<<< RITORNA ALL'INDICE DEI COMUNICATI DEL 2009

 

(n)PCI (nuovo)Partito comunista italiano

   Commissione Provvisoria del Comitato Centrale

                        Sito: http://lavoce-npci.samizdat.net
                        e.mail: lavocenpci40@yahoo.com


    Delegazione

                        BP3  4, rue Lénine   93451 L'Île St Denis (Francia)
                        e.mail: delegazionecpnpci@yahoo.it

PDFLa Voce 32
Scaricate Stampate e diffondete la rivista

Il testo in PDF, OO e Word

Word - 57 KbScaricate il testo del comunicato della CP

16/09 - 20 luglio 2009
Il fattore risolutivo della crisi del capitalismo è l’organizzazione delle masse popolari


 

Comunicato CP 16/09 - 20 luglio 2009

  

Organizziamoci!

Il fattore risolutivo della crisi del capitalismo è l’organizzazione delle masse popolari, in primo luogo l’organizzazione della classe operaia. Organizzati, i lavoratori possono porre fine alla crisi generale del capitalismo e costruire un mondo migliore!

 

La crisi generale del capitalismo porta grande sofferenze all’umanità, ma è anche l’occasione per farla finita definitivamente con il capitalismo! L’instaurazione del socialismo è la sola via di uscita definitiva dalla crisi generale del capitalismo!

 

Traiamo dall’esperienza dei primi paesi socialisti insegnamenti su come avanzare!

 

Con la nostra lotta per instaurare il socialismo nel nostro paese daremo un grande contributo alla lotta delle masse popolari degli altri paesi e alla rinascita del movimento comunista a livello internazionale!

 

Per la nostra lotta per instaurare il socialismo nel nostro paese possiamo giovarci delle lotte che le masse popolari degli altri paesi in tutto il mondo conducono per far fronte alla fase terminale della seconda crisi generale del capitalismo!

 

 

“Non pagheremo noi la crisi dei padroni”. Per realizzare questo obiettivo, per impedire che i padroni e le loro Autorità costringano le masse popolari a pagare la crisi dei padroni, sono sorti e sorgono migliaia di organismi e movimenti che si aggiungono e in vari modi si combinano con i mille comitati di resistenza popolare già in lotta contro i misfatti del regime (dalla base USA Dal Molin, alla violazione della Costituzione, ai rifiuti che inquinano e uccidono in Campania, ai licenziamenti e alla disoccupazione), con i comitati antirazzisti, con le associazioni ecologiste e contro la devastazione del pianeta, con la sinistra della FIOM, degli altri sindacati della CGIL, degli altri sindacati di regime (CISL, UIL, UGL, ecc.) e dei sindacati alternativi, con tutti quelli che lottano per porre fine al marasma sociale e ambientale in cui la borghesia, la sua Repubblica Pontificia e le sue Autorità ci hanno infognato e ogni giorno un po’ più ci sprofondano e alla guerra di aggressione in cui ci hanno coinvolto e sempre più cercano di coinvolgerci, dal Libano all’Afghanistan, al Kosovo, alla Palestina, al Pakistan.

Questi organismi e movimenti sono portatori del futuro del nostro paese. Grazie alla loro opera, se essa produrrà in breve tempo i risultati che può produrre, le masse popolari del nostro paese si congiungeranno con le masse popolari che in ogni angolo del mondo lottano contro il sistema imperialista mondiale, le sue varie espressioni e manifestazioni, unite dalla lotta contro il nemico comune dell’umanità, anche se ancora non sono unite quanto agli obiettivi che hanno scritto sulle loro bandiere e per la linea di combattimento che seguono.

Il nuovo Partito comunista italiano fa appello a tutti i comunisti, a tutti i lavoratori avanzati e in primo luogo agli operai avanzati, agli altri esponenti avanzati delle masse popolari, ai progressisti e ai sinceri democratici perché con tutte le energie di cui dispongono e le relazioni che hanno, promuovano la moltiplicazioni di organismi e movimenti di resistenza contro le malefatte della Repubblica Pontificia, di lotta contro le sofferenze e le devastazioni che la fase terminale della seconda crisi generale del capitalismo riversa sulle masse popolari. Proteste, rivendicazioni, appropriazione diretta di quanto il regime nega alle masse popolari, iniziative di mutuo soccorso e di solidarietà, mobilitazioni per realizzare direttamente quello che le Autorità non fanno, per costringere con le buone o con le cattive le Autorità e i padroni a fare quello che non vogliono fare, per tenere aperte aziende che i padroni vogliono chiudere, per impedire licenziamenti e riduzioni di attività e di salario che i padroni vogliono fare, per garantire servizi che le Autorità vogliono ridurre o abolire, per non pagare tariffe e imposte che le Autorità vogliono estorcere, per impedire aumenti di prezzi, per difendere la dignità e la salute che i traffici del regime minacciano, per mobilitare immigrati e donne contro le ronde e le polizie razziste e fasciste, per creare ronde popolari a presidio del territorio e contro il degrado dei quartieri popolari e i rigurgiti fascisti: niente deve essere trascurato e ogni via deve essere tentata, secondo le possibilità che le diverse situazioni offrono e che i diversi livelli di coscienza e le concrete esperienze di organizzazione consentono. Mille rivoli diversi che convergono, si potenziano e insieme costituiscono la lotta e la resistenza delle masse popolari.

Per essere efficaci, per durare nel tempo, per non esaurirsi per la pochezza o la mancanza di risultati immediati, per non essere surclassati dalla mobilitazione reazionaria e dalle “guerre tra poveri” che la borghesia e il clero fomentano, perché ogni mobilitazione e ogni lotta rafforzi le altre, perché ogni conquista e ogni vittoria divenga punto di partenza per obiettivi superiori, bisogna che in ogni mobilitazione e in ogni organizzazione gli elementi più avanzati portino e illustrino una visione lungimirante del processo che stiamo vivendo.

Dobbiamo non limitarci solo a rivendicazioni: il successo di una rivendicazione dipende sempre in qualche misura da Autorità e da padroni, cioè da nemici delle masse popolari. Da gente che, se costretta, farà ma cercherà di fare il meno possibile, per meno tempo possibile, sabotando o boicottando, cercando di mettere masse contro masse, di favorire uno contro un altro, senza prendere le misure necessarie a parare gli aspetti negativi secondari e temporanei, ma reali che anche il cambiamento migliore comporta, di tirarsi indietro appena la pressione si allenta. Tutte le rivendicazioni devono confluire nella volontà comune di costituire un governo d’emergenza formato dalle stesse organizzazioni operaie e organizzazioni popolari. Un governo di Blocco Popolare che abbia come suo programma gli interessi delle masse popolari. L’esperienza di questo governo porterà certamente a concretizzare l’obiettivo di fare dell’Italia un nuovo paese socialista e unirsi su questa base più strettamente alle masse popolari che nel loro paese perseguono o avranno realizzato l’analogo obiettivo instaurando il socialismo. Questa infatti è l’unica soluzione definitiva e universale della crisi generale e della crisi ambientale in cui la borghesia imperialista ha gettato tutto il mondo.

Bisogna far fronte alle contraddizioni tra le diverse richieste ed esigenze giuste delle masse popolari e all’opera di logoramento che le Autorità della Repubblica Pontificia e i padroni certamente faranno. Per questo bisogna alimentare in ogni organismo e in ogni movimento la volontà di arrivare a costituire un governo di emergenza che faccia propria e realizzi la volontà del movimento di resistenza, attui ognuno dei mille obiettivi particolari che caso per caso realizzano il comune obiettivo che le masse popolari non paghino la crisi dei padroni e costruiscano un mondo nuovo e superiore.

Il nuovo PCI ha riassunto questo comune obiettivo in sei misure che ogni comitato di resistenza deve far proprie, tradurre nel particolare e nel concreto della propria situazione e porre come programma del governo di emergenza.

Sono tutte e sei misure semplici a immaginare e facili da realizzare per un governo formato e sostenuto dalle organizzazioni operaie e dalle organizzazioni popolari. Insieme costituiscono un sistema di produzione e di distribuzione nuovo e superiore all’attuale. Abbiamo già tutti i mezzi materiali e intellettuali per realizzarlo. Basta che creiamo le condizioni politiche.

Le masse popolari organizzate non solo possono far fronte alla crisi e tutelare i loro interessi immediati, ma sono anche in grado di alimentare un clima di solidarietà diffuso e potente, di dare il via a una nuova epoca di progresso, di educare una nuova generazione capace di praticare il socialismo a un livello più avanzato di quello raggiunto dai primi paesi socialisti, di dare vita a un’umanità superiore. L’avanzamento verso il socialismo delle masse popolari di un paese aiuterà le masse popolari degli altri paesi ad avanzare anch’esse e si gioverà dell’avanzamento verso il socialismo delle masse popolari degli altri paesi.

Organizzarsi è oggi la parola d’ordine più semplice, che ogni lavoratore, ogni giovane, ogni studente, ogni casalinga, ogni immigrato, ogni pensionato, ogni elemento delle masse popolari può e deve attuare rivolgendosi ai suoi vicini e spronandoli a promuovere assieme, nel modo più adatto alle condizioni concrete, la soluzione dei problemi che essi devono affrontare. Nella società, vicino a noi o un po’ più lontano ma sempre a portata di mano, esistono i mezzi per risolvere qualsiasi problema, almeno per porvi un rimedio provvisorio. Bisogna metterli in moto, farli mettere in moto, adoperarli. Per organizzarsi con più vigore e con maggiore convinzione e su scala più vasta bisogna, assieme al proprio problema immediato e alla sua soluzione, promuovere la comprensione del contesto nazionale e internazionale i cui si sta operando, delle prospettive che la situazione comporta, delle alleanze che dobbiamo e possiamo promuovere, dei nemici che dobbiamo affrontare.

 

Quale è il contesto in cui opera già oggi ogni organismo e ogni elemento avanzato delle masse popolari?

Quali prospettive gli si aprono davanti?

 

Il mondo sta cambiando e il ritmo della sua trasformazione si è accelerato. Stiamo vivendo un periodo decisivo per il nostro futuro. Da settembre 2008 tutto il mondo è entrato nella fase terminale della seconda crisi generale del capitalismo. Non funzionano più le misure con cui per circa 30 anni i caporioni della borghesia imperialista hanno rinviato nel tempo la paralisi delle attività economiche. La crisi economica si combina con la crisi ambientale. Il sistema della relazioni internazionali è sconvolto. Il convegno tenuto questo luglio dai G8 e dai G15 a L’Aquila lo ha reso evidente a tutto il mondo. L’egemonia mondiale dei gruppi imperialisti USA è finita. Al suo posto è subentrata la rissa tra i maggiori gruppi imperialisti e tra un gruppo di grandi potenze. I gruppi sionisti e il Vaticano sono diventati protagonisti delle relazioni politiche mondiali.

Anche nei maggiori paesi il sistema politico è diventato instabile. In ogni paese aumentano le misure repressive, cresce il ruolo delle Forze Armate, delle polizie e dei servizi segreti. Porzioni crescenti del territorio sono sottoposte a misure di controllo militare e poliziesco rinforzato. Quanto più cresce la criminalità delle classi dominanti e più largo diventa il raggio d’azione delle vecchie Organizzazioni Criminali, tanto maggiore è l’impunità e l’arbitrio delle polizie. Ogni limite legale viene superato nella repressione, in particolare contro i giovani e gli immigrati. Si moltiplicano le polizie ausiliarie e parallele. La repressione sta diventando indiscriminata e di massa, colpisce per categorie.

Guerre e aggressioni dilagano nel mondo. La produzione e il commercio di armi e la ricerca a fini militari sono, assieme alla produzione di lusso, settori che non conoscono crisi. Ma nessuna potenza imperialista riesce più a dettare la sua legge. Gli USA, la NATO, i gruppi sionisti d’Israele non riescono a imporre la loro volontà. Non riescono a imporre le loro regole alla Repubblica islamica dell’Iran, alla Corea del Nord, alla Birmania, allo Zimbabwe, al Sudan e ad un numero crescente di altri Stati. In Palestina, in Libano, in Iraq, in Afghanistan, in Pakistan, in Somalia, in America Latina (Cuba, Venezuela, Nicaragua, Bolivia, Ecuador e altri) non riescono a piegare la resistenza popolare. I partiti comunisti dirigono già forze armate popolari in Nepal, in India, nelle Filippine, in Perù, in Colombia e in altri paesi. La rinascita del movimento comunista avanza in tutto il mondo.

L’intero mondo è entrato in un periodo di grande disordine, di guerre e di rivoluzioni. Non lasciamoci confondere dalle lagne e dai disagi: quando un ordine sociale è ingiusto, il disordine è il primo passo necessario per stabilire un ordine sociale giusto. Dobbiamo arrivare a un ordinamento sociale superiore, più giusto.

In ogni paese la soluzione definitiva della seconda crisi generale del capitalismo e della crisi ambientale è l’instaurazione del socialismo. In ogni paese le masse popolari possono e devono incamminarsi su questa strada, giovandosi dell’aiuto, della collaborazione  e degli insegnamenti che vengono dalle masse popolari degli altri paesi e dando a loro volta tutto l’aiuto, la collaborazione e gli insegnamenti di cui sono capaci. Questa è la premessa per andare insieme verso il nuovo mondo comunista.

 

Nell’immediato anche il nostro paese ha di fronte a sé due e solo due strade, entrambe realistiche.

 

Non sono realistiche perché piacciono o non piacciono a noi individualmente: saranno i nostri gusti a cambiare. Non sono realistiche perché sono conformi a pregiudizi, tradizioni, idee o morali più o meno diffuse tra di noi: spariranno le idee che non corrispondono alla realtà. Sono realistiche perché già ora esistono i presupposti materiali, spirituali, sociali e politici per la loro realizzazione. L’esperienza di resistenza e di lotta contro le conseguenze della crisi economica, ambientale, politica e culturale li incrementerà passo dopo passo. Il marasma della crisi economica, ambientale, politica, sociale e culturale dilaga. È sempre più diffuso e sempre meno sopportabile. Man mano che le masse popolari cercheranno una via d’uscita, finiranno con l’imboccare l’una o l’altra di queste due vie.

- Una via è quella della mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari. È la via più diretta, meno tormentosa e meno distruttiva per l’instaurazione del socialismo. È la via di cui è promotore il nuovo Partito comunista italiano. È la via per cui devono e possono già oggi battersi tutti i comunisti, i lavoratori avanzati, i sinceri democratici e i progressisti.

Le sue tappe principali sono:

1. realizzazione del Piano Generale di Lavoro del (n)PCI per la rinascita del movimento comunista e costituzione di un governo d’emergenza da parte delle Organizzazioni Operaie e delle Organizzazioni Popolari (governo di Blocco Popolare) col programma delle 6 misure sopra indicate;

2. guerra civile che la borghesia imperialista scatenerà per eliminare il governo di Blocco Popolare quando si renderà conto che non riesce a neutralizzarlo né a manipolarlo dall’interno, ma porta le masse popolari verso l’instaurazione del socialismo;

3. instaurazione del socialismo come conclusione vittoriosa della guerra civile.

- L’altra via è quella della mobilitazione reazionaria delle masse popolari. Promotori di questa via sono i gruppi più reazionari, più energici e più criminali della borghesia imperialista e del clero e i loro portavoce politici: i gruppi fascisti, razzisti e guerrafondai e le Organizzazioni Criminali.

Le sue tappe principali sono:

1. realizzazione del Piano Generale di Lavoro del (n)PCI per la rinascita del movimento comunista, ma prevalenza nonostante questo della mobilitazione delle masse popolari agli ordini dei gruppi fascisti, razzisti e guerrafondai e delle Organizzazioni Criminali;

2. partecipazione alle guerre imperialiste e all’aggressione e al saccheggio dei paesi più deboli;

3. guerra civile, risultato del rovesciamento della mobilitazione reazionaria a fronte delle sofferenze e delle distruzioni che le guerre e le aggressioni imperialiste provocheranno;

4. instaurazione del socialismo come conclusione vittoriosa della guerra civile.

 

Sono due vie molto diverse. Ognuno di noi a secondo di quello che fa, che se ne renda conto o meno, che gli piaccia o non gli piaccia, contribuisce a far prevalere l’una o l’altra. La scelta è tra farlo alla cieca o farlo scegliendo a ragion veduta. Per contribuire alla mobilitazione rivoluzionaria il primo passo è organizzarsi.

 

Oggi nel nostro paese centinaia di migliaia di intellettuali grandi e piccoli, alcuni di grande e altri di piccola fama, che tutti si dicono di sinistra e comunque presumono di saperla lunga, scuotono le spalle di fronte a questo quadro. Troppo semplice! La realtà è più complessa! Tanto complessa che loro non ci capiscono niente e non fanno niente, salvo dotti discorsi e lagne senza fine sui mali del presente e sulla necessità di uscirne, di trovare una prospettiva per uscire dal marasma presente, di elaborare un programma unificante, di unirsi. Ma non sanno indicare una strada, perché ognuno di loro resta chiuso nel suo orizzonte, nei suoi desideri e nei suoi pregiudizi, quando non, più banalmente, nei suoi immediati interessi personali. Non vogliono imparare dall’esperienza del movimento comunista, della prima ondata della rivoluzione proletaria e tanto meno dall’esperienza dei primi paesi socialisti. Non vogliono distinguere il principale dal secondario, il decisivo dall’accessorio, la sostanza delle cose dalle forme, il generale dalle sue mille forme particolari, il percorso a lungo termine e d’insieme dalle mosse provvisorie e transitorie, il corso principale delle cose dagli zig zag inevitabili nella pratica, il concetto di una cosa dalle sue mille diverse esistenze pratiche.

Da quando la prima ondata della rivoluzione proletaria ha perso di slancio e la sua forza propulsiva della trasformazione del mondo ha incominciato a declinare, è finita l’attrazione che il movimento comunista esercitava su di loro. I loro discorsi sono diventati sempre più complicati, confusi, astratti e vuoti. I privilegi e l’opera di corruzione intellettuale e morale della borghesia imperialista e del Vaticano hanno fatto sempre più presa su di loro. Infine, a forza di non impegnarsi nella trasformazione del mondo, hanno finito anche per non capirne più niente. Le loro aspirazioni si sono fatte via via più confuse. Sono diventati denigratori più o meno efficaci del movimento comunista di cui i più anziani di loro erano ferventi e piuttosto dogmatici ammiratori. Sono diventati promotori e attori delle mille forme di evasione dalla realtà con cui la borghesia e il Vaticano cercano di distrarre le masse popolari dai problemi reali e dalla lotta di classe e di confondere idee e sentimenti. Tramite essi la borghesia ha raggiunto un risultato di enorme importanza politica: ha distrutto in larga parte delle masse popolari la fiducia di essere capaci di conoscere il mondo e la convinzione di essere capaci di trasformarlo su misura delle proprie idee più avanzate e dei propri sentimenti migliori, ha moltiplicato in milioni di individui l’illusione di potere e dovere fare da soli, occultando o trascurando il reale legame sociale che definisce l’ambito delle scelte che ogni individuo può fare.

Molti di loro diventeranno ancora ammiratori e seguaci del movimento comunista, quando la sua rinascita avrà raggiunto una certa forza. Allora daranno ancora un contributo positivo alla trasformazione del mondo. Ma chi oggi li sta ad ascoltare, perde il suo tempo e non si raccapezza affatto. È come domandare la direzione a un cieco.

 

La via della mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari che noi comunisti proponiamo e promuoviamo è del tutto realistica. Chi considera la realtà con la volontà di trasformarla e con la convinzione che l’umanità è capace di costruire il proprio futuro, lo può anche capire facilmente.

 

Il capitalismo si è imposto rispetto ai precedenti sistemi di produzione e di distribuzione perché dava soluzioni a problemi importanti che gli altri modi di produzione e di distribuzione non potevano risolvere. Ma non ha risolto nessuna delle contraddizioni sue proprie che avevano portato alla nascita del movimento comunista proprio nelle società borghesi più avanzate. L’antagonismo tra lavoratori e capitalisti si è aggravato ed esteso a livello mondiale. Il capitalismo stesso porta i lavoratori a organizzarsi su larga scala almeno per contrattare con i padroni e le loro Autorità, ma nello stesso tempo i capitalisti e le loro Autorità fanno più che possono per escluderli da ogni conoscenza, da ogni diritto, da ogni potere. L’attività produttiva è sempre più collettiva, ma è anche sempre più in balia di interessi oscuri e contrapposti. È possibile produrre beni e servizi in quantità illimitata e di qualità migliore, ma la divisione dei prodotti è sempre più disuguale tra classi sociali e tra popoli e gran parte dell’umanità ne è privata o è ridotta a usare beni e servizi di qualità scadente, fino alla paralisi della produzione. Più la convivenza e l’interdipendenza tra individui e tra paesi e nazioni si è fatta stretta, maggiori sono diventate le disuguaglianze e le contrapposizioni d’interessi, fino a rendere drammatica la convivenza e dilaganti l’insofferenza e l’ostilità. Il contrasto tra le leggi, le idee e i sentimenti e l’andamento pratico della vita individuale e sociale diventa ogni giorno più stridente: antiabortisti in nome della difesa della vita affogano i migranti in mare, bombardano, massacrano e torturano. L’esclusione della massa della popolazione dal patrimonio intellettuale e morale della società contrasta sempre più con il suo ruolo pratico e con le potenzialità illimitate di quel patrimonio. In breve, le contraddizioni proprie della società borghese si sono tutte aggravate e fatte antagoniste man mano che il modo di produzione capitalista si è esteso a tutto il mondo e ad ambiti più vasti delle attività umane. La permanenza del capitalismo ha messo in luce il saccheggio delle risorse naturali e la devastazione dell’ambiente che esso per sua natura comporta. Non solo blocca ogni progresso dell’umanità, ma è una minaccia alla sua sopravvivenza.

 

Venti anni fa la borghesia, il clero e i loro portavoce hanno proclamato che l’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria e il disfacimento dei primi paesi socialisti segnavano il trionfo del capitalismo, “la fine della storia”. L’euforia è stata di breve durata. In realtà l’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria e il disfacimento dei primi paesi socialisti hanno lasciato che i capitalisti dispiegassero liberamente la loro attività. Proprio così sono emerse in piena luce le tare congenite del capitalismo.

Calata la minaccia che il movimento comunista sembrava muovere al sistema capitalista dall’esterno, sono venuti nuovamente in primo piano i suoi limiti interni, ma ora a un livello più alto e acuto di quello a cui un secolo fa era incominciata la prima ondata della rivoluzione proletaria.

L’accumulazione del capitale resta il motore, la misura e la forma dell’intera attività dell’umanità, ma essa per sua natura non può andare oltre un certo livello: quindi è diventata una camicia di forza che strozza l’attività umana. Il capitale sotto forma di denaro, totalmente fiduciario dal 1971, si moltiplica senza limiti, ma proprio per questo non riesce più a essere regola e misura delle relazioni della società borghese. Per aumentare il loro capitale, anziché all’estorsione di plusvalore dai lavoratori che mobilitano e organizzano perché producano merci, i capitalisti ricorrono in proporzione crescente alla speculazione, giocando sulle plusvalenze nella compravendita di merci e di titoli finanziari. Il denaro non riesce più a svolgere la funzione di regolatore del consumo e contemporaneamente svolgere le altre funzioni che la società borghese gli ha attribuito: intermediario della compravendita, mezzo di pagamento, tesoro, capitale che deve moltiplicarsi. Diventa impossibile soddisfare il bisogno di beni e di servizi che entrano nella vita dell’umanità se si continua a produrli come merci. Le relazioni sociali, nei singoli paesi e internazionali, diventano caotiche, arbitrarie e devastanti perché sono fondate sulla produzione di merci e sull’accumulazione del capitale. L’umanità non può progredire restando ferma alla forma capitalista delle sue relazioni.

 

Il capitalismo è diventato un inferno. I capitalisti stessi non sanno come cavarsela.

L’instaurazione del socialismo è l’unica via d’uscita definitiva dalla crisi del capitalismo!

 

Ma l’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria e il collasso dei primi paesi socialisti o la loro conversione in paesi capitalisti più o meno normali non hanno forse dimostrato che il comunismo è un’utopia contraria alla natura umana, come sostiene una vasta gamma di individui peraltro diversissimi tra loro, da Benedetto Ratzinger a Costanzo Preve?

 

Non hanno forse dimostrato con la forza incontestabile dei fatti che il socialismo non è la via d’accesso dell’umanità a una superiore fase della sua plurimillenaria evoluzione, ma solo un’aberrazione casuale di fanatici e devianti, un cumulo di errori e orrori, per dirla con le parole di Fausto Bertinotti?

 

Sono domande serie e di grande importanza. Le classi reazionarie le usano come armi per distogliere le masse dalla lotta di classe, per distogliere gli intellettuali dallo studio dell’esperienza del movimento comunista. Noi comunisti dobbiamo dare una risposta ragionata a simili domande. Esse pesano sull’orientamento degli individui che cercano di pensare il futuro, mentre perché l’umanità compia la rivoluzione socialista bisogna che questa esista già come progetto su cui gli individui d’avanguardia si uniscono e organizzano. Una risposta soggettivista, fondata sui gusti, le inclinazioni, le idee o i pregiudizi personali, ha valore solo per chi la dà ed è molto precaria: non può essere a fondamento di un’opera collettiva a cui devono in qualche misura contribuire milioni di individui. La risposta seria e di valore universale può venire solo dall’analisi della realtà.

I 160 anni di storia del movimento comunista (fondato nel 1848 con la pubblicazione del Manifesto del partito comunista), la prima ondata della rivoluzione proletaria (sviluppatasi nel corso della prima crisi generale del capitalismo, nella prima metà del secolo scorso), i primi paesi socialisti costituiscono un grande patrimonio di esperienza a cui dobbiamo attingere per tracciare la linea da seguire per uscire dal marasma della seconda crisi generale del capitalismo. Non a caso la borghesia, il clero e i loro seguaci fanno di tutto per far ignorare quell’esperienza e denigrarla. In realtà essa è ricca e feconda per chi la studia.

 

La borghesia e il clero hanno un bel dire che il comunismo è morto. Ma guardiamo come le cose si sono svolte nella realtà.

Il collasso dei primi paesi socialisti non è avvenuto di colpo. È stato preceduto da decenni di sviluppo contrastato e di decadenza. Dire che il socialismo è morto, è come se di un uomo che magari ha fatto cose eccelse si dicesse solo che è morto. Come se la sua vita non avesse avuto alcun significato, non avesse prodotto alcun effetto, non avesse lasciato alcuna traccia e non ci fosse niente da capire. Tutto cambia se consideriamo cosa quell’uomo ha fatto lungo la sua vita. Altrettanto succede se dei primi paesi socialisti consideriamo le differenti fasi della loro sia pur breve esistenza.

In Unione Sovietica prima della lunga decadenza sotto la direzione di Breznev, ci sono state le riforme di Kruscev che per anni, finché “correggeva” Stalin, la borghesia imperialista e il Vaticano hanno portato alle stelle. In 40 anni (1917-1956) nonostante l’inesperienza, le aggressioni ripetute, i blocchi e i cordoni sanitari eretti dalle maggiori potenze mondiali e dagli Stati minori che agivano ai loro ordini, nonostante i sabotaggi e boicottaggi d’ogni genere delle vecchie classi dominanti spossessate, grazie all’instaurazione del socialismo l’Unione Sovietica aveva compiuto enormi progressi in ogni campo economico, sociale, intellettuale e morale e aveva ispirato in ogni angolo del mondo la lotta delle classi e dei popoli oppressi per la propria emancipazione. Per questo era temuta, denigrata, assediata e assalita dai privilegiati e dai loro Stati, ma era amata in ogni angolo del mondo da tutti gli oppressi e sfruttati in rivolta.

Quando alla fine degli anni ’80 crollò, l’Unione Sovietica era un albero già quasi completamente fradicio. Gorbaciov e i suoi amici imperialisti e clericali lo abbatterono senza grandi sforzi. Ma prima che arrivasse a quel punto, contro l’Unione Sovietica si erano inutilmente mossi i più potenti eserciti del mondo, avevano inutilmente cospirato il Vaticano e tutte le vecchie classi dominanti. E ci vollero più di 30 anni perché le “riforme” lanciate da Kruscev a metà degli anni ’50 producessero tutto il loro veleno fino a uccidere ogni vitalità del paese che aveva sostenuto la rivolta di tutte le classi e i popoli oppressi del mondo.

 

Proprio il grande sviluppo compiuto dall’Unione Sovietica nei primi 30 anni della sua esistenza (1917-1956) poneva al movimento comunista problemi nuovi. Negli ultimi anni della sua vita Stalin aveva lanciato l’allarme, ma le soluzioni erano ancora da trovare. I più ferventi fautori del comunismo, la sinistra del movimento comunista non aveva soluzioni belle e pronte. Kruscev e i suoi invece presentarono come soluzioni ragionevoli, adatte anche a un paese socialista, le collaudate misure con cui “da sempre” nei più avanzati paesi capitalisti la borghesia gestiva il suo ordinamento sociale di sfruttamento, di oppressione e di privilegi.

Anche se gli intellettuali accademici ci perdono molto tempo, importa poco o nulla se Kruscev e i suoi complici erano in buona o in cattiva fede. Certamente avevano grande ammirazione per la civiltà borghese e davano poca importanza al fatto che essa si era costruita e si reggeva sul sangue e sul sudore degli sfruttati e oppressi di tutto il mondo. Ai nostri fini l’importante è che con le misure borghesi trapiantate in Unione Sovietica da Kruscev e dai suoi seguaci, la decadenza prese il posto del grande e rapido sviluppo materiale, intellettuale e morale a cui la fondazione del primo paese socialista aveva dato il via. Anche se per cancellare i progressi compiuti nei pochi decenni precedenti, ci sono voluti 30 anni (1956-1989) di scimmiottatura, di competizione e di collaborazione con i paesi imperialisti.

Oggi le conseguenze delle riforme di Kruscev e della linea seguita da Breznev e dai loro seguaci sono evidenti. Ma al momento le cose non erano così chiare neanche a persone che pure erano comunisti convinti.

 

L’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria è stata preceduta da accese discussioni nel movimento comunista sulla via da seguire per portarla avanti con successo, non solo nei primi paesi socialisti, ma anche nei paesi oppressi e soprattutto nei paesi imperialisti.

La prima ondata della rivoluzione proletaria aveva trasformato tutto il mondo, ma non era riuscita a instaurare il socialismo nemmeno in uno dei paesi più avanzati del sistema imperialista mondiale. A tutt’oggi la Comune di Parigi (1871) è rimasta l’unico esempio di rivoluzione socialista nei paesi capitalisti avanzati e durò poco più di 2 mesi.

Era quindi evidente che vi erano problemi che neanche i migliori comunisti avevano ancora risolto. Quale strategia dovevano seguire i comunisti per instaurare il socialismo nei paesi imperialisti? Quale per condurre a compimento la rivoluzione democratica, antifeudale e antimperialista in tutti i paesi oppressi?

Di fronte alla mancanza di risposta della sinistra, la destra (Tito, Togliatti, Kruscev, ecc.) applicò le strategie delle riforme di struttura, della competizione economica e militare con i paesi imperialisti, del compromesso storico e altre simili strategie che si sono rivelate fallimentari. Oggi è evidente a tutti, ma quando furono proposte le cose non erano così chiare.

 

In breve, l’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria e la decadenza fino al collasso dei primi paesi socialisti sono dovuti ai limiti e agli errori di noi comunisti. Non avevamo ancora una comprensione abbastanza giusta delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta della classe operaia contro la borghesia, il clero e le altre classi reazionarie per instaurare il socialismo. Tanto meno della via che le classi e i popoli oppressi, una volta liberati dai loro oppressori, dovevano seguire per portare fino in fondo la loro emancipazione, per costruire la nuova umanità. Abbiamo agito alla cieca e quindi non siamo riusciti a condurre la prima ondata della rivoluzione proletaria fino alla vittoria.

Ma dalla sconfitta abbiamo imparato e comunque possiamo imparare quanto necessario per vincere la lotta per eliminare il capitalismo che proprio la nuova crisi generale del capitalismo ha rimesso all’ordine del giorno.

 

Il movimento comunista cosciente e organizzato è sorto nel 1848, poco più di 160 anni fa. Benché in questo periodo, brevissimo sulla scala della storia dell’umanità, si sia diffuso in tutto il mondo e abbia sovvertito e unificato in un’unica lotta contro il sistema imperialista paesi e nazioni diversissimi come mai è riuscito ad alcun altro movimento, la dimostrazione che il comunismo è il futuro dell’umanità non sta nei successi che fin qui il movimento comunista ha raggiunto. Sta nella furibonda opposizione che suscita nelle classi dominanti e nell’analisi dell’evoluzione compiuta dall’umanità stessa. Sta nella comprensione delle leggi secondo cui questa evoluzione si svolge e delle necessità a cui essa risponde. Vale per il movimento comunista quello che si può dire di un nuovo grande fiume che si sta scavando il suo corso.

La società comunista pone fine a millenni di evoluzione dell’umanità avvenuta nell’ambito della sua divisione in classi di sfruttati e sfruttatori, di oppressi e oppressori. Nessuna meraviglia quindi che gli sfruttatori e gli oppressori di ogni risma si oppongano al comunismo con ogni mezzo e con un livore e una determinazione che non sfoderano contro nessuna delle piaghe sociali di cui pur si lagnano. Nessuna meraviglia che gli oppressi imparino a governarsi e a progettare il proprio futuro senza essere diretti da sfruttatori e oppressori, solo attraverso tentativi, provando e riprovando. Per quale miracolo dovrebbero conoscere a priori la strada da seguire per fare quello che non hanno mai fatto? I filosofi metafisici sostengono che le idee sono innate o che vengono infuse da dio. In realtà in ogni campo gli uomini hanno costruito la loro conoscenza solo provando e riprovando. Del resto i capitalisti, il clero e le altre classi dominanti ci hanno condotto in una situazione tale che neanche loro sanno come uscirne.

Da millenni le masse popolari vivono, lavorano e combattono agli ordini di classi dominanti. Sono queste che per millenni le hanno mobilitate e hanno organizzato e diretto la loro attività. La mentalità, la personalità, le idee e i sentimenti della stragrande maggioranza degli uomini e delle donne si sono formati in un contesto in cui le attività e le funzioni tipicamente umane, quelle che distinguono la specie umana dalle altre specie animali, erano riservate il più possibile alle classi dominanti. È in questo contesto che in ogni paese le masse popolari lottano e devono lottare per costruire il loro futuro e con questo portare il loro contributo al futuro di tutto il mondo. L’esperienza del movimento comunista ci fornisce abbastanza elementi per sapere a grandi linee che strada prendere. Ma nello stesso tempo ci insegna che bisogna impegnarsi senza riserve per capire a fondo ogni situazione, nel particolare e nel concreto, per trovare la linea da seguire nel particolare e nel concreto.

 

Se consideriamo Benedetto Ratzinger, Costanzo Preve e simili alla luce della storia che le masse popolari hanno alle spalle, è chiaro da dove simili individui traggono pretesti per le loro dottrine. Ognuno di essi ha una sua propria idea della natura umana, una delle tante che si possono pescare nel museo della storia dell’umanità divisa in classi. Ognuno di loro pensa che da sempre gli uomini siano o debbano essere quello che lui immagina: Ratzinger perché così li avrebbe creati dio. Preve perché così li farebbe il DNA o qualcosa d’altro di simile. Nessuno di loro considera la specie umana nella sua plurimillenaria evoluzione, nella continuità e nella trasformazione che la specie ha avuto nel corso dei millenni e le ragioni che l’hanno mossa nel suo percorso. Ognuno di questi predicatori ci vorrebbe inchiodare all’immagine della natura umana che per un motivo o un altro lui ha in testa e che erige a modello universale ed eterno.

Il comunismo è effettivamente incompatibile con la natura umana che essi erigono a modello, con la natura umana che il Vaticano, la borghesia imperialista e altre classi dominanti cercano di perpetuare o creare negli uomini. È incompatibile con tutte le mentalità, personalità, concezioni, sentimenti e comportamenti forgiatisi negli individui lungo secoli di soggezione e di sfruttamento.

Questi, pur diversi tra loro a secondo dell’epoca e dei continenti, sono il riflesso e l’impronta negli individui della condizione sociale che gli individui hanno vissuto. Erano quanto serviva loro per vivere una condizione sociale che oggi può e deve essere superata. Certamente non ci si può comportare da adulti con la mentalità di bambini. Certamente non si può essere liberi se si mantiene una mentalità servile. Il comunismo comporta lo sviluppo di quanto nelle classi e nei popoli oppressi vi è già oggi di contrario alla loro attuale condizione di asservimento e alla mentalità, ai sentimenti e ai comportamenti che la rispecchiano. Quindi è contrario a ognuna delle nature umane pescate nel museo della storia dell’umanità divisa in classi di oppressi e oppressori, di sfruttati e sfruttatori. Comporta il superamento dei comportamenti, dei sentimenti, delle idee, delle relazioni, delle mentalità e delle personalità fatte su misura della condizione di oppressi e di sfruttati che le masse popolari hanno finora vissuto.

Per secoli le masse popolari hanno fatto la propria storia agli ordini delle classi dominanti. Persino le rivoluzioni contro le classi sfruttatrici dell’epoca, per secoli le hanno compiute seguendo la direzione di nuove classi sfruttatrici. Ma proprio le condizioni della società moderna hanno finalmente reso una parte delle masse popolari, in concreto la classe operaia, capace di svolgere un’attività rivoluzionaria autonomamente da ogni classe dominante, contro tutte le classi dominanti. Questo è un dato di fatto confermato dalla cura che in ogni paese le classi dominanti sorvegliano e prevengono gli operai, per impedire che gestiscano le loro organizzazioni autonomamente dal clero e dalle altre classi dominanti.

È vero però che per le condizioni in cui è costretta a vivere e lavorare, nella società borghese anche la classe operaia è in grado di sviluppare la propria attività rivoluzionaria oltre un livello elementare solo se i suoi elementi d’avanguardia si costituiscono in partito comunista e si impegnano, con le risorse e le forze che derivano dall’organizzazione, a trovare le vie, le forme e la linea della rivoluzione socialista e ad assumere la direzione dell’attuazione della linea. L’esperienza del movimento comunista ha mostrato al di là di ogni dubbio che la costituzione degli elementi d’avanguardia in partito comunista e la direzione del partito comunista sono condizione indispensabile per il successo della rivoluzione socialista contro la borghesia, il clero e le altre classi dominanti. Tutti quelli che, sia pure in nome degli errori e dei limiti dei partiti comunisti e delle conseguenze nefaste che ne sono derivate, hanno rigettato la costituzione in partito comunista, non hanno combinato niente di positivo ai fini dell’emancipazione delle masse popolari. È un fatto che nessuno è in grado di contestare. Il rinnegamento del partito comunista, il rifiuto di costituire il partito comunista, la denigrazione del partito comunista hanno disarmato le masse popolari e le hanno lasciate in balia della borghesia, del clero e delle loro aberrazioni. Ancora oggi il maggiore ostacolo alla loro lotta contro la borghesia, il clero e le altre classi sfruttatrici sono la mancanza di un forte partito comunista. Senza un forte partito comunista, è impossibile per le masse popolari avanzare nell’emancipazione dalla borghesia e dal clero.

 

Il partito comunista deve essere forte, ma deve anche avere una linea e un metodo di lavoro giusti.

L’esperienza del movimento comunista ha pure mostrato che proprio nel partito comunista sta anche il principale rischio di deviazione e fallimento della rivoluzione socialista, il punto più debole della rivoluzione socialista. La società socialista si consolida man mano che una parte crescente delle masse popolari si organizza e prende in mano la direzione di aspetti e settori crescenti della vita sociale, facendo a meno dello Stato e attenuando i confini tra l’avanguardia e le masse popolari. Quando la transizione dal capitalismo al comunismo sarà completata, non esisteranno più né uno Stato come apparato professionalmente dedicato alla repressione né il partito comunista. Il bisogno che nella società socialista ci sia il partito comunista a dirigere il resto della classe operaia e delle masse popolari e che ci sia ancora uno Stato a presidio della società socialista, rende fragile la società socialista perché essa in qualche misura è ancora simile alla società borghese. È la manifestazione che nella società socialista esistono ancora grandi differenze tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra dirigenti ed esecutori, tra uomini e donne, tra città e campagna, tra settori e zone avanzate e settori e zone arretrate. Esse devono essere superate e saranno superate. Ma per loro natura possono essere superate solo gradualmente e per tappe.

Nella società socialista convivono in un rapporto di unità e lotta relazioni comuniste e relazioni capitaliste. La soppressione delle relazioni capitaliste e l’instaurazione di relazioni comuniste avviene gradualmente, per tappe.

L’esperienza del movimento comunista ha mostrato che quelli che possono portare fuori strada la rivoluzione socialista, corrompere e disgregare i partiti comunisti, far decadere i paesi socialisti fino a farne dei paesi capitalisti più o meno normali, sono proprio quei dirigenti del partito comunista che sono fautori di soluzioni borghesi ai problemi della società socialista, quei dirigenti del partito comunista che si oppongono ai passi avanti nella trasformazione dei rapporti di produzione e delle altre relazioni sociali che via via diventano possibili, quei dirigenti del partito comunista che sono più sensibili all’influenza e al richiamo delle vecchie classi dominanti e della loro eredità culturale. Ma ha insegnato anche che la maggior parte dei dirigenti del partito comunista normalmente sono di tutt’altra pasta: sono gli individui più avanzati, più generosi e più dediti agli interessi collettivi delle masse popolari che esistono nella nostra società.

 

La conclusione è che il partito comunista è il fattore decisivo della vittoria rivoluzione socialista, ma che proprio per questo la sua linea decide della sorte della rivoluzione socialista.

I primi paesi socialisti hanno avuto una fase di crescita e sviluppo relativamente breve, durata pochi decenni. Ma in quel breve periodo, resistendo con successo all’aggressione e al boicottaggio delle maggiori potenze mondiali e al sabotaggio delle classi spodestate, hanno mostrato che l’emancipazione delle classi oppresse dalla borghesia, dal clero e dalle altre classi dominanti è possibile, a determinate condizioni. Hanno dimostrato che la liberazione dei popoli oppressi dal sistema imperialista mondiale è possibile, a determinate condizioni.

Proprio la sconfitta che abbiamo subito ha permesso di capire più di prima quali sono quelle condizioni: più di quanto anche i migliori esponenti del movimento comunista fossero prima riusciti a capirlo. Una volta instaurato il socialismo, la sconfitta della rivoluzione socialista può venire solo dall’interno del partito comunista, senza del quale però è impossibile instaurare il socialismo. La linea del partito comunista diventa il terreno decisivo dell’esito della lotta di classe.

La linea che segue il partito comunista, la direzione che esso imprime all’intera vita sociale e alle singole istituzioni sociali diventano i fattori decisivi delle sorti della rivoluzione socialista, del successo o della sconfitta della transizione verso il comunismo che l’instaurazione del socialismo mette in moto.

Quale linea seguire nel concreto, momento per momento, di fase in fase nella trasformazione di ogni paese e gruppo sociale, non ce lo insegna nessuno: dobbiamo impararlo dall’esperienza. Per questo è un comportamento stupido oltre che reazionario rigettare e rinnegare l’esperienza dei primi paesi socialisti. Quella esperienza è il maggiore patrimonio che il passato ci fornisce per condurre con successo la nuova ondata della rivoluzione socialista di cui il mondo attuale è gravido. L’esperienza dei primi paesi socialisti nei pochi decenni della loro fioritura ha messo in luce, per chi vuole studiare quell’esperienza, quali problemi le società socialiste presentano e quali soluzioni è necessario dare. Per molti problemi e in molti campi, la soluzione è chiara, nella misura in cui una soluzione particolare può essere universalmente valida. Possiamo certo ancora sbagliare e le masse popolari pagheranno ogni errore dei loro partiti comunisti tanto più caro quanto più forti saranno ancora, nel singolo paese e a livello mondiale, le classi che cercano la rivalsa, che vogliono restaurare il vecchio mondo e i loro vecchi privilegi: certamente queste classi non avranno alcun scrupolo ad approfittare dei nostri errori. Cercheranno anzi di fomentarli e di farcene commettere molti.

Ma dall’esperienza dei primi paesi socialisti oltre che dalla nostra diretta esperienza possiamo anche imparare quale è la linea da seguire. Avviene nella rivoluzione socialista quello che avviene ogni volta che gli uomini affrontano per la prima volta una grande impresa.  La nostra vittoria non è sicura, ma non lo è neanche la nostra sconfitta. Dipende da noi far tesoro dell’esperienza, in particolare proprio dell’esperienza dei primi paesi socialisti, commettere meno errori, correggere rapidamente gli errori, far fronte alle difficoltà che l’impresa per sua natura comporta, oltre che all’ostilità illimitata, sia aperta sia subdola, di tutte le vecchie classi privilegiate che sfrutteranno ogni nostra difficoltà con la raffinata capacità che il lungo esercizio del potere ha loro conferito.

Quindi il comunismo è l’unico futuro di progresso per l’umanità e la rivoluzione socialista è possibile.

 

Ma cosa fare ora nel nostro paese perché nei prossimi mesi la via della mobilitazione rivoluzionaria prevalga sulla via della mobilitazione reazionaria?

 

Il governo della banda Berlusconi sta spianando in vari modi la strada alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari. Molte delle misure agitate e molte di quelle messe effettivamente in opera da quella banda sono primi passi sulla strada alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari. La mobilitazione reazionaria delle masse popolari è una possibilità che ha basi reali nel nostro paese, come in molti altri paesi. Ma non è ancora sicuro che nel nostro paese essa prevarrà sulla mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari. La prima ondata della rivoluzione proletaria ha lasciato tracce profonde nella classe operaie e nelle masse popolari del nostro paese. Il nuovo Partito comunista italiano e la sua carovana sono un aspetto di esse. Nel Manifesto Programma pubblicato nella primavera dell’anno scorso (reperibile anche sul sito Internet www.nuovopci.it) il (n)PCI ha raccolto e messo a disposizione il bilancio del movimento comunista, il meglio dell’esperienza del movimento comunista del nostro paese e internazionale, la concezione marxista-leninista-maoista che ci guida, la linea che seguiamo.

La lotta per cacciare la banda Berlusconi è una delle cose da fare per sbarrare la strada alla mobilitazione reazionaria. Più numerose e più forti saranno le proteste e le agitazioni delle masse popolari contro il governo Berlusconi, minore sarà il sostegno nella banda Berlusconi anche nella classe dominante. Essa ha promosso il suo avvento al potere e ancora la sostiene nella fiducia che trovi una soluzione alla situazione in cui è sfociata la nuova crisi generale del capitalismo.

Nella classe dominante molti esitano a imboccare con decisione la via della mobilitazione reazionaria delle masse popolari. L’esperienza del fascismo per la borghesia italiana è stata fallimentare. Mai ha rischiato tanto di perdere tutto come quando è stata trascinata nel gorgo della caduta del fascismo e della vittoria della Resistenza.

In particolare il Vaticano e la sua Chiesa esitano a imboccare la strada della mobilitazione reazionaria delle masse popolari perché non potrebbero conservare il ruolo che da 60 anni in qua hanno di autorità di ultima istanza della Repubblica Pontificia instaurata con tanta fatica dopo la seconda Guerra Mondiale. La mobilitazione reazionaria delle masse popolari metterebbe comunque anch’essa in discussione la Repubblica Pontificia.

 

Queste esitazioni della classe dominante a imboccare la via della mobilitazione reazionaria delle masse popolari sono un elemento politicamente molto importante, ma non sono il fattore decisivo. Il fattore decisivo per non passare attraverso la via più tortuosa, più tormentosa e più distruttiva della mobilitazione reazionaria e invece far prevalere da subito la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari, sono l’organizzazione delle masse popolari stesse e in primo luogo della classe operaia e l’orientamento di queste organizzazioni.

Bisogna moltiplicare il numero di operai e di altri elementi delle masse popolari organizzati.

Bisogna promuovere il coordinamento tra tutte le organizzazioni operaie e popolari.

Bisogna che un numero crescente di organizzazioni passi da obiettivi puramente rivendicativi e di protesta, alla lotta per costituire un governo che prenda le misure minime indispensabili per far fronte almeno agli effetti più gravi della crisi.

Nessun governo costituito per iniziativa e con la benedizione del Vaticano, della Confindustria,  delle Organizzazioni Criminali, degli imperialisti USA e dei gruppi sionisti è oggi in grado di prendere misure efficaci contro la disoccupazione.

Questo è il campo di lavoro che tutti i comunisti, tutti gli operai avanzati e gli elementi avanzati delle altre classi delle masse popolari, tutti i progressisti e i sinceri democratici hanno davanti a sé in questi mesi, prima che la partita tra mobilitazione reazionaria e mobilitazione rivoluzionaria sia decisa, almeno per alcuni anni.

In sostanza la mobilitazione rivoluzionaria

- in primo luogo vuol dire orientamento delle organizzazioni operaie e delle organizzazioni popolari a costituire esse un governo di emergenza trascinando in questa impresa la parte maggiore possibile delle grandi masse e una parte della stessa classe dominante, quella che non è entusiasta della mobilitazione reazionaria e non è ancora rassegnata ad essa, la nuova borghesia di sinistra. Rivendicazioni e proteste sono indispensabili, ma per le organizzazioni operaie e per le organizzazioni popolari limitarsi a rivendicazioni e proteste e non proporsi di costituire esse stesse un governo d’emergenza vuol dire votarsi alla sconfitta e ad essere sommerse dalla mobilitazione reazionaria: non c’è altra strada e non è possibile tirare molto per le lunghe di fronte alle distruzioni prodotte dalla crisi generale entrata oramai nella sua fase terminale;

- in secondo luogo vuol dire rinascita del movimento comunista, cioè costruzione di un tessuto abbastanza capillare di organizzazioni operaie e di organizzazioni popolari aggregate attorno al Partito comunista come già per due volte abbiamo costruito nel nostro paese (dopo la prima e dopo la seconda Guerra Mondiale), attraverso l’attuazione del Piano Generale di Lavoro del nuovo Partito comunista e, nocciolo decisivo di questo, il consolidamento e rafforzamento del Partito comunista.

 

Queste e altre questioni politiche d’attualità sono trattate in

La Voce n. 32, reperibile sul sito internet del (n)PCI, www.nuovopci.it.

 

A tutti quelli che vogliono veramente far fronte alla fase terminale della seconda crisi generale del capitalismo e alla mobilitazione reazionaria che la destra borghese fomenta facendo leva su di essa, a tutti quelli che vogliono veramente che nessun lavoratore sia licenziato e che nessuna azienda sia chiusa, ma che oggi non hanno fiducia nel socialismo o addirittura per un motivo o l’altro sono ostili al socialismo, noi diciamo:

“Provate la vostra strada!

Se non volete il socialismo, ma volete sinceramente e senza riserve che nessun lavoratore sia licenziato e che nessuna azienda sia chiusa, ebbene provate!

Siamo comunque all’emergenza: formate voi stessi un governo d’emergenza con tutti quelli che hanno i vostri stessi obiettivi, un governo di blocco popolare. Noi comunisti non ci opporremo a un simile governo. Anzi noi comunisti sosterremo lealmente un simile governo, finché cercherà di attuare simili obiettivi. Noi siamo infatti sicuri che le forze che formeranno un simile governo e persevereranno nel loro obiettivo, prima o poi per non essere travolte dalla reazione dei padroni e del clero, dovranno anch’esse impegnarsi nella instaurazione del socialismo”.

 

Uno degli insegnamenti della prima ondata della rivoluzione proletaria è che è indispensabile un partito comunista come quello che stiamo costruendo!

 

Non sono le lotte delle masse popolari che oggi mancano nei paesi imperialisti! Esse si moltiplicheranno e si approfondiranno grazie alla costituzione di un governo di blocco popolare e al progredire della rinascita del movimento comunista!

 

Le masse popolari hanno già incominciato a mobilitarsi, ma possono organizzarsi e far fronte assai meglio di quanto fanno oggi alla condizione di abbrutimento in cui la crisi del sistema capitalista ci ha spinto. Sta a noi comunisti guidarle ad avanzare!

 

Per uscire dal marasma attuale l’umanità deve progredire e trasformarsi. Noi comunisti dobbiamo essere i primi a trasformarci.

 

Siamo entrati in una fase decisiva della nostra lotta per instaurare il socialismo: questo mette ogni comunista alla prova, bisogna avanzare a un livello superiore!

 

Il futuro prossimo dell’umanità è quello che noi costruiamo in questi mesi e nei prossimi uno o due anni: ora si decide, in base a quello che riusciamo a fare noi, se andremo verso l’instaurazione del socialismo senza passare attraverso un nuovo periodo di guerra interimperialista!

 

I problemi che affrontiamo noi nel nostro paese, li affrontano in questa fase in forma analoga anche le masse popolari degli altri paesi, in ogni angolo del mondo: avremo solidarietà e daremo solidarietà!

 

Un governo d’emergenza, formato e sostenuto dalle organizzazioni operaie e dalle organizzazioni popolari può fare da subito quello che non farà mai nessun governo che riceve il suo mandato dal Vaticano, dagli imperialisti USA ed europei, dai gruppi sionisti, dalle Organizzazioni Criminali, dalla Confindustria e dalle altre organizzazioni padronali!

 

La crisi generale del capitalismo richiede soluzioni d’emergenza!

Facciamo in modo che esse aprano la via all’instaurazione del socialismo e al superamento definitivo del capitalismo!

Le organizzazioni operaie e le organizzazioni popolari devono costituire un governo d’emergenza!

 

Cacciamo il governo Berlusconi!

Instauriamo un governo di blocco popolare!

 

Che tutti quelli che sono già convinti che questa è la via d’uscita dalla crisi del capitalismo, si uniscano, si organizzino e la propagandino, in primo luogo tra gli operai avanzati e gli elementi avanzati delle altre classi delle masse popolari!

 

Un governo di blocco popolare formato e sostenuto dalle organizzazioni operaie e dalle organizzazioni popolari sparse nel territorio, deve prendere in mano il paese!

 

Le grandi aziende non devono più essere dei padroni!

Le grandi aziende devono essere dei lavoratori e del loro nuovo Stato!

Alle piccole aziende il governo di blocco popolare affiderà commesse perché producano quanto necessario e assegnerà loro tutti i rifornimenti di cui hanno bisogno!

Le aziende non devono più produrre profitti! Devono produrre beni e servizi per chi lavora!

Tutta la società deve essere riorganizzata in conformità con questa nuova base!

 

Prendete il caso Marchionne-FIAT (ma considerazioni analoghe valgono per il caso Berlusconi e per i casi di alcune migliaia di altri individui): la sorte di centinaia di migliaia, forse di milioni di famiglie di lavoratori e masse popolari è appesa agli interessi, ai calcoli, ai vizi e alle virtù personali di Marchionne e di alcuni suoi mandanti e complici. I lavoratori interessati non hanno neanche diritto di parola e addirittura sono esclusi dalla conoscenza delle cose. Una società che vive in questo modo è malata e internamente minata. Un simile andamento delle cose è incompatibile con ogni ragione e ogni morale. È al di là di ogni accettabile e durevole sistema di diritti e doveri! Una simile società non ha più alcuna autorità morale rispetto ai suoi singoli membri!

 

Nessuna questione che riguarda più persone deve essere lasciata alla decisione di un singolo individuo, a un padrone, tanto meno alla sua decisione arbitraria! Ogni decisione deve essere presa sulla base di analisi,  criteri e principi ampiamente conosciuti e condivisi!

 

Per questo lotta il Partito comunista italiano! Per questa lotta chiede il concorso e il contributo della parte più generosa e onesta, della parte più avanzata delle masse popolari del nostro paese!

 

Compagni, operai, proletari, donne, immigrati e giovani: arruolatevi nel (nuovo)Partito comunista italiano!

 

Partecipate alla campagna di organizzazione del Partito! Costituite clandestinamente in ogni azienda, in ogni zona e in ogni organizzazione di massa un Comitato di Partito!