Supplemento 2 a La Voce n. 7

 

Indice dei supplementi

 

maggio 2001

 

La questione del PCE(r) (il file compresso in versione word da scaricare)

Allegato 1

Allegato 2

Allegato 3

NOTE

 (Versione in lingua spagnola a cura dell'EiLE)

 

La questione del PCE(r)

Articolo di Umberto C. (membro della redazione di La Voce del (nuovo)Partito comunista italiano)

 

A partire dall’autunno del 2000 Arenas e alcuni altri esponenti del PCE(r), incuranti delle misure di intimidazione che il governo italiano di centro-sinistra stava prendendo proprio contro i CARC e la CP riesumando e potenziando il reato di associazione sovversiva introdotto dal fascismo, hanno iniziato una campagna di calunnie e di delazioni contro i CARC e la CP. La campagna è proseguita anche dopo che, in novembre, la polizia francese su mandato del governo spagnolo ha arrestato a Parigi Arenas e altri esponenti del PCE(r) e dei GRAPO.(1) Essa è addirittura degenerata in un tentativo di disgregazione della Commissione per il Soccorso Rosso Internazionale (SRI). Infatti l’AFAPP ha posto come condizione alla sua partecipazione l’espulsione dell’ASP dalla Commissione e la preclusione ad essa di ogni forma di partecipazione ai lavori del SRI. L’ultimo segno di questa campagna di calunnie e di delazioni a noi noto è l’articolo pubblicato in Resistencia n. 54 (aprile ‘01). Per quanto la riguarda, la CP ha già smentito le calunnie e denunciato le delazioni con il suo Comunicato del 2 aprile e con lo scritto La calunnia come arma della lotta politica diffuso in data 8 aprile ‘01. A mio parere però quella campagna, benché ignobile e vergognosa, ha implicazioni di tipo politico e ideologico che interessano tutto il movimento comunista internazionale. Vale quindi la pena metterle bene in chiaro, come contributo alla rinascita del movimento stesso.

Vi è tra i nostri compagni una certa insofferenza per le polemiche. L’insofferenza è più che giustificata finché le polemiche restano al livello degli insulti e delle illazioni su cui Arenas e i suoi compagni le hanno finora sviluppate. Proprio per questo, è indispensabile mostrare i veri risvolti politici e ideologici della polemica. Solo così l’insofferenza non si risolverà in fastidio e ripulsa per il lavoro che conduciamo per la rinascita del movimento comunista e il danno che Arenas e soci hanno fatto si trasformerà in definitiva in un rafforzamento del nostro movimento. Quanto alla necessità che il movimento comunista non tema polemiche e scissioni, ma conduca al suo interno una lotta accanita contro le deviazioni, ricordiamo ai nostri lettori alcune parole di Stalin tratte dal vol. 5 delle Opere di Stalin che le Edizioni Rapporti Sociali hanno appena pubblicato: “Non di rado i nostri compagni (e non solo i menscevichi!) accusavano Lenin di essere troppo incline alla polemica e alla scissione, di combattere con intransigenza i conciliatori, ecc. Indubbiamente l’una e l’altra cosa ebbero luogo a suo tempo. Ma non è difficile capire che il nostro partito non avrebbe potuto né sbarazzarsi della debolezza interiore e dell’amorfismo, né raggiungere la forza e la saldezza che gli sono proprie, se non avesse cacciato dal suo interno gli elementi non proletari e opportunisti. Nell’epoca della dominazione borghese, il partito proletario può svilupparsi e rafforzarsi solo nella misura in cui lotta, nel proprio seno e nella classe operaia, contro gli elementi opportunisti, ostili alla rivoluzione, al partito” (Lenin, organizzatore e capo del Partito comunista della Russia, 1920)

 

La campagna di delazioni e di calunnie lanciata da Arenas e da alcuni altri esponenti del PCE(r) contro di noi è strettamente legata o meglio è un diretto risultato della costituzione, nel giugno 2000, della Frazione Ottobre del PCE(r) (La Gaceta) e dei contrasti esplosi nel PCE(r) a causa del suo declino che si protrae oramai da molti anni. È da questo declino che dobbiamo partire per ricostruire le implicazioni politiche e ideologiche dell’attuale campagna di calunnie e delazioni.

IL PCE(r) è nato dal movimento marxista-leninista sorto negli anni ‘60, in Spagna come in altri paesi, in opposizione al revisionismo moderno capeggiato da Kruscev e in risposta all’appello lanciato dal Partito comunista cinese e dal Partito del lavoro d’Albania. Il partito fu fondato nel 1975 e condusse per anni un efficace e importante lavoro che suppongo i miei lettori conoscano.(2)

Orbene, da circa 15 anni a questa parte il PCE(r) sta vivendo un lento declino. Il numero dei compagni reclutati non compensa il numero dei compagni che abbandonano il partito e dei prigionieri che, una volta liberati, restano ai margini dell’attività. È in costante declino l’influenza politica del partito sulla classe operaia e sulle masse popolari. Questa è una realtà che tutti i membri e dirigenti del partito conoscono. Chi ha avuto a che fare in qualche maniera con il partito o con ambienti ad esso vicini ha potuto rendersene conto. Una conferma di questo si può ricavare dall’esito delle elezioni europee del ‘99. Il PCE(r) diede l’indicazione di votare per Herri Batasuna e la sua coalizione elettorale Euskal Herritarrok (che era votabile in ogni regione della Spagna): questa non conseguì nessun sostanziale aumento di voti rispetto alle precedenti elezioni europee in nessuna delle regioni in cui il partito è in qualche modo presente. Questo lungo periodo di declino si ripercuote sullo stato d’animo e sulla coscienza dei membri residui del partito e riduce anche la loro energia.

A cosa è dovuto questo declino che si protrae oramai da anni?

Il partito non ha mai aperto un dibattito esplicito sull’argomento. Questo è un primo indizio del metodo malsano seguito dalla direzione, su cui poi ritornerò. Nonostante ciò, sia nella stampa del partito sia nei suoi congressi il problema è presente. Anche l’ultimo congresso, il quarto, tenuto nella seconda metà del ‘98, si è svolto e concluso all’insegna della rettifica del partito. È stata però una rettifica dai contenuti talmente generici e rituali, che se ne è persa rapidamente la traccia: come avveniva per la lotta contro il burocratismo e la corruzione nel PCUS dell’epoca di Breznev: tema ricorrente a ogni congresso e altrettanto regolarmente privo di risultati pratici. Il partito non ha dato risposte esplicite alla domanda posta sopra. Nella stampa e nel materiale congressuale del partito sono però implicite varie e contrastanti risposte. Ne indico alcune, con l’avvertenza che nessuno nel partito le ha mai formulate chiaramente come io le indico. Quindi chi non si pone in un atteggiamento di autocritica e cerca argomenti per soffocare le critiche, avrà buon gioco nel negare di aver mai dato simili risposte.

Una delle risposte è che la causa del declino è la situazione oggettiva della lotta di classe in Spagna, caratterizzata di volta in volta diversamente: da alcuni con la repressione compiuta dal governo spagnolo, da altri col benessere della classe operaia spagnola, da altri con la demoralizzazione indotta dal crollo del campo socialista o dal declino vissuto a livello internazionale dal movimento comunista. I sostenitori di questa risposta ritengono che solo una prossima guerra imperialista invertirà la rotta; quindi il partito deve “difendere i principi”, sopravvivere e aspettare la congiuntura favorevole. Continuare ad esistere è già una vittoria.

Un’altra risposta che compare sulla stampa del partito attribuisce l’isolamento del partito al sostegno che il partito ha sempre dato alla lotta armata dei GRAPO. Chi la avanza (es. Resistencia n. 47 pag. 22-23) non spiega però come mai il partito persevera in qualche modo nel sostegno alla lotta armata se proprio essa limita l’accumulazione delle forze rivoluzionarie anziché favorirlo. Questa risposta ha trovato varie espressioni sotterranee. Una fu l’impegno a cessare il sostegno alla lotta armata e a sviluppare un’attività pubblica legale che nelle trattative condotte nel ‘96 col governo Aznar (e già iniziate col precedente governo Gonzalez) il PCE(r) si dichiarò disposto ad assumere. Un’altra manifestazione è la tesi che la lotta armata e la clandestinità del partito sarebbero imposte dal carattere ancora fascista del regime politico spagnolo e che quindi potrebbero essere lasciate cadere se la borghesia imperialista democratizzasse veramente il suo regime, magari a seguito di una trattativa con il PCE(r). In Italia questa ultima tesi del PCE(r) era già stata evidenziata e posta in discussione nelle presentazioni sia dell’antologia di scritti del PCE(r) Que camino debemos tomar? del 1987 sia di La guerra di Spagna, il PCE e l’Internazionale Comunista del 1997.(3)

Comunque il declino delle forze e dell’influenza del partito è una realtà non affrontata apertamente che quindi si traduce nella diffusione di uno stato d’animo di malcontento, delusione e sfiducia tra i membri del partito, anziché trovare nel dibattito aperto la via per il suo superamento. La direzione cerca di tanto in tanto di sollevare il morale  ricorrendo a fanfaronate (l’ultima clamorosa è quella di presentare i dieci milioni di elettori astenuti nelle elezioni politiche generali del 2000 come “dieci milioni di lavoratori che boicottano il governo spagnolo” -Resistencia n. 48, marzo 2000) o a giochi di parole che dovrebbero dimostrare che il partito ha “in realtà” sconfitto il regime anche se non ha vinto. In generale questi giochi di parole fanno leva sulle difficoltà che il governo spagnolo incontra, simili a quelle che incontrano i governi di tutti i paesi imperialisti e in Spagna in qualche misura aggravate dai movimenti nazionali, soprattutto da quello dei baschi. Il partito sostiene che queste difficoltà del governo borghese sono il risultato della sua attività e il gioco è fatto. È come se noi in Italia sostenessimo che il governo Prodi è caduto perché non è riuscito ad eliminare i CARC, che il governo D’Alema è caduto a causa della costituzione della CP, che ogni episodio e aspetto della crisi politica della borghesia imperialista è frutto della nostra iniziativa. La crisi politica della borghesia imperialista è un processo reale, un aspetto della crisi generale del capitalismo: per chi ci crede si può sempre sostenere che è un effetto della nostra attività. Ma le menzogne e le chiacchiere, per quanto brillanti, non modificano la realtà. Questa per noi è la fase di raccolta, formazione e accumulazione delle forze rivoluzionarie (in particolare per noi comunisti italiani il compito della fase è preparare le condizioni per la costituzione del partito). La giustezza della nostra linea è verificata (e l’efficacia delle nostre iniziative è misurata) dai progressi che compiamo nella raccolta, formazione ed accumulazione delle forze rivoluzionarie. Queste non sono risultati che la crisi generale del capitalismo produce di per se stessa. Possono risultare solo dall’esistenza e dalla giusta attività del partito. Porre la verifica della giustezza della nostra linea e la misura dell’efficacia delle nostre iniziative nelle crescenti manifestazioni della crisi generale del capitalismo vuol dire confondere mobilitazione rivoluzionaria delle masse e mobilitazione reazionaria delle masse (la tesi dei “dieci milioni” sopra citata è esemplare). Vuol dire rinunciare a svolgere il proprio compito storico.

Da dove viene in realtà il declino del PCE(r)? Io ritengo che la causa del declino del PCE(r) sia nella linea sbagliata che esso segue a partire dalla conclusione della Riforma (1976-1982), cioè appunto grosso modo dalla metà degli anni ‘80. Il partito aveva detto giustamente che la Riforma era un’operazione della borghesia imperialista per continuare a mantenere il potere nonostante il logoramento del suo regime franchista ed aveva enunciato la verità universale che “non c’è ritorno dal fascismo alla democrazia borghese”. Ma dopo che la borghesia imperialista era riuscita, nonostante gli sforzi del partito, a compiere la Riforma, il partito non ha indicato chiaramente che il fascismo è solo una delle forme della controrivoluzione preventiva e ha preso a sostenere, contro ogni realtà, che la Riforma significava semplicemente “la continuazione del franchismo senza Franco”. In realtà, con il successo della Riforma, la Spagna è diventata grosso modo simile agli altri paesi imperialisti. Il successo della Riforma obbligava il PCE(r) a modificare la sua tattica. Cosa che il partito non ha fatto. Da qui il suo declino.

Guardando le cose da un punto di vista storico, cioè a grandi linee, la “fortuna” del PCE(r) consisteva nel fatto che in Spagna il movimento marxista-leninista (la lotta contro il revisionismo moderno) si è misurato con un regime ancora fascista e con un partito revisionista già corrotto, liquidatore e conciliante col regime fascista (a differenza ad esempio del partito revisionista portoghese). Esso ha quindi ereditato assieme al positivo anche il negativo e i limiti della Terza Internazionale. Non ha sostanzialmente “superato” la Terza Internazionale. È rimasto un qualcosa di simile a quella sinistra dogmatica dei vecchi partiti comunisti e a quel movimento marxista-leninista degli anni ‘60 che combatterono il revisionismo di Kruscev (liquidatore aperto della lotta di classe) e che si trovarono invece in una certa misura d’accordo con il revisionismo di Breznev che “fronteggiava” l’imperialismo USA, che teneva testa all’imperialismo USA, che “appoggiava” i movimenti dei paesi coloniali diretti contro le vecchie potenze coloniali. Il carattere fallimentare della linea di Breznev oramai è stata dimostrato dai fatti, quindi non mi soffermo qui a spiegarne le ragioni. È una conferma di questa mia analisi il fatto che il PCE(r) ha avuto e alimentato illusioni prima nel regime di Breznev e poi nel regime di Teng Hsiao-ping, come risulta dalla sua stampa dell’epoca. Occorre ricordare che contro il revisionismo imposto da Kruscev per un certo periodo lottarono anche Liu Shao-chi, Teng Hsiao-ping, Grippa (Belgio) e a sua maniera anche Breznev e compagnia. Sono la Rivoluzione Culturale Proletaria e il maoismo che segnano il passaggio dallo sforzo (destinato al fallimento) per conservare concezioni, linee e metodi del vecchio movimento comunista (che si opponeva alla liquidazione della lotta di classe ma non tirava lezione dalla sua stessa storia), allo sforzo per elaborare e applicare quella lezione. Detta in altro modo, il PCE(r) ha incarnato un forte istinto di classe che è stato sufficiente per rifiutare la collaborazione col nuovo regime che la borghesia ha imposto con la Riforma. Ma una volta che con la Riforma la borghesia aveva imposto il suo nuovo regime di controrivoluzione preventiva, i limiti del vecchio movimento comunista sono diventati fattori sempre più forti di paralisi dell’attività politica. Da qui la crisi del PCE(r). Questa crisi però si è protratta per anni e non può durare a tempo indeterminato. In termini di concezione e di linea, il PCE(r) si dividerà inevitabilmente in due (le persone possono al limite ritrovarsi tutte su una sola delle due sponde). Da una parte chi si ostinerà nel dogmatismo si incancrenirà sempre più a giustificare il declino e a rassegnarsi al declino, cadrà in preda al pessimismo e finirà alla liquidazione del partito: nelle attuali condizioni del movimento comunista, una direzione dogmatica (quindi non parlo di dogmatici sporadici che in qualche partito fossero a rimorchio di una direzione m-l-m) prima o poi “scoppia”. Dall’altra chi farà il salto, cioè un’autocritica e passerà sempre più coerentemente al marxismo-leninismo-maoismo.(4)

L’attuale direzione dogmatica del PCE(r) mostra già evidenti segni di pessimismo e di degenerazione liquidatrice, come sopra ho indicato. Le trattative del passato e i persistenti sforzi del PCE(r) per intavolare nuove trattative contengono una linea liquidatrice. Ovviamente non voglio dire che “non si tratta mai col proprio nemico”: la guerra di classe, proprio perché è una guerra, contiene attacco e difesa, offensive e ritirate, campagne e pause. La linea liquidatrice consiste nel porre sul piatto della bilancia come contropartita che il nemico dovrebbe dare quello che il nemico per il suo stesso interesse già non nega: l’attività politica pubblica del partito clandestino. È un fatto che da anni le AFAPP svolgono un’attività politica aperta che però il partito non riconosce e non fa propria e di cui quindi non sviluppa le potenzialità: la considera una specie di rifugio per chi non vuole o non può passare alla clandestinità. In cambio di questa “concessione” del nemico, la direzione cesserebbe di sostenere la lotta armata dei GRAPO e liquiderebbe il carattere clandestino del partito. Questa è la linea di destra che si sta silenziosamente sviluppando nel PCE(r) sotto il mantello del dogmatismo e del militarismo e che prima o poi prevarrebbe di fronte al perdurante declino, se non ci dovesse essere una reale rettifica. Il carattere malsano della trattativa è confermato anche dal tirare in ballo, a copertura della linea liquidatrice e a giustificazione di ogni manovra, una contropartita che nessun governo borghese può concedere perché economicamente impossibile (nel senso illustrato da Lenin, Opere vol. 23 nello scritto Intorno a una caricatura del marxismo del 1916): una democratizzazione, una “rottura” che dovrebbe rendere il regime democratico in un senso sostanzialmente diverso da quello in cui lo è già - con annessa allusione a “rotture” (in Grecia, in Portogallo) che avrebbero conseguito il risultato miracoloso di creare regimi “veramente democratici”.

La crisi del PCE(r) ha quindi origine nella concezione del mondo che lo dirige e nelle sue manifestazioni politiche. Questa crisi è perpetuata e aggravata dal clima che la direzione fa regnare nel partito. In La calunnia come arma della lotta politica la CP ha indicato chiaramente che i revisionisti moderni hanno imposto nei partiti comunisti un centralismo democratico fatto di disciplina militaresca e di obbedienza indipendente dai contenuti politici, una disciplina non più mezzo per attuare una linea giusta ma mezzo per imporre all’intero partito la linea di chi è alla direzione: in parole povere molto centralismo e niente democrazia. La degenerazione del centralismo democratico è un risultato necessario del trionfo della destra nel movimento comunista e diventa un fenomeno generale a partire dagli anni ‘50. Non si tratta di burocratismo come dicono i trotzkisti. Noi abbiamo bisogno di una burocrazia (cioè di funzionari, di specialisti dell’attività politica, di rivoluzionari professionali) e ne avremo bisogno per decenni e decenni: è del tutto falso che l’origine della degenerazione del centralismo democratico stia nella burocrazia, in qualcosa di cui solo gli anarchici pensano che possiamo fare a meno di colpo. Con il falso (e inamovibile) bersaglio della burocrazia i trotzkisti deviano l’attenzione dal nocciolo del problema che è nella natura di classe della concezione, della linea e degli obiettivi del partito. E per deviare l’attenzione fanno leva sulle tendenze anarchiche proprie della piccola borghesia: no alla burocrazia! La fortuna del trotzkismo tra gli intellettuali e la sua scarsa fortuna politica tra gli operai e il suo nullismo storicamente dimostrato sul piano politico sono un prodotto e una verifica sia della sua natura reale sia della esperienza e della mentalità su cui fa leva per esistere.

I revisionisti moderni hanno fatto leva sulla giusta e ferrea disciplina esistente nei partiti comunisti che era un fattore indispensabile dei successi conquistati dal movimento comunista nella prima metà del secolo XX. Hanno sviluppato unilateralmente errori secondari già presenti nel movimento comunista consistenti nel considerare la disciplina come un fattore indipendente dalla linea politica. Hanno combinato la disciplina ferrea con una linea anticomunista. Ovviamente una direzione che voleva imporre in un partito comunista una politica anticomunista, all’inizio poté giovarsi dell’abitudine del partito e dei suoi membri a una disciplina ferrea unita a una certa fiducia nella direzione ispirata dai successi fino allora conseguiti, a una certa mancanza di vigilanza rivoluzionaria in campo ideologico e politico e a una certa confusione inevitabile in ogni periodo di transizione (in cui occorre scoprire la nuova linea giusta e quindi la contraddizione di classe si mischia facilmente con la contraddizione tra il nuovo e il vecchio e con la contraddizione tra il vero e il falso). Ma poi poté mantenerla solo con un regime di ricatti, minacce, imbrogli, complotti, intrighi, legami personali, privilegi, corruzione. Insomma trasformando il partito in un coacervo di frazioni che non si riconoscevano come tali perché la direzione stessa era contemporaneamente a capo della più grande frazione e garante della coesistenza delle frazioni. C’è da meravigliarsi che in tutti i partiti revisionisti le frazioni premessero sempre più per rendersi più autonome, che la borghesia imperialista avesse una sua politica di sfruttamento delle frazioni e dei loro contrasti? C’è da meravigliarsi che non appena la situazione fu tale che le frazioni furono dichiarate legali, esse si trovarono già bell’e costituite, come nel ‘90 nei paesi socialisti sbucarono come per incanto i nuovi proprietari non appena la proprietà privata dei mezzi di produzione fu dichiarata legale? Noi comunisti impersoniamo gli interessi reali della classe operaia e, in una certa misura, anche del resto del proletariato e in una certa altra misura del resto delle masse popolari.(5) I comunisti si basano sull’esperienza della classe operaia, del proletariato e delle masse popolari: quindi hanno tutto l’interesse a basarsi sulla democrazia, ad appellarsi all’esperienza dei membri del partito, degli operai, dei proletari e delle masse popolari. L’esperienza della classe operaia, del proletariato e delle masse popolari conferma le concezioni, le linee e i metodi giusti e corregge quelli sbagliati. Per noi comunisti la democrazia non è una concessione, ma un mezzo indispensabile per il raggiungimento del nostro obiettivo: noi abbiamo bisogno che il numero maggiore possibile di compagni partecipi all’elaborazione e alla definizione della linea e delle misure per attuarla, che contribuisca con la propria esperienza ad arricchire la nostra elaborazione. La destra al contrario fa una politica in contrasto con l’esperienza dei membri del partito comunista, degli operai, dei proletari e delle masse popolari. Deve quindi ricorrere al raggiro, alla disciplina, ai complotti, alla divisione, alla corruzione, al clientelismo, all’ignoranza, agli intrighi, alla rassegnazione per imporla. Per noi la disciplina è un mezzo per attuare la linea, la linea è frutto della democrazia. La destra deve ricorrere necessariamente alla disciplina per far accettare e imporre la sua linea.

Quindi i revisionisti moderni hanno dovuto alterare profondamente anche i rapporti interni ai partiti comunisti, trasformando questi in una caserma disciplinata e nello stesso tempo profondamente divisa al suo interno. I nuovi partiti non nascono dal nulla. Il PCE(r) ha ereditato molto, anche il negativo. Più la sua linea politica si allontanava dagli interessi reali della classe operaia, più forti sorgevano i contrasti e più la direzione non volendo mettere in discussione la sua linea doveva isolare, emarginare ed espellere i critici, giuste o sbagliate che fossero le loro critiche. Le idee giuste non avevano modo di elaborarsi, di rafforzarsi e di scontrarsi con le idee sbagliate. L’isolamento, l’emarginazione e l’espulsione creano a loro volta il silenzio, spengono l’entusiasmo, frazionano il partito e lo demoralizzano, spingono i membri ad allontanarsi dal partito e frenano l’adesione di nuovi membri. Tutto ciò perpetua e aggrava la crisi politica.

Una volta che la direzione è riuscita ad instaurare nel partito un simile clima, la lotta per la rettifica del partito diventa ancora più difficile. I compagni che non si rassegnano alla liquidazione del partito devono trovare i metodi e adottare le misure necessarie per condurre la lotta per la rettifica del partito. Nel vecchio PCI, Secchia e gli altri esponenti della sinistra hanno sbagliato a sentirsi vincolati alla disciplina da caserma con cui Togliatti e soci imposero la linea della destra di corruzione e di liquidazione del partito. Quali fossero i mezzi a cui ricorrere, quali fossero i mezzi adeguati alla situazione, quali mezzi fossero efficaci, stava a loro trovarlo. Ma in linea di principio nessun mezzo è escluso, perché si tratta di una lotta per la vita o per la morte del partito comunista, come oramai l’esperienza ha confermato. Quindi la linea che i compagni della Frazione Ottobre (FO) espongono nell’articolo Un fracionalismo unido a una concepcion erronea sobre la lucha ideologica (in La Gaceta n. 2) in termini generali può essere giusta. Il comportamento della direzione del PCE(r) nei confronti della FO e nella campagna di calunnie e delazioni contro i CARC e la CP è una prova che la posizione esposta dai compagni della FO è nella sostanza giusta. Prima i membri di altri gruppi e partiti comunisti non erano in grado di valutare il regime interno del PCE(r), salvo quanto appresso dirò. Ma il modo in cui la direzione ha affrontato la costituzione della FO ha pienamente confermato e dimostrato quanto i compagni della FO affermano circa il modo in cui la direzione del PCE(r) affronta le divergenze all’interno del partito, al fatto che cerca di soffocare le critiche, al fatto che non solo non usa la lotta tra le due linee come strumento di crescita e di rafforzamento del partito, ma cerca di soffocarla ricorrendo a ingiurie, calunnie, manovre, ricatti e intrighi. Così si sono comportate le direzioni dei partiti revisionisti: è risaputo e documentato che esse, spinte dalla logica ferrea del loro ruolo nefasto, sono arrivate in più casi fino alla collaborazione col nemico di classe per liquidare i compagni che le criticavano e che non riuscivano in altro modo a mettere a tacere. Non dobbiamo meravigliarci che sui peri nascano delle pere. Se la direzione del PCE(r) persevera nella sua linea, bisogna aspettarsi di tutto.(6)

Come i CARC e la CP sono entrati in questa lotta che è nata come lotta interna al PCE(r), anche se, come ho mostrato, aveva e ha molti aspetti che interessano tutto il movimento comunista internazionale?

Le divergenze dei CARC con il PCE(r) sono di vecchia data come la solidarietà dei CARC con esso, con i suoi membri prigionieri e con la classe operaia, il proletariato e le masse popolari delle vare nazionalità oppresse dallo Stato spagnolo. Qui però non è il caso di parlare della solidarietà, ma delle divergenze.(7)

Già nelle presentazioni di Que camino debemos tomar? (1987) e di La guerra di Spagna, il PCE e l’Internazionale Comunista (1997) i CARC avevano posto due questioni sulla posizione del PCE(r) 1. quanto alla natura del regime politico dei paesi imperialisti come l’Italia, la Germania, la Francia, gli USA (che il PCE(r) indicava come paesi democratici in contrapposizione alla Spagna che indicava come paese ancora fascista: - franchismo senza Franco) e alle caratteristiche che dovevano avere i partiti comunisti che si stanno costruendo in questi paesi, 2. quanto al riconoscimento del maoismo come terza superiore tappa del pensiero comunista, dopo il marxismo e il leninismo.

Nel 1990 nel n. 8 di Rapporti Sociali comparve lo scritto La restaurazione del modo di produzione capitalista in Unione Sovietica. In esso da una parte la redazione si autocriticava per la tesi del socialimperialismo, espressa ad esempio nella pubblicazione I fatti e la testa del 1983. Questa autocritica era stata favorita in una certa misura dalla tesi del PCE(r) che “non c’è ritorno dal socialismo al capitalismo”. Ma dall’altra respingeva le illusioni esistenti nel PCE(r) e alimentate dal PCE(r) che Breznev e addirittura anche Gorbaciov potessero dirigere una ripresa del socialismo in URSS e che Teng Hsiao-ping potesse dirigere una ripresa del socialismo in Cina. La tesi del n. 8 di Rapporti Sociali è stata poi dettagliatamente sviluppata nello scritto Sull’esperienza storica dei paesi socialisti in Rapporti Sociali n. 11 (1991).

Le divergenze tra i CARC e il PCE(r) quanto alla crisi di sovrapproduzione assoluta di capitale vennero poste apertamente anche da Arenas. E precisamente in due articoli: Sulla crisi di sovrapproduzione di capitale (in Resistencia n. 24, aprile 1994) e La superconfusione assoluta (Sulla crisi e il crollo del sistema capitalista) pubblicato come supplemento a Resistencia nel settembre 1996. Il primo articolo di Arenas è stato pubblicato anche in francese nel libro La seconde crise générale du capitalisme, Editions Correspondances Révolutionnaires, assieme alla raccolta completa degli scritti dai CARC dedicati all’argomento fino al 1996. Il secondo articolo di Arenas trae spunto da uno scritto, citato ma non pubblicato, di un esponente del PCE(r), Mario Quintana Dal romanticismo al revisionismo  (Sovrapproduzione, crisi e crollo del capitalismo). I CARC hanno per così dire risposto al primo scritto di Arenas con l’articolo Per il dibattito sulla causa e sulla natura della crisi attuale, in Rapporti Sociali n. 17/18, autunno 1996. Dico “per così dire risposto”, perché in quell’articolo si è ripreso, illustrato più ampiamente e anche in alcuni aspetti che prima non si erano toccati, la teoria della crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale, sottintendendo che Arenas doveva prima studiare e capire le cose di cui voleva parlare. Infatti la risposta più diretta allo scritto di Arenas doveva essere semplicemente questa: Arenas parlava di cose che non conosceva e che non voleva neanche far la fatica di studiare. Dal suo articolo appariva chiaramente che aveva letto uno solo dei sei articoli che fino allora Rapporti Sociali aveva dedicato all’argomento e che non aveva capito neanche quello. Aveva orecchiato che i CARC parlavano anche del capitale finanziario ed era partito lancia in resta contro i CARC sostenendo che ponevano l’origine della crisi attuale nelle contraddizioni specifiche del capitale finanziario, quindi trascuravano il capitale produttivo ed erano degli idealisti. Quanto all’articolo in cui Arenas maltrattava Mario Quintana (il cui scritto mai pubblicato è pregevole, benché contenga anche alcuni gravi errori: tra l’altro sostiene che Rapporti Sociali considera sì la diminuzione del saggio del profitto, ma esclude la diminuzione della massa del profitto, cosa che è chiaramente il contrario di tutto quello che è scritto in Rapporti Sociali), esso se possibile è ancora più campato in aria e trasuda tanta più arroganza quanta maggiore è l’ignoranza dell’argomento.

Questi interventi di Arenas, a parte gli errori di merito, avevano però messo in mostra un lato importante della questione di cui ora tratto. Il massimo esponente del PCE(r) era poco propenso a studiare le questioni di cui trattava, ma non per questo si poneva meno come gran dottore di argomenti che non conosceva. Insomma il contrario di quello che deve essere un dirigente comunista. A considerare poi come trattava un suo compagno di partito, Mario Quintana, si rizzano i capelli. Da allora Mario Quintana, per quanto io ne sappia, non ha più osato scrivere di un argomento di cui capiva molto più di Arenas. Questo modo di affrontare la lotta in campo teorico non era per Arenas né casuale, né causato da antipatia nei confronti dei CARC o di Quintana. Basta considerare il vergognoso libello Il maoismo e la caricatura del marxismo pubblicato da Arenas contro il presidente del Partito comunista peruviano, Gonzalo, nel 1993, pochi mesi dopo che questi era stato arrestato. Senza alcun rispetto per il rivoluzionario prigioniero e per la verità, Arenas costruisce, letteralmente su una sola frase estrapolata dal contesto, una vera e propria denigrazione del pensiero di Gonzalo, senza neanche badare al fatto, chiaro per chiunque abbia buon senso, che, per quanti errori possano esservi nel pensiero di Gonzalo, qualcosa di giusto deve pur esserci se ha promosso e guidato per tanti anni una guerra popolare rivoluzionaria. Nella lotta teorica tra comunisti, un critico capace deve “superare” il proprio avversario, cioè capire le ragioni dell’eventuale errore, il problema che egli con esso senza successo ha tentato di risolvere e darne la soluzione giusta. Altrimenti non di critica si tratta, ma o di denigrazione (cosa sbagliata) o di semplice protesta (cosa limitata).

Infine la CP ha dedicato il n. 5 di La Voce (luglio 2000) alla critica del pessimismo circa la possibilità di raccogliere e accumulare forze rivoluzionarie nella situazione attuale (Il terreno è fertile, la nostra tattica non è ancora assestata) e alla critica del dogmatismo, “cioè alla critica delle concezioni di quei compagni che sostengono che ‘quello che c’era da dire sull’imperialismo in sostanza è stato già detto da Lenin’, per cui noi non avremmo che da applicare e nulla di nuovo da imparare dalla nostra pratica e dalla storia del movimento comunista successiva a Lenin; alla critica delle concezioni di quei compagni che liquidano il maoismo con il ragionamento scolastico, quasi un sillogismo, che avendo Lenin elaborato la teoria dell’imperialismo ed essendo noi ancora nella fase imperialista del capitalismo, non vi può essere una terza superiore tappa del pensiero comunista dopo il marxismo-leninismo”. La CP non chiamava in causa Arenas per nome e cognome, sia perché vista l’arroganza e la suscettibilità del personaggio riteneva la cosa controproducente (“combattere la malattia per salvare l’ammalato”, “addolcire le medicine perché l’ammalato le prenda”) sia perché ritiene che nella polemica in campo internazionale bisogna essere tanto chiari quanto prudenti e modesti. Ma Arenas giustamente si è sentito chiamato in causa. Si tenga inoltre conto che su Resistencia e Antorcha si leggono correntemente tesi come quella che “gli opportunisti [e non la borghesia imperialista] sono i nostri nemici principali”, “il compito del partito è trasformare le lotte rivendicative in lotte politiche portando gli operai ad adottare metodi di lotta violenti” (sembrano le tesi di Rossoperaio). È ovvio che Rapporti Sociali da una parte e La Voce dall’altra erano insistenti campane che suonavano contro questa e altre tesi sbagliate. Tutto questo era intollerabile per Arenas perché nel corso degli anni si sono creati legami tra i compagni italiani e i compagni del PCE(r), molti prigionieri del PCE(r) leggono la stampa italiana, la stampa dei comunisti italiani ha un certo prestigio in Spagna e in generale all’estero. Se prima la cosa era fastidiosa per Arenas, essa gli diventava intollerabile nel momento in cui alcuni suoi compagni non solo non accettavano per buone le sue teorie e le sue fanfaronate, non solo non cedevano a pressioni e ricatti, ma, isolati ed espulsi per tale “indisciplina” in campo teorico, anziché rassegnarsi e subire, alzavano la bandiera della rettifica del partito e costituivano un centro (la Frazione Ottobre) per chiamare a raccolta i compagni decisi a salvare il partito. Arenas ha individuato nei CARC e nella CP i “sobillatori” dei suoi compagni: se questi osavano resistere alla sua influenza e addirittura contrapporsi a lui, non potevano che essere influenzati da altri. Prima che in noi comunisti italiani, Arenas aveva però individuato il sobillatore dei dissidenti niente di meno che in Mao Tse-tung, come di seguito mostro. Quindi siamo in buona compagnia.

In effetti credo che noi dovremmo essere molto contenti se avessimo davvero contribuito almeno in qualche misura a rompere, almeno in alcuni compagni, la rassegnazione al declino del PCE(r). Lavorare bene per costruire un vero partito comunista nel nostro paese non può che avere buoni effetti anche in altri paesi, rafforzare anche in altri paesi la lotta per costruire o rafforzare veri partiti comunisti. La teoria rivoluzionaria è “libera”, non conosce né frontiere né galere. È come il vento che penetra dappertutto e porta semi che attecchiscono dovunque il terreno è fertile. Anche Arenas riconosce l’importanza della teoria, il ruolo che non solo noi, ma anche altri “sobillatori” hanno nell’alimentare la lotta per la rettifica. A cavallo del 4° congresso del PCE(r), mentre la rettifica proclamata nel congresso spariva dalla circolazione, egli ha lanciato un attacco in grande stile contro Mao e il maoismo, condotto come rivalutazione di Stalin. Sulla rivista Antorcha sono comparsi tre suoi articoli, la “trilogia” (Linea di massa e teoria marxista della conoscenza, in Antorcha n. 2; L’universale e il particolare, in Antorcha n. 4; Il problema dell’identità, in Antorcha n. 5) la cui sostanza è la liquidazione del maoismo in nome del recupero di Stalin, che viene presentato secondo il cliché propagandato dagli anticomunisti. La ragione di tanto voltafaccia (fino ad allora il PCE(r) si era professato maoista, è nato dal movimento marxista-leninista degli anni ‘60, dalla OMLE) sta non nelle tesi sostenute negli articoli (chi ha la pazienza di leggerli si rende conto della inconsistenza dei ragionamenti), ma nella necessità di arroccare il partito in una posizione monolitica e di difesa a tutti i costi del suo attuale assetto, di fronte alla crescente insofferenza per una linea che lo porta passo dopo passo alla liquidazione, di giustificare “teoricamente” il metodo di schiacciare ogni divergenza e ogni critica. E se per difendersi Arenas ha scomodato e ripudiato Mao, figuratevi se non si scagliava contro i CARC, la CP e le loro teorie che “avvallano” i compagni della FO che gli si oppongono!

Dicevo sopra che noi dovremmo essere molto contenti se avessimo davvero contribuito almeno in qualche misura a rompere, almeno in alcuni compagni, la rassegnazione al declino del PCE(r). Io spero che la lotta per la rettifica del PCE(r) abbia successo e che esso occupi il posto che il suo glorioso passato e la sua ricca esperienza di lotta gli consente di occupare nel movimento comunista. L’accanimento con cui Arenas diffonde ingiurie e delazioni contro di noi e l’accanimento con cui denigra i suoi stessi compagni fanno ritenere che nel PCE(r) questi non siano isolati. Il ché sarebbe un buon segno sulla possibilità che il PCE(r) si riprenda.

Faccio una parentesi sulle delazioni. Ad alcuni il termine suonerà forte. Ma proprio di delazioni si tratta, quando, veri o non veri che siano i fatti chiamati in causa (e la falsità almeno in alcuni casi è palese), si va in giro a dire a destra e a manca che CARC e CP sarebbero la stessa cosa (come già sostiene la polizia italiana), che ci sarebbero stati rapporti organizzativi tra la CP e il PCE(r), che il PCE(r) avrebbe dato alla CP denaro e aiuti d’altro genere, lamentando che la CP non si mostrerebbe riconoscente per simili aiuti e non appoggerebbe (per denaro ricevuto) la direzione del PCE(r) quale che sia la linea che questa segue. Cosa è questa se non delazione, cioè informazioni (vere o false è un altro par di maniche) che suggeriscono ai segugi una linea di inchiesta o l’avvalorano? Dicevo già sopra dei metodi propri dei revisionisti moderni: scimmiottano quelli della borghesia. Dobbiamo aspettarci da Arenas & C anche di peggio di quello che abbiamo visto finora, se non fanno autocritica sulla concezione e sulla linea che li ha portati nella attuale situazione di arroccamento e di difesa disperata.

L’aspetto positivo della situazione è che, sia pure tirati per i capelli, oramai siamo in lotta, siamo dalla parte giusta e dobbiamo combattere.

Le calunnie vanno respinte, dove possibile smascherate, comunque sempre senza fare delazioni (come Arenas & C stanno facendo). Le calunnie diffuse da Arenas se non le respingiamo indurranno altri compagni in errore e ci toglieranno alcune relazioni e alcuni appoggi. Inoltre sarebbe un cattivo servizio per i compagni che lottano per la rettifica del PCE(r). Ma soprattutto dobbiamo intensificare la lotta nel campo della teoria, dell’ideologia e della politica, senza però andare a dire come stanno le cose in Spagna e cosa bisogna fare in Spagna: l’applicazione dei principi e la traduzione delle teorie generali in linee politiche specifiche per ogni singolo paese sono di competenza di chi conduce la lotta nel paese. Bisogna essere internazionalisti.

Il nostro coinvolgimento in questa lotta è per noi un buon segnale. È un sintomo che la nostra attività è profondamente legata con la rinascita del movimento comunista internazionale, è una conferma della natura internazionalista della nostra concezione e della nostra attività. Io sono convinto che in questa lotta debbano e sia giusto che siano coinvolti più partiti e organizzazioni comuniste, in particolare dei paesi imperialisti. Sia i temi su cui questa lotta viene data sia la questione del metodo con cui viene condotta (il centralismo democratico e la lotta tra le due linee nel partito comunista) riguardano, nei loro termini generali, tutti i gruppi e partiti comunisti. Il ruolo che il movimento comunista svolgerà nella seconda crisi generale del capitalismo in cui siamo sempre più immersi, dipende molto dalla costituzione, in questi anni, almeno nei maggiori paesi imperialisti, di veri partiti comunisti, cioè di partiti comunisti che tengano pienamente conto dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria (quindi marxisti-leninisti-maoisti) e che siano all’altezza del compito che il procedere della seconda crisi generale del capitalismo e la conseguente situazione rivoluzionaria in sviluppo pongono ad essi. La costituzione di un vero partito comunista è in ogni paese principalmente compito dei comunisti di quel paese, espressione della classe operaia, del proletariato e delle masse popolari di quel paese. Ma ad essa danno un contributo importante anche i comunisti degli altri paesi

- in primo luogo costruendo un vero partito comunista nel proprio paese,

- in secondo luogo dando ogni forma di solidarietà ai comunisti che negli altri paesi lottano per lo stesso obiettivo,

- in terzo luogo sostenendo la lotta che la classe operaia, il proletariato e le masse popolari conducono in ogni paese contro la borghesia imperialista e i suoi servi e agenti locali.

Viva l’internazionalismo proletario!

Lottiamo per la costituzione e il rafforzamento di veri partiti comunisti!

Viva il marxismo-leninismo-maoismo!

 

Umberto C. (membro della redazione di La Voce del

(nuovo)Partito comunista italiano)

NOTE

Allegato 1

Allegato 2

Allegato 3

 

Commissione Preparatoria (CP) del congresso

di fondazione del (nuovo)Partito comunista italiano