INDICE di Cristoforo Colombo

 3. I RISULTATI

4. LA STRATEGIA DEI COMUNISTI NELLA METROPOLI IMPERIALISTA

- Il bilancio dell'esperienza della lotta politica del proletariato nell'epoca imperialista

- L'esperienza del movimento delle masse in Italia negli ultimi vent'anni

- I fattori favorevoli

5. I COMPITI E LA STRUTTURA DEL PARTITO COMUNISTA


Capitolo 4

 LA STRATEGIA DEI COMUNISTI NELLA METROPOLI IMPERIALISTA

 

 

In questo e nel capitolo seguente parleremo del cosa fare nell'attuale situazione. Abbiamo già riassunto i compiti che ci stanno davanti nell'obiettivo di «costituire il movimento rivoluzionario in partito». Abbiamo già detto che, grazie al ruolo da esse conquistato nella società italiana e nel movimento rivoluzionario, solo le Brigate Rosse sono oggi in condizioni di condurre questa operazione. Il partito deve nascere come prosecuzione e trasformazione delle BR, come nuovo livello raggiunto dalle BR, come nuovo livello reso possibile dai successi della loro precedente fase di attività e reso necessario dalla situazione politica generale.

Vogliamo ora esporre quale deve essere, secondo noi, il progetto del partito per la fase di lotta che ci sta davanti. Dovremo quindi riprendere, da una diversa angolazione, anche alcuni argomenti già analizzati nei capitoli precedenti. Molte delle cose trattate comportano analisi e problemi non ancora risolti. Per la risposta definitiva occorre che altri compagni vi contribuiscano con la loro riflessione e la loro esperienza. La definizione di queste risposte rientra tra le cose da fare.

 

Il bilancio sia dell'esperienza del movimento proletario internazionale che della nostra esperienza particolare ci ha portato e ci porta a definire la nostra nuova strategia, la via del proletariato per conquistare il potere nei paesi imperialisti come combinazione, già nella fase di accumulazione delle forze, del movimento politico e rivendicativo delle masse e dell'attività combattente. La conferma di questa strategia, la definizione degli elementi concreti che la compongono, la definizione degli elementi specifici della nostra via si possono avere solo combinando l'analisi generale, il bilancio dell'esperienza del movimento proletario e rivoluzionario compiuta dai classici del marxismo-leninismo con la verifica attraverso la nostra pratica.

 

 

 Il bilancio dell'esperienza della lotta politica del proletariato nell'epoca imperialista

 

La 2° Internazionale venne fondata nel 1889, in un periodo in cui il compito principale dei partiti socialisti era ancora l'organizzazione e l'educazione del proletariato. Essa svolse per vari anni questo compito.

I partiti aderenti avevano come programma politico, come obiettivi relativi allo Stato, all'ordinamento e all'azione dello Stato, l'allargamento degli istituti della democrazia borghese alle masse popolari e in particolare agli operai.

I partiti della 2° Internazionale inoltre promuovevano e sostenevano le lotte del proletariato per migliorare le condizioni di vita e di lavoro, le lotte rivendicative e le iniziative cooperativistiche.

Durante questo periodo la classe operaia imparò per la prima volta quali mezzi di lotta sono l'utilizzazione del parlamento, delle elezioni e di tutte le altre possibilità della democrazia borghese, la creazione di organizzazioni di massa politiche ed economiche, di una stampa operaia a larga diffusione.

Il limite della 2° Internazionale, che ad un certo punto ne determinò la degenerazione ed il fallimento, fu l'incomprensione del fatto che:

- il suo programma politico era relativo alla fase in cui si trovava la società borghese, la fase preimperialista,

 - quei metodi di lavoro e le forme di organizzazione che erano stati utili per preparare il proletariato, farne crescere la cultura, farlo assurgere a soggetto politico erano inadeguati ai compiti posti dalla nuova fase della società borghese, la fase imperialista,

- di conseguenza, essi cessavano di essere i metodi e le forme principali di lotta e acquistavano contenuti nuovi. Essi continuavano e continuano infatti ad avere un ruolo come attività particolari, perché di fronte alle nuove leve di proletari e alle parti più arretrate del proletariato anche l'organizzazione e l'azione educativa più elementari hanno ancora un ruolo.

 

 

 

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Nell'ultima parte del secolo XIX la borghesia si afferma completamente come nuova classe dominante e si costituisce un sistema capitalistico mondiale. Contemporaneamente a ciò si attua la divisione della società borghese in due classi antagoniste: borghesia e proletariato.

Finché la borghesia fu principalmente impegnata ad eliminare i residui del regime feudale essa rappresentò gli interessi oggettivi di tutta la nuova società. In campo politico la borghesia fu democratica, lottò per l'estensione dei diritti democratici, per l'espansione della cultura e dell'istruzione, contro l'oscurantismo clericale e per un sapere scientifico.

I partiti socialdemocratici furono impegnati principalmente a formare il proletariato, a farne una classe per sé, a dare ad esso coscienza del suo ruolo storico, attraverso la creazione di organizzazioni di ogni genere, con in testa il partito. La lotta per l'estensione dei diritti democratici era il contenuto principale della lotta politica del partito. In questo senso anche la denominazione di socialdemocratico era «scientifica», corrispondeva al contenuto, al ruolo del partito in quella fase storica.

Quando il processo di affermazione della borghesia e di divisione della società in borghesia e proletariato fu complessivamente concluso, forza motrice del movimento della società divenne la lotta tra le due nuove classi antagoniste.

Quando la borghesia ebbe in complesso vinta la sua lotta con le classi feudali diventò la classe politicamente dominante e raggiunse l'apice del suo sviluppo. Quindi con l'inizio della fase imperialista delle società borghesi, il suo impegno principale in campo politico si volse a contenere, frenare e reprimere il movimento operaio ed essa cessò di essere per l'estensione dei diritti democratici.

L'estensione del diritto di voto e di organizzazione non portò ad una diffusione del potere di indirizzare l'attività dello Stato, all'innalzamento delle masse ad una condizione che le rendesse atte a prendere parte all'attività statale e quindi all'estinzione dello Stato come corpo separato e contrapposto alle masse. Essa portò al contrario all'esautoramento delle assemblee elettive, alla mercificazione del voto, alla proliferazione delle attività statali segrete e parallele, allo sviluppo delle tecniche di diversione, di manipolazione delle informazioni e della cultura e di abbrutimento delle menti e delle coscienze, alla controrivoluzione preventiva. La contraddizione tra la schiavitù salariale in campo economico e la libertà e l'uguaglianza in campo politico divenne acuta e l'incompatibilità venne trattata dalla classe dominante con la negazione di fatto della libertà ed eguaglianza in campo politico. Man mano che la borghesia dovette togliere gli ostacoli legali alla costituzione di organizzazioni proletarie, essa imparò ad agire all'interno di tali organizzazioni, corrompendo, dividendo, infiltrando, manovrando, comperando, facendo un uso selettivo della repressione (26).

 

 (26) Accanto a questo continuano, come forma secondaria, la repressione e gli ostacoli posti all'organizzazione: dal caposquadra che minaccia e punisce chi legge il giornale rivoluzionario e così ne limita la diffusione, alla FIAT che cataloga, scheda, punisce e premia, all'industria mafiosa dove la «testa calda» viene ricattata ed eliminata, ai reparti confino, ecc. Tutte cose che capisce chi ha presente attraverso quali passaggi in tempi «pacifici» si sviluppano il movimento di massa, la coscienza di classe, le organizzazioni di massa.

 

A questo punto la lotta per l'estensione dei diritti democratici cessò oggettivamente di essere il compito principale del partito del proletariato in campo politico. La controrivoluzione preventiva divenne il contenuto dell'attività politica della borghesia. L'estensione dei diritti della democrazia borghese non era più lo strumento per l'emancipazione del proletariato, ma uno dei terreni di confronto e scontro tra gruppi politici borghesi. Era l'evoluzione della situazione oggettiva che comportava questo, anche se nessuno dei partiti della 2° Internazionale riconobbe tempestivamente il mutamento della fase. Era iniziata la fase di declino della borghesia e per il proletariato si poneva l'obiettivo della conquista del potere.

Tutto il mondo era cambiato e anche la borghesia era cambiata. La cosa divenne palese allo scoppio della 1° Guerra Mondiale con la soppressione violenta in ogni paese di tutte le organizzazioni proletarie che non accettarono di collaborare con la propria borghesia.

D'altra parte proprio l'inizio dell'epoca del declino della borghesia e delle rivoluzioni proletarie spingeva verso il proletariato numerosi esponenti delle classi intermedie che i partiti socialdemocratici accoglievano nelle loro fila, dove diventavano un fattore di freno e d'inquinamento e impedivano che questi partiti si trasformassero adeguandosi ai compiti della nuova epoca.

Nel 1924 Stalin in Principi del leninismo fece questo bilancio del lavoro della 2° Internazionale: «Il periodo del dominio della 2° Internazionale fu in prevalenza il periodo della formazione e dell'istruzione degli eserciti proletari, in una situazione di sviluppo più o meno pacifico. Fu il periodo in cui il parlamentarismo era la forma prevalente della lotta di classe. I problemi relativi ai grandi conflitti di classe, alla preparazione del proletariato alle battaglie rivoluzionarie, ai mezzi per conquistare la dittatura del proletariato, non erano allora, a quanto sembrava, all'ordine del giorno. Il compito si riduceva ad utilizzare tutte le vie di sviluppo legale per la formazione e l'istruzione degli eserciti proletari, a utilizzare il parlamentarismo tenendo conto di una situazione in cui il proletariato rimaneva e, a quanto sembrava, doveva rimanere all'opposizione. Non occorre dimostrare che in un simile periodo e con una tale concezione dei compiti del proletariato non poteva esistere né una strategia completa, né una tattica approfondita. Esistevano dei frammenti, delle idee staccate sulla tattica e sulla strategia; ma una tattica e una strategia non esistevano.

Il peccato mortale della 2° Internazionale non consiste nell'aver applicato a suo tempo la tattica dell'utilizzazione delle forme parlamentari di lotta, ma nell'aver sopravvalutato l'importanza di queste forme, fino a considerarle quasi come le sole esistenti, cosicché, quando sopraggiunse il periodo delle battaglie rivoluzionarie aperte e la questione delle forme di lotta extraparlamentari diventò la più importante, i partiti della 2° Internazionale si sottrassero ai nuovi compiti, non li riconobbero».

 

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In questo campo il partito di Lenin costituì, all'interno della 2° Internazionale, un caso singolare e isolato. Esso da una parte operava in una società relativamente arretrata, in cui il mutamento di fase era meno "vero": lo era per il contesto mondiale che si era creato - nell'epoca dell'imperialismo ogni rivoluzione democratico-borghese inevitabilmente o trapassa in rivoluzione socialista o viene sconfitta - non lo era per la situazione interna russa.

Dall'altra il partito di Lenin non lottava principalmente nell'ambito della democrazia borghese,  perché metodi democratico-borghesi gli erano in generale preclusi o fortemente limitati dal regime interno russo. Di conseguenza non avvertiva per esperienza propria l'inadeguatezza di quei metodi ai compiti e alle condizioni reali della nuova fase. Esso difendeva, nell'ambito della 2° Internazionale e contro gli opportunisti russi e di altri paesi, la diversità del suo operare in nome della specificità russa, non in nome del mutamento della fase nel mondo. Quindi non attaccava il modo di essere degli altri partiti della 2° Internazionale come inadeguato alla fase.

L'inevitabile tradimento della maggior parte dei partiti della 2° Internazionale nel 1914 arrivò anche per Lenin come un fulmine a ciel sereno.

In realtà c'era un abisso tra le parole d'ordine rivoluzionarie del partito socialdemocratico tedesco e degli altri partiti «fratelli» e la loro linea politica effettiva, la loro concreta capacità operativa. Lo scoppio della 1° Guerra Mondiale non determinò l'abbandono della linea rivoluzionaria. Solamente rese palese quello che era già avvenuto, ma che gli eventi non avevano ancora costretto a manifestarsi.

La riprova di questo è il fatto che anche i dirigenti e i gruppi dirigenti che, come Rosa Luxemburg e Karl Liebnecht, non aderirono al socialpatriottismo, furono sostanzialmente impotenti perché impreparati alla situazione e con un partito non attrezzato per l'occorrenza.

I partiti socialdemocratici si erano formati e strutturati nell'ambito della legalità borghese, in condizioni di libertà condizionata e vigilata. Essi avevano disimparato ad usare l'organizzazione illegale, clandestina, cospirativa e militare. Quando la nuova situazione divenne chiara, essi vennero posti di fronte alla scelta o collaborare con la borghesia o lo scioglimento, la confisca, la galera e il massacro e gli opportunisti di destra ebbero buon gioco.

 

 

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L'adesione dei gruppi dirigenti al socialpatriottismo e alla guerra imperialista pose in primo piano il loro tradimento, anziché il corso obiettivo che, snodandosi anno dopo anno, aveva portato i partiti socialdemocratici in una situazione in cui oramai non potevano che o schierarsi con i loro governi o sciogliersi.

Lenin tracciò il bilancio di questo percorso nel 1915 nello scritto Il fallimento della 2° Internazionale e nel 1920 in L'estremismo, malattia infantile del comunismo di cui riportiamo in nota il passo più pertinente all'argomento (27).

 

(27) «Dopo la rivoluzione proletaria in Russia e le vittorie inattese, per la borghesia e per i filistei, riportate da questa rivoluzione su scala internazionale, il mondo intero è oggi cambiato, e anche la borghesia è cambiata dappertutto. Essa è impaurita dal «bolscevismo», è furibonda contro di esso fin quasi alla follia e, appunto per questo, da una parte affretta lo sviluppo degli avvenimenti e, dall'altra parte, rivolge tutta la sua attenzione al soffocamento violento del bolscevismo, indebolendo, con ciò stesso, le proprie posizioni in un buon numero di altri campi. Di ambedue queste circostanze i comunisti di tutti i paesi progrediti devono tener conto nella loro pratica.

Quando i cadetti russi e Kerenski scatenarono una caccia feroce contro i bolscevichi - specialmente nell'aprile 1917 e ancora più nel giugno e nel luglio 1917 - essi «passarono la misura». Milioni di copie di giornali borghesi che urlavano su tutti i toni contro i bolscevichi, contribuivano a spingere le masse a dare il loro giudizio sul bolscevismo, e ciò mentre, oltre la stampa, tutta la vita pubblica, proprio grazie allo «zelo» della borghesia, echeggiava di discussioni intorno al bolscevismo. Oggi, su scala internazionale, i milionari di tutti i paesi si comportano in modo tale, che noi dobbiamo essere loro riconoscenti di tutto cuore. Essi perseguitano il bolscevismo con lo stesso zelo col quale lo perseguitavano Kerenski e compagni; anche essi «passano la misura» e ci aiutano così come Kerenski ci ha aiutato. Quando la borghesia francese mette il bolscevismo al centro della sua agitazione elettorale e accusa di bolscevismo socialisti relativamente moderati o tentennanti; quando la borghesia americana, perdendo completamente la testa, imprigiona migliaia e migliaia di persone per sospetto di bolscevismo e crea un'atmosfera di panico, diffondendo dappertutto notizie di congiure bolsceviche; quando la borghesia inglese, la borghesia più «solida» del mondo, malgrado tutta la sua prudenza ed esperienza, commette incredibili sciocchezze, fonda ricchissime «società per la lotta contro il bolscevismo», crea una letteratura speciale sul bolscevismo, recluta per la lotta contro il bolscevismo un  numero supplementare di dotti, di agitatori, di preti, noi dobbiamo inchinarci e ringraziare i signori capitalisti. Essi lavorano per noi. Essi ci aiutano ad interessare le masse alle questioni dell'essenza e del significato del bolscevismo. E non possono fare diversamente, perché oramai non sono riusciti a «passare sotto silenzio», a soffocare il bolscevismo.

Ma, nello stesso tempo, la borghesia vede quasi uno solo dei lati del bolscevismo: l'insurrezione, la violenza, il terrore; e perciò la borghesia si sforza di prepararsi particolarmente alla difesa e alla resistenza in questo campo. E' possibile che in singoli casi, in singoli paesi, per un breve periodo di tempo essa vi riesca: bisogna tener conto di questa eventualità e non c'è proprio nulla di terribile per noi se essa potrà riuscirvi. Il comunismo «prorompe» vigorosamente da tutti i lati della vita pubblica; i suoi germi si trovano dappertutto; l'«infezione» (per impiegare l'espressione preferita dalla borghesia e dalla polizia borghese e il paragone che ad esse è più «gradito») è penetrata fortemente nell'organismo e tutto lo ha impregnato. Se si «ostruisce» con particolare diligenza un'uscita, l'infezione ne trova un'altra, magari la più inattesa. La vita fa valere i suoi diritti. La borghesia può dibattersi, infuriarsi fino alla follia, può esagerare, può commettere sciocchezze, può vendicarsi anticipatamente dei bolscevichi e ammazzare a centinaia, a migliaia, a centinaia di migliaia i bolscevichi di ieri e di domani (in India, in Ungheria, in Germania, ecc.): con questo suo modo di agire, la borghesia fa ciò che fecero nel passato tutte le classi condannate a morte dalla storia. I comunisti devono sapere che, in ogni caso, l'avvenire appartiene a loro, e quindi noi possiamo (e dobbiamo) unire alla massima passione nella grande lotta rivoluzionaria, la valutazione più fredda e più calma dei colpi furiosi della borghesia. La rivoluzione russa fu crudelmente battuta nel 1905; i bolscevichi russi furono sconfitti nel luglio 1917; più di 15.000 comunisti tedeschi furono uccisi in seguito all'abile provocazione e alle astute manovre di Scheidemann e di Noske, in combutta con la borghesia e i generali monarchici; in Finlandia e in Ungheria infuria il terrore bianco. Ma in tutti i campi e in tutti i paesi, il comunismo si tempra e cresce; le sue radici sono così profonde, che le persecuzioni non lo indeboliscono, non lo spossano, ma lo rafforzano. Per avviarci più sicuri e più saldi alla vittoria, ci manca una cosa sola: e cioè che tutti i comunisti di tutti i paesi acquistino la coscienza vasta e profonda della necessità di essere quanto più possibile flessibili nella loro tattica. Al comunismo che si sviluppa rigogliosamente, specialmente nei paesi più progrediti, manca ora questa coscienza e la capacità di applicarla nella pratica.

Un'utile lezione potrebbe (e dovrebbe) essere ciò che è avvenuto dei capi della 2° Internazionale, dei marxisti così sapienti e così devoti al socialismo, come Kautsky, Otto Bauer e altri. Essi erano pienamente coscienti della necessità di una tattica flessibile, avevano studiato e insegnato agli altri la dialettica marxista (e molto di quanto essi hanno fatto a questo riguardo rimarrà per sempre prezioso patrimonio della letteratura socialista); ma nell'applicazione di questa dialettica hanno commesso un tale errore, ovvero nella pratica si sono dimostrati così non dialettici, si sono dimostrati così incapaci di valutare il rapido mutamento delle forme e il rapido riversarsi di un nuovo contenuto nelle vecchie forme che la loro sorte non è molto più invidiabile della sorte di Hyndman, di Guesde, di Plekhanov. La cagione principale del loro fallimento sta nel fatto che essi «sono rimasti in contemplazione» di una determinata forma di sviluppo del movimento operaio e del socialismo, hanno dimenticato che quella forma è unilaterale, hanno avuto paura di assistere alla brusca svolta che era divenuta inevitabile a causa delle condizioni obiettive, e hanno continuato a ripetere verità semplici e risapute, a prima vista incontestabili: tre è maggiore di due. Ma la politica assomiglia più all'algebra che all'aritmetica e più ancora alla matematica superiore che alla matematica elementare. In realtà, tutte le vecchie forme del movimento socialista si erano impregnate di un nuovo contenuto: davanti alle cifre era perciò comparso un segno: il «meno». Ma i nostri sapientoni continuavano (e continuano tuttora) ad affermare a sé e agli altri che «meno tre» è più di «meno due».

Bisogna sforzarsi di evitare che i comunisti ripetano, sia pure nella direzione opposta, gli stessi errori; o meglio, bisogna sforzarsi di correggere più presto e di sorpassare più rapidamente, senza nuocere all'organismo, lo stesso errore, sia pure nella direzione opposta, commesso dai comunisti «di sinistra». E' un errore anche il dottrinarismo di sinistra e non soltanto il dottrinarismo di destra. Naturalmente, l'errore del dottrinarismo di sinistra nel comunismo è in questo momento mille volte meno pericoloso e meno importante dell'errore del dottrinarismo di destra (cioè del socialsciovinismo e del kautskismo); ma è meno pericoloso soltanto perché il comunismo di sinistra è una corrente molto giovane, appena nata. Soltanto per questo la malattia, date certe condizioni, può essere facilmente curata; ed è necessario intraprendere questa cura con la massima energia.

Le vecchie forme sono crollate, perché il nuovo contenuto - contenuto antiproletario e reazionario - ha raggiunto uno sviluppo smisurato. Oggi, dal punto di vista dello sviluppo del comunismo internazionale, il nostro lavoro (per il potere sovietico e la dittatura del proletariato) ha un contenuto così saldo, così forte, così potente che può e deve manifestarsi in qualsiasi forma, nelle nuove come nelle vecchie; che può e deve rinnovare, vincere, subordinare a sé tutte le forme, non soltanto le nuove, ma anche le vecchie; non già per riconciliarsi col passato, ma per trasformare tutte le più svariate forme, le vecchie come le nuove, in strumenti della vittoria piena e definitiva, decisiva e irrevocabile del comunismo.

I comunisti devono fare tutti gli sforzi per orientare il movimento operaio e lo sviluppo sociale in genere, per la via più diretta e più rapida, verso la vittoria mondiale del potere sovietico e verso la dittatura del proletariato. E' una verità incontestabile. Ma basta fare ancora un piccolo passo avanti - anche se sembra un passo nella medesima direzione - perché la verità si cambi in errore. Basta dire, come dicono i comunisti di sinistra tedeschi e inglesi, che noi riconosciamo soltanto una via, quella diretta, che non ammettiamo nessun destreggiamento, nessun accordo, nessun compromesso, e questo è già un errore capace di recare, e che in parte ha già recato e reca, un gravissimo danno al comunismo. Il dottrinarismo di destra si è impuntato a riconoscere soltanto le vecchie forme, e il suo fallimento è stato completo perché non ha notato il nuovo contenuto. Il dottrinarismo di sinistra si impunta nella negazione assoluta di determinate vecchie forme, e non vede che il nuovo contenuto si apre la strada attraverso ogni e qualsiasi forma, che il nostro dovere, come comunisti, è quello di acquistare la padronanza di tutte le forme, di apprendere a completare, con la massima rapidità, una forma per mezzo dell'altra, a sostituire una forma con l'altra, ad adattare la nostra tattica a qualsiasi cambiamento che non sia causato dalla nostra classe, né dai nostri sforzi.

La rivoluzione mondiale è spinta avanti e così potentemente accelerata dagli orrori, dalle infamie, dalle turpitudini della guerra imperialista mondiale e dalla situazione senza uscita che essa ha creato; questa rivoluzione si sviluppa in estensione e in profondità con tale magnifica rapidità, con così meravigliosa ricchezza di forme che si avvicendano, con così edificante confutazione pratica di ogni dottrinarismo, che vi sono tutte le ragioni per sperare una sollecita e perfetta guarigione del movimento comunista internazionale dalla malattia infantile del comunismo «di sinistra».

  

Questo secondo bilancio era tracciato in polemica con gli estremisti di sinistra, con le tendenze settarie in seno ai comunisti. Furono queste tendenze che travagliarono la 3° Internazionale per un lungo periodo e le impedirono di porsi alla testa delle mobilitazioni rivoluzionarie delle masse dei paesi europei permettendo di conseguenza l'esaurimento e la repressione di queste. Alcuni problemi che si posero allora, hanno una notevole importanza per la nostra attuale situazione. In particolare, guardando con l'esperienza attuale gli avvenimenti di allora, risulta evidente che gli estremisti di sinistra, riducendo il movimento all'impotenza, determinarono il successo di deviazioni di destra cresciute e affermatesi dietro l'insegna dell'obiettivo di «salvare il salvabile».

Questo scontro, ricco di insegnamenti per noi, impedì allora, negli anni 20 e 30, che l'Internazionale Comunista ponesse su un livello adeguato il problema dei compiti e della struttura del partito e delle sue forme di lotta nella fase imperialista e nei paesi imperialisti. La discriminante tra i comunisti e i socialdemocratici venne tracciata tra chi era contro e chi era favorevole alla guerra imperialista e tra chi era favorevole e chi era contro la Rivoluzione d'Ottobre, quando lo schieramento sulla guerra imperialista ormai era uno schieramento d'opinione sul passato e lo schieramento sulla Rivoluzione d'Ottobre era uno schieramento di solidarietà con il movimento operaio di un altro paese.

I partiti comunisti della 3° Internazionale nei paesi dell'Europa Occidentale dovettero spendere grandi energie per liberarsi da tendenze dogmatiche e settarie, mentre erano coinvolti in una rapida successione di avvenimenti che ne metteva alla prova la capacità di direzione sulle masse e non ammetteva replica.

Nel 1938 Mao Tse-tung poteva riassumere la strategia dei partiti comunisti nei paesi imperialisti non fascisti in questi termini: «Nei paesi capitalisti se non sono in periodo di fascismo e di guerra, le condizioni sono le seguenti: all'interno il feudalesimo non esiste più, si reggono su regimi di democrazia borghese; nelle loro relazioni esterne, essi non sono oppressi da altre nazioni, ma sono essi stessi degli oppressori. Basandosi su tali caratteristiche, compito del Partito del proletariato nei paesi capitalisti è di educare i lavoratori ed accrescere le proprie forze attraverso un lungo periodo di lotta legale, preparandosi così per il rovesciamento finale del capitalismo.

In questi paesi il problema è quello di sostenere una lunga lotta legale, di utilizzare il parlamento come una tribuna, di ricorrere allo sciopero economico e politico, di organizzare sindacati e di educare gli operai. Là le forme di organizzazione sono legali, le forme di lotta senza spargimento di sangue (non c'è ricorso alla guerra). Sul problema della guerra, i Partiti Comunisti dei paesi capitalisti si oppongono alle guerre imperialiste sostenute dai loro stessi paesi; se tali guerre scoppiano, la politica di questi partiti mira alla sconfitta dei governi reazionari dei propri paesi. L'unica guerra che essi vogliono combattere è la guerra civile per cui si stanno preparando. Ma l'insurrezione armata e la guerra civile non devono essere scatenate finché la borghesia non è ridotta all'impotenza, finché la maggior parte del proletariato non è giunta al punto da insorgere in armi e combattere e finché le masse rurali non danno spontaneamente aiuto al proletariato.» (Mao Tse-tung, Problemi di guerra e di strategia)

La crisi politica delle classi dominanti dei maggiori paesi imperialisti dell'Europa Occidentale fu acutissima, ma anche breve. La crisi economica si trascinò tra alti e bassi per circa 30 anni (1914-1945), ma la crisi politica delle classi dominanti fu molto più breve (in Italia 1919-1922, in Germania 1918-1933, in Austria 1918- 1925) e la sua soluzione a favore della borghesia comportò la decimazione dell'avanguardia comunista.

In sostanza i partiti comunisti dell'Europa Occidentale incominciarono a muovere i primi incerti passi quando la situazione già richiedeva loro di essere adulti e capaci di combattere e vincere e nella zona del mondo che era il centro decisivo dello scontro tra borghesia e proletariato.

 Essi furono costretti allo scontro risolutivo in condizioni in cui non potevano vincere. Nessuno di essi riuscì a procrastinare il momento dello scontro, a tirare per le lunghe onde accumulare possibilità di vittoria. Neanche in Spagna dove arrivarono più vicini alla generazione per così dire spontanea di una lotta di lunga durata. La loro sorte si decise nel breve periodo di vent'anni (quanti ne sono passati dal 1968 ad oggi!) senza che nessuno di essi riuscisse a condurre il proletariato alla conquista del potere, nonostante gli sconvolgimenti economici e politici del periodo. Nel 1945 la partita era già chiusa definitivamente con la stabilizzazione delle società borghesi e tutti questi partiti approdarono nel giro di pochi anni alla collaborazione con la borghesia e al revisionismo moderno.

 

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Riassumendo: la storia del movimento delle società borghesi dall'inizio della fase imperialista ad oggi ci ha fornito vari insegnamenti.

1. Le contraddizioni economiche proprie del capitalismo generano periodicamente crisi economiche che sconvolgono il processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell'esistenza delle masse. Le contraddizioni economiche e in generale gli interessi contrastanti connaturati alla società borghese generano periodicamente crisi politiche, di indirizzo e di capacità di direzione da parte della classe dominante. La borghesia può trovare una soluzione a queste crisi solo ad opera di un forte centro d'interessi che trova la sua adeguata espressione politica e diventa capace di imporre, con mezzi straordinari e per vie straordinarie, a tutta la classe dominante le trasformazioni ed i sacrifici di interessi necessari ad uscire dalla paralisi e dal caos determinati da progetti rispondenti a contrastanti interessi che si neutralizzano reciprocamente.

Questa ricomposizione della crisi politica, che si attua in un periodo relativamente lungo, attraverso passaggi la cui comprensione richiede capacità ed esperienza, deve essere impedita ad ogni costo se si vuole salvaguardare la possibilità di vittoria. Si deve protrarre la crisi della classe dominante fino a quando si sono create le condizioni favorevoli per lo scontro decisivo, essere in grado di decidere il momento dello scontro e quindi mantenere l'iniziativa.

Al fine di impedire la risoluzione della crisi politica della classe dominante, accanto all'azione su tutti i meccanismi attraverso cui si determina e si attua il movimento della società, di regola ha un ruolo determinante l'azione combattente, cospirativa, clandestina, perché in queste soluzioni il ruolo delle personalità e dei gruppi è in generale determinante e si tratta normalmente di soffocare sul nascere ciò che ha la possibilità di diventare una carta unificante e vincente per la borghesia. Bisogna al contrario guardarsi dal soffocare alla cieca tendenze e gruppi borghesi che, se non hanno la possibilità di diventare la soluzione vincente, dobbiamo lasciare sviluppare e possibilmente favorire perché hanno l'utile funzione di acuire la crisi politica e quindi lavorano per noi (28).

 

(28) Quando la crisi politica è già risolta o non è ancora esplosa vale invece la regola che morto un papa se ne fa un altro e quindi l'eliminazione di un papa è inutile. E' significativo che il cambio di personalità, la sostituzione di una con un'altra avente caratteristiche personali del tutto diverse, non porti ad alcun cambio di linea politica. Un esempio recente è stata la sostituzione di Carter con Reagan alla testa degli USA: Reagan ha mostrato capacità di fare quello che Carter aveva iniziato a fare con scarsa capacità. La differenza sta tutta nel fatto che se nella classe dominante un gruppo di interessi è nettamente prevalente, la linea politica non muta al cambiare della testa di turco. E' quando la lotta tra interessi contrapposti è ancora indecisa, che ai fini del prevalere di uno sugli altri può essere determinante il ruolo delle personalità.

 

2. Nei periodi «pacifici» il regime politico dei paesi imperialisti offre spazi di attività legale, nell'ambito delle leggi dello Stato, in cui, in condizioni di libertà condizionata e vigilata, è  possibile compiere una serie di attività indispensabili allo sviluppo e alla crescita del movimento di massa. Il partito rivoluzionario non può non sfruttare tutti gli spazi e strumenti che il regime politico consente, perché in essi si sviluppa il movimento delle masse che, se non è diretto dal partito rivoluzionario, è diretto da gruppi della borghesia.

La borghesia nei periodi «pacifici» non può impedire l'esistenza di un movimento di massa e in generale, salvo periodi brevi, non può affatto impedirlo, perché fa parte della «costituzione materiale» delle società imperialiste. La sua esistenza è una conseguenza ineliminabile del livello di socializzazione che le forze produttive hanno raggiunto in esse, è quella caratteristica per cui i sociologi borghesi parlano di «società di massa».

Questo movimento di massa ha una direzione e acquisisce una natura che non cambia se non attraverso certi passaggi e con certi tempi. La confluenza del movimento delle masse col partito sulla stessa via avviene per salti, ma non è frutto di «miracoli»: avviene attraverso passaggi e fili resi noti dall'esperienza e che il partito costruisce nel tempo.

Un partito comunista che non è intimamente legato a questo movimento, che non sfrutta tutte le occasioni per far sì che si convinca per sua propria esperienza dell'antagonismo di interessi che lo divide dalla borghesia e che non riesce in questo lavoro, non potrà mai creare le condizioni di uno scontro decisivo vittorioso. Il movimento delle masse è la forza principale, determinante, decisiva della dinamica di ogni società imperialista. Nella fase di accumulazione delle forze, il movimento delle masse è la fonte principale di uomini, idee e forza morale per il partito proletario.

Per quanto il lavoro di orientamento e direzione in tutti gli ambiti in cui si sviluppa il movimento delle masse sia difficile, rischioso, esposto a mille insidie, esso deve essere fatto, è la scuola per la maturazione del partito, la prova della sua capacità di dirigere e la fonte della sua riproduzione. Se il partito non supera questa prova, nei periodi di crisi si ritroverà impotente a dirigere il movimento delle masse e quindi destinato alla scomparsa o alla distruzione.

Le obiezioni a questo lavoro, basate sulla sua difficoltà, pericolosità, impossibilità (nel senso che la borghesia lo reprime in ogni modo e con ogni mezzo), mascherano una concezione settaria e miracolistica della lotta armata. Come è possibile opporre obiezioni del genere e contemporaneamente essere partigiani della lotta armata? Questa non è forse difficile, pericolosa, «impossibile»? E' un fatto che, come alcuni compagni dedicano tutte le loro energie e la loro vita all'attività combattente, altri devono, con pari spirito, dedicarle alle altre attività del partito: alla propaganda, all'agitazione, all'orientamento del movimento delle masse, all'organizzazione delle forze rivoluzionarie, usando tutte le opportunità che in questo campo si presentano per il partito.

3. Esiste, al di fuori dei momenti di scontro decisivo e delle condizioni di guerra dispiegata, un processo di accumulazione di forze da parte del proletariato che è una combinazione di crescita degli strumenti delle masse e di crescita degli strumenti del partito. La borghesia cerca di impedire ed ha imparato, in particolare dopo la Rivoluzione d'Ottobre, ad intralciare questo processo e a stroncarlo prima che esso raggiunga dimensioni tali da non poter più essere contenuto. La controrivoluzione preventiva è diventata il criterio fondamentale di gestione del suo Stato e delle sue attività «private» o semiufficiali. Quest'attività della borghesia, la controrivoluzione preventiva, non può essere ostacolata, vanificata e battuta senza un uso sapiente anche di strumenti militari, cospirativi e clandestini. Solo usando anche questi strumenti il partito può evitare di arrivare allo scontro decisivo in un rapporto di forze perdente (si pensi ad esempio che probabilmente l'eliminazione di Franco in Spagna nel 1936 avrebbe o prevenuto o indebolito la sollevazione dei generali, oppure al ruolo che un partito comunista abituato alla lotta armata avrebbe avuto in Italia negli «Arditi del popolo» nel 1920-21).

4. L'egemonia nel movimento di massa viene contesa dalla borghesia al partito proletario con ogni mezzo prima dello scontro decisivo, già nella fase di accumulazione delle forze. Quindi un partito comunista che si pone in condizioni di libertà vigilata e affida ad essa la continuità della  sua opera, è destinato o a collaborare con la borghesia e quindi degenerare anche nelle parole d'ordine, nell'analisi politica, nell'analisi teorica; o ad essere liquidato pezzo a pezzo e a perdere ogni capacità di direzione e ogni autonomia. Un partito che non assicura la continuità della sua opera è un partito avventurista. La legalità borghese soffoca ogni partito rivoluzionario con la controrivoluzione preventiva. Il partito proletario deve affidare la continuità della sua opera e la sua riproduzione alle proprie strutture clandestine, dotandole dei mezzi necessari per resistere agli attacchi della borghesia.

 

Dall'esperienza dello sviluppo politico della società nell'epoca imperialista si conclude quindi:

- che il partito del proletariato non «fa la rivoluzione» quando vuole, ma quando, per combinazione di fattori oggettivi e della sua attività, si sono create le condizioni per «fare la rivoluzione vittoriosamente»;

- che il partito invece conduce, in ogni momento e in base a scelte proprie, un'attività tesa a determinare le condizioni necessarie ad una rivoluzione vittoriosa;

- che il partito deve essere, per l'essenziale, un partito clandestino: il partito deve salvaguardare, quali che siano le condizioni politiche, la continuità della sua azione e delle sue attività essenziali;

- che il partito deve svolgere, in forma opportunamente mascherata, attraverso suoi membri e suoi organismi, tutte le attività legali, che il regime consente o tollera, utili all'accumulazione di forze;

- che già nella fase di accumulazione delle forze, nei periodi «pacifici», l'azione combattente è parte essenziale del lavoro del partito, parte essenziale di tale accumulazione e della preparazione delle condizioni per la vittoria;

- che la differenza tra il partito di oggi e il partito leninista sta essenzialmente nel fatto che per il partito leninista la guerra partigiana era una componente dell'insurrezione, quindi dello scontro decisivo, mentre per il partito di oggi l'azione combattente è una componente della sua attività già nel periodo di accumulazione delle forze.

 

 

 L'esperienza del movimento delle masse in Italia negli ultimi vent'anni

 

Chiarita la necessità della lotta armata come una delle attività del partito anche nei periodi «pacifici», occorre studiare, sulla base delle caratteristiche della nostra società, come si combina quest'attività nel complesso dell'attività del partito.

E' chiaro che su questo l'esperienza è poca, il percorso che dovremo seguire è nuovo. Si tratta quindi di delineare alcune ipotesi fondate sull'esperienza esistente e poi verificare queste ipotesi nella pratica e via via aggiustare il tiro facendo tesoro anche dell'esperienza dei partiti che operano come il nostro nei paesi imperialisti dell'Europa Occidentale.

 

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Perché la «propaganda armata» in Italia ha potuto protrarsi per più di dieci anni nonostante la debolezza dell'impianto politico?

 

 Durante il ventennio fascista, in media il centro interno del PCd'I resisteva qualche mese, poi veniva individuato e arrestato. La continuità del partito era garantita dal centro estero.

Quanto è avvenuto negli anni 70 è probabilmente l'effetto del combinarsi di tre fattori.

1. La crisi politica della classe dominante che durò fino quasi alla fine degli anni 70, quando si risolse con la formula del pentapartito, con l'alternanza dei partiti nella carica di capo del governo e con l'avvento del binomio Pertini-Craxi.

2. La grande mobilitazione di massa che offrì spontaneamente appoggi, sostegni e reclute, nonostante le organizzazioni combattenti non avessero una linea per promuovere appoggi e legami e per il reclutamento.

3. Il carattere offensivo della tattica delle organizzazioni combattenti, che mantenevano l'iniziativa mentre il PCd'I nel ventennio aveva una tattica difensiva che si basava unicamente su tecniche di clandestinità.

Il partito può agire, entro certi limiti, sul primo fattore con operazioni di destabilizzazione accuratamente mirate («colpire il cuore dello Stato») e con operazioni politiche più complesse, giocando sulle contraddizioni economico-politiche interne alla classe dominante che sono numerose e profonde e destinate a rinnovarsi ed acuirsi, anche se non può creare per sola sua iniziativa una situazione di crisi politica della classe dominante.

Il partito può agire sul secondo fattore nel senso di sopperire alla mancanza di un apporto spontaneo di sostegni, appoggi e reclute, sviluppando apposite linee di lavoro volte a procurarsi appoggi e al reclutamento, sviluppando un'ampia e mascherata attività nel movimento di massa in appoggio alla sua azione clandestina, sfruttando bene gli appoggi che il movimento di massa dà nei periodi della sua crescita.

Il terzo fattore è tutto nelle mani del partito. Infatti si tratta di mantenere l'iniziativa tattica in ogni campo, compreso quello militare (disarticolazione temporanea delle strutture della controrivoluzione), di mantenere sempre l'offensiva sul piano tattico, di non attestarsi a difendere posizioni «di prestigio» e di salvaguardare il più possibile i compagni che svolgono lavori legali, certamente impegnati in operazioni che in gergo militare si direbbero «suicide», a scarsa probabilità di sopravvivenza. E' un'arte che dobbiamo ancora completamente imparare, come del resto tutta l'arte del lavoro «legale».

La combinazione di questi interventi e l'effetto delle altre attività del partito dovrebbe assicurare la riproduzione del partito e la continuità della sua opera.

La sopravvivenza del partito e la sua riproduzione sono in definitiva legate alla sua capacità di aderire alle masse, di essere strettamente legato alle masse, di fondersi fino ad un certo punto con le masse. Più la sua attività dev'essere d'avanguardia e meno quindi può contare sulla tolleranza della borghesia, maggiore deve essere il suo legame con le masse. La tendenza a fare della lotta armata l'attività di una setta, appoggiandosi principalmente sulla clandestinità, ci porta inevitabilmente alla rovina. La lotta armata è stato lo strumento di nascita delle Brigate Rosse. Il rinchiudersi progressivamente sempre maggiore ed esclusivo nella lotta armata è la rovina delle BR. Le BR così si estraniano dalla classe che, alle prese con compiti sui quali le BR non danno né orientamento né direzione, le sente sempre più come corpo estraneo. E ciò fa il gioco della borghesia contro le masse e le BR.

 

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Perché le Brigate Rosse sono state alla fine grandemente ridotte e le altre organizzazioni comuniste combattenti eliminate?

  

Perché le Brigate Rosse non hanno fatto tempestivamente il salto in avanti e si sono lasciate quindi togliere di mano l'iniziativa politica.

Finché il rapporto di forze è sfavorevole, possiamo sopravvivere e svilupparci solo se manteniamo noi l'iniziativa, se riusciamo a impegnare battaglia solo dove e quando noi possiamo vincere, se impariamo a manovrare e a giocare su tutti i campi, a spostare rapidamente l'azione sul terreno di volta in volta a noi più favorevole.

Le cause della nostra sconfitta non sono state lo sfavorevole rapporto di forza militare dato che quello è stato sfavorevole in tutti gli anni 70, ma i nostri errori di direzione determinati a loro volta non da errori nella valutazione dell'importanza di alcuni elementi della realtà, ma da errori di concezione, ideologici. In sostanza le Brigate Rosse avevano una concezione sbagliata della fase in cui era la società italiana (la rivoluzione alle porte), del rapporto BR-movimento delle masse (portare il movimento delle masse sul terreno della lotta armata) e della fase di lotta che si apriva dopo il successo della «propaganda armata» (costruzione del partito e non «guerra civile dispiegata»).

La tattica seguita dalle BR favorì la borghesia. Questa aveva tutto il vantaggio a concentrare lo scontro sul piano militare dove le sue forze erano preponderanti e quì annientarci nel più breve tempo possibile. Le BR caddero nella trappola.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Consideriamo il rapporto delle Brigate Rosse col movimento delle masse.

La borghesia riuscì innanzitutto ad isolarci, ma a causa dei nostri errori. Non abbiamo mai raggiunto «un'adesione di massa alla strategia della lotta armata», come alcuni compagni si ostinano ancora a sostenere, confondendo le masse con i simpatizzanti delle Brigate Rosse. Ma le BR godevano di un vasto appoggio attivo e di un ancora più vasto consenso passivo che la borghesia non sarebbe riuscita a scalfire con azioni militari, repressive.

La borghesia compì un'operazione da manuale, contro la quale a nulla valevano le armi agitate alla cieca da tanti bravi militaristi, ma che avremmo potuto neutralizzare facilmente se l'avessimo capita in tempo.

Il movimento di massa di allora era quasi completamente un movimento rivendicativo e appoggiava le Brigate Rosse in quanto dalla loro esistenza e dalla loro azione traevano forza le lotte rivendicative (altro che «adesione di massa alla strategia della lotta armata»!). La borghesia doveva assolutamente, per necessità dettate dal movimento economico della società e per motivi politici, eliminare questo movimento e la conflittualità diffusa nelle fabbriche che ne era l'espressione. Questa necessità della borghesia era un punto di forza delle Brigate Rosse. Nello stesso tempo la borghesia doveva eliminare le BR perché potevano diventare il punto di raccolta e di organizzazione della resistenza. Ma l'elemento di forza, il serbatoio e il motore del tutto era il movimento rivendicativo, non le BR che invece erano, dovevano e potevano essere il timone: era  il movimento rivendicativo che sosteneva le BR, non viceversa! Quindi la borghesia doveva prima di tutto liquidare il movimento rivendicativo.

La borghesia doveva liquidarlo dall'interno: l'alternativa era un attacco massiccio, tipo «piano Solo», il cui esito era da vedere e che anche in caso di successo, alla cilena, avrebbe dato luogo a sviluppi ben diversi dagli attuali.

Il PCI e la Federazione Sindacale vinsero questa prima battaglia: riuscirono ad allineare la maggioranza del movimento operaio (e quindi in pratica tutto il movimento operaio) sulla linea EUR (1977) della moderazione salariale, della compatibilità (salario come variabile dipendente), della salvaguardia della "economia nazionale" (sterilizzazione della contingenza ai fini della liquidazione, contingenza in Buoni del Tesoro), dei sacrifici "per favorire gli investimenti", della cogestione della crisi. Questa battaglia fu vinta dalla borghesia grazie all'aiuto dato involontariamente dalle Brigate Rosse che non diedero battaglia su questo terreno che per loro era favorevole, in cui si sarebbe in ogni caso rafforzato il loro legame con il movimento di massa e indebolito quello dei revisionisti. Esse continuarono in quegli anni a perseguire la linea di organizzare le masse sulla base della lotta armata e di curarsi quindi solo dei gruppi «d'avanguardia» che di fronte alle difficoltà del lavoro di orientamento e direzione del movimento delle masse affluivano più numerosi nelle Brigate Rosse. Questa linea non aveva alcuna possibilità di vittoria, e gli eventi l'hanno confermato.

Le BR cercarono di portare i gruppi e le «avanguardie di fabbrica» sul terreno della lotta armata e di reclutare i singoli militanti nelle proprie fila. Così si rovinarono doppiamente: perché persero la forza derivante dall'avere organizzazioni contrarie alla moderazione salariale all'interno della lotta rivendicativa e di protesta e si portarono in casa elementi che rafforzarono le tendenze degenerative (al militarismo, all'uso populista, diffuso e alla Robin Hood della lotta armata).

Le Brigate Rosse non sfruttarono la morsa in cui la situazione economica stringeva i revisionisti e i sindacati: da una parte dovevano far accettare alle masse sacrifici e moderazione e dall'altra parte dovevano avere il consenso delle masse, perché in questo sta il loro ruolo e la loro ragion d'essere nel regime e la loro forza contrattuale in quanto consorteria all'interno del regime.

Solo dopo la vittoria lasciatagli sul terreno delle lotte rivendicative, PCI e sindacati poterono lanciare con successo la campagna per l'isolamento e l'eliminazione delle organizzazioni combattenti.

Le Brigate Rosse non sfruttarono le difficoltà in cui si trovava la borghesia che da una parte doveva soffocare conquiste e aspirazioni delle masse e dall'altra era troppo debole per tentare di farlo principalmente con la forza.

La separazione delle BR dalle masse, il loro isolamento dalle masse era anche la premessa per poter battere le organizzazioni combattenti. Con una concezione dissennata, miracolistica e unilaterale della lotta armata, le Brigate Rosse favorirono il disegno e ne pagarono le conseguenze.

 

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Man mano che il movimento delle masse si indeboliva e il compito della «propaganda armata» oggettivamente si esauriva perché più propaganda di quanto s'era fatto non si poteva più fare, quante e quali che fossero le operazioni combattenti (29), si poneva oggettivamente il compito di definire una linea che portasse le Brigate Rosse oltre la «propaganda armata». Era quindi inevitabile che emergessero le diverse anime che erano confluite nelle BR.

 

 (29) A meno che qualcuno si immaginasse che a forza di accumulare azioni combattenti da parte delle Brigate Rosse, le masse alla fine si commovessero e scendessero in piazza al modo di «arrivano i nostri»!

 

La lotta tra le linee non venne affrontata apertamente, con la consapevolezza della posta in gioco, con il respiro necessario. La linea giusta non si espresse mai con forza, restò allo stadio di patrimonio inespresso, non articolato, da cui le deviazioni (colonna W. Alasia, PGG) man mano che maturavano si staccavano di loro iniziativa. La loro nascita, proprio per la debolezza della lotta tra le linee, era vissuta più come lacerazione che come operazione di rafforzamento e di crescita.

La debolezza in questo campo è del resto ancora l'elemento centrale della attuale «crisi del movimento rivoluzionario».

 

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Una volta affermata nuovamente l'esistenza di un centro della lotta del proletariato per il potere e la lotta armata come elemento della nuova strategia, le Brigate Rosse dovevano impegnare tutte le loro energie al fine di sviluppare gli strumenti necessari per comprendere il movimento economico e politico della società, dirigere il movimento delle masse e mantenere aperte le contraddizioni della classe dominante.

Invece si lasciarono trascinare in una gara insensata a chi sparava di più con l'armata Brancaleone di Prima Linea, con le varie schegge delle organizzazioni combattenti e con le organizzazioni scissioniste delle BR.

Continuarono ad essere praticate forme di lotta che erano nate per una ragione ben definita nella fase della «propaganda armata», ma che non avevano più alcuna utilità (e anzi erano dannose) nella nuova fase: i compagni arrestati che continuano a dichiararsi facilitando il compito agli inquirenti e attirandosi condanne maggiori; i compagni detenuti che aggravano le condizioni di detenzione e quindi riducono le possibilità di liberazione con dichiarazioni ai processi e con proteste nelle carceri a carattere unicamente dimostrativo; ecc.

Le Brigate Rosse sbagliarono nella definizione della nuova fase della lotta. Venne deciso il passaggio alla «guerra civile dispiegata» proprio quando questa costituiva (e costituì) un'azione suicida. La «guerra civile dispiegata» nei paesi imperialisti si è data finora solo in condizioni particolari e ben precise: nel contesto di guerre interstatali (2° Guerra Mondiale) o di colpo di stato delle forze reazionarie (Spagna). E' difficile valutare su quale base venne ritenuto plausibile in Italia alla fine degli anni 70 il passaggio alla «guerra civile dispiegata».

Sotto l'incalzare dei colpi della reazione, che grazie ai nostri errori ci affrontava ora sul terreno a lei più favorevole, venne finalmente decisa la ritirata strategica, salvando il salvabile.

 

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Il seguito è storia della «crisi del movimento rivoluzionario», cioè del travaglio per definire e impostare praticamente una linea per riprendere l'iniziativa. Abbiamo avuto la nostra rotta, come i compagni cinesi nel 1927. Siamo riusciti a salvare una parte, sebbene esigua, delle nostre forze, come riuscirono allora i compagni cinesi, ritirandosi sul Cingkangscian. La legislazione e la prassi repressiva d'emergenza non sono il toccasana per la borghesia. Non c'è ragione perché riesca alla DC e al PSI quello che non riuscì al Partito Nazionale Fascista con le leggi eccezionali del 1926. Non c'è ragione perché riesca al sistema di vigilanza poliziesca, delazione, organizzazione e manipolazione delle masse messo in piedi da DC, PSI e PCI quello che non  riuscì al ben più articolato e capillare sistema messo in piedi negli anni 30 dal PNF. Non c'è ragione, salvo la nostra linea, la nostra impostazione della lotta, i nostri errori, la nostra ostinazione a non voler imparare dalla nostra esperienza e dall'esperienza del movimento operaio che abbiamo alle spalle.

Riusciremo, come riuscirono i compagni cinesi dopo il 1927, a riprendere l'iniziativa? Oggi, come allora, è una questione di concezione strategica e di linea politica. Dobbiamo mettere al centro del nostro lavoro, per tutto il tempo necessario, l'accumulazione delle forze, guadagnare tempo. Dobbiamo adeguare la nostra azione alle condizioni oggettive del movimento delle masse e alle dinamiche oggettive del movimento di trasformazione della società. Dobbiamo sfruttare gli elementi della situazione a noi favorevoli. Dobbiamo riprendere l'iniziativa sui terreni su cui possiamo conquistare vittorie, misurare le vittorie non sulle perdite inflitte al nemico ma sull'aumento delle nostre forze, dato che il nostro obiettivo non è ancora la liquidazione delle forze nemiche, ma l'accumulazione delle forze della rivoluzione.

 

 

 I fattori favorevoli

 

In sintesi il nostro problema è il passaggio al partito. Ma non è una questione di nome. E' un problema concreto di

1. impianto teorico e linea politica,

2. struttura organizzativa.

Si tratta di costruire un organismo che sappia «suonare il piano con dieci dita», che sappia che musica suonare, che sappia comporre nuove musiche man mano che gli umori e la "temperatura" del pubblico cambiano.

 

L'epoca della «propaganda armata» è finita. O meglio è finita l'epoca in cui essa era la nostra principale attività. In realtà l'attività combattente non è mai stata l'unica attività delle Brigate Rosse neanche allora (se non nelle peggiori teorizzazioni): la realtà era più forte delle teorie sbagliate! Facevano documenti ed analisi, facevano propaganda anche non armata, ecc. Non è vero che tutti i membri delle BR fossero combattenti neanche in quei tempi, se non come intenzione e disponibilità.

Il superamento della fase della «propaganda armata» significa innanzitutto un programma definito di cose da fare.

I nostri punti di forza sono i risultati obiettivamente determinati nella società italiana e l'esperienza accumulata che dobbiamo ancora sintetizzare, di cui dobbiamo fare ancora il bilancio. Questa esperienza è il più formidabile e ricco patrimonio di conoscenza dei meccanismi di trasformazione delle società imperialiste che oggi sia disponibile. Dobbiamo deciderci a farlo fruttare.

 

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Esistono una serie di fattori oggettivi favorevoli alla ripresa della nostra iniziativa.

La borghesia non ha da offrire al proletariato e alle masse del nostro e degli altri paesi imperialisti che di privarle di qualcosa che ieri avevano conquistato. La fine del progetto di società del  benessere non è avvenuta per nostra volontà. Non ne avevamo neanche coscienza. Noi abbiamo solo espresso a livello della lotta politica, combattendo, quello che indipendentemente da noi stava avvenendo nella realtà materiale della società. Era il corso economico della società che poneva fine al progetto, gli toglieva la sua base indispensabile: la conquista graduale ma diffusa e continua di miglioramenti delle condizioni di vita e di lavoro. Questo corso nessun Dalla Chiesa, nessun Caselli, nessun Peci, nessun Curcio nè l'ha determinato, nè l'ha fermato nè può fermarlo. Giorno dopo giorno, a balzi in alcuni casi e gradualmente in altri, la borghesia sta togliendo, distruggendo le istituzioni e le condizioni che erano gli elementi materiali costitutivi del progetto di costruire una società del benessere.

Il progetto, le parole, l'enunciazione e la proclamazione hanno una vita un po' più lunga della realtà a cui si riferiscono. Ma quali che siano i discorsi, le promesse, i progetti, gli abbellimenti, i colori e gli scintillii con cui il corso attuale viene ammantato, questo esso è. E' suicida che le Brigate Rosse non abbiano ancora impugnato la bandiera della difesa dei diritti e delle conquiste economiche, politiche, sindacali, culturali dei lavoratori, che non si siano ancora poste, esse, il partito della lotta armata, anche come il partito dei diritti e delle conquiste dei lavoratori, centro della resistenza delle masse popolari alla «ristrutturazione» e alla reazione politica e culturale.

Una volta affermata e più è acquisita da noi stessi la nostra autonomia, meno abbiamo bisogno di erigere steccati tra noi e i riformisti per evitare che loro contagino noi. Dobbiamo anzi passare all'attacco, mescolarci ad essi per contagiare noi gli elementi migliori delle loro fila. Saranno i riformisti a ritirarsi sempre di più, a rifuggire dalle lotte di massa. Noi non abbiamo cambiato la strategia dei partiti comunisti della 3° Internazionale per rompere con tutti e isolare il proletariato. Al contrario abbiamo corretto la vecchia strategia perché si è rivelata inadatta ad affermare il ruolo dirigente del proletariato, a legare ad esso le classi intermedie, a centralizzarlo, ad unire il proletariato e paralizzare la borghesia. La verifica della nostra nuova strategia si ha proprio nel fatto che (e se) con essa riusciamo meglio nella pratica a raggiungere quegli obiettivi.

 

I revisionisti di casa nostra non solo hanno fallito nel progetto di costruire un capitalismo "giusto" che essi avevano reso possibile e di cui erano l'incarnazione anche quando non ne erano i gestori in prima persona, ma sono ora rigettati come ferrivecchi inutili anche dalla borghesia che non se ne può più servire. La loro azione di diversione e poliziesca non è nulla, ma si è molto indebolita e si indebolirà sempre più. La nostra ripresa acuirà al loro interno le contraddizioni che dobbiamo coltivare ed alimentare con cura, tenendo presente il carattere particolare di questo partito tra i partiti del regime.

Il terreno per la crescita di gruppi diversivi, dei vecchi gruppi rivoluzionari parolai è stato bonificato. Quello che alcuni piangono, appunto l'assenza di «organizzazioni politiche complessive» rivoluzionarie e arcirivoluzionarie nell'ambito della legalità, è un aspetto positivo creato e conquistato. Tutt'altra cosa sono le organizzazioni, sopratutto rivendicative, di protesta, di solidarietà, ecc. che nascono sul terreno del movimento delle masse e svolgono nel suo ambito compiti specifici. Queste proliferano sotto i nostri occhi e prolifereranno ancora di più quando ci decideremo a sostenerle e a svolgere quel lavoro di orientamento, di selezione delle parole d'ordine e degli obiettivi, di unificazione «ideale» che esse per la loro natura non possono svolgere e che è l'alternativa reale e costruttiva ad un'unificazione organizzativa che le porterebbe dritto dritto nel regime.

 

I revisionisti dei paesi socialisti dopo più di trent'anni di dominio e di esperimenti sono arrivati ad un punto morto. Loro stessi senza rendersene conto confessano il fallimento della loro opera. Quando i gorbacioviani propongono, a trent'anni di distanza, le stesse riforme che proponevano nel 1956 i kruscioviani, ciò è anzitutto la conseguenza e la verifica che le trasformazioni postulate da Krusciov non sono riuscite a tradursi nella realtà delle strutture dei paesi socialisti. In  secondo luogo oggi i gorbacioviani sono costretti ad aprire essi stessi la porta a quel movimento di massa che per trent'anni i revisionisti al potere avevano con successo espulso dalla scena. Solo chi ha paura del popolo ed è convinto che il capitalismo sia la tendenza principale e predominante della storia umana può credere che lo sviluppo del movimento delle masse, da cui i revisionisti non possono oramai prescindere, porterà inevitabilmente a rafforzare il capitalismo e che l'avvenire del comunismo è affidato alla resistenza e alla conservazione di un pugno di funzionari.

La borghesia di casa nostra non rinuncia e non rinuncerà ad usare il fallimento dei revisionisti nei paesi socialisti, presentandolo ai lavoratori e alle masse del nostro paese come fallimento del comunismo, per esorcizzare lo spettro del comunismo. Ma un ben maggiore ruolo storico hanno e avranno

- il venir meno dell'azione di confusione, divisione, corruzione, deviazione e delazione che le direzioni revisioniste dei paesi socialisti hanno esercitato a livello mondiale nel movimento comunista, grazie alle condizioni di forza che i comunisti avevano costruito e che essi avevano ereditato,

- la ripresa del movimento rivendicativo e politico delle masse e la ripresa del movimento rivoluzionario nei paesi socialisti, la «libertà d'azione» che il fallimento dei revisionisti dà ai proletari e ai comunisti di questi paesi, portatori di un bagaglio di esperienze che ridiventerà prezioso per i comunisti di tutto il mondo.

 

Il seme della lotta armata e con essa della lotta rivoluzionaria per il potere è stato sparso per tutta l'Europa Occidentale. Non c'è paese dove non abbia attecchito. Il problema oggi è la crescita di questo seme. Il nuovo corso iniziato può radicarsi più profondamente ed espandersi oltre, solo se cresce di livello. La lotta armata ha potuto nascere (e non poteva nascere che) come risultato della verifica di dove poteva arrivare il progetto di società del benessere, quindi sulle basi poste dal fallimento di tale progetto. Essa è venuta al mondo generata dal proposito di sviluppare la società borghese oltre quanto ad essa era compatibile, proposito che ovviamente sorse in un momento in cui la società borghese era giunta all'apice del suo sviluppo e quindi generava questi propositi del tutto contrastanti con l'inversione già in atto della tendenza in campo economico, con la fine del periodo di sviluppo economico e l'inizio del declino. Essa è venuta al mondo grazie allo sbandamento e alle contraddizioni che l'inversione della tendenza economica generava nella classe dominante, la cui crisi apriva un varco nel quale si rovesciarono il malcontento e le aspirazioni popolari. Essa può svilupparsi oltre un certo limite solo se procede sulle nuove basi che essa stessa ha posto, sulle basi poste dal successo del suo inizio, solo se anche in Europa Occidentale il partito della lotta armata diventa anche il partito della difesa dei diritti e delle conquiste dei lavoratori.


INDICE di Cristosforo Colombo - Capitolo 5 - I COMPITI E LA STRUTTURA DEL PARTITO COMUNISTA

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