano qualcosa nella variopinta fauna che costituiva la società civile borghese a cui la vecchia società politica feudale faceva pagare imposte ma escludeva dall’attività politica. Tutte le rivoluzioni borghesi in campo politico avevano il loro fulcro nell’instaurazione della divisione dei poteri e di assemblee rappresentative. Nelle democrazie borghesi più sviluppate si era giunti al punto che anche l’esecutivo dipendeva da elezioni e assemblee rappresentative. Il governo disponeva dell’amministrazione pubblica che beninteso non faceva capo alle assemblee elettive (queste anzi non vi dovevano ficcare il naso, se non, nei casi migliori, eccezionalmente con “commissioni di inchiesta”), ma, oltre che osservare le leggi, doveva anche avere l’approvazione delle camere parlamentari, la fiducia dei “rappresentanti del popolo” o direttamente del popolo tramite elezioni. Il ruolo assunto dai parlamenti nella vita politica non modificava né poteva modificare la posizione sociale della classe operaia e delle altre classi oppresse nella società. Al contrario, la posizione subordinata delle classi oppresse si rifletteva anche nelle elezioni e nel parlamento. Non a caso il suffragio elettorale, il diritto di essere rappresentati, era concepito come diritto esclusivo dei maschi benestanti, delle persone che avevano peso e autorità nella società civile ma che i vecchi ordinamenti feudali escludevano dal potere politico perché né nobili né investiti da dio. Solo perché rispecchiava abbastanza fedelmente l’ordine sociale esistente nella società civile borghese, il parlamento potè essere un effettivo organo del potere politico della borghesia sulla società. Anche quando il suffragio elettorale venne legalmente allargato a strati via via più vasti della popolazione (e l’abolizione dei diritto divino e del diritto del sangue aveva aperto la strada a simile sviluppo), la borghesia e le altre classi sfruttatrici ad essa associate dominavano nei parlamenti perché dominavano nella società civile. Un notabile con il suo capitale e col suo ruolo sociale, quanto ad autorità sociale, capacità di influenza sociale e di rapporti sociali, potenza finanziaria, ecc. valeva e vale lui solo più di milioni e milioni di proletari. Basta che il lettore pensi alla differenza tra l’influenza sociale di un Berlusconi o di un De Benedetti e quella di un semplice operaio disorganizzato. Il ruolo effettivo dei parlamenti coincise col ruolo dichiarato dalle costituzioni e dalla dottrina solo finché essi riflettevano quella disuguaglianza sociale, finché le classi dominanti nella società dominavano anche nei parlamenti.

La democrazia borghese aveva però un punto debole. La borghesia, a differenza della nobiltà e del clero, non è costituita per diritto divino o per diritto di sangue. È una classe aperta a tutti gli arrampicatori sociali di successo. Le sue istituzioni rappresentative lo sono anch’esse. È uno degli aspetti storicamente progressisti della borghesia rispetto alle precedenti classi sfruttatrici. Ma è anche il punto debole delle sue istituzioni politiche. Man mano che il suffragio elettorale cessava di essere limitato ai benestanti e veniva esteso persino ai nullatenenti e alle donne, questo punto debole veniva in luce. Se coalizzati e organizzati in un numero abbastanza alto, dei proletari avanzati potevano eguagliare l’autorità sociale, la capacità di influenza e di rapporti, la potenza finanziaria, ecc. di ogni singolo capitalista. Man mano che lo sviluppo del movimento comunista organizzato realizzava proprio questa situazione, la disparità sociale non bastava più ad assicurare alla borghesia il predominio nelle sue istituzioni rappresentative. Quindi queste non riuscivano più a svolgere il compito per cui erano sorte. La borghesia corse ai ripari. In alcuni paesi cercò di ostacolare l’affermazione elettorale e parlamentare dei partiti proletari (che allora si chiamavano socialisti o con denominazioni affini) con misure legali discriminatorie che limitavano la loro attività: leggi eccezionali, d’emergenza, ecc. Ma ciò contrastava in maniera provocatoria con il suo ordinamento generale, creava divisioni nella stessa classe dominante, era insopportabile per quei suoi membri che più godevano del favore popolare, creava mille intralci alla vita sociale. In generale queste limitazioni e discriminazioni furono comunque travolte dalla forza del movimento comunista. Il caso più esemplare fu la Germania. Qui leggi antisocialiste furono in vigore dal 1879 al 1890. Poi la borghesia le lasciò cadere perché la realtà le aveva già rese inutili. In altri paesi la borghesia perseguì lo stesso risultato mantenendo di fatto fuori dalla vita politica borghese il grosso delle masse popolari. I casi esemplari furono gli Stati Uniti d’America dove ancora oggi solo il 30-40 % della popolazione adulta partecipa alle elezioni politiche; la Svizzera il cui diritto elettorale ha discriminato e discrimina una parte della popolazione in base al sesso, alla residenza e alla  nazionalità; le legislazioni di quasi tutti i paesi imperialisti che discriminano elettoralmente gli oriundi grazie al diritto di nazionalità. Ovunque la borghesia prese ad aggirare e svuotare di potere le istituzioni rappresentative, a ostacolare la capacità e volontà delle masse popolari di partecipare alla vita politica, a sviluppare su grande scala l’uso sistematico a fini elettorali della demagogia, dell’imbroglio, della corruzione, della paura e del terrorismo (“strategia della tensione”), del ricatto morale e religioso, di vecchie e nuove clientele (i mazzieri di Giolitti, i mafiosi di Scelba, ecc.). Quando questo non bastava, essa arrivò a sopprimere le assemblee rappresentative. Ma questo creava a sua volta nuovi problemi sia nei rapporti tra la classe dominante e le masse popolari sia nei rapporti tra i gruppi della classe dominante, come ben si è visto in più paesi durante la prima ondata della rivoluzione proletaria. In sostanza in una società basata sull’oppressione di classe, le assemblee rappresentative fanno un lavoro costruttivo solo se e finché in esse predominano le classi che dominano nella società. Ma il predominio di queste nelle assemblee rappresentative è tanto meno sicuro quanto più sviluppato e forte è il movimento comunista. Lo sviluppo del movimento comunista non porta però gli operai avanzati a impadronirsi delle assemblee rappresentative. Queste per loro natura sono estranee al proletariato. Esse per loro natura sono adatte a mediare tra gli interessi contrastanti dei borghesi, non sono adatte a funzionare come organi promotori dell’emancipazione delle masse popolari dalla borghesia e dalle altre classi sfruttatrici. L’avanzata del movimento comunista porta le classi dominanti prima a cambiare il ruolo delle assemblee rappresentative, poi a sopprimerle e a ricorrere alla guerra civile. “Dovremmo forse rassegnarci alla perdita del Cile solo perché qualche cileno ha votato male?” si indignava Kissinger negli anni 1970-1973 della presidenza Allende? Eguale fu l’opinione delle classi reazionarie spagnole nel 1936 e in ogni paese imperialista e in ogni momento in cui la questione si è posta. Queste sono le caratteristiche politiche della nuova epoca e le Tesi del 1920 ne tengono ampiamente conto. Esse erano già state del resto ben sintetizzate da F. Engels nella sua Introduzione del 1895 a Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 di K. Marx. Da qui il nuovo ruolo anche dell’attività parlamentare dei comunisti.

Le assemblee rappresentative sono per loro natura organi del potere della borghesia, ma non è indifferente, ai fini della dell’accumulazione delle forze rivoluzionarie, che in un paese esistano o meno assemblee rappresentative, elezioni, attività politica pubblica, diritto di organizzarsi, fare propaganda, partecipare alle elezioni, ecc. Tutto ciò obbliga la borghesia ad alcune procedure che riguardano sia i suoi rapporti con le masse popolari sia i rapporti tra i gruppi delle classi dominanti. Quanto al partito comunista, ciò gli permette di compiere una specifica attività elettorale e negli organismi elettivi. Un’attività che facilita direttamente la sua opera per accumulare forze rivoluzionarie e quindi indirettamente facilita anche la sua opera per strappare miglioramenti per le masse popolari (che sono un risultato della forza del movimento rivoluzionario) e per ostacolare la repressione dei comunisti, dei lavoratori avanzati e delle forze rivoluzionarie da parte della borghesia (dato che ogni partito borghese che vuole predominare nel parlamento dipende dal favore delle masse popolari). È proprio il carattere nuovo dell’attività parlamentare dei comunisti nella fase imperialista che gli “astensionisti di principio” non capiscono e non considerano. Infatti le loro obiezioni in sostanza si riducono a dire che il vecchio ruolo, quello svolto nella fase precedente la fase imperialista, quello che i riformisti fingono di continuare a svolgere, ora non è più possibile; che voler proseguire nel vecchio ruolo è un’illusione; che proseguire come se il vecchio ruolo esistesse ancora è aiutare la borghesia a mantenersi al potere, seminare illusioni tra le masse popolari, imbrogliarle. E le loro obiezioni sono convincenti proprio dove non esiste un’attività parlamentare dei comunisti come strumento della loro politica rivoluzionaria e partiti sedicenti comunisti scimmiottano il vecchio ruolo dell’attività parlamentare, che le Tesi descrivono come proprio dei socialdemocratici. Quanto al ruolo dell’attività parlamentare dei comunisti nella fase imperialista, gli “astensionisti di principio” si limitano a dire che non esiste. Ma la realtà della storia di tutti i paesi imperialisti nel corso di tutta la lunga situazione rivoluzionaria legata alla prima crisi generale del capitalismo (1905-1945) ha dimostrato il contrario.

 

 In cosa consiste il “nuovo ruolo” di cui parlano le Tesi del 1920 visto nella situazione concreta di oggi? Cosa deve fare la pattuglia di comunisti eletti nei parlamenti, per piccola che essa sia? Con quali obiettivi dobbiamo partecipare alle campagne elettorali?

Le Tesi del 1920 sono ricche di indicazioni dettagliate, la cui sintesi è: promuovere l’orientamento comunista delle masse popolari, la loro aggregazione attorno al partito comunista, la loro mobilitazione e la loro partecipazione all’attività politica rivoluzionaria, alla lotta per instaurare il socialismo. Tutto ciò ovviamente presuppone che il partito comunista esista, che sia il centro attorno a cui si va costruendo il nuovo potere: questa grossomodo è la situazione che l’IC considerava nel 1920 riferendosi ai paesi imperialisti. Ed in effetti un centro internazionale del genere esisteva ed estendeva la sua azione a tutti i paesi imperialisti. Oggi in Italia il “nuovo ruolo” consiste anzitutto nel contribuire alla costruzione del nuovo e vero partito comunista. La strategia della guerra popolare rivoluzionaria in questo momento in Italia comporta un’attività elettorale e parlamentare (e negli organismi elettivi di tutti gli altri livelli) che contribuisca alla ricostruzione del vero partito comunista, centro e nucleo insostituibile del nuovo potere.

Ne segue che l’obiettivo principale della nostra partecipazione alla lotta politica borghese non è l’acutizzazione delle contraddizioni tra le forze politiche borghesi e i gruppi sociali che ognuna di esse rappresenta. Il nostro obiettivo principale non è cioè quello di rafforzare ora l’uno ora l’altro gruppo borghese l’uno contro l’altro. Sarebbe l’illusione di mosche cocchiere che credono di destabilizzare così il regime. Sarebbe questa un’illusione eguale nella concezione di fondo, benché diversa per i mezzi impiegati, all’illusione dei militaristi (edizione moderna degli anarchici del tempo antico). Anch’essi credono e si propongono di destabilizzare il sistema politico borghese colpendo ora qui ora là, ora questo ora l’altro esponente del sistema di potere della borghesia. La destabilizzazione del sistema politico borghese è una realtà, è la crisi politica che cresce in ogni paese imperialista e nelle relazioni internazionali. Ma il motore principale della destabilizzazione del sistema politico borghese è nella borghesia stessa, è la crisi generale del suo sistema, di cui abbiamo ampiamente parlato in altre sedi. La partecipazione delle masse popolari sotto la direzione dei comunisti alla lotta politica borghese dà una particolare impronta e può dare un particolare sbocco alla crisi politica della borghesia, come vedremo, ma non è il fattore principale del suo sviluppo. La condizione prima per sfruttare le contraddizioni in campo borghese, è di esistere come polo autonomo da esso, come centro del nuovo potere proletario. Oggi bisogna puntare tutte le nostre forze per costituirci come polo autonomo da ogni gruppo borghese, come vero partito comunista. L’effetto, la bontà e l’efficacia delle nostre attività in campo elettorale e parlamentare vanno misurate concretamente e minutamente dai risultati in questo campo.

Ne segue che l’obiettivo principale della nostra partecipazione alla lotta politica borghese non è neanche quello di indirizzare le decisioni dello Stato borghese in senso più favorevole (o meno ostile) alle masse popolari. Anche questa sarebbe una deviazione e sarebbe sostanzialmente un’illusione simile a quella dei militaristi. Anch’essi si propongono e credono di condizionare con i loro attentati la politica della borghesia, di renderla meno dannosa per le masse popolari. Certamente la partecipazione delle masse popolari alla lotta politica borghese sotto la direzione dei comunisti condiziona l’azione politica della borghesia e le decisioni del suo governo e della sua pubblica amministrazione. Ma le condiziona in modo ambiguo: costringe la borghesia a fare concessioni ma, se non avanza la lotta per instaurare il socialismo, essa prima o poi le eliminerà o le rivolgerà contro le masse popolari, come sta facendo attualmente sotto i nostri occhi. Ogni misura attuata dal governo e dalla pubblica amministrazione della borghesia a favore di una frazione delle masse popolari, se è reale e non una promessa vuota o una legge inapplicata, lede gli interessi di un’altra parte e nuoce ad essa. Fomenta quindi le contraddizioni in seno alle masse popolari. Trasforma la contraddizione tra borghesia imperialista e masse popolari in contraddizioni tra le masse popolari. L’attività economica e le forze produttive oramai sono collettive e non si prestano a rappezzature parziali e locali. Ogni modificazione in una parte della società, produce effetti sulle altre parti. Questo vale anche per misure che come effetto diretto e immediato favoriscono tutte le masse  popolari: come ad esempio una riduzione generale dei profitti a vantaggio dei salari e degli altri redditi delle masse popolari, un’imposta generale sui profitti, sulle rendite e sugli interessi per finanziare un servizio pubblico (servizio sanitario, trasporti gratuiti, istruzione pubblica, alloggi popolari, lavori di pubblica utilità, ecc.), una riduzione generale dei prezzi dei generi di prima necessità. Nel corso della crisi generale del capitalismo ogni misura che favorisce le masse popolari, diminuisce la competitività dei capitalisti che sono costretti ad attuarla, riduce i profitti del capitale e accentua la crisi o la depressione economica del settore o del loro paese, spinge alle delocalizzazioni, alle esternalizzazioni, ecc. Anche il protezionismo, i sussidi pubblici alle imprese in fallimento, le nazionalizzazioni, ecc. finché i capitalisti e la loro privata iniziativa governano l’attività economica e i profitti del capitale investito restano la misura del successo di un’azienda (e solo questo significa “gestione manageriale”), cioè finché siamo in un ordinamento sociale capitalista, producono in breve tempo effetti negativi per l’attività economica dei capitalisti, deprimono i settori che lavorano per l’esportazione, generano altri tipi di corruzione, spingono i capitalisti a cercare altri campi di impiego dei loro capitali. Già oggi i capitalisti investono nelle attività economiche capitaliste vere e proprie (quelle che si basano sull’assunzione e lo sfruttamento di proletari) solo una parte dei capitali di cui dispongono. La partecipazione delle masse popolari alla lotta politica borghese sotto la direzione dei comunisti condiziona l’azione politica della borghesia e le decisioni del suo governo e della sua pubblica amministrazione in senso favorevole alle masse popolari. Ma sono miglioramenti di breve durata, precari, che a più o meno lunga scadenza producono anche una reazione contraria e, se non alimentano la rivoluzione, alimentano la controrivoluzione. Dividono le masse popolari e questa divisione diventa reale e tanto più importante quanto meno le masse popolari sono mobilitate per instaurare il socialismo. Sono i limiti evidenti delle lotte rivendicative a cui invece gli economicisti si dedicano anima e corpo con la scusa che “sono le uniche cose che interessano agli operai”. Le riforme e le misure favorevoli alle masse popolari non solo sono un effetto collaterale della lotta rivoluzionaria, ma solo se le forze rivoluzionarie che le hanno conquistate le usano per rafforzarsi e rafforzare la lotta per instaurare il socialismo hanno un ruolo storicamente progressista, non sono solo un modo per entrambe le classi in lotta per tamponare la situazione e guadagnare tempo.

I nostri candidati quindi non devono mai porre la questione nei termini: se vinciamo le elezioni o se siamo eletti in gran numero, noi attueremo questo o quel miglioramento per le masse popolari. Nella situazione attuale gli organi elettivi non possono, nel migliore dei casi (cioè anche quando, grazie alla nostra presenza, la borghesia non riesce a usarli liberamente come strumenti per sfruttare, opprimere e reprimere le masse popolari), che registrare il rapporto di forze che la mobilitazione, l’aggregazione e la lotta rivoluzionaria delle masse popolari creano nel paese; sanzionare e approvare quello che la politica rivoluzionaria e in particolare la minaccia incombente della rivoluzione induce la borghesia a concedere. Credere o far credere che la nostra presenza nei parlamenti o in altre assemblee elettive, se numerosa, possa di per se stessa portare queste a prendere decisioni pratiche ed effettive favorevoli delle masse popolari sarebbe già lavorare contro il miglioramento delle condizioni delle masse popolari. Questo infatti può provenire in definitiva solo da una crescita della mobilitazione e dell’organizzazione delle masse popolari che saranno tanto più efficaci quanto più avverranno attorno al partito comunista e sotto la sua direzione, quanto più quindi saranno mobilitazione e organizzazione rivoluzionarie, dirette contro la borghesia imperialista. Far credere il contrario, far credere che le masse popolari possano a ragione riporre fiducia nei parlamenti, indebolirebbe proprio la mobilitazione e l’organizzazione delle masse popolari, quindi creerebbe condizioni meno favorevoli anche per il miglioramento delle loro condizioni.

L’obiettivo principale dell’attività elettorale e parlamentare dei comunisti è la crescita dell’aggregazione delle masse popolari attorno al partito comunista, nelle sue organizzazioni di massa, nel fronte popolare, la crescita dell’influenza politica e ideologica del partito e della parte avanzata della classe operaia sul complesso delle masse popolari. Questo in campo elettorale si traduce principalmente nel successo delle liste che in un modo o nell’altro fanno capo al partito  comunista ed è misurato in primo luogo da questo successo. In secondo luogo si traduce nell’influenza che lo spostamento generale delle masse, la trasformazione diffusa del loro stato d’animo ha sulle forze politiche borghesi. Una parte di queste infatti cercherà di “venire incontro ai desideri delle masse” per assicurarsi il loro consenso, per mantenere il proprio controllo su di esse, per strappare i loro voti, per sincera convinzione di alcuni di poter attuare soluzioni che concilino interessi in definitiva inconciliabili. In Italia abbiamo visto persino il Vaticano con la sua DC, i suoi Fanfani e i suoi Dossetti affannarsi a “far concorrenza ai comunisti nel soddisfare i bisogni delle masse popolari”, quando il fascino dei comunisti sembrava invincibile. Un’altra parte delle forze borghesi si convincerà invece sempre più che non c’è conciliazione possibile e nella pratica cercherà forme adatte ad imporre alle masse popolari gli interessi della borghesia (mobilitazione reazionaria). La classe operaia organizzata nel suo partito diventa quindi di fatto anche per questa via centro dirigente della vita politica del paese, un centro autonomo dalle classi sfruttatrici, una forza che obbliga le forze politiche borghesi a schierarsi in conformità ai loro interessi e alle loro illusioni e concezioni, che rafforza il suo ruolo di direzione diretta o indiretta su tutta la società.

Quanto al contributo dell’attività elettorale e parlamentare alla mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari, per noi la questione chiave è “mobilitare la sinistra perché conquisti il centro e isoli la destra”. In ogni aggregato popolare vi è una sinistra, una destra, un centro. Solo la sinistra può isolare la destra e mobilitare e unire a sé il centro. Il partito comunista quindi deve conquistare la fiducia e la direzione della sinistra. Se invece il partito comunista cerca consensi direttamente nel centro facendo concessioni alle sue arretratezze, perderà l’appoggio entusiasta della sinistra e non conquisterà neanche il centro: questi infatti nella misura in cui non è egemonizzato e diretto dalla sinistra, segue più la classe dominante, e la destra che la rappresenta tra le masse popolari, che non il partito comunista. Un partito comunista che adotta un programma elettorale moderato, che nasconde i suoi obiettivi, quasi a voler ingannare le masse popolari per avere più voti possibile, è un partito che si vota al suicidio. È quella tattica che Lenin già nel 1916, riferendosi ai rivoluzionari tedeschi, aveva bollato come “tattica delle due fasi di infausta memoria” (A proposito dell’opuscolo di Junius).

Quindi la soluzione più favorevole, a cui i comunisti devono mirare nell’intervento nella politica borghese, è costituire per così dire il proprio “partito elettorale”, presentare proprie liste elettorali, avere propri eletti, costituire propri gruppi all’interno di ogni assemblea elettiva. Concretamente oggi in Italia vuol dire presentare ovunque possibile liste comuniste in cui confluiscano il maggior numero possibile di FSRS.

Solo quando vi siamo costretti, cioè dove non riusciamo ancora a presentare liste comuniste, ricorriamo a una di queste due soluzioni provvisorie, nell’ordine:

- Presentiamo nostri candidati come indipendenti nelle file di un partito borghese e facciamo la nostra scelta sulla base della valutazione delle forze che tramite questa soluzione provvisoria aggreghiamo attorno al partito, nelle organizzazioni di massa, nel fronte popolare con la nostra campagna elettorale autonoma e con l’azione che il nostro candidato, se eletto, svolgerà a favore di questa aggregazione.

- Appoggiamo, apertamente e nel modo più contrattato che ci è possibile, questo o quel partito borghese, non per quello che esso può fare e che farà (non nutriamo alcuna illusione in merito e tanto meno ne dobbiamo alimentare nelle masse popolari). Lo appoggiamo per le forze che tramite questa soluzione provvisoria aggreghiamo attorno al partito, nelle organizzazioni di massa, nel fronte popolare con la nostra campagna elettorale autonoma.

Vale la pena di far notare che non a caso ho detto “dove non riusciamo ancora a presentare liste comuniste” e non ho detto “dove non riusciamo ancora a far eleggere nostri candidati”. Infatti una campagna elettorale e un’agitazione politica (nel campo della politica borghese) condotte da un “partito elettorale” comunista nel nome di una lista elettorale comunista, ai fini dell’avanzamento della nostra politica rivoluzionaria sono per noi importantissime, anche se la nostra influenza tra le masse popolari è ancora piccola e quindi non riusciamo ancora a far eleggere nostri candidati. Se  comprendiamo e presentiamo in modo giusto la nostra politica, nel nostro caso non vale, in generale (quindi salvo casi e circostanze concrete che facciano scegliere in modo diverso), l’argomento della “dispersione di voti”, del “voto utile”. Infatti la nostra campagna elettorale autonoma, che possiamo condurre con maggiore efficacia se abbiamo una nostra lista, è di per se stessa un fattore che concorre al raggiungimento degli obiettivi della nostra politica rivoluzionaria e quindi è tutto fuorché dispersione di voti e promozione di voti inutili.

 

Cosa ci dice la pratica rispetto alla linea indicata nelle Tesi del 1920?

Queste Tesi non solo riguardano l’epoca imperialista del capitalismo in cui ancora ci troviamo, ma furono redatte espressamente proprio come guida dell’azione dei comunisti in una situazione rivoluzionaria, quella connessa con la prima crisi generale del capitalismo. La verità è sempre concreta: ciò significa che ogni affermazione deve sempre essere considerata in relazione alla situazione concreta per la quale viene enunciata. Le Tesi riguardano l’attività parlamentare del partito comunista in una situazione rivoluzionaria. Quindi non in una situazione di ripresa dell’accumulazione capitalista e di espansione dell’apparato produttivo quali furono gli anni 1945-1975; non in un periodo, per dirla usando le parole di Lenin, come quello che comprende “l’ultimo terzo del secolo XIX e l’inizio del secolo XX in cui la Seconda Internazionale ha compiuto un utile lavoro preparatorio di organizzazione delle masse proletarie nel lungo periodo “pacifico” della più crudele schiavitù capitalista e del più rapido progresso capitalista”; ma in un periodo in cui ai partiti comunisti “spetta in tutti i paesi il compito di organizzare le forze del proletariato per l’assalto rivoluzionario contro i governi capitalisti, per la guerra civile contro la borghesia, per il potere politico, per il socialismo” (Lenin, La situazione e i compiti dell’Internazionale, 1° novembre 1914, in Opere, vol. 21). Gli insegnamenti che ci danno per la situazione attuale queste Tesi sull’attività parlamentare sono tanto più significativi se teniamo conto che esse furono approvate in una situazione concreta in cui la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari era già molto più avanzata di quanto lo sia oggi. Quando furono approvate, il partito comunista aveva già preso il potere in Russia, la rivoluzione proletaria mondiale possedeva quindi già una sua base d’appoggio e sembrava che la rivoluzione proletaria stesse estendendosi almeno all’Europa orientale e centrale, fino alla Germania compresa. Il governo reazionario polacco di Pilsudski, sostenuto dall’Intesa e in particolare dalla Francia, aveva aggredito l’Ucraina sovietica. Ma nel mese di luglio e agosto 1920, quindi proprio durante il congresso dell’IC, la sua sconfitta sembrava definitiva, l’Armata Rossa sovietica marciava su Varsavia e contava che gli operai e i contadini polacchi che Pilsudski aveva represso nel sangue pochi mesi prima, alla fine del 1918, sarebbero di nuovo insorti. Anche in quel contesto concreto l’IC indicò ai suoi partiti la necessità di usare, in generale, le istituzioni borghesi, in particolare il parlamento e le elezioni parlamentari, per estendere la propaganda comunista alle masse meno attive e organizzarle e per distruggere dall’interno le istituzioni borghesi. E indicò esempi concreti: l’azione di Karl Liebnecht in Germania, di Höglund in Svezia, dei bolscevichi in Russia, dei comunisti Blagoev, Kirkov, Kolarov e altri in Bulgaria. In una circolare di alcuni mesi prima l’IC aveva detto altrettanto esplicitamente: “Sappiamo benissimo che in Francia, in America, in Inghilterra tali parlamentari comunisti non sono ancora esistiti”. E l’affermazione valeva anche per l’Italia come ben illustrano le proposte presentate dalla sezione del PSI di Torino al Consiglio nazionale del partito e pubblicate nella rivista L’Ordine Nuovo (diretta da Antonio Gramsci) dell’8 maggio 1920 che il congresso dell’IC additò ad esempio positivo. Erano le tesi che alcuni mesi prima Lenin aveva esposto nell’opuscolo L’estremismo, malattia infantile del comunismo.

La linea tracciata dalla IC in queste Tesi ha dato ottima prova di sé in tutti i paesi imperialisti durante la situazione rivoluzionaria che si chiuse con la fine della seconda guerra mondiale. Infatti seguendo quella linea i partiti comunisti dei paesi imperialisti ottennero frutti persino superiori a quelli attesi in fatto di mobilitazione delle masse popolari per il socialismo, della loro aggregazione attorno al partito comunista e di fare di questo il centro della lotta politica. Proprio grazie ai risultati ottenuti, emerse però anche il limite che impedì la conquista del potere e l’instaurazione del socialismo  nei paesi imperialisti. La linea funzionava, il punto debole stava nei partiti comunisti dei paesi imperialisti, nelle sezioni nazionali dell’IC. La direzione dell’IC, pur essendo in generale più avanzata delle direzioni delle sezioni nazionali, non riuscì nè poteva riuscire a supplire alle loro arretratezze. I limiti dell’IC si sommarono alle arretratezze delle sue sezioni nazionali che avevano applicato le direttive dell’IC solo parzialmente: la bolscevizzazione era rimasta a metà. La riunione costitutiva del Cominform (22-27 settembre 1947) non potè che constatare il fallimento dei partiti comunisti francese e italiano nell’instaurazione del socialismo. L’attuazione della linea decisa dall’IC aveva prodotto i suoi frutti, ma i partiti comunisti dei paesi imperialisti non erano stati pronti e capaci di coglierli, per motivi su cui qui non mi soffermo ma che nella rivista La Voce sono stati già esposti.

La pratica mostrò che la partecipazione dei partiti comunisti alla vita politica borghese nei paesi imperialisti non portava all’“instaurazione del socialismo per via parlamentare” e neppure all’attuazione da parte del governo e dell’amministrazione statale di una politica favorevole alle masse popolari, a una “democrazia progressiva” o ad altri risultati del genere come credevano non solo i socialdemocratici ma anche opportunisti, riformisti ed elementi arretrati appartenenti all’IC (dall’americano Earl Russel Browder (1891-1973), al francese Maurice Thorez (1900-1964) che persino espose tali vedute nella sua intervista del 1946, a Togliatti (1893-1964), fino a Kruscev). Portava alla guerra civile, ma in condizioni favorevoli alla vittoria delle masse popolari, con la borghesia spaccata in due. Il caso della Spagna del 1936 è esemplare perché il processo lì giunse fino alla guerra civile dispiegata. Invece in generale i partiti della prima Internazionale Comunista dei paesi imperialisti non furono preparati a questo sviluppo. Di fronte alla minaccia e al rischio di guerra civile che la destra della borghesia agitava si ritrassero. Anziché mobilitare le masse, le indussero a subire il ricatto dell’ala destra della borghesia. Quando e dove, sospinti dalla direzione della IC, assunsero il loro ruolo nella guerra civile (come ad esempio in Spagna e anche in altri paesi durante la seconda guerra mondiale) in linea generale la condussero senza avere di mira l’instaurazione del socialismo. Essi considerarono l’alleanza di una parte della borghesia come condizione necessaria per mobilitare su larga scala le masse popolari nella guerra civile, mentre in realtà era la mobilitazione su larga scala delle masse popolari contro il vecchio ordinamento sociale che induceva una parte della borghesia a schierarsi dalla parte delle masse popolari nella guerra civile.

I successi ottenuti dai partiti dell’IC dei paesi imperialisti, visti alla luce della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata che essi non arrivarono a concepire, confermano dunque che la linea tracciata dall’IC era conforme al processo reale. Le sconfitte hanno “castigato” le deviazioni e le arretratezze dei partiti comunisti e quindi anch’esse la confermano. Del resto le stesse Tesi del 1920 mettevano già in guardia dalle deviazioni che in effetti si sono verificate, perché anch’esse corrispondevano e corrispondono al processo reale.

 

Questi e altri insegnamenti possiamo oggi, alla luce del maoismo, trarre dalle Tesi del 1920 e anche lezioni sul metodo materialista dialettico di pensare. Ma avremo la possibilità di parlarne nel corso della discussione che l’urgenza del momento e anche la pubblicazione di queste Tesi alimenteranno tra i comunisti.

Giuseppe Maj

 

 

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