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BR per la costruzione del PCC

Comunicato

INDICE del Comunicato

Parafrasi e commento

[I commenti e i chiarimenti aggiunti dal curatore nel testo sono tra parentesi quadre. La titolazione, i corsivi, i neretti e le note sono del curatore.]

 

[1. Preambolo]

Il giorno 20 maggio 1999, a Roma, le Brigate Rosse per la Costruzione del Partito Combattente [BR-PCC] hanno colpito Massimo D'Antona, consigliere legislativo del Ministro del Lavoro Bassolino e rappresentante dell'Esecutivo al tavolo permanente del "Patto per l'occupazione e lo sviluppo".

Con il colpo inflitto a D’Antona le BR-PCC riprendono l'iniziativa combattente. Con questo attacco contro il progetto politico neocorporativo del "Patto per l'occupazione e lo sviluppo" esse intervengono nei nodi centrali dello scontro tra il proletariato e la borghesia imperialista [BI] con l’obiettivo di sviluppare la Guerra di Classe di Lunga Durata [GCLD], conquistare il potere politico e instaurare la dittatura del proletariato.

Il progetto politico neocorporativo del "Patto per l'occupazione e lo sviluppo" è l’aspetto centrale nella contraddizione Classe/Stato ed è il perno su cui l'equilibrio politico dominante [EPD] intende attuare la complessiva riforma economico-sociale e il riadeguamento delle forme del dominio statale, che sono la base politica interna del rinnovato ruolo dell'Italia nelle politiche centrali dell'imperialismo.

L’attacco portato dalle BR-PCC il 20 maggio spezza la mediazione politica neocorporativa con cui questo Esecutivo [il governo D’Alema] tenta di consolidare il dominio della BI e contrappone a questa mediazione politica neocorporativa gli interessi generali del proletariato, con l'obiettivo di organizzare il proletariato sulla base dei suoi interessi generali per costruire lo sbocco rivoluzionario alla crisi della BI e alla sua guerra.

L’attacco è stato portato in un momento in cui la guerra aperta che lo Stato italiano, nel quadro più generale dell'Alleanza Atlantica, sta conducendo nei Balcani per assoggettare la Jugoslavia investe le stesse caratteristiche dello scontro generale tra le classi in Italia. La guerra odierna ha i suoi presupposti nella politica attuata fin dall’inizio degli anni '90 dalla NATO e dall'Europa per favorire la disgregazione della Federazione Jugoslava, con la creazione di Stati o protettorati su base etnica. Essa è rivolta a distruggere il potenziale produttivo e le risorse infrastrutturali della Repubblica Serba per ridurla in miseria, piegarne la volontà e annientare l'entità statale jugoslava al fine di imporre il dominio dell’imperialismo. Essa fa parte di un disegno folle che mira a creare le condizioni per il diretto insediamento politico-militare della BI, le condizioni adatte ad esercitare un dominio politico con cui governare le profondissime contraddizioni sociali generate in queste aree dai riflessi della crisi dell'imperialismo e dall'inserimento dell'ex-campo socialista nel mercato capitalista.

Questo quadro politico generale impone al proletariato e alle sue avanguardie rivoluzionarie di assumersi la responsabilità di costruire, attraverso la ripresa dell'attacco rivoluzionario, l'alternativa di potere storicamente adeguata a questi progetti.

Occorre portare l’attacco rivoluzionario

1. al cuore delle politiche che consentono a questo Stato di sostenere il suo ruolo imperialista, con l’obiettivo di logorarne il potere e in questo modo avanzare nella costruzione delle condizioni della guerra di classe [GCLD] e del Partito [PCC],

2. nei nodi centrali della contrapposizione tra imperialismo ed antimperialismo, con l’obiettivo di costruire le alleanze antimperialiste necessarie ad indebolire il nemico comune nell'area politica Europea-Mediterranea-Mediorientale [FCA].

Ciò impone al proletariato e alle sue avanguardie di attrezzarsi conse-guentemente per sostenere lo scontro prolungato con lo Stato e con l'imperialismo.

L'attacco a Massimo D'Antona si colloca in questa prospettiva. Con esso le avanguardie rivoluzionarie che concretamente l'hanno condotto, per la valenza politica che esso assume nello scontro generale tra le classi, assumono un ruolo d'avanguardia in continuità oggettiva con la proposta delle BR-PCC e quindi assumono anche la responsabilità politica di prenderne la denominazione.

[2. Chi era Massimo D’Antona?]

Massimo D'Antona era un esponente di spicco dell'equilibrio politico dominante [EPD] e del progetto affermatosi come centrale nel rispondere agli interessi della BI in tema di governo dell'economia e di governo del conflitto di classe. Egli agiva da cerniera politico-operativa nel rapporto tra Esecutivo e sindacato confederale, è stato formulatore ed interprete della funzione politica del "Patto Sociale", un esponente dell'organismo neocorporativo nel suo rapporto con gli istituti storici della democrazia rappresentativa in Italia [Parlamento, ecc.], un interprete del ruolo antiproletario e controrivoluzionario della corresponsabilizzazione delle parti sociali e innanzitutto del sindacato nelle decisioni in materia di politica economica.

Il contesto creato dall’unificazione europea e il rinnovato interventismo militare teso ad assoggettare i popoli che resistono al dominio imperialista e a imporre l'ordine sociale del capitale rendono oggi ancora più necessari questi ruoli, sia per l’esercizio della funzione economica dello Stato sia per governare le contraddizioni sociali [governo dell’economia e governo del conflitto di classe].

Il "Patto Sociale" opera in specifico

1. per isolare e accerchiare le espressioni di autonomia di classe che non accettano la subordinazione degli interessi proletari agli interessi della BI [gli organismi proletari "irriducibili"],

2. per inglobare quelle componenti che, per superare i filtri che selezionano l’ammissione al tavolo delle trattative nella contrattazione capitale/lavoro o a un ruolo politico sul piano politico generale, mettono in atto un progressivo processo trasformista.

Per l'equilibrio politico dominante [EPD] l'accerchiamento delle prime e l'inglobamento delle seconde costituiscono due termini politici complementari entrambi necessari per assicurare la governabilità.

Il "Patto sociale" è un progetto politico che ha consentito, prima col governo Amato [1992] e poi con quello Ciampi [1993], di trasformare gli indirizzi degli organi statali del governo dell’economia in elemento attivo nelle contraddizioni di classe, grazie al contributo portato dal sindacato confederale che ha fatto leva sul suo radicamento reale e diffuso nel proletariato e ha condotto un'azione soggettiva di ricomposizione forzata del conflitto in termini neocorporativi, in dialettica con le dinamiche politiche in sede parlamentare.

Il sindacato confederale in questi anni ha assunto tutti i caratteri propri di un soggetto politico e si è occupato non più solo della contrattazione capitale-lavoro, ma anche dei nodi politici complessivi oggetto dell’attività dello Stato.

L'Accordo del '93 [luglio ‘93 - governo Ciampi] fu infatti momento di ratifica di un processo di trasformazione dei soggetti coinvolti nel Patto e momento di assunzione da parte di essi di ruoli coerenti con l'azione di governo dei fattori critici dell'economia e del conflitto sociale e di classe. Ogni soggetto, e cioè Confindustria, Governo e Sindacati confederali, col Patto si impegnava a tenere una condotta in linea sia con gli obiettivi dell'accordo (contenimento dell'inflazione) sia con i contenuti dello stesso. Questi riguardavano sostanzialmente la struttura della contrattazione e le relazioni industriali. Il nodo era la subordinazione del salario all'inflazione programmata: con questa subordinazione il paese venne agganciato al programma di Maastricht.

In quelle circostanze, il governo (tecnico-istituzionale) aveva già una sua maggioranza programmatica che ne sosteneva le scelte; la Confindustria era il soggetto all'offensiva e assumendo un ruolo politico non faceva altro che continuare il suo attacco e le sue forzature; il sindacato era il soggetto che, per collocarsi sul terreno generale della negoziazione corporativa e svolgervi il proprio ruolo politico, doveva operare le maggiori forzature al suo interno e soprattutto nel corpo del proletariato. Lo confermarono la forte opposizione e la dura protesta anticonfederale all'Accordo del '92 che si ebbe nell'autunno di quell'anno ["autunno dei bulloni"]. Il Patto per la politica dei redditi del '92 fu il passaggio centrale che apriva la strada al più organico Patto del luglio del '93. Contro di esso i Nuclei Comunisti Combattenti [NCC] hanno attuato l'attacco alla sede nazionale della Confindustria (Roma, 10 ottobre 1992). Con questo attacco essi proponevano la ricostruzione delle forze rivoluzionarie sulla base della ripresa dell'iniziativa rivoluzionaria.

Il progetto neocorporativo si è oggi qualificato come progetto dirigente. Si è oramai costituita una struttura (una sede) stabile ed articolata della politica neocorporativa che ha i compiti di

1. consolidare le forme di dominio della borghesia nel rapporto con il proletariato;

2. sostenere il carattere complessivo e generale dell'intervento dell’Esecutivo sulle materie di ordine economico-sociale, componendo gli interessi delle parti sociali in modo corporativo;

3. articolare una capillare diffusione della dinamica negoziale centralizzata, in funzione della competitività generale, per poter sfruttare i differenti vantaggi competitivi locali ma con allineamento sugli indirizzi centralizzati;

4. fornire maggiore garanzia di prevenzione e di controllo del conflitto sociale;

5. inglobare nella struttura, con il suo allargamento, i soggetti sociali non ancora presenti e socialmente rappresentativi, se necessario tramite regole e formule che li spingano a mettersi in riga.

Tutto ciò è teso a rendere più spedite, più facili, più efficaci e più coerenti le decisioni delle istituzioni e i negoziati tra le parti sociali.

Il progetto neocorporativo oggi si completa con l'elezione di Ciampi alla Presidenza della Repubblica [13 maggio 99] e con il conferimento ad Amato del Ministero del Tesoro [fine maggio 99]. I due individui hanno svolto un ruolo storico nell'affermazione della politica neocorporativa e perciò rappresentano punti di unità politico-istituzionale su cui maggioranza e opposizione, pur con contraddizioni, possono convergere.

All'interno di questo quadro si è collocato l'incarico conferito a Massimo D'Antona, dapprima come esponente dell'Esecutivo nella definizione generale del "Patto per l'occupazione e lo sviluppo", poi come responsabile della sua sede stabile, il Comitato Consultivo sulla Legislazione del Lavoro.

Il Comitato ha la funzione di attuare le politiche neocorporative approvate con il Patto nel dicembre del 1998. Esso ha cioè la funzione

1. di istituire una consultazione permanente tra Esecutivo e parti sociali;

2. di occuparsi dell'adeguamento della legislazione italiana alle direttive europee;

3. di semplificare la legislazione e delegificare [abolire la regolamentazione per legge di alcune materie, affidandole alla "libera contrattazione delle parti"];

4. di rivedere le norme sul contratto di formazione-lavoro;

5. di potenziare l'apprendistato.

Il Comitato perciò tende a svolgere una funzione di pressione sul Parlamento, per accelerare l'attuazione del Patto e sostiene l'Esecutivo nell'esercizio delle deleghe su ammortizzatori sociali, incentivi e collocamento. Il compito del Comitato è tutt’altro che semplice date le contraddizioni sociali che la crisi, e in particolare il ciclo recessivo, generano. Perciò l'incarico di responsabile del Comitato definisce in un ruolo complessivo la funzione politico-operativa svolta da Massimo D'Antona sui principali problemi da risolvere per rafforzare e rendere capillare l'assetto neocorporativo e cioè 1. le regole della contrattazione, 2. le regole della rappresentanza, 3. le regole dello sciopero.

[3. Tre piani inclinati]

La prevenzione del conflitto è la linea su cui avviene lo scontro proletariato/BI ai fini di garantire la governabilità. Le regole della contrattazione, le regole della rappresentanza e la regolamentazione del diritto di sciopero sono piani inclinati su cui la prevenzione del conflitto può scivolare e fallire. Sono perciò aspetti di riferimento per condurre l'opera di revisione legislativa.

E' infatti al Ministero della Funzione Pubblica, con Bassanini, nell'Esecutivo Prodi, che Massimo D'Antona elabora la normativa sulla rappresentanza sindacale dei lavoratori per il pubblico impiego. Essa sarà, nelle sue linee generali, modello di riferimento anche per la legge sulla rappresentanza nel privato, un modello sperimentato nella sua capacità di garantire la prevalenza del sindacato confederale negli organismi rappresentativi aziendali.

Mentre è con l'Esecutivo D'Alema che Massimo D’Antona lavora alla modifica della legge 146 sulla regolamentazione del diritto di sciopero in quei settori strategici che vengono definiti "servizi pubblici essenziali". La revisione è diretta ad inasprire ed estendere le pene per chi viola le regole. A questo risultato si intende però arrivare dopo aver dato basi più solide, almeno nel settore pubblico, alla legittimazione dei sindacati che accettano di subordinare il diritto di sciopero agli interessi del capitale, mascherati da diritti fondamentali di cui sarebbe portatrice la "categoria degli utenti". [T]

Con la modifica della legge 146 si intende affiancare il processo di privatizzazione e di liberalizzazione in corso di settori come quello dei trasporti e più in generale dei settori che hanno una funzione infrastrutturale. La privatizzazione e la liberalizzazione, oltre ad abbattere i costi nel trasporto delle merci, possono svolgere un ruolo importante nelle politiche UE di sostegno alla concorrenza del capitale monopolistico europeo,

- in generale, per il ruolo del trasporto delle merci nell'attuale sistema di produzione incentrato sulla segmentazione e delocalizzazione del ciclo e nelle attuali dimensioni dei mercati,

- nello specifico, per la funzione di traino che i settori infrastrutturali possono svolgere nell'investimento di capitali.

La nuova legge dovrebbe servire a superare i limiti mostrati dalla 146, soprattutto nell'effettiva comminazione delle sanzioni e dovrebbe funzionare efficacemente da fattore di contenimento e di prevenzione del conflitto in settori che costituiscono poli di attrazione oggettivamente rischiosi per la governabilità perché i rispettivi lavoratori hanno una forza contrattuale potenziale superiore a quella dei lavoratori degli altri settori.

In questo scontro politico generale entro cui, secondo le intenzioni della borghesia e del suo Stato, si dovrà pervenire a ridimensionare in modo drastico il diritto di sciopero, l'aggressione della NATO alla Jugoslavia ha costituito, per il sindacato confederale con la CGIL in testa, l'occasione per cercare di sfruttare le contraddizioni presenti in seno alla classe operaia in questa fase. Il sindacato confederale ha invitato i settori che avevano annunciato azioni di lotta a rinunciare a realizzarle e ha promosso iniziative di solidarietà e prese di posizione, per trarre vantaggio sia dall'atto di lealismo nei confronti dello Stato in guerra sia dalla subordinazione degli interessi del proletariato a supposti superiori "interessi dell'umanità", più concretamente agli interessi della BI e della borghesia concorrenziale.[BC] Esse infatti traggono entrambe vantaggio sia dall'assoggettamento della Jugoslavia sia dalla subordinazione del proletariato nazionale. Con ciò il sindacato confederale ha cercato di realizzare il duplice obiettivo di affermare che la lotta dei lavoratori per i propri interessi è subordinata ad altre istanze e di indurre i lavoratori ad esprimere un consenso all'intervento dello Stato.

La linea seguita dalla CGIL nell'aggressione della NATO alla Jugoslavia è stata quella di fare assumere con gesti concreti ai lavoratori italiani una posizione nel contrasto tra Jugoslavia e secessionismo kosovaro-imperialismo NATO, per sfruttare ogni minima possibilità di attiva legittimazione dell'intervento bellico. Il segretario della CGIL, Cofferati, ha dichiarato che questa aggressione è una "necessità contingente". Ciò si colloca all’interno di una posizione più generale che preme sul governo italiano e che, rivendicando una funzione attiva dell'Europa nell'area balcanica, chiede che l'Europa stessa si attrezzi politicamente, istituzionalmente e militarmente a svolgerla assieme agli USA. Questa linea seguita dal sindacato confederale ha mostrato bene quanto esso anche in questo campo assuma una posizione antiproletaria. Tuttavia questa posizione non ha trovato seguito nel proletariato: esso è sì su una posizione difensiva, ma non è disposto a farsi strumento della propria oppressione.

L'adozione di una normativa che ridimensioni il diritto di sciopero è strettamente connessa alla definizione per legge delle regole della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro. È una condizione necessaria perché le sanzioni siano applicabili e funzionino come strumento reale di prevenzione del conflitto. Infatti le sanzioni servono effettivamente a prevenire il conflitto solo se appare indiscutibile che il complesso dei lavoratori è d’accordo a rafforzare le sanzioni e che sono i lavoratori stessi che criminalizzano le iniziative di lotta. Per creare questa apparenza, è indispensabile cancellare ogni dubbio sull’attendibilità degli strumenti formali di verifica dell'entità di una forza sociale come quella del sindacato confederale, che non si manifesta esercitandosi in azioni di lotta e che non può derogare dal ruolo di quinta colonna dello Stato e della borghesia nei luoghi di lavoro.

La definizione del quadro delle norme sulla "rappresentanza sindacale dei lavoratori", con le necessarie modifiche al testo in discussione in Parlamento, è a sua volta anche la base su cui questo Esecutivo intende sciogliere il nodo della struttura della contrattazione e renderla tale che la contrattazione aziendale o locale possa assumere il peso che gli si vuole dare in modo che il salario e le condizioni di impiego della forza-lavoro, nel quadro delle compatibilità economiche, siano strettamente legati agli obiettivi e alle sorti del capitale (qualità, produttività, redditività). Il nodo della struttura della contrattazione va sciolto in modo tale che sia certa la complementarità tra la contrattazione centrale e la contrattazione aziendale, tra la rappresentanza associativa (di categoria e confederale, storicamente in massima parte in mano a CGIL-CISL-UIL) e la rappresentanza nei luoghi di lavoro, nell'intreccio e nella subordinazione del secondo livello al primo, affinché siano rese solide le basi di un sistema di relazioni industriali fondato 1. sulla dipendenza in linea di principio della variabile forza-lavoro dal capitale e 2. sulla politica neocorporativa come quadro generale del governo delle contraddizioni sociali e di classe.

Massimo D'Antona ha affrontato questi tre nodi (contrattazione, rappresentanza, diritto di sciopero) con l'organicità di un uomo politico che sintetizza il legame tra la maggioranza politica e il sindacato confederale. Ciò gli ha fatto svolgere un ruolo di perno nell'equilibrio politico dominante [EPD] e gli è valso un incarico decisivo.

Nella sfera delle responsabilità di Massimo D’Antona, per il ruolo che il Ministero del Lavoro è approdato a svolgere e intende svolgere nella riforma economico-sociale, rientrano anche materie come la flessibilizzazione e l'incentivazione del part-time, strumenti per spianare la strada alla precarizzazione del lavoro, per superare lo strumento del prepensionamento e per affrontare il nodo delle pensioni d'anzianità. L'attacco alle conquiste storiche del proletariato, come presupposto di una subordinazione strutturale della forza-lavoro al capitale, viene cinicamente giustificato con ragioni di equità e di tutela sociale per le categorie di salariati arrivate di recente sul mercato del lavoro e più precarie. La spinta alla trasformazione del vecchio quadro normativo, quadro a cui queste categorie sono parzialmente sottratte attraverso l'impiego di forme contrattuali e giuridiche specifiche, è stata canalizzata e focalizzata, nell'operato di Massimo D'Antona, verso una politica neocorporativa caratterizzata dalla costruzione di metodi e di obiettivi comuni tra Esecutivo e parti sociali, così che, nelle scelte e nelle decisioni concrete, l'Esecutivo sia vincolato, in modo formalmente legittimo, dalle istanze provenienti dagli interessi antagonisti, in un contesto in cui le finalità sociali, in riferimento alle quali metodi e obiettivi si definiscono, sono ovviamente date e immutabili e coincidono strutturalmente con le finalità della frazione dominante della BI. [GV]

 

[4. Il governo D’Alema e la costituzione del SIC (Stato Imperialista Corporativo)]

In questo senso Massimo D'Antona era una figura organica dell'Esecutivo D'Alema. Infatti un aspetto sostanziale del programma del governo D’Alema è l’aver assunto "la concertazione come metodo di governo". D'Alema e il gruppo della Quercia che ha incarichi nell'Esecutivo intendono far pesare molto nelle dinamiche parlamentari l'iniziativa politico-legislativa del governo, come mezzo per risolvere le contraddizioni interne alla maggioranza (e in particolare ai DS) e in generale come mezzo per superare le resistenze della rappresentanza parlamentare al cambiamento. Questa infatti incontra grosse difficoltà a pervenire a mediazioni politiche sufficienti e organiche, coerenti con le compatibilità economico-politiche dettate dalla centralità degli interessi della BI e dai suoi obiettivi di fase. Per svolgere questo maggiore ruolo politico-legislativo, l'Esecutivo si fa forte del consenso delle parti sociali e del loro diritto a pesare, nelle trasformazioni politico-giuridiche, in virtù delle materie in oggetto sulle quali si riconoscono loro facoltà autonome. Questa "autonomia", che per quanto riguarda il sindacato confederale è fondata sul peso politico storico del movimento operaio, diventa la giustificazione dell'accentuato intervento legislativo dell'Esecutivo anche su temi che non riguardano direttamente il rapporto capitale-lavoro, ma il modo di concepire il ruolo del "lavoro" nella società e le sue finalità e per le quali quindi occorrono decisioni legislative e anche costituzionali, che investono il Parlamento e perciò il ruolo della rappresentanza politica.

D'altra parte le istituzioni politiche hanno difficoltà a superare il quadro normativo che è ancora significativamente condizionato dal peso politico del proletariato. Infatti permane la contraddizione tra

1. da una parte i contenuti costituzionali che riflettono il peso che ha avuto nella stesura della attuale Costituzione (1946-1948) l'interesse politico autonomo del proletariato e il peso politico decisivo che tuttora ha il proletariato,

2. dall’altra gli attuali rapporti di forza generali tra proletariato e borghesia cui la dinamica politica si riferisce.

Questo ostacola l'attuazione dei nuovi indirizzi. Essi perciò devono affermarsi aggirando i vincoli costituzionali, ma il processo è frenato dalle contraddizioni generate dalla debolezza di questa pratica, in termini di disorganicità o inconcludenza dell'iniziativa legislativa parlamentare. L'Esecutivo si incarica appunto di forzare l’iniziativa legislativa parlamentare.

In un contesto [quello del periodo 1945-1990] di impiego della spesa pubblica per stimolare la produzione, l'azione politica dei partiti poteva essere tesa a una gestione delle risorse statali in funzione del consolidamento del loro consenso politico-elettorale. Questa impostazione tradizionale, a fronte delle odierne contraddizioni della crisi del capitale, si è dovuta modificare per adeguarsi alle istanze della BI. Ora l'azione politica dei partiti deve sostenere la funzione dello Stato in campo economico perseguendo linee di attivo di bilancio, di contenimento dell'inflazione, di contrazione dei costi diretti e indiretti di produzione, di definizione di meccanismi che stimolino la competizione [forse è un refuso per competitività, ndr] interna. Queste infatti sono condizioni irrinunciabili affinché il capitale a base nazionale conservi quote di mercato e perché la formazione economico-sociale non arretri nella scala gerarchica della catena imperialista. Le scelte politiche assumono un carattere più spiccatamente antiproletario, sia perché il dispiegamento di un'offensiva complessiva contro le posizioni e le condizioni della classe operaia è il presupposto per sostenere la funzione dello Stato in campo economico in questo contesto, sia perché strutturalmente alcuni interessi diventano non più compatibili o meno compatibili con altri. Il carattere antiproletario di queste scelte è stato sostenuto con l'adozione di un sistema elettorale sostanzialmente maggioritario, che corrisponde alla oggettiva riduzione del complesso degli interessi rappresentabili e conciliabili.

Questi fattori nel loro insieme rendono tendenzialmente più fragile il dominio politico-economico della borghesia.

La risposta a ciò si attua per due vie.

1. Da una parte incrementare le misure repressive generali, rafforzare organici e strumentazioni degli apparati di polizia (vedi pacchetto anticriminalità Diliberto-Jervolino), [PA] inasprire le sanzioni antisciopero, estendere le campagne di criminalizzazione e la pratica dell'incriminazione delle lotte di settori che non accettano la subordinazione agli interessi della BI, ma anche, in alternativa, assorbire e svilire l'opposizione di settori di proletariato.

2. Dall'altra parte dare maggiore legittimazione all'azione dello Stato affiancando al canale di legittimazione istituzionale, politico-rappresentativo, quello negoziale con le parti sociali. Questo tende a controbilanciare gli effetti negativi, in termini di governabilità, del maggiore peso assunto dall’Esecutivo che gli odierni indirizzi politico-economici, rispondenti alle istanze della classe dominante, rendono necessario in sede di ridefinizione dei ruoli delle istituzioni nell'ordinamento politico-istituzionale.

Questa manovra ha però il limite di far assumere al sindacato confederale un ruolo politico troppo aperto e troppo importante e di acuire la crisi di legittimazione reale che lo investe. L'assestamento in senso neocorporativo della dinamica politica e sociale è il progetto politico che tiene coeso l'equilibrio politico dominante [EPD].

Questo equilibrio a sua volta è la risultante dei processi di trasformazione e di selezione delle forze dell'arco costituzionale anche in base al loro rapporto organico con il sindacato confederale. Questi processi hanno investito la società capitalista negli anni '80 e '90 e selezionano i candidati a rappresentare gli interessi della BI nel nuovo corso in base alla loro capacità di effettuare la trasformazione necessaria e nel contempo garantire la coesione e il consenso sociale necessari a governare, pur senza poter adottare i tradizionali strumenti della spesa pubblica per creare consenso.

Questo equilibrio si basa sulla negoziazione neocorporativa. Questa a sua volta ha come principi fondanti la negazione degli interessi generali del proletariato e la composizione forzata di interessi sociali particolari e transitori (immediati) intorno agli interessi generali della frazione dominante di BI ed è indirizzata

1. a completare il processo di riforma economico-sociale per sostenere il ruolo del capitale monopolistico nella competizione e nel quadro dell'integrazione europea,

2. a strutturarsi come modalità di governo delle contraddizioni di classe sostanziando lo Stato Imperialista Corporativo (SIC), che cerca di ingabbiare le contraddizioni sociali in modo funzionale anche alla sua assunzione di un ruolo maggiore nelle politiche centrali dell'imperialismo.

La composizione neocorporativa delle contraddizioni sociali non è solo un modo di affrontare le contraddizioni sviluppate dalla crisi del capitale nell'ambito nazionale. È anche condizione politica interna per affrontare il manifestarsi delle stesse sul piano internazionale; è condizione del sostegno alla BI che lo Stato può espletare nelle sue funzioni di dominio non solo all'interno, ma anche all'estero, per spezzare le resistenze opposte alla penetrazione imperialista e alla oppressione imperialista su altri paesi.

Dentro questo quadro generale si colloca l'intervento dell'Esecutivo e delle parti sociali rivolto, come linea di fondo, a ridurre e a rendere più flessibile il costo del lavoro, per far fronte al rapporto concorrenziale con altre aree economiche, incrementato dall'UEM (Unione Europea Monetaria) e dalla crisi capitalista. Questa linea cerca di combinare la necessità del capitale di essere competitivo e la risposta alla crisi occupazionale. Nel concreto prevede una condizione di lavoro priva delle garanzie fondamentali, selettiva su basi meritocratiche o produttivistiche e di controllo sociale e mediamente impoverita come condizione salariale e di sussistenza in genere.

[5. La riforma economico-sociale]

Le deleghe che l’Esecutivo ha ottenuto dal Parlamento per la riforma degli ammortizzatori sociali e il riordino degli incentivi, sul collocamento e sulla sanità, insieme alla delega più complessiva sulla politica fiscale (sono ben 7 sono le deleghe nel collegato ordinamentale all'ultima finanziaria - 1998 - su investimenti e occupazione), sono gli strumenti per un'opera organica di redistribuzione del reddito a favore del capitale e di riorganizzazione della società in funzione della competizione capitalista e del profitto. Le "politiche attive del lavoro" sono un aggiornamento degli aiuti statali alle imprese nel quadro dell'integrazione europea e della liberalizzazione dei mercati e del movimento dei capitali. Esse impongono allo Stato di svolgere la sua funzione di sostegno economico al capitale, stimolando non più i consumi, ma sostenendo e stimolando in modo selettivo l'accumulazione capitalista.

La finalità ideologica [cioè propagandistica, dichiarata, ufficiale] della "politica attiva del lavoro" è quella di incrementare l'occupazione, drasticamente contrattasi a partire dal programma di Maastricht. Grazie a questa finalità dichiarata [cioè non alla soddisfazione di interessi particolari, ma a una falsa promessa] può essere raccolto il consenso sociale. I tagli degli oneri sociali e di altri costi del capitale sono compensati con tagli e riordinamenti della spesa sociale, in modo tale che le erogazioni

- in parte si riducano ad assistenza per situazioni socialmente marginali e particolarmente svantaggiate, quindi non siano più universali, ma selettive,

- in generale fungano soprattutto da stimolo alla flessibilità interna ed esterna [alle aziende] della forza-lavoro incrementando la competizione tra proletari.

La riforma amministrativa e quella fiscale, nel quadro più generale di una riforma in senso federale a livello costituzionale, sono tasselli di un mosaico di condizioni che la borghesia sta componendo. In esso dovrebbero trovare realizzazione gli obiettivi di fondo di questo progetto. Di questo fa parte anche la riallocazione a livello locale e regionale della gran parte del sistema degli incentivi. [F]

Il complesso di questi passaggi dovrebbe costituire un processo di frammentazione degli interessi particolari e immediati del proletariato per poterli convogliare a una composizione subordinata [ma l’autore ha mostrato che in realtà si tratterà di cancellazione forzata, nonostante le false promesse in contrario], in primo luogo e in generale, agli interessi della BI e anche a quelli delle componenti di capitale concorrenziale e di borghesia locali, situazione per situazione. [BC]

La riforma Dini delle pensioni (1995) ha trasformato il criterio delle pensioni da retributivo a contributivo, ha introdotto il sistema a capitalizzazione e ha aperto la strada alla previdenza integrativa privata: essa prospetta un futuro di povertà ai pensionati dei prossimi decenni. Dopo di essa, il processo di riforma economico-sociale dovrebbe, oltre che accelerare le scadenze della stessa riforma delle pensioni, cancellare istituti come la CIGS e i prepensionamenti.

CIGS e prepensionamenti, assieme alle pensioni di invalidità criminalizzate ad arte negli ultimi anni, costituivano le misure di uno "Stato sociale" povero che negli anni ‘80 aveva sostanzialmente consentito di governare gli effetti delle crisi e delle ristrutturazioni. Ma è risultato che la disoccupazione non è solo un effetto di crisi cicliche: è in realtà un dato strutturale non governabile con questi strumenti tradizionali ed essa genera contraddizioni sociali. I rapporti di forza favorevoli fanno ritenere alla borghesia di poter eliminare quei costi sociali. Di conseguenza la linea che nasce dal progetto centrale della BI prevede la loro sostituzione con l’istituto del "reddito minimo di inserimento". Questo consente di perseguire 1. l'obiettivo specifico di ridurre la spesa sociale anche a fronte di incrementate esigenze sociali e 2. l’obiettivo generale di favorire la competizione tra proletari. La natura e i caratteri di questo istituto in via di definizione, per la limitatezza, transitorietà e discrezionalità [nel testo Internet vi è "proporzionalità", ma deve essere un refuso] dell'erogazione, sono tali da farne una leva per la svendita della forza-lavoro. Essa, affiancata alle misure per la "flessibilità in uscita" cioè per la liberalizzazione dei licenziamenti, svilupperà competizione tra occupati e disoccupati.

L’incentivo a competere tra proletari è dato dal rischio di perdere questo reddito minimo e dal rischio di perdere lo status stesso di disoccupati. Infatti con la riforma in atto del collocamento si cerca di limitare la qualifica di disoccupato a chi cerca attivamente lavoro, partecipa a corsi di formazione, accetta il lavoro che c'è e alle condizioni imposte. Con la riforma organica degli ammortizzatori sociali si vuole affermare la logica "premiale" dell'erogazione di un reddito minimo. Come corrispettivo ad esso, la ricerca del lavoro e l'ottenimento di un reddito sono attribuiti all'iniziativa e alla responsabilità del disoccupato, liberando così lo Stato da qualsiasi altro dovere sociale.

L’erogazione di un reddito minimo è un passaggio necessario da affiancare all’instaurazione della "flessibilità in uscita" ossia della libertà dei padroni di licenziare. I vincoli posti alla discrezionalità del capitale nel disporre della forza lavoro attualmente ruotano attorno al principio che il licenziamento individuale è ammesso solo per giusta causa. Da ciò nascono significativi diritti di risarcimento e di reintegrazione. Formalmente essi sono stati addirittura estesi nel 1990, con la legge 108, alle piccole imprese [con meno di 15 dipendenti]. Lo scardinamento di questi vincoli diventa urgente ora che l’UE ha condannato i contratti di formazione-lavoro come una forma di sostegno mascherato alle imprese e quindi di concorrenza sleale: perciò vengono a diminuire i margini per aggirare quei vincoli con contratti a tempo determinato. Un’altra misura è la formazione obbligatoria fino ai 18 anni: essa, assieme alla ridefinizione dello status di disoccupazione, realizzerà il risultato di diminuire il tasso percentuale di disoccupazione, certo non sul piano sostanziale ma solo sul piano statistico. Un’altra misura è la generalizzazione della figura dell'apprendistato anche al di fuori dell'ambito artigianale nel quale esso aveva una qualche motivazione funzionale: essa ha lo scopo di istituire, senza chiamarlo con il suo nome, il salario d'ingresso che viene a sancire, come istituto di valenza generale, la pratica diffusissima negli ultimi anni di prevedere questa forma di salario a livello di contratti aziendali. Tutte queste misure sono altrettanti tasselli che raccolgono, sistematizzano, rilanciano trasformazioni avvenute a macchia di leopardo o in via di attuazione nei rapporti capitale-lavoro. Esse sfruttano il vantaggio nei rapporti di forza ottenuto dallo Stato e dalla borghesia in generale nei confronti del proletariato, per attuare una organica riforma economico-sociale. Essa ha già inciso in modo acuto nel corpo del proletariato in termini di condizioni di vita e di contraddizioni. In essa gioca un ruolo centrale il modo in cui questo processo si è sviluppato, cioè la negoziazione neocorporativa e in essa il ruolo dei sindacati confederali.

Questo Esecutivo non rinuncia nemmeno a tentare di gestire in modo offensivo queste contraddizioni. Esso ha coniato uno slogan "meno ai padri, più ai figli" con cui tenta di sintetizzare una supposta contraddizione sociale centrale. Esso cerca di intercettare e mobilitare un altrettanto supposto consenso di fasce giovanili, per contrapporlo alle resistenze che la massa dei lavoratori oppone ad accettare il ridimensionamento e la riorganizzazione in senso antiproletario di quel poco di sicurezza sociale che c'è stata in Italia.

Lo scambio che la "concertazione" e la maggioranza politico-sindacale offrono al proletariato è quello tra sicurezza sociale e "sicurezza pubblica" cioè, in realtà, la difesa della proprietà privata. Infatti puntualmente dopo la firma natalizia del Patto è arrivato il "pacchetto anticriminalità", preceduto dalla campagna di "allarme criminalità" con cui il governo ha iniziato il nuovo anno [gennaio 1999 - rapine e omicidi a Milano]. Le misure anticriminalità, assieme alla criminalizzazione e all’incriminazione delle lotte che non si subordinano ai nuovi rapporti di forza favorevoli alla borghesia in generale e alla sua frazione imperialista in particolare, sono l'arco più vasto di risposte, di indirizzo riformatore, che questo equilibrio politico dominante [EPD] intende dare al proletariato e alle contraddizioni che la crisi del capitale rovescia sulle sue condizioni di vita.

[6. L’approfondimento della crisi-sviluppo dell’imperialismo: quadro internazionale]

Le risposte che questo equilibrio politico dominante [EPD] intende dare alle contraddizioni generate dall'appro-fondimento della crisi-sviluppo dell'impe-rialismo e dalle politiche con cui sono state affrontate, fanno sostanzialmente parte di una strategia difensiva nei confronti della crisi del capitale e di attacco al proletariato, in funzione degli interessi della frazione dominante di BI.

L’approfondimento della crisi-sviluppo dell’imperialismo è il prodotto dell'in-ternazionalizzazione sia dell'economia reale sia dell’economia finanziaria. La tendenza all'internazionalizzazione dell'e-conomia reale e dell’economia finanziaria a sua volta si è accentuata con la modificazione degli equilibri inter-nazionali prodotta alla fine degli anni '80 dal crollo degli Stati aderenti al patto di Varsavia. L’internazionalizzazione ha costituito la risposta complessiva di "sviluppo" alla crisi di sovrapproduzione assoluta di capitale e alla tendenziale caduta del saggio di profitto.

La caduta tendenziale del saggio di profitto ha acuito la concorrenza e la lotta per contendersi margini di profitto e spazi di mercato e ha spinto alla concentrazione e alla centralizzazione che si è combinata con il trasferimento su scala internazionale di parti del ciclo produttivo, in particolare quelle che richiedevano un elevato impiego di manodopera, nei paesi e nelle zone dove era possibile trovare forza-lavoro a costi ridotti. I processi di concentrazione e centralizzazione di capitale hanno accentuato la trasformazione dei capitali industriali in capitale finanziario [le aziende che si quotano in Borsa, ecc.], tipica dello stadio imperialista del capitalismo. Questa ha assunto una dimensione e una mobilità tali da costituire un fattore costante di potenziale destabilizzazione, aggravato dall'appro-fondimento del legame di interdipendenza che caratterizza il rapporto tra capitali e quello tra formazioni economico-sociali. Questa dinamica di crisi-sviluppo dell'imperialismo è alla base dell'aumentata pressione della BI sugli Stati e sulle forze politiche borghesi perché si facciano portatori in modo più netto dei suoi interessi. L'interesse comune delle varie componenti nazionali di BI si coagula e trova realizzazione 1. nell'imposizione di politiche di liberalizzazione e nella ristrutturazione delle diverse formazioni economico-sociali, funzionali a sostenere l’attuale livello di concorrenza monopolistica e a mantenere i necessari livelli di governabilità delle contraddizioni di classe e 2. nella definizione di politiche e di organismi politico-militari atti a sostenere la penetrazione economica, l'aggressione e l'oppressione politico-militare nei confronti di paesi politicamente autonomi dagli Stati dominanti della catena imperialista, in relazione all'attuale ridefinizione degli equilibri internazionali. Ma in questa fase storica il capitalismo non comporta l’espansione dell’attività economica della società: ciò rende immediatamente tangibile che l'affermazione di queste controtendenze, se consente di contenere gli effetti della crisi, in realtà si traduce in un approfondimento delle contraddizioni.

Nei paesi del centro la BI ha premuto o preme sui rispettivi Stati nazionali perché riorganizzino tutti i fattori competitivi a partire dalla gestione della forza-lavoro e riorganizzino complessivamente il ruolo dello Stato nell'economia, con i conseguenti riflessi sull'assetto politico-istituzionale delle democrazie rappresentative per adeguarlo ai nuovi termini di governo dell'economia e di governo del conflitto di classe e al ruolo che lo Stato deve svolgere negli attuali equilibri internazionali.

Su questi aspetti la BI, tramite i soggetti politico-istituzionali, media con le altre componenti della borghesia. [BC] La pressione della BI sugli Stati si riflette nell'assunzione, da parte degli Stati stessi, di un ruolo maggiore nelle politiche centrali dell'imperialismo. Attraverso questo ruolo, corrispondente sia al peso assunto dalla competizione a livello internazionale sia alla funzione politico-militare e diplomatica degli Stati, le varie componenti nazionali della BI ricercano condizioni politiche di vantaggio competitivo sul piano economico. Questo ruolo colloca l'autonomia e l'interventismo degli Stati dentro il quadro integrato e interdipendente delle aree economiche (ruotanti intorno ai poli statunitense, europeo e giapponese) e nell’ambito dei rapporti di forza storici tra i paesi della catena imperialista, in dialettica con la funzione e l'azione di organismi interstatali (UE, NATO, FMI).

Queste condizioni costituiscono fattori di acutizzazione dello scontro tra le classi. Esso è ulteriormente accentuato dal carattere non espansivo dello sviluppo capitalista, che produce conseguenze macroscopiche visibili negli elevatissimi livelli di disoccupazione e nell'incapacità del reddito da lavoro salariato di garantire la stabilità dei livelli di sussistenza, con una tendenza di fondo all'impoverimento.

Per altro verso, le politiche centrali dell'imperialismo, per instaurare le condizioni politiche ed economico-sociali rivolte ad approfondire la penetrazione economica della BI nei paesi dipendenti e in particolare nei paesi ex-socialisti, sono diventate un fattore di destabilizzazione di queste aree [non è chiaro se l’autore indica le aree economiche ruotanti attorno ai poli statunitense, europeo e giapponese o i paesi dipendenti] e definiscono il quadro politico in cui si sviluppa la tendenza alla guerra come risultato delle contraddizioni intrinseche dell'imperialismo. Contraddizioni che la BI cerca di risolvere intensificando per gradi l’intervento politico-militare, rivolto alla stabilizzazione del dominio imperialista.

Nell'area europea la BI ha perseguito linee di integrazione economica, politica e militare, al fine di rafforzare la capacità di dare risposte comuni alle contraddizioni generate dalla crisi. Quest’area del centro imperialista è storicamente investita da tutte le contraddizioni: proletariato/borghesia, nord/sud ed est/ovest.[CI] La sua frammentazione politica costituiva un ostacolo alla liberalizzazione dei mercati e alla dimensione internazionale della concorrenza tra monopoli. La frazione dominante della BI ha affrontato questo ostacolo con passaggi politici e indirizzi atti a rispondere sia alla necessità di unificare l'Europa in quanto mercato delle merci, dei capitali e della forza-lavoro, sia alla necessità di rendere gli Stati europei più attivi sul piano delle politiche economiche e sul piano politico e militare. Infatti questi Stati, presi uno per uno, sono privi della dimensione e della capacità necessarie per svolgere un ruolo che affianchi gli USA (e il Giappone) nell'affrontare le misure sempre più critiche richieste per il mantenimento del dominio imperialista. Ne è risultato un progetto caratterizzato da relazioni interstatali e non sovrastatali e che diventa, nei rispettivi ambiti nazionali, lo strumento di una pressione politica rappresentativa degli interessi comuni della frazione dominante della BI e in particolare, del ruolo del capitale finanziario che, nell'imperialismo, tende a sussumere il capitale industriale. D'altra parte tale progetto ha risposto anche alle specifiche esigenze del capitale monopolistico a base europea, in quanto è la condizione per poter esercitare il proprio ruolo nella concorrenza internazionale, come richiedevano le nuove dimensioni dell'accumulazione capitalista raggiunte nella crisi subentrata all'espansione della ricostruzione postbellica e le politiche liberiste già avviate dal polo dominante statunitense. Nell'affermazione del processo di coesione europea una funzione centrale di spinta è stata svolta dalla Germania, nel suo ruolo di principale potenza economica europea. Tale ruolo si è ulteriormente accentuato con la fine degli equilibri di Yalta, con l'inglobamento dell'ex-DDR, con l'esportazione di capitali nei paesi dell'Est europeo e con l'influenza politica che la Germania vi esercita. All’accentuazione del ruolo economico della Germania si è affiancato un intensificato adeguamento della sua capacità di intervento militare e della sua legislazione che lo limitava, nel quadro dell'integrazione nella NATO e con l'assunzione di iniziative per la creazione di strutture militari interforze a livello bilaterale nel quadro europeo (ad esempio con la Francia). A seguito dell'adozione di politiche economiche comuni e di linee di riforma economico-sociale omologhe, i differenti gradi di sviluppo delle singole formazioni economico-sociali appartenenti all'UE e i differenti gradi di sviluppo all'interno delle stesse costituiscono un fattore favorevole ai capitali monopolistici europei nella concorrenza sul piano internazionale. Essi infatti si avvantaggiano della competizione interna alla UE stessa e ai singoli paesi che viene imposta dalle politiche economiche e viene incentivata dalle politiche specifiche. Al contrario questa dinamica condanna all'inesorabile declino quelle aree che non presentano sufficienti vantaggi competitivi e consente al capitale operante in Europa, nel suo complesso, di esercitare una forza maggiore nella contrattazione salariale e nel mercato del lavoro. Il progetto della coesione europea sta compiendo il passaggio cruciale dell'adozione di una moneta unica. L’Unione Europea si sta attrezzando politicamente e istituzionalmente per inglobare organicamente quei paesi dell’Est europeo che riescono a raggiungere quelle condizioni macroeconomiche che vengono valutate funzionali all'investimento di capitali (l'allargamento dell'UE). Essa costituisce un nuovo ambito di relazione del quadro politico nazionale che si aggiunge a quello Atlantico di cui supporta il ruolo di dominio nell'area Mediterranea-Mediorientale e nell’Est europeo. È entro l’ambito Atlantico e in riferimento ad esso che l’UE costruisce le condizioni politiche istituzionali e materiali atte a consentire ai suoi Stati di svolgere sia una funzione economica più adeguata alle attuali dimensioni dell'accumulazione capitalista sia un ruolo politico-militare più attivo e incisivo nelle aree in cui il dominio imperialista deve essere stabilizzato, affinché la NATO nel suo complesso sia capace di affrontare anche un conflitto in più teatri o un conflitto generalizzato. L’UE svolge quindi un ruolo che non è né antagonista al polo dominante statunitense né asservito ad esso, ma è unitario, a causa dei processi di internazionalizzazione e dei legami di interdipendenza che si sono storicamente affermati tra gli Stati dominanti della catena imperialista con la capillare presenza di capitali USA in Europa e viceversa.[CI]

Infatti le politiche controrivoluzionarie e militari contemplate dal progetto di Unione Europea e le politiche di allargamento ad Est sono determinate da specifici interessi degli Stati europei ma sono complementari al progetto di ridefinizione del ruolo della NATO, in funzione sia del dominio imperialista sui paesi dell'Europa orientale, balcanica e dell'area Mediterranea-Mediorientale, sia del rafforzamento del dominio interno. Infatti il capitale finanziario, la sua concentrazione e la sua centralizzazione si sono, fin dal dopoguerra, sviluppate trasversalmente nei paesi dominanti della catena e in un ambito separato da quello del campo socialista e hanno fatto prevalere sulle intrinseche, ma relative, istanze concorrenziali, le istanze dell'interdipendenza tra i capitali monopolistici e conseguentemente anche tra le formazioni economico-sociali. L’interdipendenza si è progressivamente rafforzata man mano che, nelle crisi, le tendenze oggettive e le politiche applicate approfondivano il grado di concentrazione e di centralizzazione del capitale. L’integrazione europea favorisce le tendenze del capitale alla concentrazione e alla centralizzazione e perciò favorisce anche la sua crisi di sovrapproduzione. Questa crisi può mutarsi in una fase espansiva solo passando attraverso una grande distruzione di capitali e di forze produttive che solo una guerra di estese proporzioni può produrre, come gli esiti non espansivi dei processi di penetrazione nei paesi dell'Est e delle aggressioni imperialiste hanno ampiamente dimostrato in questi anni.[CG] [TG]

Sul piano delle relazioni politiche tra le classi, nella loro determinazione storica di fase, l'aspetto principale è lo spostamento dei rapporti di forza nella contraddizione rivoluzione/controrivolu-zione, uno spostamento dovuto all’affer-mazione di un processo controrivo-luzionario.[PC]

1. Nei paesi del centro imperialista e in particolare in Europa il processo controrivoluzionario si è dispiegato a partire dall'attacco militare e politico al ruolo che la Strategia della Lotta Armata per il Comunismo ha svolto come proposta politico-organizzativa adeguata a sviluppare il processo rivoluzionario nelle attuali forme di dominio dell'imperialismo.

2. Con la crisi e la caduta degli Stati a transizione socialista (1989-1991), il processo controrivoluzionario ha modificato le condizioni di forza che, a partire dalla Rivoluzione Sovietica, si erano prodotte nella contraddizione BI/proletariato internazionale. Sebbene questa condizione di vantaggio non sia acquisita in modo definitivo e sebbene la borghesia non possa cancellare la prospettiva storico-politica che la Rivoluzione d’Ottobre (1917) ha introdotto nella storia del proletariato e dell'umanità, gli assetti internazionali ne sono stati mutati profondamente.[rev] La situazione di sostanziale equilibrio strategico tra gli Stati dell'Alleanza Atlantica e quelli del campo socialista aveva favorito i processi di autodeterminazione dei popoli dei paesi dominati. Ad essa ora è subentrata una situazione di squilibrio politico-militare a vantaggio della NATO. Da ciò è derivato sia l'intensificarsi dell'impiego della sua forza militare sia l’intensificarsi della sua iniziativa politica per legittimare gli interventi, con la formulazione di principi di diritto internazionale che sanzionano il nuovo quadro dei rapporti di forza internazionali.

Esempi di tali principi di diritto sono:

1. il "diritto di ingerenza umanitaria": con esso l'Alleanza imperialista cerca di giustificare il ruolo di gendarme e di stabilizzare il suo retroterra politico dal quale poter aggredire qualsiasi popolo;

2. il riconoscimento ai tribunali creati dagli Stati della catena imperialista della facoltà di processare qualunque combattente antimperialista a cui gli Stati imperialisti attribuiscono l'etichetta di criminale di guerra.

Si tratta di fattori con cui l’imperialismo vuole ratificare lo stato dei rapporti di forza internazionali in un ruolo di dominio legittimato.

Gli eventi bellici che si sono succeduti in questo decennio hanno dimostrato

1. che sulla base di questo quadro la tendenza alla guerra indotta dalla crisi di sovrapproduzione di capitale si sviluppa e si trasforma in guerra,[TG] [SAC]

2. che la direttrice di questo processo non è altro che la storica direttrice est-ovest, stante il grado di interdipendenza maturato tra gli Stati della catena imperialista cementato dal comune attuale interesse di imporre il proprio dominio ovunque questo non si sia già consolidato o non sia realizzabile né per via economica né con limitate offensive militari.[CI]

[7. Il processo controrivolu-zionario in Italia]

In Italia, il processo controrivoluzionario avviato a partire dai primi anni '80 ha inciso in profondità. Esso ha assunto prioritariamente la veste dell'attacco alle forze rivoluzionarie e in particolare al ruolo delle Brigate Rosse e alla loro proposta strategica, in quanto elemento che in Italia caratterizzava lo sviluppo dell'autonomia di classe. Il processo controrivoluzionario ha combinato lo scontro militare con una strategia politica complessiva relativa allo scontro di classe. Questa strategia mirava 1. a separare il piano della lotta di classe dal piano rivoluzionario, 2. a sfruttare le contraddizioni interne al Movimento Rivoluzionario e alle stesse BR.

Queste contraddizioni erano espressione delle tendenze alla crisi da sempre presenti nel movimento operaio e proletario ed espressione soggettiva del carattere contraddittorio del ruolo della classe operaia nei rapporti sociali capitalisti. Tendenze al soggettivismo, all'economicismo, all'idealismo che si sono espresse come opposizione al passaggio politico-organizzativo allora in corso, cioè alla costruzione del Partito Comunista Combattente. Le contraddizioni furono aggravate dalla difficoltà incontrata nel distinguere i caratteri della proposta politica delle BR inerenti al fatto che le BR erano nate nel corso di un ciclo di lotte fortemente offensivo, dagli elementi strategici che facevano della proposta politica delle BR un salto in avanti nel rendere la strategia della rivoluzione proletaria adeguata alle forme di dominio e ai caratteri economico-sociali dell'imperialismo in questa fase storica.

Nel corso dello scontro e secondo la dinamica pratica/teoria/pratica le BR-PCC ridefinirono allora i termini dell'impianto politico-strategico delle BR [dicembre 1981, Risoluzione della Direzione Strategica n. 5]. Ciò costituì da parte rivoluzionaria un approfondimento della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione, ma l’opera delle BR-PCC si è scontrata con le contraddizioni storiche che presiedono alle condizioni della fase della Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie (RFR) all’interno della più generale fase di Ritirata Strategica (RS). Di conseguenza si è prodotta una discontinuità nel percorso rivoluzionario.[D]

Il rafforzamento delle posizioni della borghesia realizzato con l'affermazione di questo duplice processo controrivoluzionario [sconfitta della Lotta Armata per il Comunismo e crollo del campo socialista], sul finire degli anni '80 comincia a riversarsi sul piano complessivo delle relazioni politiche tra le classi. L’attività contro-rivoluzionaria è stata infatti il piano su cui le forze politico-istituzionali hanno avviato il loro riposizionamento intorno agli interessi della frazione dominante della BI, modificando il riflesso sulle stesse delle trasformazioni che lo sviluppo del movimento di classe aveva prodotto nei caratteri generali dello scontro politico. Il riposizionamento ha riguardato principalmente le rappresentanze istituzionali della classe operaia. [PCI, CGIL]

Fino alla fine degli anni ‘80 la necessità di evitare la congiunzione tra la lotta rivoluzionaria [condotta dalle BR] e la lotta del proletariato [che quindi esiste indipendentemente dalle BR] aveva limitato l'attacco della BI alle condizioni complessive del proletariato. La vittoria della controrivoluzione crea le condizioni adatte per riversare l'offensiva su tutto il proletariato. Ora i passaggi necessari per governare l'economia in conformità ai caratteri attuali dell'accumulazione capitalista, potevano avvenire in un quadro di governabilità del conflitto di classe: questa è perlomeno l’ipotesi della BI.

In quegli anni i nuovi termini della concorrenza tra monopoli e le contraddizioni aperte dall'approfondirsi della crisi, aggravate dalla debolezza dell'Italia legata al posto da essa occupato nella divisione internazionale del lavoro, impongono una ridefinizione degli interessi della frazione dominante della BI. Le linee di politica economica che avevano accompagnato la risposta dello Stato all'offensiva della classe operaia e all’offensiva rivoluzionaria non sono in grado di sostenere l'accumulazione capitalista nelle nuove condizioni e non consentono sufficienti margini di governo del conflitto di classe: quindi entrano in crisi.

Fino alla fine degli anni ‘80 a sostegno della domanda interna e della produzione e come fattore su cui costruire equilibri sociali intorno agli interessi della BI lo Stato italiano aveva usato la leva del debito pubblico. Ora questa leva tese a saturarsi per i livelli raggiunti e per gli effetti del movimento dei capitali che divennero tali da incrementare il deflusso di risorse a favore dell'accumulazione finanziaria ed estera, anziché sostenere la produzione e il mercato interno.

Fino alla fine degli anni ‘80 come fattore di compensazione competitiva rispetto alle economie degli altri paesi dominanti lo Stato italiano aveva usato la svalutazione monetaria. Ora il ruolo di questo strumento venne ridimensionato 1. per l'aumento della spesa per interessi comportato dalla svalutazione, 2. per i riflessi delle politiche di unificazione monetaria e 3. per l'interesse della frazione dominante della BI a favorire processi di concentrazione e centralizzazione di capitale e della borghesia nel suo complesso a ricercare la competitività del sistema economico.[BC] Tutto ciò non ha peraltro impedito di ricorrere a svalutazioni che hanno portato (1992) la lira fuori dallo Sistema Monetario Europeo fino a quattro anni orsono.

Anche il ruolo dello Stato come capitalista reale è stato ridimensionato, a fronte delle politiche di liberalizzazione corrispondenti 1. alle spinte alla concorrenza, 2. alla concentrazione monopolistica multinazionale e 3. al recupero di settori fino allora sottratti alla competizione internazionale.

La frazione dominante della BI espressa dal capitale monopolistico italiano ha premuto sul quadro politico affinché questo si facesse carico 1. di sostenere i nuovi termini di concorrenza connessi all'avanzamento del progetto di Unione Monetaria Europea, 2. più complessivamente, di collocarsi all’interno delle politiche centrali dell'imperialismo connesse alla modificazione degli equilibri internazionali. Infatti in questo contesto il ruolo dello Stato sul piano internazionale diventava ancora più importante per sostenere gli attuali termini di concorrenza intermonopolistica.

Questi elementi, connessi all'avvenuta modifica dei rapporti di forza tra rivoluzione e controrivoluzione, nel contesto di un ciclo recessivo hanno fatto assumere all'azione dei soggetti politici della borghesia, e in particolare all’azione dei diversi Esecutivi che si sono succeduti [dal 1992, quindi ai governi Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi e D’Alema] 1. un connotato offensivo e complessivo rispetto ai rapporti con il proletariato e 2. i caratteri di un sempre maggiore attivismo politico-militare nel quadro della NATO.

La crisi delle leve consolidate e strutturate, grazie alle quali le forze di governo negli anni precedenti avevano costruito equilibri sociali e politici intorno agli interessi della frazione dominante della BI, spingeva a un riadeguamento dell'azione politica degli Esecutivi e si riversò anche 1. sugli assetti istituzionali, 2. sul ruolo dei poteri esecutivo, legislativo, giudiziario, 3. sul ruolo delle forze politiche, 4. sulle forme di rappresentanza. Ciò, connesso agli esiti dell'offensiva contro-rivoluzionaria, assumeva il carattere di una crisi della mediazione politica fino allora esistente e imponeva di definirne una diversa.

La mediazione politica è la sintesi, in una determinata fase storica, del rapporto di forza e politico tra borghesia e proletariato riferita 1. al piano dei rapporti di produzione, 2. al piano del rapporto tra il proletariato e lo Stato, 3. al piano dello scontro tra rivoluzione e controrivoluzione.

Quindi la mediazione politica è una sintesi dei caratteri storici che definisce gli aspetti di fondo di una fase: cioè i connotati delle strutture politiche e delle forme dei soggetti politici istituzionali. Anche le linee e i progetti devono essere conformi a questa sintesi per essere realizzabili.

Il sistema politico-istituzionale del secondo dopoguerra [cioè del periodo 1945-1990] aveva esercitato il suo ruolo controrivoluzionario e antiproletario attraverso l'istituzionalizzazione e la massima rappresentanza in sede parlamentare degli interessi in conflitto. Esso ricercava nella sede parlamentare equilibri politico-istituzionali rappre-sentativi di equilibri politici generali, che consentissero il governo dell'economia e il governo del conflitto di classe e si avvaleva del ruolo dello Stato nell'economia per sostenere forze politiche e maggioranze di governo funzionali alla tutela degli interessi della frazione dominante della BI.

I nuovi termini del governo dell'economia, collegati all'approfondirsi della crisi che aveva già eroso la capacità delle forze politiche storicamente al governo di essere rappresentative, hanno reso necessario 1. ridurre la misura di rappresentatività con cui si dovevano andare a comporre maggioranze di governo e 2. accentuare il ruolo del potere esecutivo rispetto agli organi legislativi. Inoltre la modificazione degli interessi della frazione dominante della BI, premendo per un'azione offensiva antiproletaria degli Esecutivi, obbligava a selezionare maggiormente gli interessi rappresentabili in sede politica decisionale.

La ridefinizione della mediazione politica non ha assunto la tendenza ad accantonare la democrazia rappresentativa, ma la tendenza a ridefinire i caratteri particolari che la democrazia rappresentativa aveva in Italia in relazione ai caratteri dello scontro tra le classi e della lotta tra rivoluzione e controrivoluzione.

Rispetto agli aspetti fin qui indicati, è risultato impossibile per le forze politiche fare una ridefinizione organica del sistema politico-istituzionale e dei poteri dello Stato passando dal sistema politico-istituzionale espressione della fase storica precedente a un nuovo sistema politico-istituzionale adatto alle condizioni della fase attuale e creando quindi gli equilibri necessari per compiere poi una complessiva riforma economico-sociale e in particolare una riforma complessiva del contenuto e del ruolo dello Stato sociale. Come venne verificato che questo percorso era impercorribile?

Sul finire degli anni '80 entrarono in crisi le politiche economiche che avevano consentito sia di sostenere l'accumulazione capitalista sia di governare il conflitto di classe come offensiva controrivoluzionaria. Fu allora che l'approfondimento della crisi accentuò la pressione del capitale monopolistico nazionale perché fossero adottate politiche controtendenziali che a livello internazionale si affermavano già come forme di sviluppo della crisi. Questa pressione fu indotta anche dalla necessità di sostenere i nuovi termini della concorrenza intermonopolistica che si andavano definendo. Essi hanno costretto la frazione dominante della borghesia europea a premere sugli Stati perché adottassero politiche economiche aperte ai processi di concentrazione e di centralizzazione del capitale monopolistico. È nell'anno 1987 che i responsabili della politica economica dei governi europei 1. sanciscono l'asimmetria degli accordi di cambio nello SME, quindi l'impegno alla stabilità valutaria solo per le monete sottoposte a svalutazione e non per quelle che si rivalutano e 2. assumono gli accordi di Basel-Nyborg sulla liberalizzazione del movimento dei capitali e sull'uso della politica dei tassi di interesse come strumento per stabilizzare i cambi tra le monete nazionali.

Nel contempo, con le iniziative di Gorbaciov, si era aperta la prospettiva di ridefinire gli equilibri internazionali estendendo la penetrazione capitalista nei paesi del blocco socialista.

[8. Il tentativo di riforma fatto da De Mita - fine anni ‘80]

In questo quadro De Mita, nella doppia veste di segretario della DC e di Presidente del Consiglio, fece propria la necessità di ridefinizione complessiva della mediazione politica per farla corrispondere al governo dell'economia, per dare risposta alle pressioni della BI, per garantire la governabilità del conflitto di classe. Egli tentò di realizzare un progetto che partiva dalla ridefinizione della rappresentanza politica e dell'assetto istituzionale, creando previamente gli equilibri politici necessari allo scopo. Il progetto doveva creare un sistema politico adeguato a sostenere lo scontro di classe implicato dalla ridefinizione dei termini del governo dell'economia. Esso avrebbe investito complessivamente la regolamentazione dei rapporti sociali e politici tra le classi instaurati nella fase precedente e avrebbe inciso sulla rappresentanza politico-istituzionale. La concezione che sosteneva questo progetto ruotava intorno alla tesi che il processo controrivoluzionario aveva modificato i rapporti di forza tra le classi e implicava una ridefinizione delle forze politiche intorno agli interessi della BI.

L'attacco delle BR-PCC a questo progetto di riforma dello Stato, attuato con l'azione contro Ruffilli [aprile 1988], in dialettica con l'opposizione del proletariato e le contraddizioni interne al quadro politico-istituzionale legato anche ad altre frazioni della borghesia, impedirono la realizzazione del progetto De Mita.[BC]

Ma le forze rivoluzionarie sono inserite in un rapporto di guerra. A causa delle operazioni di controguerriglia del 1988-1989 è stato impossibile alle BR-PCC trasformare in un lineare avanzamento del processo di Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie il vantaggio politico ottenuto disarticolando gli equilibri impliciti nel progetto di riforma dello Stato. A questo seguì quindi una nuova pausa nell'iniziativa di attacco al cuore dello Stato e nella costruzione del complesso delle condizioni per l'avanzamento della guerra di classe.[D]

Contemporaneamente la rottura degli equilibri internazionali [Crollo del muro di Berlino e crollo del campo socialista e dell’URSS (1989-1991)] aveva creato 1. le condizioni per modificare la divisione internazionale del lavoro e la ripartizione dei mercati, 2. una spinta della catena imperialista a riassestare gli equilibri a suo favore e a riassestare al suo interno gli equilibri tra interessi comuni e contraddizioni. Il processo controrivoluzionario raggiungeva l’obiettivo del crollo degli Stati socialisti frutto della Rivoluzione Sovietica, della resistenza all'offensiva imperialista [anni ‘20-’40], ma anche dell'operato revisionista delle dirigenze politiche della transizione.[rev]

Questa evoluzione del quadro politico internazionale creava le condizioni economiche e politiche per accelerare le controtendenze allo sviluppo della crisi nonostante la permanenza di una condizione di non espansione dell’attività economica: internaziona-lizzazione, concorrenza intermonopolistica, concen-trazione monopolistica. La frazione dominante della BI perciò ha premuto sugli Stati perché definissero progetti politici che corrispondessero a queste condizioni, progetti che facessero propri i caratteri dello specifico sviluppo che la politica centrale dell'imperialismo dell'UE espresse con il trattato di Maastricht che creava il progetto di UEM. Il trattato di Maastricht definiva una prospettiva e un quadro di integrazione e di concorrenza tra capitali monopolistici multinazionali e accelerava le tendenze già in atto fissando delle scadenze e inquadrandole in politiche economiche restrittive e di liberalizzazione. La frazione dominante della BI italiana ha premuto sul quadro politico-istituzionale per affermare i suoi interessi di concorrenza nel contesto europeo. Questa pressione, se da un lato si è espressa in contrasti con altre componenti della borghesia, dall'altro ha espresso l’interesse comune di tutta la borghesia a scaricare sulla classe operaia e sul proletariato i costi della crisi.[BC] Date le modifiche dei rapporti di forza tra le classi prodottesi nella fase precedente e le contraddizioni indotte dal governo dell'economia, questa pressione ha determinato un'azione offensiva a tutto campo da parte dei soggetti politici della borghesia.

Nel quadro politico-istituzionale italiano le forze qualificatesi nel processo politico come rappresentanze istituzionali del proletariato [PCI, CGIL] avevano ridefinito già nella fase precedente [durante la controrivoluzione degli anni ‘70] la loro collocazione a favore degli interessi della borghesia, in senso controrivoluzionario e sulla base della priorità della difesa dell'accumulazione capitalista. È stato un processo graduale in cui il gruppo dirigente di tali forze politiche e sindacali ha cercato di conservare il radicamento sociale assunto come rappresentanza istituzionale della classe, cercando formule politiche che mantenessero questa base sociale, ma la subordinassero all'interesse della BI.

È stato un processo scandito dall'assunzione di ferme priorità: adesione al progetto dell'UE, adesione alle politiche imperialiste di intervento nell'area mediorientale e balcanica, adesione al superamento dell'ordinamento costituzionale, adesione alla riforma dello Stato sociale, ecc. Una ricollocazione peraltro niente affatto priva di contraddizioni per il contrasto tra gli interessi da comporre.

[9. Il nuovo progetto di riforma - anni ‘90, ossia la riforma economico-sociale]

Le forze politiche che nel dopoguerra avevano impersonato gli interessi della BI avevano adottato particolari formule politico-sociali adatte a governare il conflitto di classe nel quadro dello sviluppo del processo rivoluzionario e della lotta di classe quali si erano espressi in Italia. Esse erano state caratterizzate dal particolare ruolo assunto dallo Stato nell'economia nella fase precedente all’attuale [cioè lo Stato capitalista reale (il settore pubblico dell’economia) e responsabile del benessere della popolazione]. Questo aveva portato alla costituzione di vere e proprie componenti sociali della borghesia sorrette da questo sistema [dirigenti del settore pubblico dell’economia e categorie ad essi connesse].

La presenza di queste componenti nei partiti che avevano governato il paese rendeva difficile per questi partiti governare il processo di trasformazione e di riadeguamento politico che doveva essere operato. Il processo di trasformazione che doveva svilupparsi e che è ancora in atto, a fronte dei nuovi termini di crisi-sviluppo dell'imperialismo e nel contesto di una sostanziale modifica dei rapporti di forza tra le classi a favore della borghesia, consiste in una riforma complessiva del sistema economico-sociale per adeguarlo agli attuali termini di concorrenza intermonopolistica e per collocarlo nel nuovo quadro di concorrenza internazionale, attraverso il ruolo esercitato dallo Stato nelle politiche centrali dell'imperialismo che, con la ridefinizione degli equilibri e delle relazioni internazionali, modificano le posizioni dei diversi sistemi economici nella divisione internazionale del lavoro e dei mercati.[R] Si tratta di un processo che mette in crisi il contenuto della mediazione politica su cui si era strutturato il sistema politico-istituzionale nella fase precedente, entro cui i soggetti politici borghesi avevano stabilizzato i relativi termini di governo dell'economia e di governo del conflitto di classe.

Negli anni '90 è diventato evidente che l'aspetto principale sul piano della contraddizione Classe/Stato, quello che si presenta come prioritario e come emergenza, non è il riadeguamento dell'assetto dei poteri dello Stato [come era previsto nel progetto De Mita], ma la costruzione di equilibri politici e sociali che possano realizzare, nello scontro di classe, quella riforma complessiva del sistema economico-sociale e della relativa politica economica dello Stato, che sostenesse i nuovi termini di concorrenza intermonopolistica e, in essi, gli interessi della frazione dominante della BI. Ciò nelle condizioni che si andavano definendo in relazione alle modificazioni nel quadro europeo e internazionale.

La riorganizzazione dello Stato e del sistema politico si sarebbe quindi realizzata a partire dai nodi politici dello scontro di classe relativo all'attuazione di questa riforma economico-sociale. Essa consisterà precisamente in un complessivo riassetto degli istituti e dei poteri da codificare in un nuovo ordinamento costituzionale, con i contenuti e con gli equilibri politici che si formeranno nel corso dello scontro sull’attuazione della riforma economico-sociale.

Le formule politiche ed economiche su cui si erano assestati gli equilibri politici e sociali che avevano consentito il governo dell'economia e del conflitto di classe nei quaranta anni precedenti, erano minate dall'interno e, per sostenere l'interesse della frazione dominante della BI, dovevano essere stravolte.

La modificazione dei rapporti di forza tra le classi collegata al processo controrivoluzionario [la duplice vittoria della borghesia di cui sopra, sulla LA per il C e il campo socialista] in realtà non si era ancora riversata, in termini generali e di rottura storica, sulla legislazione che regolava i rapporti sociali tra le classi nella riproduzione materiale. Questa legislazione restava quindi espressione dei rapporti politici della fase precedente.

Le modificazioni che la riforma economico-sociale avrebbe introdotto, avrebbero costretto a mutare, perché incompatibili con esse, anche l’assetto politico-istituzionale ereditato dalla fase precedente. Nella fase precedente l’assetto politico-istituzionale, per garantire l'accumulazione capitalista di fronte al forte conflitto di classe, si era fondato su un sistema parlamentare che, grazie alla massima rappresentatività della sede parlamentare, istituzionalizzava il conflitto. In questo contesto gli equilibri di governo dovevano rappresentare la maggioranza reale nel corpo elettorale; il ruolo economico dello Stato era il mezzo per garantire maggioranze parlamentari; queste erano espressione di diversi interessi di classe da rendere compatibili con la priorità dell'interesse della frazione dominante della BI. Cosa sta avvenendo invece ora?

La riforma del sistema economico-sociale si attua attraverso la modifica della legislazione che regola il sistema economico-sociale e attraverso la modifica delle relazioni politiche tra le classi formalizzate nella legislazione per renderle entrambe corrispondenti agli effetti dell'approfondimento delle contraddizioni di classe. La modifica della legislazione e la modifica delle relazioni politiche spingono entrambe a ridimensionare nelle sedi politiche decisionali la rappresentanza reale e la conciliabilità degli interessi. Il rafforzamento del potere esecutivo e la modificazione della rappresentanza degli interessi sociali in sede istituzionale, in modo da garantire il mantenimento della rappresentanza formale svincolando da essa la sede politica decisionale, sarebbe stato il piano su cui stabilizzare il governo del conflitto di classe nei nuovi termini in cui si pone il governo dell'economia.

La modificazione dell'assetto istituzionale e costituzionale non avviene così a seguito del crollo di uno Stato per una rivoluzione di classe o a seguito di un conflitto tra Stati. C'è stato sì uno scontro rivoluzionario e un processo controrivoluzionario che ha modificato le relazioni politiche tra le classi e ha modificato i fattori che avevano caratterizzato la precedente mediazione politica; ma i due processi non sono stati tali da qualificare il passaggio attuale come crisi di Stato.

Il riordino dell'assetto istituzionale è il risultato della ridefinizione degli istituti e della legislazione attraverso cui lo Stato regola i rapporti sociali in modo che, nel contesto storicamente determinato, sostengano l'accumulazione capitalista. Si tratta di una trasformazione di portata complessiva, distinta dai normali interventi di politica economica. Il quadro in cui si svolge tale trasformazione è costituito dai rapporti di forza e politici tra le classi e dalla collocazione della formazione economico-sociale nella divisione internazionale del lavoro. Questo quadro costituisce la condizione e definisce i margini economici disponibili per rendere tra loro compatibili i termini delle contraddizioni.

Il tentativo di De Mita invece mirava a costruire un equilibrio politico-istituzionale che, a partire dalla riorganizzazione dei poteri dello Stato e del sistema politico-istituzionale, ponesse le condizioni per trasformare linearmente il sistema politico, come passaggio prioritario per affrontare poi e governare la riforma del sistema economico-sociale.

Le contraddizioni causate dallo scontro di classe e dallo scontro rivoluzionario confermano che questo passaggio non si presentava come la codificazione degli equilibri politici tra le classi già prodottisi nella fase precedente, ma come la risultante in sede politico-istituzionale dello scontro di classe collegato alle nuove contraddizioni.

La priorità della riforma del sistema economico-sociale di fronte all'accelerazione delle politiche di integrazione europea, trova la sua espressione nel rapporto tra Esecutivo e sede neocorporativa [la sede di cui D’Antona era il dirigente] e nell’assurgere di questa sede a una valenza [importanza e livello] istituzionale. Questa è la formula politica per costruire equilibri politici e sociali in grado di dare risposta alla contraddizione in questa fase dominante sul piano Classe/Stato, cioè in grado di rispondere a tale priorità ridefinendo i termini di governo del conflitto di classe.

La ridefinizione si realizza con l'introduzione del contenuto neocorporativo nella legislazione riguardante la regolazione del sistema economico-sociale e con la instaurazione, a tutti i livelli dello scontro di classe, di strumenti repressivi e preventivi sia di carattere politico-giuridico sia di ordine pubblico. Tale legislazione non solo risponde all'esigenza di indirizzare tutti i fattori economici e sociali a sostenere l'accumulazione capitalista nel quadro dei nuovi termini di concorrenza che pure è una precisa necessità, ma anche incanala le contraddizioni di classe al fine di collocarle sul terreno di una mediazione corporativa degli interessi.

Con ciò la mediazione corporativa degli interessi sociali si combina con l'approccio riformista e con le istanze di riforma economico-sociale, per dare una base materiale alla governabilità. Essa cerca di legare agli interessi della BI quei settori di aristocrazia proletaria e di piccola borghesia che storicamente costituiscono il referente sociale del riformismo. Però questo tentativo si scontra, in particolare in un paese come l'Italia, con l'erosione reale di vantaggi e di tutele che anche questi settori hanno dovuto subire per gli effetti della crisi e delle politiche adottate e perciò è intrinsecamente debole.

Oltre che essere espressione della priorità della riforma del sistema economico-sociale, il rapporto Esecutivo-parti sociali consente

1. di sottrarre la funzione decisionale dell'Esecutivo al potere interdittivo [del Parlamento]: le parti sociali (sindacati, associazioni padronali, ecc.), a differenza della rappresentanza parlamentare, non hanno titolo ad intervenire nella decisione politico-legislativa;

2. di costruire nel paese equilibri politici atti a governare le forzature e a renderle effettivamente sostenibili: l’Esecutivo si rapporta ad apparati radicati nel tessuto sociale perché vi svolgono il ruolo di soggetti nella contrattazione tra capitale e lavoro.

Il ruolo dei sindacati

1. è un ruolo ridefinitosi in chiave neocorporativa sulla base di una rappresentazione dell'interesse della classe operaia esclusivamente come merce forza-lavoro, come componente del ciclo di accumulazione capitalista [interessi particolari e immediati]. Quindi alla classe operaia viene riconosciuto solo il diritto di contrattare il prezzo della forza-lavoro e le condizioni del suo uso nel quadro di una subordinazione alla priorità del processo di accumulazione di cui essa è considerata solo funzione;

2. è un ruolo di contrattazione riconosciuto come fattore economico funzionale [agli interessi della BI] perché garante della lineare gestione dei rapporti sociali di produzione capitalisti [pace in fabbrica];

3. è un ruolo economico-sociale che può mettere in grado di sostenere la governabilità nell'attuazione delle politiche che vengono definite.

A sua volta nella sede neocorporativa l'Esecutivo, espressione di una maggioranza parlamentare che si presenta come espressione dell'interesse generale del paese, ha il ruolo di garantire la corrispondenza tra l’accordo raggiunto in sede di trattativa neocorporativa e la produzione legislativa.

La riforma del sistema economico-sociale nel quadro del progetto di UE-UEM, con la corrispondente ridefinizione delle forme statali e istituzionali, è la contraddizione dominante sul piano Classe/Stato. La negoziazione neocorporativa Stato/parti sociali è stato il perno del progetto che ha costruito gli equilibri politici e sociali che hanno consentito di governare il conflitto di classe. La mediazione neocorporativa è il contenuto generale della composizione di interessi che viene operata e l’introduzione della trasformazione della mediazione politica che lo Stato vuole realizzare. Questa a sua volta sarà la base di un processo più complessivo di ridefinizione che si sviluppa 1. sul piano dell'assetto dei poteri dello Stato 2. sul piano del rinnovato ruolo dell'Italia nelle politiche centrali dell'imperialismo e dei suoi piani di guerra nell'area Europea- Mediterranea- Mediorientale.

Nel breve-medio periodo la contraddizione dominante sul piano Classe/Stato riguarda 1. l'integrazione monetaria europea secondo i criteri e i vincoli concreti del "patto di stabilità" (1997), 2. le tendenze recessive, 3. l'intensificazione dell'intervento politico, militare e diplomatico rivolto ad estendere e a stabilizzare il dominio imperialista. Per questo si rinnovano e si approfondiscono

- sia la necessità 1. di un controllo centralizzato di tutti i fattori del mercato delle merci e della forza-lavoro che è un corollario e un lascito del risanamento del bilancio statale e 2. della riduzione dell'inflazione che hanno permesso l'ingresso dell'Italia nella moneta unica,

- sia la necessità di equilibri politici solidi che sostengano l'interventismo politico-militare.

1. - Il triennio che è iniziato il primo gennaio del 1999 si concluderà con la sostituzione delle monete nazionali con la moneta unica europea, che sancisce l'avvenuta integrazione economica. Durante questo triennio i rapporti economici e monetari tra i paesi dell'area Euro vengono regolati dal "patto di stabilità" che costituisce un approfondimento dei vincoli macroeconomici fissati da Maastricht e che dovrebbe garantire la possibilità di attribuire all'Euro il valore di scambio voluto per sostenere il capitale finanziario europeo nell'ambito della competizione globale.

Dato il nesso tra deficit di bilancio, indebitamento, PIL e valore di mercato dell'Euro, il controllo sulla spesa statale continua ad essere un asse della politica economica per rispettare i vincoli posti dal "patto di stabilità".

Questa condizione e l'approfondimento dell'integrazione obbligano a rendere omogenee le politiche economiche dei diversi paesi europei sul piano delle politiche di bilancio, della liberalizzazione e dell’apertura alla concorrenza.

Risanamento graduale del bilancio statale italiano, taglio dei tassi di interesse bancario secondo i parametri di Maastricht, controllo dell'inflazione raggiunto nel corso degli ultimi anni attraverso la politica dei redditi: sono questi i presupposti su cui l'equilibrio politico dominante [EPD] ha cercato di procedere a un completo riassetto che comprendesse: i livelli della contrattazione, gli incentivi, la decurtazione del costo del lavoro, la riforma degli ammortizzatori sociali, il riordino delle forme contrattuali, la prosecuzione graduale della riforma del sistema pensionistico, il riordino dell'organizzazione dell'impiego della forza-lavoro (orario di lavoro), la revisione progressiva delle norme sui licenziamenti, la riforma della rappresentanza aziendale, le politiche di programmazione industriale, l’impiego di risorse pubbliche interne o provenienti dalla UE.

La necessità e l’urgenza per l'accumulazione capitalista di questo riassetto complessivo sono state accresciute dai riflessi negativi che la crisi asiatica (1997) ha prodotto sulla competitività delle merci italiane e sui profitti e dall'impatto economico negativo che ha la guerra contro la Jugoslavia.

2. - Per assicurare la governabilità è stato necessario combinare assieme

2.1. il disegno teso a comprimere il costo diretto e indiretto della forza-lavoro, a rendere più flessibile il suo prezzo e le condizioni del suo impiego, a cancellare o comprimere certe garanzie e sicurezze sociali,

2.2. il tentativo di promuovere uno sviluppo competitivo che stimolasse e attirasse nuovi investimenti e profitti anche attraverso un limitato e selettivo impiego della spesa pubblica, in una formazione economico-sociale come quella italiana che è tra le più fragili di quelle del centro imperialista.

È su questo terreno che si è cercato di creare un consenso sociale che bilanciasse le contraddizioni generate dalle misure adottate e che l'approfondimento della crisi accentuerà.

L’obiettivo di far crescere il PIL o quantomeno di impedirne la diminuzione nell'attuale contesto di crisi e la contraddizione della disoccupazione (condizione comune a tutti i paesi europei, ma che in Italia è particolarmente resistente ed è spinta in alto dalle politiche economiche adottate nel quadro europeo) pongono urgentemente il problema dello sviluppo. Contemporaneamente la caduta delle residue barriere all'integrazione dei mercati a seguito dell'adozione di politiche di liberalizzazione che acuiscono la concorrenza obbliga ad assumere un indirizzo teso ad accrescere la competitività dei fattori produttivi. È questa una condizione strategica per sostenere i vincoli dei patti e nel contempo per contrastare le tendenze recessive e conservare la collocazione occupata dal paese nell'UEM e nella catena imperialista. L’imperativo di accrescere la competitività e di realizzare uno sviluppo compatibile [con l’accrescimento della competitività] rinnova e approfondisce la necessità di adottare un controllo centralizzato su tutti i fattori di mercato. Ciò pone in primo piano la necessità di rendere più flessibile la forza-lavoro e di comprimere il costo della forza-lavoro nelle sue diverse variabili. La linea che pone al centro queste istanze viene propagandata come funzionale allo sviluppo economico e sociale. In realtà essa è invece strettamente difensiva. Ciò è confermato dalle previsioni di crescita per l'anno in corso che sono ben lontane, inferiori alla metà, da quelle solo molto relativamente rosee del 2,5%, rispetto alle quali veniva proposto lo scambio tra conquiste del movimento operaio sul piano del diritto del lavoro da una parte e dall’altra sviluppo cioè occupazione.

3. - Come se non bastasse, l'impegno militare incide negativamente, già a breve termine, sulla prospettiva di riuscire a combinare ripresa dello sviluppo e aumento della competitività. Esso comporta il rastrellamento di risorse per sostenere le spese. In generale le spese di riarmo (che dovranno essere effettuate per svolgere il ruolo politico-militare corrispondente agli interessi della BI, previsto dai nuovi indirizzi strategici della NATO) impongono vincoli agli indirizzi di gestione del bilancio e alle linee della programmazione economica.

Per l'attuazione di queste politiche è perciò fondamentale il rapporto tra Esecutivo e sindacato confederale. Questi infatti svolge già una funzione economica nella contrattazione tra capitale e lavoro. Occorre quindi renderlo responsabile anche di una nuova linea politica che comporta 1. l'estensione capillare del suo ruolo, 2. la certezza della rappresentatività e la capacità dei soggetti della contrattazione di rappresentare i lavoratori, secondo regole che selezionano a priori le organizzazioni sindacali che sono compatibili con le politiche economiche che devono regolare il quadro generale dei contratti di lavoro, 3. la disponibilità a contenere l'azione conflittuale. Da queste necessità nascono le linee rivolte 1. all'inglobamento attraverso queste regole di nuovi soggetti sindacali, 2. all'allargamento della negoziazione centralizzata a un arco più ampio di forze sociali. Da qui nascono anche un sistema punitivo più rigido e un sistema conciliatorio più diffuso e stringente.

Questi passaggi possono essere realizzati solo nell'ambito della sede neocorporativa e delle relative politiche. Tuttavia la contrazione della base produttiva e la crisi occupazionale (accentuata dalle politiche economiche adottate in questi anni e aggravata dalle prospettive di approfondimento del ciclo recessivo internazionale) costituiscono un forte fattore di contraddizione nel ruolo di questa sede, in particolare nella capacità del sindacato confederale di garantire la tenuta delle politiche che vengono adottate.

I passaggi di riorganizzazione dello Stato dovranno essere definiti attorno all'asse del neocorporativismo e intorno agli equilibri connessi. Essi sono: l'accentramento di ministeri economici, la riorganizzazione della pubblica amministrazione, la riforma fiscale nel senso del sostegno diretto della fiscalità generale al profitto e all'accumulazione capitalista, il federalismo fiscale, la revisione del ruolo delle amministrazioni locali nel senso di rafforzare il loro ruolo di Esecutivo locale attraverso il decentramento, le privatizzazioni, la ridefinizione in senso privatistico dell'intervento economico dello Stato.[F]

L’equilibrio politico dominante [EPD] in cui i DS hanno ruolo centrale, in un passaggio come quello attuale, deve dare soluzione alla contraddittorietà intrinseca di questo modello politico che vede due canali di legittimazione [parti sociali e Parlamento]. Ciò comporta il rafforzamento del ruolo politico dell'Esecutivo 1. con un maggior intervento di proposta legislativa, 2. nell'opera di mediazione tra l'ambito della negoziazione neocorporativa e l’ambito parlamentare.

La rinnovata funzione dell'Esecutivo e della componente DS-CGIL nel combinare e coordinare le funzioni di questi ambiti, nella ricerca dell'equilibrio sufficiente a sostenere il complesso delle politiche che vanno adottate per governare la crisi e il conflitto, ha determinato il ruolo centrale dei soggetti che rappresentano l'Esecutivo nella sede negoziale, anche nel costruire le condizioni dell'unità di questa stessa componente politica [quindi il ruolo centrale di D’Antona]

[10. L’instabilità del quadro politico-istituzionale]

L'affermazione del progetto di riforma del sistema economico-sociale e di ridefinizione del ruolo dello Stato nell'economia tramite le politiche neocorporative, ha dato sì risposta alla contraddizione prioritaria ed d’emergenza, ma è avvenuta in un contesto di permanente instabilità del quadro politico-istituzionale. L'instabilità però non ha affatto impedito allo Stato di effettuare quei passaggi politici che costituivano interessi vitali per la frazione dominante della BI.

Fonte di instabilità è il ruolo dell'Esecutivo. Il suo ruolo è stato rafforzato con la riforma della Presidenza del Consiglio e gradualmente incrementato con forzature rispetto al rapporto con la dialettica parlamentare tramite: gli strumenti della decretazione, il ricorso alla fiducia, l'introduzione del voto palese, i vincoli di copertura finanziaria per gli emendamenti, le deleghe legislative, ecc. Il suo ruolo si è ulteriormente rafforzato di fronte alla crisi della rappresentanza politica [Parlamento]. Tuttavia non essendo sancito formalmente, il rapporto dell’Esecutivo con le forze politiche di maggioranza è attraversato da instabilità.

Permane infatti la difficoltà a formare maggioranze di governo omogenee e stabili e, nonostante l'introduzione di un sistema elettorale maggioritario, non c'è stata una semplificazione del quadro politico. Gli schieramenti politici odierni non sono equivalenti (intercambiabili) né rispetto al riconoscimento della sede neocorporativa né nel rapporto con il sindacato confederale. Questa disparità sottopone l'impianto neocorporativo, non nel suo contenuto ma per il sistema di relazioni e per l'equilibrio che lo deve sostenere, al rischio di essere rimesso in discussione in relazione al prevalere o meno di un determinato equilibrio parlamentare, oppure lo eleva a criterio selettivo dell'equilibrio parlamentare abilitato a dominare in contrasto con il sistema formale che prevede l’intercambiabilità, la possibilità di alternanza. Questo costituisce un elemento di contraddizione nella governabilità, stante che la sede neocorporativa ha assunto un particolare ruolo istituzionale e una particolare importanza nel far avanzare gli interessi della BI.

La ridefinizione dei poteri locali, avvenuta con la riforma della legge elettorale per i Comuni e per le Regioni e con i provvedimenti tesi a rafforzare il decentramento amministrativo e il federalismo fiscale, non ha una collocazione istituzionale definitiva. Ciò impedisce a questi poteri di esercitare un ruolo stabile e funzionale alla possibilità di utilizzare le significative diversità economico-sociali, come fattore di frammentazione del conflitto di classe e di ricomposizione corporativa degli interessi sociali su una base di mediazioni locali basate sulla unità di interessi tra le varie classi a migliorare la competitività dell’economia della zona.[F]

In questi anni si è evidenziata la difficoltà da parte del quadro politico di fare passi avanti nella riforma istituzionale. Le realizzazioni su questo piano hanno riguardato solo la riforma elettorale e sono state introdotte tramite forzature maturate all'esterno delle sedi parlamentari [referendum]. Il fallimento della Bicamerale D'Alema ha dimostrato che è impossibile isolare il piano delle riforme istituzionali dallo scontro di classe e dai suoi riflessi sul quadro politico-parlamentare. La frammentazione del quadro politico deriva dalla difficoltà, che permane nonostante l'introduzione del sistema maggioritario, di combinare 1. il posizionamento delle principali forze politiche intorno agli interessi della BI e 2. la rappresentanza di interessi sociali di altre classi in modo da raggiungere un consenso ampio tale da eliminare la pressione degli interessi non omologabili.

Il PRC e la Lega esprimono questa contraddizione, ma esprimono anche la necessità e la funzione di garantire, attraverso la rappresentanza in sede parlamentare, l'istituzionalizzazione di istanze di classe o di interessi particolaristici della borghesia concorrenziale.[BC] Per il PRC è stato significativo il ruolo svolto di unire settori del movimento di classe intorno agli indirizzi politici antiproletari del governo Prodi.

Altro aspetto critico è l'affermazione di soggetti politici, quali FI, AN e Lega, estranei al vecchio "arco delle forze costituzionali", con un personale politico che, non essendosi selezionato nella fase storica precedente, mostra di non essere idoneo a rapportarsi ai caratteri della vecchia mediazione politica quale si è storicamente definita e quindi ad esprimere un governo capace di intervenire su di essa in modo calibrato. Il governo del Polo e le posizioni assunte rispetto alla Bicamerale per le riforme hanno dimostrato che questo schieramento non solo è incapace di garantire il governo dell'economia e il governo del conflitto di classe, ma è anche incapace di far coincidere il proprio interesse particolare con l’affermazione dell'interesse della frazione dominante della BI come interesse generale. Ciò si è manifestato apertamente con le ambigue posizioni rispetto ai passaggi dell'UEM. Questa contraddizione è acuita dall'anomalia della figura di Berlusconi e del suo gruppo di potere, ma è soprattutto legata all'estraneità di questo schieramento alla sede neocorporativa e a componenti sociali che organizzino e rappresentino gli interessi di importanti settori proletari legandoli agli interessi della borghesia.

Infine, altra causa di instabilità è l'impossibilità di azzerare i soggetti politici conformandosi al criterio della opportunità di introdurre formule di ingegneria istituzionale. È il caso ad esempio del PPI. Questo partito è l’erede di quella componente della DC che più di tutte ha rappresentato gli interessi della frazione dominante della BI, in equilibrio tra interessi atlantici ed europei, che ha inquadrato intorno ad essi componenti sociali quali la CISL, primo tra i sindacati a proporsi in un ruolo neocorporativo e a rinnovarlo con il coinvolgimento dell'associazionismo e della finanza cattolici, che ha espresso il suo ruolo anche attraverso le massime figure istituzionali.

Le modificazioni dell'assetto politico-istituzionale derivano quindi dal processo politico collegato agli sviluppi dello scontro di classe e alle contraddizioni prodotte dal governo dell'economia e dal governo del conflitto sociale.

1. - Ovviamente lo scontro politico non ha un rapporto meccanico con lo scontro di classe: vi è un ruolo attivo e offensivo dei soggetti politici. Si tratta piuttosto di un riflesso dialettico sulla sede politico-istituzionale che ha una autonomia relativa rispetto ai rapporti di forza tra le classi.

2. - Il quadro politico-istituzionale non è riducibile a semplificazioni bipartitiche: quindi il processo politico si snoda intorno alla difficoltà di costruire due coalizioni non solo entrambe idonee a sostenere una dinamica di alternanza tra equilibri politici di governo, ma entrambe anche in grado di mantenere la continuità dell'azione del governo intorno agli interessi della frazione dominante della BI, una continuità adeguata ai rapporti di forza reali tra le classi: a questo fine occorre che le coalizioni siano equivalenti rispetto alla sede neocorporativa.

3. - Il compimento del processo politico ha come premessa il posizionamento comune di tutte le forze politiche intorno ai nodi congiunturali dello scontro politico tra le classi: ora il posizionamento è già comune per quanto riguarda la posizione dell'Italia intorno ai passaggi che ne riguardavano il ruolo nelle politiche centrali dell'imperialismo, ma è invece ancora irrisolto per quel che attiene al piano interno e alla politica economica.

Un ruolo particolare in questi anni è stato svolto dal PDS. Esso ha sostenuto organicamente le politiche di riforma economico-sociale e di forzatura degli assetti politici. All'interno del PDS è D'Alema che ha operato alla costruzione degli equilibri politici che hanno sostituito il governo Berlusconi e ricondotto l'opposizione di classe al governo Berlusconi in un ambito funzionale all'esercizio di un ruolo di governo.

La paralisi della Bicamerale presieduta da D’Alema ha inferto un colpo significativo alla sua presunzione di riuscire a riordinare l’intero assetto costituzionale e istituzionale in piena autonomia dalla sede parlamentare, dalle contraddizioni derivanti dallo scontro di classe e dagli effetti dell’operato dell'Esecutivo.

La responsabilità assunta dal suo governo con il pieno impegno dell'Italia nell'attacco alla Jugoslavia ha rilanciato il ruolo di D’Alema e dei DS in generale. Egli ha gestito le continue forzature con un'articolata tattica di progressive ratifiche parlamentari al coinvolgimento delle forze armate italiane nella infame e folle aggressione al popolo Jugoslavo. D’Alema ha la volontà politica di andare fino in fondo, consapevole sia del rischio che eventuali segnali di debolezza farebbero correre a un equilibrio politico strutturalmente fragile sia del processo di selezione che è in corso all'interno della NATO.

Il PPI, per il ruolo del suo personale politico, ha spesso formulato le basi per la definizione di passaggi corrispondenti ai reali equilibri parlamentari e quindi in grado di affermarsi. Tuttavia la coalizione di centro-sinistra, come maggioranza politica e come coalizione dell'Ulivo, non costituisce una formula politica stabile, né si potrà istituzionalizzare la il metodo della unificazione della coalizione intorno alla designazione del personaggio che viene candidato a fare il Presidente del Consiglio come sintesi dell'equilibrio politico raggiunto all'interno della coalizione stessa. Già la caduta del governo Prodi e l'uscita del PRC dalla maggioranza dimostrarono che non era ancora completato il processo di trasformazione delle forze e delle formule politiche. Lo ha riconfermato il successivo definirsi del progetto Prodi-Di Pietro [i Democratici dell’Asinello], teso non solo ad una semplificazione del quadro politico, ma anche ad assumere un ruolo in essa definendo un soggetto di centro-sinistra che superasse gli attuali partiti che compongono la coalizione dell'Ulivo. L'incarico di Prodi alla Presidenza della Commissione Europea ha però ridimensionato in modo sostanziale questo progetto.

4. - Il processo di trasformazione infine resta incerto a causa della difficoltà che la coalizione di centro-sinistra incontra nel tradurre le scelte politiche di chiaro connotato antiproletario adottate dal suo Esecutivo, in formazione di un consenso elettorale sufficiente ad ottenere una maggioranza parlamentare. Dapprima la ricerca di semplificazione attraverso l'accentuazione del meccanismo elettorale maggioritario si è scontrato con l'esito referendario [Referendum del 18 aprile ‘99 sulla modifica della legge elettorale in senso maggioritario, naufragato per l’insufficiente partecipazione degli elettori], decretando il concludersi di una stagione di forzature extraparlamentari legittimate con il voto referendario. Poi la compattezza della coalizione ha subito una frattura con l'elezione di Ciampi alla Presidenza della Repubblica (13 maggio 1999) e si è determinata una ridefinizione dei rapporti politici interni a vantaggio dei DS. Si è quindi riaperta la prospettiva di riforme istituzionali.

[11. Il quadro internazionale]

Sul piano internazionale attualmente dominano il quadro la crisi economica e finanziaria con le sue prospettive di recessione mondiale in particolare con il tracollo dell'economia giapponese e la specifica crisi economica, sociale e politica che investe la Russia. All'interno di questo contesto si colloca l'offensiva della NATO contro la Jugoslavia, con il pretesto di una "crisi umanitaria" nel Kosovo. In realtà si tratta del passaggio odierno e di un salto di qualità di quel processo di destabilizzazione e successiva normalizzazione imperialista dell'area balcanica e dei paesi dell'Est europeo su cui si è andato ridefinendo il ruolo della NATO, dell'UE e dei loro Stati membri.[CG] Un ruolo che si colloca nell’ambito dei termini mutati della contraddizione est-ovest. Essa non è più imperniata sulla contrapposizione tra sistemi economico-sociali e sulla deterrenza nucleare, ma sulla penetrazione economica e sulla restaurazione del modo di produzione capitalista operata in funzione della ricerca 1. di nuovi ambiti di investimento di capitali, 2. di forza-lavoro a basso costo, 3. di nuove quote di mercato per contrastare con tutto ciò la crisi del capitale. Ma la penetrazione economica dell’imperialismo e la restaurazione del modo di produzione capitalista non solo non possono portare uno sviluppo economico in queste aree, ma non possono nemmeno mantenere, neanche a medio-lungo termine, i livelli di forze produttive e di risorse sociali storicamente già raggiunti. Esse quindi non possono essere attuate solo con i tradizionali strumenti già usati negli ultimi decenni. Perciò il ruolo della NATO, della UE e dei relativi Stati imperialisti consiste ora nel creare le condizioni che consentono la penetrazione: la destabilizzazione politica, l'intervento militare diretto o, per alcuni Stati ex-socialisti, l'integrazione nell'Alleanza Atlantica. Per governare le contraddizioni economico-sociali generate dalla penetrazione imperialista e il loro sviluppo politico, la NATO, la UE e i relativi Stati imperialisti hanno messo in opera una strategia di annientamento di quegli Stati che rappresentano punti di autonomia politico-militare, ostacoli all’assogget-tamento politico, all'insediamento militare, all’allontanamento del fronte est-ovest dai paesi del centro imperialista e all’accerchiamento della Russia e degli altri paesi non assoggettabili né semplicemente con la dipendenza economica, né con limitate offensive politico-militari. Nel corso di questo processo nei vari Stati europei si devono costruire le condizioni e le forzature politiche interne al rapporto Classe/Stato che li mettono in grado di sostenere, nella NATO, questo complesso ruolo politico-militare nei confronti dell'Est europeo e dell'area Mediterranea-Mediorientale.

Questo processo comprende i passaggi interni alla costruzione dell'Unione Europea, in particolare sul piano delle politiche repressive e controrivoluzionarie (Schengen), della riorganizzazione e del rafforzamento delle forze armate e delle polizie, della partecipazione attiva degli Stati europei alle iniziative militari NATO, del rafforzamento della complementarità tra NATO e UE, della funzione di quest'ultima di allargarsi verso i paesi dell'Est europeo. Esso metterà i singoli Stati europei in grado di costituire una proiezione offensiva degli Stati Uniti su un piano politico-militare.

La mediazione politica neocorporativa è la principale base di attuazione e di sviluppo di questo processo per un paese come l'Italia. Essa svolge un ruolo cardine nella NATO per la sua storica funzione di portaerei nel Mediterraneo. Essa trova nella penetrazione nell’area Mediterranea e in quella dell'Est europeo uno sbocco non solo per il capitale monopolistico, ma anche per quel capitale a più bassa concentrazione e centralizzazione investito in settori maturi che può trovare quote di mercato e occasioni di investimento laddove vada costruito o ricostruito un intero tessuto economico (vedi la funzione svolta dall'Albania). Si tratta di interessi comuni a frazioni di borghesia per i quali l'intervento politico-militare dello Stato in queste aree costituisce una mediazione politica. [BC]

Per le sue caratteristiche, l’aggressione alla Jugoslavia costituisce un ulteriore significativo approfondimento del processo che crea le condizioni per cui la tendenza alla guerra, accelerata dall'approfondimento della crisi di sovrapproduzione assoluta di capitali, può trasformarsi in una effettiva guerra generale.[SAC] [TG] Ciò sia per il modo in cui l’aggressione è stata preparata, teso a forzare ulteriormente il rapporto con la Russia attraverso la completa esautorazione dell'ONU sia per il suo contenuto politico: il salto di qualità dell'intervento militare diretto e aperto della NATO che ha fondato la legittimazione formale dell'aggressione sul "principio di ingerenza umanitaria" e ha consolidato la nuova formulazione della propria concezione strategica, adeguata agli attuali caratteri economico-politici dell'imperialismo. L'accentuazione dei processi di internazionalizzazione del capitale costringe infatti a ridefinire gli strumenti di dominio, al fine

1. di tutelare la penetrazione economica laddove le condizioni politiche degli Stati la consentano,

2. di creare insediamenti politico-militari laddove esistono sistemi politico-statali in qualche misura ancora non docili all'ordine imperialista e

3. di costruire le condizioni politico-istituzionali e militari necessarie a stabilire rapporti sociali capitalisti laddove esistono formazioni economico-sociali che non riescono a darsi un ordinamento politico-istituzionale adatto ad un'economia di mercato. L'aggressione alla Jugoslavia

1. vuole affermare il principio che l'intervento militare è ineluttabile nel caso che non si accettano le direttive politiche della NATO;

2. è l’espressione dell'organicità dei rapporti intercorrenti tra USA e UE;

3. è l’apice pratico di quel processo di riorganizzazione del ruolo imperialista e controrivoluzionario, da sempre svolto dalla NATO, nel quadro degli attuali equilibri internazionali.

In questa aggressione lo Stato italiano non ha affatto assunto una posizione servile nei confronti del polo dominante USA, ma si è collocato in prima linea per far valere gli interessi della propria borghesia e coniugarli con quelli delle altre borghesie dei paesi dominanti della catena.

Il processo di riorganizzazione della NATO, e del ruolo dei singoli Stati imperialisti in essa, non è affatto privo di contraddizioni. Esso deve vincere le resistenze che trova all'interno dei paesi e deve contrastare le tendenze dell'opposizione alla guerra a coagularsi in opzioni offensive e rivoluzionarie.

Contro questo processo, in Italia, già nel 1994 i Nuclei Comunisti Combattenti lanciarono la propria iniziativa offensiva colpendo il NATO Defence College, in occasione del Vertice NATO di Bruxelles con cui si sanzionavano le linee del Nuovo Ordine Mondiale [Roma, 10 gennaio 94]. L’iniziativa degli NCC si è inserita in un quadro più complessivo di iniziative politico-militari del Movimento Rivoluzionario attuate in questi anni contro la NATO e che recentemente si sono affiancate ad attacchi al ruolo dei DS nella guerra imperialista alla Jugoslavia, in dialettica con la tendenza dell'autonomia di classe a dare un contenuto offensivo all’opposizione all'imperialismo.

Sul piano politico europeo le velleità di un riformismo sociale non liberista, a cui in particolare in Italia aveva guardato il PRC, cadono con l'uscita di scena di Lafontaine dapprima e poi con l'inizio dell'aggressione alla Jugoslavia. Il procedere di un processo di convergenza delle maggioranze politiche dei paesi europei verso equilibri politici di governo analoghi e verso politiche economiche omologhe, si è misurato con l'impegno comune nella guerra. È su questo nuovo piano che si dovranno assestare 1. gli equilibri politici di governo, 2. le politiche economiche che dovranno essere adottate per reperire le risorse per sostenere la guerra e la spesa per il riarmo e il riassetto militare necessario, 3. i progetti per garantire i necessari termini di governabilità interni.

In questo quadro si colloca il recente Vertice NATO di Washington [20 aprile 99] che avrebbe dovuto sanzionare la nuova strategia NATO, l'adesione ad essa di paesi già membri del Patto di Varsavia e anche l'esito dell'offensiva contro la Jugoslavia. A causa della guerra ancora in corso il vertice ha dovuto invece occuparsi di costruire alcune condizioni per proseguirla e per concluderla raggiungendo l'obiettivo politico di scardinare l'assetto politico jugoslavo. Infatti ora è questa guerra la cartina di tornasole della validità della nuova dottrina NATO e della sostenibilità del ruolo che la NATO si è data. Al vertice è mancata la Russia, formalmente invitata a svolgere un ruolo di mediazione tra la NATO e la Jugoslavia per evitarne una palese umiliazione che la destabilizzi ulteriormente, in realtà relegata ai margini del quadro internazionale in attesa del suo turno per essere aggredita. Il recente voto plebiscitario del Parlamento USA al finanziamento dello scudo satellitare anti-missili balistici, progetto rimasto per anni fermo, indica quanto questo vertice fosse indirizzato a strutturare le linee del Nuovo Ordine Mondiale, ossia di un dominio imperialista che deve essere imposto con la forza.

[12. Il programma delle BR-PCC]

[A. La Guerriglia contro lo Stato]

[A1. Dal generale al particolare, dal livello internazionale alla situazione italiana]

In questo quadro generale di processi e di tendenze presenti a livello europeo e internazionale, in Italia il governo, i sindacati confederali, la Confindustria e altre sigle del mondo della piccola e media impresa e sindacali hanno firmato nel dicembre del 1998 il "Patto per l'occupazione e lo sviluppo".

Il Patto rinnova le linee di politica dei redditi già stabilite nel '93 [governo Ciampi] e ne rilancia i contenuti di fondo, a partire dal principio che sono le imprese il motore primo dell'occupazione e perciò il destinatario del sostegno dello Stato; in funzione dell'emergenza occupazione approfondisce il ruolo della politica dei redditi nella direzione di un intervento che si articola a tutti i livelli di governo, dal nazionale al regionale al locale; continua a riferirsi ai criteri macroeconomici di controllo dell'inflazione e del deficit pubblico, stabilendo un rapporto più organico tra negoziazione e processi decisionali interni e a livello UE.

A sostegno di questi obiettivi e delle politiche "per lo sviluppo e l'occupazione" e della "programmazione dei fondi strutturali 2000-2006" che il patto delinea, viene definita la struttura della negoziazione corporativa come un processo articolato che attraversa capillarmente tutti i livelli di governo. Essa diventa un vero e proprio assetto di carattere istituzionale la cui funzione non solo economica, ma anche politica, di natura antiproletaria e controrivoluzionaria, diventa chiara quando viene previsto che la concertazione si rafforzi nel campo dei servizi di pubblica utilità, anche attraverso l'attivazione di sedi di confronto, di regole e di istituzioni specifiche "in particolare laddove si registrano un tasso di conflittualità elevato e forti effetti verso il sistema economico e sociale"!! [T]

Il carattere corporativo, antiproletario e controrivoluzionario di questa impalcatura economico-politica è inequivoco e profondo. Perciò in questo progetto politico la nostra Organizzazione ha individuato il ruolo politico-operativo svolto da Massimo D'Antona, ne ha identificata la centralità e, in riferimento al legame tra nodi centrali dello scontro e rapporti di forza e politici generali tra le classi, ha rilanciato l'offensiva combattente, secondo i criteri dell'attacco al cuore dello Stato, cardine della Strategia della Lotta Armata per la conquista del potere politico e l'instaurazione della dittatura del proletariato.

[A2. Il progetto delle BR-PCC]

Questa offensiva mira a ostacolare lo sviluppo programmatico del progetto centrale che è teso a fare passi avanti sia nella riforma economico-sociale, sia nel consolidamento del dominio della borghesia, con l'instaurazione di una mediazione politica di carattere neocorporativo. Con essa le BR-PCC si prefiggono, in generale, il rilancio della prospettiva della conquista del potere per l'instaurazione della dittatura del proletariato, come prima tappa della costruzione di una società comunista e, in specifico, di ottenere un relativo vantaggio politico per il campo proletario, da impiegare ai fini della Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie e degli strumenti politici e organizzativi atti ad attrezzare la classe allo scontro prolungato con lo Stato.

La linea politica che guida l'offensiva combattente mira a colpire le responsabilità centrali nell'opera per fare della sede neocorporativa una nuova istituzione, nell'approfondimento del ruolo politico dell'Esecutivo, nella sua azione programmatica tesa a tradurre in iniziativa legislativa le sue linee di riforma economico-sociale. Questi sono tutti aspetti intorno ai quali oggi si gioca lo scontro tra le classi. Il consolidamento del progetto neocorporativo è la base generale su cui l'Esecutivo intende gestire le contraddizioni antagoniste dello scontro tra le classi, facendone un tramite per fare ancora più arretrare politicamente il proletariato.

Per questo l'iniziativa politico-militare opera contemporaneamente 1. sul piano immediato aprendo un varco offensivo nella situazione difensiva della classe, 2. su un piano di prospettiva politica facendo vivere offensivamente il nodo del potere, 3. sul piano progettuale e programmatico imponendo nello scontro, sul terreno della guerra, gli interessi generali del proletariato. Essa porta, qui ed ora, l'offensiva al livello in cui si definiscono i rapporti di forza e politici tra le classi, al livello cioè dell'iniziativa politica e nel merito dei nodi centrali dello scontro nella attuale congiuntura. Con ciò pone i concreti termini politico-programmatici su cui fare avanzare la Guerra di Classe di Lunga Durata, in dialettica con le istanze di potere che sorgono dalla lotta del proletariato.

Questo "attacco al cuore dello Stato" è il risultato della dialettica tra 1. una linea di continuità-critica-sviluppo del patrimonio comunista, in specifico dell'esperienza prodotta dalle BR nel nostro paese e in particolare del "ricentramento" operato [nel 1981] dalle BR-PCC nella Ritirata Strategica e 2. il concreto processo di riaggregazione delle avanguardie rivoluzionarie in funzione della Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie e in particolare di un'Organizzazione Comunista Combattente che agisca da Partito per costruire il Partito.

Questo processo di aggregazione costituisce uno stadio peculiare della fase di Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie. Il passaggio peculiare di questo processo è stato il rilancio dell'iniziativa rivoluzionaria operato dai Nuclei Comunisti Combattenti con l'attacco all'accordo sulla politica dei redditi tra governo, Confindustria e sindacati confederali nel '92 [Roma, sede della Confindustria, 10 ottobre 92] e nel '94 in occasione del Vertice NATO di Bruxelles con l'iniziativa contro il NATO Defence College [Roma, 10 gennaio 94] con cui veniva attaccato il disegno di Nuovo Ordine Mondiale, la strategia di "presenza avanzata" e la complessiva riorganizzazione della NATO e dell'architettura con cui il dominio imperialista si attrezzava a sostenere il ruolo politico-militare aderente ai caratteri odierni del modo di produzione capitalista e della sua crisi e a sfruttare i rapporti di forza favorevoli determinatisi negli equilibri internazionali.

Con queste iniziative, gli NCC sintetizzano il rilancio dell'offensiva rivoluzionaria, con l'avvio di un processo di aggregazione delle avanguardie rivoluzionarie, operando nel vivo dello scontro e intervenendo nei nodi politici su cui ruota la contraddizione Classe/Stato e quella imperia-lismo/antimperialismo. Con questo processo inevitabilmente si misurano tutte le avanguardie che vogliono rilanciare la prospettiva comunista e i suoi obiettivi storici e avviare un processo di superamento dell’attuale situazione di difensiva della classe.

L'esperienza degli NCC si sviluppa traducendo in attività rivoluzionaria il contenuto offensivo dell'autonomia politica di classe, rapportandosi con i termini più avanzati di autonomia politica espressi dal proletariato nel paese, cioè con il patrimonio politico-strategico sviluppato dalle BR-PCC, collocandolo nelle condizioni di difensiva della classe prodotte dal duplice processo controrivoluzionario [sconfitta delle BR nel 1982 e crollo del campo socialista alla fine degli anni ‘80] [PC] che ha determinato una discontinuità del percorso rivoluzionario [D], nelle condizioni interne sul piano del rapporto Classe/Stato e negli equilibri internazionali.[A]

Il rapporto con le condizioni e con le contraddizioni della situazione di difensiva della classe ha costretto il soggetto rivoluzionario, in quanto parte dello scontro generale, a definire strumenti politico-organizzativi e condizioni che costituissero soluzioni politico-concrete per operare in termini offensivi nello scontro di classe.

Avviare un percorso che, relazionandosi allo scontro di classe nei suoi caratteri generali, affronti le condizioni storiche di fase in termini di avanzamento, è possibile solo se fin da subito si organizzano le forze rivoluzionarie e proletarie sul terreno strategico adeguato a sostenere una prospettiva di potere a partire dall'attacco e se si costruiscono le condizioni politico-organizzative e materiali per assumere iniziative d'avanguardia rispetto ai nodi generali relativi alla contraddizione rivoluzione/contro-rivoluzione.

Su questo piano le avanguardie rivoluzionarie fanno i conti con i caratteri storici attuali della fase di Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie, cioè con la necessità di operare un processo di aggregazione dal quale si possano selezionare gli elementi complessivi necessari alla ricostruzione di una OCC che agisca da Partito per costruire il Partito e che, in quanto tale, possa costituire il Nucleo Fondante il Partito.

La costruzione di un’organizzazione che affronti il nodo della ricostruzione delle condizioni per lo sviluppo della Guerra di Classe di Lunga Durata si può avviare solo a partire dall'esercizio di un ruolo d'avanguardia rispetto allo scontro di classe in generale. Per questo l'avvio di tale percorso deve iniziare dalla costruzione delle condizioni politiche, militari, tecniche e organizzative per mettere in campo e sostenere il rilancio dell'offensiva rivoluzionaria nei nodi politici centrali dello scontro di classe, per introdurre in questo scontro il dato politico assente, cioè l'espressione dell'autonomia politica di classe che definisce e colloca l'interesse autonomo della classe e le sue prospettive di potere in relazione alle contraddizioni generali dello scontro. In sostanza l’aspetto principale dell'avvio di questo processo consiste nella costruzione delle forze per l'offensiva, nella tenuta e nella stabilità dell'organizzazione delle forze sul terreno strategico. Dover superare, come organizzazione e nel fuoco dello scontro rivoluzionario, questo stadio di avanzamento verso l'obiettivo della ricostruzione di una OCC che agisce da Partito per costruire il Partito, consente di mettere in luce le contraddizioni concrete, collegate al rilancio della prospettiva rivoluzionaria, nelle condizioni politico-organizzative sfavorevoli create dalla controrivoluzione. Solo questa definizione dei problemi dà concretezza ai caratteri della fase, altrimenti assumibili solo ideologicamente, quali ad esempio la contraddizione costruzione/formazione. Si tratta di una concretezza relativa alla specificità delle condizioni di discontinuità che, nella definizione dei caratteri dei nodi della costruzione di un patrimonio politico collettivo, ne delinea anche le possibili soluzioni politico-organizzative.[D]

Il dato di fondo è che la Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie e proletarie, nel quadro della ricostruzione di una OCC che abbia funzione di Nucleo Fondante il Partito, riguarda tutti gli aspetti che consentono di concepire il conflitto e di combatterlo: dagli elementi di materialismo storico-dialettico, alle competenze operative per agire nell'unità del politico e del militare, ai criteri che consentono a un’organizzazione di essere tale.[CC]

Dati costanti sono che

- ciò è impossibile se non si affronta operando immediatamente sul terreno della attività rivoluzionaria in una dimensione organizzata e in relazione ai nodi generali della contraddizione tra rivoluzione e controrivoluzione,

- che le avanguardie rivoluzionarie, l'insieme delle forze militanti, devono tener conto della complessità su cui operare per avanzare in termini di ricostruzione d'una forza rivoluzionaria.

[A3. L’attuale fase di Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie]

Le condizioni attuali della fase di Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie sono state connotate da questi elementi:

- da un lato l'acutezza delle contraddizioni di classe e l'operare offensivo della borghesia e del suo Stato, in un rapporto di scontro immediatamente politico in quanto inerente alla ridefinizione della mediazione politica e al riflesso in essa dello scontro rivoluzionario;

- dall'altro la mancanza, nei nodi politici generali che costituiscono l'oggetto immediato dello scontro, di una posizione che definisca in modo costruttivo gli interessi generali del proletariato in termini sia di critica di classe, sia di pratica offensiva, sia di prospettiva di potere: cioè che definisca gli interessi generali del proletariato nel concreto dello scontro di classe attuale.[CC]

[A3.1. L’arretramento e le tre tendenze difensive]

Il risultato del processo controrivoluzionario [degli anni ‘80] e gli sviluppi dell'offensiva della borghesia e del suo Stato hanno fatto prevalere nel campo proletario e rivoluzionario tendenze difensive, prodotte proprio dal rapporto di forza sfavorevole che rilancia tali tendenze. Esse rafforzano le condizioni di arretramento, mentre nel contempo la mediazione neocorporativa è il piano proposto e imposto dallo Stato. Il contenuto prevalente nell'opposizione proletaria ha avuto, in questi anni, un carattere di critica sociale, aclassista o interclassista e, dentro questo contenuto, si sono collocate componenti politiche e sociali che mettono in atto una attività che vagheggia ipotesi di riformismo sociale.

1. - In questo quadro si sono collocate anche forze politiche istituzionali che fanno riferimento al proletariato, il cui progetto contiene anche aspetti di riformismo sociale. Esse, facendo leva su questo punto di congiunzione con il riformismo sociale, hanno incorporato e istituzionalizzato istanze della autonomia di classe che scaturiscono dallo scontro, ingabbiandole in pratiche di lealismo istituzionale.

Questa tendenza è disarmante per gli interessi generali della classe. In alcuni passaggi politici queste componenti sono arrivate a farsi carico del sostegno ai progetti dello Stato e alle politiche centrali dell'imperialismo.

2. - Su un altro piano si è collocata una tendenza all'economicismo che svuota le istanze di autonomia di classe del loro contenuto politico generale e le indirizza verso la subordinazione in quanto riferite ad istanze rivendicative, parziali, storicamente prive di prospettiva proprio per i limiti del piano di lotta assunto. Su questo piano, a maggior ragione in una fase in cui il proletariato è sulla difensiva, è impossibile costruire rapporti di forza con prospettive di avanzamento nemmeno in contesti particolari, tranne che in alcuni settori strategici per il funzionamento del sistema economico [v. trasporti, ecc.][T]. In questi però lo Stato combina misure repressive con iniziative di trattativa corporativa remunerativa per frammentare e procedere gradualmente a sottomettere tali settori. L'assunzione in termini difensivi di questo contenuto ha portato organizzazioni politiche che si riferiscono alla classe come classe in sé e per sé [forse è: classe in sé e non per sé, ndr] a collocarsi su un piano ideologico se non idealistico. Si è cioè stabilito un rapporto immediatista con la lotta di classe [= lotta difensiva e rivendicativa] dove la politica rivoluzionaria costituisce esclusivamente un riferimento ideale o tutt'al più un criterio interpretativo senza nessuna ricerca di far assumere alla politica rivoluzionaria il ruolo di direzione consapevole organizzata, dialettica ma finalizzata, della lotta di classe. Rapporto immediatista che vede il piano rivoluzionario come sbocco più o meno meccanico della lotta di classe, risultato della sua estensione come prodotto dell'approfondimento della crisi capitalista.

3. - Il risultato del processo controrivoluzionario e il suo risvolto sul campo proletario in chiave di assunzione di tendenze difensive si sono manifestati anche in opzioni politiche che, nell'oggettiva difficoltà di approfondire il rapporto tra rivoluzione e controrivo-luzione - (approfondimento caratterizzato 1. dall'avanzamento dei termini strategici della Guerra di Classe di Lunga Durata nei paesi del centro imperialista, conquistati mantenendo l'offensiva nelle condizioni della Ritirata Strategica, ma anche 2. dalla discontinuità delle forze e dell'iniziativa rivoluzionaria che implica l'aumento del peso assunto nello scontro dai soggetti rivoluzionari che quindi devono adeguarsi ai nuovi termini del rapporto rivoluzione/controrivoluzione) - hanno assunto le condizioni di agibilità consentite dallo Stato come principio in base a cui ridefinire la strategia rivoluzionaria.[D] Partendo da queste basi, azzerando il rapporto tra forme di dominio dell'imperialismo e strategia rivoluzionaria come unico terreno su cui si può sviluppare la costruzione del Partito e l'organizzazione rivoluzionaria della classe, hanno considerato lo sviluppo della strategia della Lotta Armata per il Comunismo come un incidente di percorso del movimento operaio e hanno assunto come proprio riferimento ideologico la strategia terzinternazionalista dell'insurrezione elaborata dall’Internazionale Comunista [1919-1943].[IC] Queste opzioni politiche hanno azzerato il dato politico che ha visto la ripresa del processo rivoluzionario in Europa nascere dalla critica alla concezione strategica terzinternazionalista dell’insurrezione e alla prospettiva revisionista e riformista in cui, di fronte ai caratteri delle moderne democrazie rappresentative, portava ad impantanare lo scontro rivoluzionario.

[A3.2. Dall’autonomia di classe oggettiva all’autonomia politica di classe]

Nonostante questa condizione di arretramento, l’autonomia del proletariato ha continuato ad esprimersi proprio nell'opposizione di classe alle compatibilità politiche ed economiche imposte attraverso i passi compiuti nella ridefinizione della mediazione politica in chiave neocorporativa.

Nonostante l'acutezza delle contraddizioni prodotte e la crisi del sistema politico-istituzionale, il bilancio dello scontro di classe nella fase attuale conferma che vi è stato un arretramento.

Nel generale e nel particolare dello scontro gli interessi generali del proletariato e la sua contrapposizione complessiva alla borghesia e al suo Stato non costituiscono più, se non episodicamente, il contenuto su cui la classe o settori di essa costruiscono lo scontro. Tale contenuto si esprime implicitamente nei contesti di lotta che si contrappongono offensivamente alla mediazione neocorporativa; ma la latenza degli interessi generali del proletariato, oltre che la condizione che caratterizza i rapporti di forza, costituisce un vincolo alla capacità di catalizzare l'opposizione di classe.

La durata di questo arretramento di fronte all'offensiva della borghesia, si manifesta nella difficoltà ad esprimere una critica di classe all'esistente e nella difficoltà a tradurre questa critica in processi di mobilitazione e di organizzazione che, dalla situazione concreta presente valutata storicamente e dialetticamente, costituiscano avanzamenti possibili nel senso del contributo allo sviluppo di un processo rivoluzionario. Questa difficoltà è nata dal venir meno

1. della prospettiva di potere come orientamento e punto di vista necessario per una critica di classe e per l’opposizione ai rapporti sociali capitalisti,

2. degli strumenti teorico-politici e organizzativi definiti dalla Rivoluzione Sovietica, dalla Rivoluzione Cinese, ecc. e sviluppati dalla Strategia della Lotta Armata per il Comunismo.

Un venir meno non tanto come contenuto ideologico, seppure anch'esso abbia un peso, ma soprattutto come contenuto politico, cioè come patrimonio politico che scaturisce dal collocare tale prospettiva di potere, coscientemente perseguita, nelle condizioni concrete dello scontro attuale.[CC]

La condizione di arretramento è stata indotta dal duplice processo controrivoluzionario [avutosi negli anni ‘80]. Ciò conferma che l'autonomia politica di classe (ovvero la proposta politico-organizzativa di sviluppo del processo rivoluzionario che riflette l'istanza di autonomia di classe oggettiva, generata dalla contraddizione antagonista tra borghesia e proletariato), è un prodotto essenzialmente politico e non il meccanico e spontaneo sviluppo della lotta di classe, anche quando l'acutezza delle contraddizioni di classe è estrema.[A]

Lo Stato borghese ha ben compreso questo nesso e ha posto come principale obiettivo della sua azione di controrivo-luzione preventiva la neutralizzazione (attraverso l'istituzionalizzazione, il rifor-mismo o l'annientamento) degli aspetti che, nelle varie congiunture, trasformano l'opposizione di classe in lotta politica e costituiscono una prospettiva di trasformare l’opposizione in potere.

[A3.3. Iniziativa politico-programmatica e costruzione organizzativa]

Il carattere politico dell'avanzamento verso la costruzione dell'OCC che agisce da Partito per costruire il Partito consiste nella capacità di far esistere stabilmente nello scontro di classe i due aspetti attualmente mancanti: 1. una posizione che rappresenti nello scontro gli interessi generali della classe e 2. una prospettiva di potere nei limiti delle condizioni di fase.

Si tratta quindi di continuare a operare, in termini di iniziativa politico-programmatica e di costruzione organizzativa, al livello più avanzato di definizione della strategia rivoluzionaria, costruendo nello scontro di classe tutti gli elementi di un progetto e di una pratica rivoluzionari, considerando l’organizzazione come ciò che deve costruirsi e formarsi sviluppando lo scontro di classe su tutti i piani.[CC]

Rispetto allo scontro di classe in generale, si tratta di definire e collocare l'interesse generale e autonomo del proletariato come classe in riferimento alle contraddizioni generali, politiche e materiali, prodotte dalla crisi della borghesia e dalla sua azione offensiva espressa dallo Stato per scaricare sul proletariato il costo di questa crisi. Si tratta di affermare nello scontro, di costruire il dato politico per cui solo se si assume l'interesse generale e autonomo del proletariato come punto di vista, contenuto e pratica conseguente, su cui impostare un rapporto di scontro anche particolare, è possibile sottrarsi all'offensiva della borghesia e alla sua crisi e alla subordinazione in cui si cade se si assume l'interesse particolare come piano su cui si affrontano le contraddizioni di classe.

L'interesse particolare è infatti il piano che la borghesia, a partire da rapporti di forza a lei favorevoli, impone al proletariato. È proprio l’accettazione di questo piano ciò che segna il passaggio dalla vecchia mediazione politica ereditata dalla storia alla mediazione politica neocorporativa. L'assunzione offensiva dell'interesse generale e autonomo del proletariato, non come somma di interessi particolari ma come contenuto di ogni scontro particolare, è la condizione per sottrarsi a un rapporto di forza sfavorevole e muoversi anche nella condizione di difensiva della classe.[M]

Rispetto allo scontro rivoluzionario, si tratta di collocare nello scontro di classe, in termini di attacco e di costruzione, come costruzione/formazione, tutti quegli elementi del patrimonio comunista, di proposta politico-strategica e di linea come sviluppo di tale patrimonio in questa fase, che consentono di sviluppare una prospettiva di potere, definendoli in relazione alle condizioni di fase, cioè: di difensiva della classe, di Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie e di Ritirata Strategica.

[A4. Elementi del patrimonio comunista]

Questi elementi del patrimonio comunista vanno

1. - Dal carattere dell'autonomia politica della classe non come dato che si produce e riproduce spontaneamente nella lotta di classe ma come prodotto dell'inserimento nello scontro di un’attività che ha come obiettivo l'affermazione degli interessi generali e storici del proletariato.[A]

2. - Al ruolo della strategia rivoluzionaria e alla sua definizione in riferimento alle attuali forme di dominio dell'imperialismo e cioè principalmente ai caratteri delle moderne democrazie rappresentative che costituiscono l'affinamento e l'assestamento del carattere controrivoluzionario dello Stato, che attraverso un complesso reticolo di filtri e passaggi convoglia e struttura alla legittimazione e al rafforzamento dello Stato stesso ogni attività prettamente politica, svuotandola dei suoi caratteri antagonisti e rivoluzionari. Lo Stato, soprattutto, assume come qualificazione permanente della propria attività politica la mediazione degli interessi sociali particolari, storicamente e congiunturalmente selezionabili, subordinandoli agli interessi generali della frazione di borghesia dominante, in funzione controrivoluzionaria, cioè tale da prevenire e impedire il coagularsi e l'organizzarsi del proletariato per l'affermazione dei propri interessi generali di classe. A ciò si intreccia una vera e propria politica controrivoluzionaria preventiva, intenzionalmente e specificamente perseguita, che non consiste semplicemente in un'azione repressiva, ma connette strutturalmente questa a un'azione politica nei confronti delle contraddizioni di classe, rivolta a prevenire che si sviluppino in direzione della loro politicizzazione e traduzione in organizzazione del proletariato sul terreno rivoluzionario.

Oltre che in riferimento ai caratteri delle moderne democrazie rappresentative, la strategia rivoluzionaria si definisce in rapporto alle forme di dominio storiche entro le quali gli Stati espletano le loro funzioni di dominio sul piano internazionale. Esse, nella nostra area geo-politica, fanno perno sull'Alleanza Atlantica e sull'integrazione politico-militare nella NATO e sui processi di coesione europea.

Tali riferimenti alle attuali forme di dominio dell'imperialismo determinano fin da subito i caratteri 1. della costruzione del Partito come Partito Comunista Combattente, 2. dell'organizzazione della classe sul terreno rivoluzionario nell'unità del politico e del militare; definiscono 1. la centralità del Fronte Antimperialista Combattente per la costruzione di alleanze politiche che operino all'indebolimento dell'imperialismo nella nostra area, 2. gli assi e i caratteri dell'iniziativa politico-programmatica in quanto contenuto strategico che consente di sviluppare un processo, che costruisca, seppur nella sua non linearità, una prospettiva di potere.

3. - Al ruolo dei principi teorici che consentono di sviluppare un’attività politica che si costruisce nel corso di un processo che si dà nella dinamica pratica/teoria/pratica, rapportandosi a condizioni storiche di fase prodotto degli esiti delle fasi precedenti, a partire da cui definire i passaggi che permettono di avanzare.

4. - Al ruolo dell'avanguardia rispetto alla classe e all'inscindibilità di questo ruolo rispetto alla classe da quello che l’avanguardia concretamente esercita sul piano politico della contraddizione Classe/Stato.

5. - Agli elementi politico-organizzativi che consentono all’organizzazione di operare come un corpo unico.

Il saldo riferimento al patrimonio comunista in generale, e in particolare a quello prodotto dalle BR-PCC per dirigere lo scontro rivoluzionario nel paese e alle sue discriminanti teorico-strategiche, è ciò che guida le avanguardie rivoluzionarie nell'assunzione di ruolo politico nello scontro, nell'avviare un processo sia di ripresa dell'iniziativa rivoluzionaria sia di aggregazione e selezione in essa dei termini della Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie.

[A4.1. Le discriminanti teorico-strategiche]

a). Tra queste discriminanti teorico-strategiche si colloca innanzitutto la valenza politica della Strategia della Lotta Armata, come modo in cui si rende praticabile un processo rivoluzionario in riferimento alle attuali forme di dominio dell'imperialismo e si materializza lo sviluppo della Guerra di Classe di Lunga Durata contro lo Stato, processo in cui l'avanguardia politico-militare si pone come direzione e organizza fin da subito i settori rivoluzionari di classe che si dialettizzano e si dispongono sul terreno della lotta armata.[GCLD]

La conduzione della guerra rivoluzionaria adotta termini che sono interni alla fase in corso, che oggi è quella della Ritirata Strategica. Essi hanno come obiettivo lo sviluppo di successivi livelli di ricostruzione, unificazione e direzione delle forze proletarie sul terreno rivoluzionario, fintanto che non abbiano maturato l'assestamento necessario per superare le posizioni di relativa debolezza nel complesso dei rapporti di forza tra le classi.

b). Da ciò deriva l'assumere il principio dell'unità del politico e del militare che agisce come una matrice nel processo rivoluzionario: dai meccanismi che permettono ad una forza rivoluzionaria di essere tale, al suo modo di sviluppare attività rivoluzionaria, al processo rivoluzionario nel suo complesso.

Adottare il principio dell'unità del politico e del militare nei paesi del centro imperialista fa assumere alla lotta armata la forma della Guerriglia che

- svolge la funzione di direzione dello scontro di classe, affrontando contemporaneamente e globalmente i principali piani del processo rivoluzionario,

- è volta a disporre e strutturare le forze sul terreno strategico della lotta armata per sostenere il livello di scontro dato e ai fini della fase rivoluzionaria.

Ma innanzitutto l'operare della Guerriglia, nella dinamica Attacco-Costruzione-Attacco, momenti tra i quali vi è interdipendenza e interrelazione, è teso a lacerare il piano degli equilibri politici tra Classe e Stato e a costruire le condizioni materiali per un equilibrio politico e di forza favorevole al campo proletario, cosa che si può raggiungere solo intervenendo con l'attacco sul punto più alto dello scontro. Ciò perché un processo rivoluzionario non è la risposta agli attacchi della borghesia alle condizioni politiche e materiali della classe (non è quindi un atto difensivo), anche se nel suo sviluppo conosce fasi di resistenza più o meno prolungate, ma è nella sua sostanza un processo di attacco per affermare gli interessi generali del proletariato.

c). Per quanto riguarda il Partito, questo si qualifica come Partito Comunista Combattente. Il riferimento centrale è all'unità del politico e del militare. Ciò mette in risalto che il problema del Partito è la costruzione-preparazione delle condizioni della guerra di classe: una direzione politica e strutture organizzative adeguate a sostenere lo scontro, a rilanciarlo e ad approfondirlo, assolvendo alle necessità e ai compiti dettati dalla congiuntura politica che scaturiscono dalla contraddizione dominante che oppone la classe allo Stato, disponendo e organizzando le forze attivabili intorno ai compiti imposti dalla fase rivoluzionaria. Questi compiti in generale dipendono dai rapporti di forza tra le classi, dagli equilibri tra imperialismo e antimperialismo, dalle forze proletarie: in ultima istanza da un determinato passaggio dello scontro tra rivoluzione e controrivoluzione. In questo riferimento più generale la costruzione del Partito è un processo risultante dall'agire dell'OCC da Partito per costruire il Partito e dal prodursi delle condizioni necessarie e sufficienti a qualificare e configurare il Partito Comunista Combattente come tale [direzione politica e strutture organizzative].

d). Per quanto riguarda il rapporto Partito/masse, esso non viene concepito in altro modo che come costruzione/organizzazione sul terreno della lotta armata di quelle componenti proletarie che esprimono autonomia di classe; il terreno è calibrato, quanto alle forme e ai modi, alle fasi rivoluzionarie che si attraversano, ma è sempre fin da subito caratterizzato dall'unità del politico e del militare.

e). Per quanto riguarda il programma politico, il piano della contraddizione Classe/Stato è il principale terreno programmatico su cui si costruisce l'organizzazione di classe che conduce la lotta armata; con l'attacco al cuore dello Stato, al suo progetto politico centrale di congiuntura in congiuntura e non semplicisticamente al suo apparato centrale, le BR-PCC hanno riproposto la centralità che ha, per i comunisti, la questione dello Stato.[C]

L'attacco al cuore dello Stato, poi, si ripercuote come effetto su tutto l'arco dei rapporti fra le classi fino al piano capitale/lavoro. È una dinamica di intervento che apre uno spazio politico; esso può e deve essere sfruttato per la costruzione di organizzazioni di classe sul terreno della lotta armata, calibrato nelle forme e nei modi alla fase di scontro e ai rapporti di forza generali. I vantaggi momentanei derivanti dall'attacco operato vanno tradotti in organizzazione perché lo scontro rivoluzionario diretto dalla Guerriglia nelle metropoli imperialiste non può costruire "basi rosse" stabili, non può avere retroterra logistico. Lo scontro rivoluzionario nei centri imperialisti è una guerra senza fronti, dove l'attività controrivoluzionaria dello Stato si dispiega contro l'intero campo proletario (Guerriglia, movimento rivoluzionario, classe); dove il processo rivoluzionario avanza in una condizione di accerchiamento strategico, almeno fino alla fase finale del processo rivoluzionario. Per questo la Guerriglia nella metropoli è impostata sui principi di clandestinità e compartimentazione, cioè li adotta conseguentemente come criteri di organizzazione e mobilitazione.

[A4.2. Lo Stato e il cuore dello Stato]

La centralità della questione dello Stato, per i comunisti, deriva dall'essere il piano politico il rapporto fondamentale su cui si determinano i rapporti di forza generali tra le classi.

Le avanguardie rivoluzionarie possono concepire ed articolare la Strategia della Lotta Armata in funzione delle forme di dominio dell'imperialismo e possono concepire e articolare il programma della Lotta Armata in qualsiasi fase si trovi lo scontro di classe solo se rimettono al centro della loro concezione un criterio-guida del marxismo-leninismo. Secondo questo criterio lo Stato è contemporaneamente 1. rappresentante dell'interesse generale della classe dominante, 2. mediatore dello scontro inconciliabile tra le classi. In ciò sta anche il fondamento del suo duplice ruolo: 1. organo politico-istituzionale del dominio della borghesia, sede del suo potere e suo soggetto politico, 2. ordinamento dei rapporti politici e sociali.

Lo Stato, infatti, non viene concepito solo come un insieme di apparati, cioè solo sotto il suo profilo meccanico-oggettivo, ma essenzialmente sotto un duplice profilo: 1. quello politico, di organo di dominio della borghesia e 2. quello giuridico-formale, di ordinamento politico-giuridico. Esso viene cioè concepito sia secondo la sua sostanza soggettiva sia secondo la sua sostanza oggettiva.

Perciò l'analisi dello scontro e l'intervento rivoluzionario sono tesi a individuare gli equilibri politici generali che permettono l'attuazione dei programmi congiunturali, allo scopo di scardinarli e renderne ingovernabili le contraddizioni, secondo il criterio che l’essenziale è identificare, all'interno della contraddizione dominante [che è la contraddizione Classe/Stato], il progetto politico centrale della BI [centralità], per lacerarlo adottando il criterio di selezione che individua il personale politico che assume una funzione chiave nell’equilibrio delle forze che sostengono tale progetto [selezione] e dimensionare l'attacco alla condizione delle forze proletarie e rivoluzionarie, nel paese e negli equilibri internazionali [calibratura].

I rapporti sociali e politici sono regolati nel corpo legislativo-istituzionale (aspetto giuridico-formale della natura dello Stato), attraverso l'azione soggettiva dello Stato che traduce, sanziona e rilancia (in norme e istituti imposti a tutta la società) gli esiti dello scontro sociale che di volta in volta si determinano, riferendosi alla mediazione politica ereditata dalla storia e usando la capacità cogente e sanzionatoria data dal monopolio della forza.[ME] Quindi l'intervento volto a scardinare l’equilibrio politico dominante [EPD] colpendo l'azione soggettiva dello Stato nei nodi centrali della contraddizione Classe/Stato, va a incidere sulle concrete possibilità di governare le contraddizioni in quanto inserisce, attraverso l'uso della forza, il dato politico degli interessi generali della classe operaia nel quadro generale dei rapporti di forza e politici tra le classi e quindi impedisce che questi rapporti di forza vengano linearmente tradotti nel corpo legislativo-istituzionale in senso antiproletario e diventino termine a cui devono riferirsi lo scontro successivo e le posizioni delle classi che in questo scontro sono antagoniste.

Questo è il modo attuale e prospettico di "spezzare la macchina statale", innescando una concreta dialettica politica tra proposta comunista [dell’avanguardia] e autonomia di classe. Questi elementi di concezione dello Stato a cui si riferisce la Strategia della Lotta Armata consentono anche di comprendere la funzione che la Lotta Armata può svolgere anche in una fase difensiva per il campo proletario. Riferendosi alla funzione dello Stato nella sua duplice natura di organo politico della dittatura della borghesia [natura soggettiva dello Stato] e ordinamento politico-giuridico di una società divisa in classi antagoniste che incorpora i dati storici sia dello scontro di classe che delle trasformazioni strutturali [natura oggettiva dello Stato], l'intervento combattente con l’offensiva può concretamente incidere, ottenendone vantaggio politico, laddove si realizza l'iniziativa che costruisce l'equilibrio politico dominante [EPD] che consente di sanzionare i vantaggi e gli avanzamenti ottenuti dalla borghesia e dallo Stato nello scontro di classe. Vantaggi e svantaggi, avanzamenti e arretramenti non costituiscono solo elementi della storia dello scontro di classe, ma vengono incorporati nell'ordinamento politico-giuridico. Essi vanno a costituire fattori della nuova base di partenza, parte di un nuovo quadro a cui deve riferirsi lo scontro di classe, in cui la forza e il peso politico delle classi e delle loro frazioni, per come sono nella mediazione politica storicamente data,[MES] si strutturano in dato di carattere generale che incide su tutta la società. In esso si riflette anche il dato dell'intervento rivoluzionario. Perciò anche in una condizione di difensiva del proletariato, come quella attuale, l'attacco al cuore dello Stato consente 1. di contrapporsi ai vincoli politico-concreti che spingono il proletariato in una posizione di svantaggio politico e che oggi sono costituiti dalla costruzione dei termini complessivi di una mediazione politica neocorporativa e 2. di condizionare i processi dello scontro di classe.

Potendo svolgere questa funzione, la Strategia della Lotta Armata nelle moderne democrazie rappresentative dei paesi del centro imperialista è l'unica base da cui può essere rilanciato il progetto comunista anche quando il rapporto di forza è sfavorevole per il proletariato e da cui può essere perseguito l’obiettivo dell’estinzione della società divisa in classi attraverso la tappa della conquista del potere politico e della dittatura del proletariato. Quindi la Strategia della Lotta Armata è anche irrinunciabile ai fini 1. di sottrarsi all'offensiva complessiva che la borghesia ha lanciato contro il proletariato e 2. di costruire rapporti di forza più favorevoli al proletariato.

La tappa della conquista del potere politico e della dittatura del proletariato è storicamente necessaria, perché il dominio della borghesia tuttora e sempre ha un carattere politico bene e irrinunciabilmente radicato nel ruolo che la proprietà privata svolge nell'ordinamento politico-giuridico; perché i rapporti tra proletariato e borghesia tuttora e sempre hanno carattere antagonista in quanto questo carattere è indissolu-bilmente connesso al ruolo sociale (di forza-lavoro e di capitale) che viene sostenuto nella produzione e nella società e non alla funzione sociale [sic!], né tantomeno alla forma giuridica in cui questa viene svolta, né alle condizioni materiali di vita; perché un ordinamento politico-giuridico è caratterizzato dal potere di imporre e di punire che nasce dal monopolio della forza da parte dello Stato.

Perciò la dittatura del proletariato non è da confondere, com'è usuale e strumentale fare, con una forma più o meno democratica del processo di decisione politica. Deve essere concepita nel suo senso reale, cioè come la sostanza dei rapporti di potere tra le classi e quindi come la sostanza delle corrispondenti centralità di interessi nei rapporti sociali. Perciò la conquista del potere politico è obiettivo di un processo rivoluzionario e condizione di fondo imprescindibile per la costruzione della società comunista. Solo attraverso l'esercizio del potere statale gli interessi generali di una classe possono essere garantiti e tutelati, a maggior ragione se questa classe è il proletariato che non è portatore, nella storia dell'umanità, di una forma di proprietà privata su cui si erige un modo di produzione che compete con quello che lo ha preceduto storicamente.

In sintesi la Strategia della Lotta Armata è l’unica base di rilancio del progetto comunista in quanto 1. permette concretamente di far pesare, qui e ora, nello scontro, gli interessi generali della classe e di usare la forza per aprire e a far avanzare la prospettiva rivoluzionaria e 2. è termine imprescindibile della ricostruzione di condizioni politiche e di forza favorevoli al campo proletario.

L'attività della Guerriglia può avere un riflesso positivo sulle condizioni di vita immediate della classe, come l’ha avuto negli anni precedenti; tuttavia non è questo il criterio che guida la sua iniziativa politico-militare. Lo scopo che essa si prefigge è quello di incidere sui rapporti di forza generali tra le classi, 1. per lavorare alla costruzione del Partito Comunista Combattente, 2. per affermare la prospettiva del potere, espressione degli interessi generali del proletariato, 3. per favorire con ciò lo sviluppo dell'autonomia di classe. Queste condizioni sono termini concreti per il rafforzamento delle posizioni del proletariato nello scontro con la borghesia e conseguentemente incidono positivamente anche nelle condizioni immediate della classe, in quanto è solo sul piano politico che la classe può stabilire un rapporto di forza generale.

Perciò la proposta politica delle BR-PCC si concretizza in due aspetti:

1. da un lato organizzare le avanguardie più coscienti intorno alla propria strategia politica [Lotta Armata per il Comunismo];

2. dall'altro costituire l'elemento di riferimento, di spinta e di coagulo per le istanze più mature della lotta di classe rapportandosi ad esse con il programma politico [Lotta Armata per il Comunismo e Fronte Combattente Antimperialista].

[B. Il Fronte Combattente Antimperialista]

L'altro asse su cui le BR-PCC intendono sviluppare il proprio programma politico è la contraddizione imperia-lismo/antimperialismo al fine di indebolire e ridimensionare il dominio imperialista. Esse si propongono di costruire con le forze rivoluzionarie e antimperialiste che operano nell'area Europea-Mediterranea-Mediorientale of-fensive comuni contro le politiche centrali dell’imperialismo. Perciò le BR-PCC pongono al centro del proprio progetto politico la promozione e la costruzione del Fronte Combattente Antimperialista. La ricerca di unità politico-militare tra forze antimperialiste dell'area nell’ambito del FCA deve mirare a costruire le alleanze politiche necessarie per indebolire il dominio imperialista, a partire 1. dalle differenze storico-strutturali della lotta di classe delle singole formazioni economico-sociali, dentro cui si collocano e maturano le esperienze e le forze rivoluzionarie e antimperialiste, ma anche 2. dal ruolo unico e unitario che svolgono gli Stati dominanti della catena imperialista.

Concepire la necessità politica di costruire un Fronte Combattente Antimperialista non significa escludere la ricostruzione di un'Internazionale Comunista, ma significa 1. non trascurare di attivare tutte le forze disponibili contro il nemico imperialista al di là delle differenze tra tappe rivoluzionarie e tra concezioni che supportano le forze antimperialiste e 2. costruire una condizione favorevole al perseguimento anche dell'obiettivo dell'Internazionale Comunista che presuppone nelle forze che ne fanno parte un'unità superiore nei caratteri di classe, nei fini e nelle concezioni.

Promuovere la costruzione del FCA implica porre al centro dell'offensiva combattente il rapporto organico tra il ruolo della NATO, come alleanza politico-militare degli Stati dominanti della catena imperialista guidata dal polo USA e il ruolo della UE, quale progetto politico centrale dell'imperialismo nella nostra area geo-politica che affianca la NATO 1. nell'azione di penetrazione e assoggettamento dei paesi del Mediterraneo, del Medio Oriente e dell'Est europeo, 2. nella costruzione delle condizioni dell'approfondimento della tendenza alla guerra.

È un asse di combattimento che deve avanzare sempre in modo complementare allo sviluppo dell'iniziativa combattente nei nodi centrali che oppongono la classe al proprio Stato perché è sul piano Classe/Stato che si scioglie il nodo del potere che qualifica la tappa rivoluzionaria.

[C. La costruzione dell’orga-nizzazione e dei suoi militanti]

[C1. La costruzione di una OCC]

In relazione alle peculiarità legate alla contraddizione costruzione/formazione, lo stadio aggregativo in cui si trova la Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie, costituisce il nodo con cui deve fare i conti lo sviluppo del processo di costruzione di un'Organizzazione Comunista Combattente. In questo quadro il rilancio dell'iniziativa politica offensiva nei nodi centrali che opponevano Classe e Stato e Imperialismo e Antimperialismo, operato dagli NCC, ha costituito un'espressione di progetto, di linea politica e di linea politico-organizzativa definiti in base alla comprensione politica dei nodi centrali dello scontro e della fase strategica.

L'avanzamento da un fisiologico stadio aggregativo iniziale verso la costruzione di una forza rivoluzionaria che punta a qualificarsi come OCC che agisce da Partito per costruire il Partito, necessariamente deve fare i conti con il problema della riproduzione di forze militanti complessive che esercitino un'azione politico-operativa e organizzativa d'avanguardia. Quindi la dinamica che dall'attacco costruisce aggregazione e forza per esprimere un livello più avanzato di capacità offensiva politicamente e militarmente intesa, è strettamente connessa ad un processo di costruzione/formazione di ruoli militanti complessivi che permettano materialmente di realizzare ulteriore costruzione.

L’articolazione della riproduzione di tali ruoli è a sua volta strettamente connessa con l'espressione della forza complessiva dell'organizzazione, che è data dalla costruzione delle condizioni e delle conoscenze necessarie per un movimento unitario e unico, pur nella diversità, delle forze organizzate sul terreno dell'attività politico-programmatica ed in particolare nella costruzione dell'offensiva. Un movimento che concerne la costruzione delle condizioni e degli strumenti per lo sviluppo di una dinamica di centralizzazione-decentralizzazione.

La concezione in cui essa inquadra lo sviluppo del processo rivoluzionario determinano il ruolo dell'avanguardia nella direzione e nell’organizzazione del proletariato sul terreno rivoluzionario, in uno scontro finalizzato all'instaurazione della dittatura del proletariato come prima tappa del processo verso il comunismo. Nei termini strategici di riferimento il processo comporta fin da subito l'unità del politico e del militare. Costruire una forza rivoluzionaria significa quindi costruire una forza che, nel complesso ma anche in generale, cioè in ogni militante, possa riprodurre il ruolo di organizzazione e di direzione della classe sul terreno rivoluzionario. Si tratta quindi di costruire-formare 1. le avanguardie nella loro caratterizzazione complessiva politico-militare e 2. il loro movimento centralizzato e decentralizzato.

Questo processo trova nel rapporto tra responsabilizzazione complessiva e impiego operativo la leva della costruzione/formazione delle forze e dello sviluppo dell'autonomia politico-operativa che si possono produrre nel concreto esercizio della responsabilità politica nel lavoro rivoluzionario in termini di "conduzione", ossia di esecuzione dell'attività nel quadro di una impostazione complessiva e collocandola nella dimensione organizzata.

Questo processo di costruzione si confronta con l’obiettivo centrale della fase, cioè con la Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie andando a definire linee di costruzione e di mobilitazione delle forze sul piano politico-programmatico, a partire dal dato che 1. le forze non sono già formate né organizzate e 2. i proletari, in questa fase, anche quando si dialettizzano in termini di militanza organizzata con il piano rivoluzionario, mediamente riproducono una tendenza allo spontaneismo intendendo con ciò tutto quello che si produce al di fuori di una attività finalizzata e funzionale allo sviluppo del progetto rivoluzionario.

[C2. Lo spontaneismo]

1. - Alla tendenza spontaneista appartiene la tendenza all'approccio ideologico, che concepisce il rapporto con la militanza rivoluzionaria come adesione. Questo rapporto consiste nel riconoscersi in un patrimonio e schierarsi prendendo posizione nello scontro e rendendosi disponibile ad essere attivato, ma non stabilire un rapporto politico con tale patrimonio. Per rapporto politico con il patrimonio si intende che ci si pone il problema di come operare soggettivamente per collocare e riarticolare questo patrimonio, quindi svilupparlo in riferimento al problema di definire come agire in modo che, a partire dalle contraddizioni oggettive e materiali presenti, che hanno sempre un inquadramento sul piano storico-politico ed economico-sociale, si possa operare per avanzare verso gli obiettivi rivoluzionari, utilizzando a questo fine il patrimonio complessivo, stabilendo con esso un rapporto di continuità/critica/sviluppo. L'approccio ideologico vede l'ideologia come ciò che fa avanzare verso gli obiettivi politico-generali. Non vede il ruolo dell’ideologia come concezione che indirizza l’attività nell'immediato e nel concreto. Non vede il ruolo dell’attività nell’approfondire il rapporto politico con la concezione e nello svilupparla. L'ideologismo porta a non vedere che l'avanzamento nell’attività e nella comprensione della concezione si produce solo se, a mettere in rapporto questi due piani, c'è il soggetto che 1. opera nello scontro e 2. dando soluzione al problema dell'operare funzionalmente all'avanzamento del processo rivoluzionario approfondisce la comprensione e sviluppa la concezione stessa.

È contrario alla concezione materialista pensare che la soluzione del problema [della formazione del militante] si compia sul piano della formazione ideologica, per operare, poi, successivamente, nello scontro. Non sviluppando un ruolo soggettivo nella realtà dello scontro, la comprensione sul piano ideologico è fittizia, diventa cioè idealista e sfocia in posizioni opportuniste o massimaliste e non risolve il problema politico di dare sviluppo al processo rivoluzionario.

2. - Limiti connessi allo spontaneismo sono anche quelli

- dell'esecutivismo che, non essendo espressione di una posizione complessiva d'avanguardia, ma di una dipendenza politico-operativa, caratterizza un contributo all’attività rivoluzionaria sganciato dall'inquadramento politico-operativo più generale dei problemi che vengono affrontati e delle finalità perseguite;

- del genericismo, causa ed effetto di una posizione di adesione che non si misura con il dettaglio dei problemi concreti assunti soggettivamente, ma si misura con i problemi di discriminazione di una posizione di schieramento o interpretativa;

- dell'immediatismo, cioè l'attenzione rivolta esclusivamente all'aspetto specifico del problema o dell'attività a cui si vuole dare soluzione, ad una necessità particolare di cui si vede l’importanza ai fini dell'avanzamento dell’attività rivoluzionaria; nonostante il volontarismo e l'abnegazione rivoluzionaria, questo limite 1. può portare all'inefficacia nell'attività, perché essa non è inquadrata in un progetto e in uno scontro politico-militare, 2. può portare anche a difficoltà a fare di questa attività un'occasione di avanzamento nella costruzione soggettiva e dell'impianto teorico atti ad impostare un’attività più avanzata, 3. può in alternativa portare a difficoltà a confrontarsi con problemi nuovi e complessi che, se non affrontati e in assenza di un'impostazione che sappia riarticolare scelte funzionali al progetto rivoluzionario, di fronte a novità e complessità particolari possono mettere in crisi.

3. - Un ulteriore aspetto in cui si manifesta lo spontaneismo è la difficoltà a operare in una dimensione organizzata che si differenzia dall'organizzazione del proletariato sul piano rivendicativo (anche quando questa rivendicazione assume un carattere offensivo). La dimensione organizzativa determina l’agire del militante in quanto la sua attività deve mirare a produrre un movimento unitario e unico nella diversità, di avanzamento rispetto ad obiettivi strategici congiunturali e secondo una linea che costituisce sintesi tra fine e mezzo. La dimensione organizzativa risponde quindi a leggi e problematiche proprie dell'operare collettivo su questo piano e influenzate dai termini di strategia politica, di collocazione di classe, di condizioni storiche: fattori questi che trovano sempre il modo di affermarsi come aspetti concreti e materiali.

4. - Dallo spontaneismo, infine, può dipendere anche la difficoltà ad adeguarsi ai caratteri particolari dell'operare sul terreno della Guerra di Classe di Lunga Durata, che è un piano assunto soggettivamente e offensivamente come unica prospettiva per dare sbocco rivoluzionario alle contraddizioni di classe, i cui caratteri, in questa fase, non sono il prodotto spontaneo dello scontro sociale o della vita civile. Anche quei caratteri di offensività proletaria che possono prodursi spontaneamente sul piano dello scontro di classe sono inadeguati rispetto a un’attività che colloca l'agire offensivo sul piano degli interessi generali e storici del proletariato in una dimensione storicamente continua, scientifica e organizzata.

Il rapporto con le necessità imposte dall'operare in modo offensivo nello scontro e l'essere inseriti in una relazione organizzata che mette tra loro in relazione istanze superiori e inferiori, mettono immediatamente in luce che lo spontaneismo è incompatibile con l’attività rivoluzionaria.

Il confronto tra gli obietti generali che si perseguono, rappresentati concretamente dagli obiettivi programmatici da realizzare, i problemi dell’attività, la dimensione organizzata, nel momento in cui si opera un riadeguamento rispetto alle modalità spontanee con cui si è operato e si analizza teoricamente il limite che causa inefficacia, produce necessariamente un approfondimento nella responsabilizzazione complessiva e negli strumenti conoscitivi necessari per sostanziare l'autonomia politico-operativa.

Queste tematiche e contraddizioni trovano in generale spazio significativo nel dibattito delle forze organizzate impegnate in processi rivoluzionari finalizzati all'instaurazione della dittatura rivoluzionaria del proletariato, in particolar modo nella fase di costruzione del partito. Ciò è determinato dal carattere sociale e politico della rivoluzione proletaria, dai termini che informano il ruolo dell'avanguardia comunista nello scontro, dalla concezione comunista di tale ruolo e del rapporto avanguardia/masse. La concezione comunista è legata alla tesi che la coscienza rivoluzionaria viene portata alla classe dall'esterno, un esterno che però politicamente non va inteso come riferito né al ruolo degli intellettuali né ad un ruolo didattico del partito, ma va riferito al collocarsi dell'operato rivoluzionario sul piano politico dello scontro generale tra le classi, o, in esso, all'approfondimento della contraddizione antagonista tra proletariato e borghesia attraverso la contrapposizione, nella lotta per il potere, degli interessi generali e storici delle due classi antagoniste. L'avanguardia rivoluzionaria svolge un ruolo imprescindibile nello scontro rivoluzionario se e perché opera in funzione dell'affermazione dell'interesse generale e storico della classe. Un operare che si sviluppa per linee interne alle masse, ma che è un piano esterno rispetto alle contraddizioni sociali capitaliste particolari e congiunturali, è appunto il piano generale e storico.

Questa concezione, riportata sul piano dell'organizzazione comunista da costruire, concepisce il Partito come Partito di quadri.

Da questo si ricava che il superamento dei caratteri spontaneisti presenti nei proletari è un problema generale, da affrontare programmaticamente nella costruzione del Partito e dell'OCC che agisce da Partito per costruire il Partito. Si capisce quindi

1. che le tendenze all'esecutivismo, all'immediatismo, al genericismo, all'ideologismo sono forme di spontaneismo che ostacolano la costruzione di una forza rivoluzionaria e quindi sono contrarie al progetto e agli obiettivi in cui ci si riconosce (anche se questo riconoscimento è dato con tutta l'onestà rivoluzionaria possibile);

2. che la lotta contro tali tendenze, condotta non ideologicamente ma per l'affermazione di soluzioni concrete funzionali all'avanzamento dell’attività rivoluzionaria, è un fattore del processo di selezione che distingue il ruolo dell'avanguardia comunista e della ricostruzione degli strumenti per attrezzarne l'esercizio dal complesso dei ruoli e delle condizioni che vanno ricostruiti nella fase della Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie.

[C3. La Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie]

Se queste tematiche hanno spazio in genere nel dibattito dei comunisti, in questa fase esse assumono problematicità e caratteri particolari. La fase attuale, infatti, è caratterizzata dal compito chiave della Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie, caratterizzato dalla contraddizione costruzione/forma-zione e dal permanere di una tendenza alla depoliticizzazione legata 1. al processo contro-rivoluzionario, 2. alle conseguenze dell’attività offensiva dello Stato rispetto al governo delle contraddizioni sociali, 3. alla ridefinizione della mediazione politica e alla messa in opera di una politica neocorporativa per rendere governabile il paese in modo che, pur in un contesto critico, lo Stato possa assumere un ruolo politico-militare sul piano internazionale.

La discontinuità dell'intervento rivoluzionario capace di incidere al livello più alto dello scontro è un fattore concreto di queste contraddizioni.[D]

I militanti rivoluzionari che hanno operato negli NCC hanno affrontato la Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie 1. esercitando un ruolo d'avanguardia rispetto al nodo politico generale dello scontro rivoluzionario, 2. dando una prima soluzione al problema della discontinuità attraverso il rilancio dell'iniziativa politica offensiva nei nodi politici centrali dello scontro di classe, 3. misurandosi con il problema di estendere e approfondire la costruzione nell'ini-ziativa rivoluzionaria corrispondente all'aggregazione di forze ottenuta. Avanzare, necessariamente significa trasformare l'attacco in costruzione per operare in vista di un nuovo attacco nel quadro di gestione del complesso di aspetti prodotti con il proprio operato.

La costruzione di una OCC attraverso l'esercizio di un ruolo complessivo d'avanguardia nello scontro è in rapporto con il problema di costruire/formare avanguardie politico-militari, a partire dallo sviluppo dell'autonomia politico-operativa e della responsabilizzazione complessiva come strumenti per avanzare verso l'agire da Partito per costruire il Partito.

Un processo in cui 1. l'assegnazione, l'assunzione e la gestione dell'attività in termini di direzione-conduzione è collocare lo sviluppo dell'autonomia politico-operativa e la responsabiliz-zazione complessiva nel quadro della dimensione organizzata del lavoro rivoluzionario e 2. il metodo politico-organizzativo è il mezzo per l'assunzione di iniziativa nella proposta e nell'attività, rispetto ai problemi generali e particolari dell’attività rivoluzionaria.

Questo metodo di conduzione dell'attività a tutti i livelli (cioè di esecuzione di ogni attività progettata) è uno strumento politico-organizzativo che, a prescindere dal livello di competenza, consente di affrontare l’attività in modo politicamente efficace. Esso consiste in quell'impostazione e in quelle pratiche che connettono i compiti parziali ad una responsabilità progettuale, intendendo con ciò il progetto politico dell’organiz-zazione come fattore che definisce gli obiettivi rivoluzionari tenendo conto sia delle caratteristiche dei soggetti sia della realtà sociale storica. Questo metodo

1. parte dalla definizione del nodo politico-organizzativo a cui dare soluzione;

2. procede con l'individuazione di un'attività idonea allo scopo;

3. definisce preventivamente gli elementi costitutivi di ogni attività (politici, tecnici, operativi);

4. individua le caratteristiche problematiche di un lavoro in riferimento alle finalità complessive;

5. gestisce i tempi subordinandosi alle esigenze della centralizzazione;

6. procede fino alla conduzione dell'esecuzione;

7. fa il bilancio tecnico e politico dei risultati ottenuti;

8. si conclude con la centralizzazione del patrimonio d'esperienza realizzato.

Quando non può avvalersi di un patrimonio teorico-pratico già sviluppato, questo metodo si affida alla sperimentazione pratica, cioè a una attività svolta mantenendo un approccio di ricerca rispetto ai nodi problematici da sciogliere; rispetto a questi si cercano elementi oggettivi atti a darne una definizione teorica che possa sviluppare un'esecuzione il più efficace possibile. Questo metodo è uno strumento fondamentale affinché la Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie serva al contempo alla formazione di avanguardie complessive. Infatti costituisce l'alternativa (concreta e funzionale all'efficacia dell’attività) agli aspetti di spontaneismo, ideologismo, immediatismo, inesperienza a lavorare in modo organizzato e sul terreno politico-militare che attualmente sono mediamente presenti nei soggetti rivoluzionari.

Se il metodo politico-organizzativo è lo strumento per esprimere e costruire autonomia politico-operativa e per esercitare responsabilità politica, l'autonomia politica consiste nel rapportarsi autonomamente, nelle scelte che si devono compiere per condurre l’attività rivoluzionaria, al patrimonio collettivo che è espressione storica e politica dei termini generali del progetto rivoluzionario ed è in continuo sviluppo grazie al rapporto che l’attività rivoluzionaria innesca con la realtà e all’elaborazione teorica che si opera di essa e che si collega ai termini teorici storici. È un patrimonio che si concorre a definire in relazione alla propria specifica collocazione e al proprio specifico percorso e che comporta necessariamente partecipazione e dialettica, proprio al fine di sviluppare un patrimonio massimamente efficace per la trasformazione rivoluzionaria della realtà.

Il piano aggiornato con cui il patrimonio dell’organizzazione stabilisce una relazione storica con il progetto politico-strategico e la collocazione in questo quadro degli elementi di contraddizione e di avanzamento emersi nella attività svolta concorrono insieme a definire una "linea politica generale" che, riferendosi alle problematiche di fase, deve vivere in tutte le definizioni e realizzazioni programmatiche, per consentire quel movimento centralizzato in cui tutte le attività contribuiscono all'avanzamento complessivo. Questa linea ha poi diversi momenti di specificazione, nascenti dalle difficoltà che scaturiscono quando la si attua nei vari momenti.

Il metodo politico-organizzativo e il riferimento alla linea politica generale come orientamento relativo agli aspetti generali del quadro politico entro cui si colloca lo specifico nodo politico-organizzativo da affrontare costituiscono gli assi principali intorno a cui si formano le forze rivoluzionarie.

Rispetto alla costruzione delle forze rivoluzionarie, il loro impiego per realizzare i vari compiti del programma costituisce il piano centralizzato in cui si definiscono le attività che le forze devono condurre e la necessaria suddivisione delle responsabilità. Anche questo impiego delle forze deve essere fatto in conformità al progetto, combinando, nella definizione dei compiti, gli elementi che consentono l'efficacia nella realizzazione degli obiettivi programmati con l'avanzamento del complesso dei termini necessari per andare a sciogliere il nodo di fase, cioè la costruzione di un'Organizzazione Comunista Combat-tente che agisca da Partito per costruire il Partito, tra cui lo sviluppo dell'autonomia politico-operativa quale obiettivo legato a questo nodo e ai caratteri della tappa attuale.

Questa progettazione dell’impiego delle forze si dimostra efficace, sia sul piano delle realizzazioni programmatiche specifiche sia sul piano della costruzione politico-organizzativa, in misura proporzionale alla capacità, derivante dall’attività concreta e dalla sua analisi scientifica, di analizzare i compiti e le responsabilità, capendone il livello di complessità e di complementarità con altri compiti e ruoli.

In sintesi: ideologismo e spontaneismo, ed esecutivismo e genericismo come risultati dei primi, costituiscono limiti nella formazione dell'autonomia di classe che si pone sul piano rivoluzionario. Solo le fratture soggettive necessarie per l'assunzione di una responsabilità di avanguardia, l'adozione del metodo politico-organizzativo e il riferimento conseguente alla linea generale possono governare-superare questi limiti, mettendo in grado di assumere il metodo pratica-teoria-pratica come riferimento reale e non formale dell'attività rivoluzionaria, consentendo di costruire un patrimonio politico-operativo collettivo e di accedervi, consentendo di qualificare l'identità comunista e di stabilizzarla a livello di concezione della realtà e del proprio ruolo di avanguardia in essa.

Al contempo, la costruzione di una OCC si misura con la costruzione di quegli strumenti e passaggi politico-organizzativi che ne consentono la mobi-litazione e l'azione programmata (progettazione-programmazione-pianifica-zione-esecuzione-verifica). I caratteri di questi strumenti e passaggi vengono definiti nel processo pratica-teoria-pratica man mano che maturano quelle condizioni politiche e materiali che consentono di sperimentarli, di verificarli e di correggerli. Essi, a loro volta, costituiscono la concretizzazione di un metodo politico-organizzativo di lavoro collettivo, nel quale ogni compito, seppur parziale, costituisce momento di esercizio di un ruolo di avanguardia che collega, nella definizione degli obiettivi dell'agire e del modo di operare per conseguirli, l'aspetto della progettazione politica, cioè dell'articolazione funzionale della linea politica generale e del progetto, alla programmazione e pianificazione sviluppata con metodo scientifico, alla conduzione dell'esecu-zione, al bilancio e riadeguamento della attività, alla centralizzazione dei risultati, dei problemi e del patrimonio.

La pratica mostra che gli elementi fondamentali su cui avanza la ricostruzione di una forza rivoluzionaria sono: 1. la qualificazione dei caratteri d'avanguardia che si esprimono nella conduzione dell'attività a tutti i livelli, come espressione di autonomia politico-operativa e di assunzione di responsabilità complessiva, 2. la regolarizzazione degli apporti, 3. la militanza regolare.

Su questi poggia la possibilità di trasformare lo stadio aggregativo delle forze rivoluzionarie in Organizzazione Comunista Combattente. Questo è un processo che, per quanto abbia conseguito il significativo passaggio del rilancio dell'iniziativa combattente e dell'esercizio di un ruolo di direzione politica nello scontro, è solo avviato e ha come prossima tappa la costruzione di una OCC che agisca da Partito per costruire il Partito e che, in quanto tale, possa costituire il Nucleo Fondante il Partito.

[13. La proposta delle BR-PCC]

La costruzione di una OCC che agisce da Partito per costruire il Partito e che, in quanto tale, può costituire il Nucleo Fondante il Partito è perciò l'obiettivo che le BR-PCC propongono alle avan-guardie rivoluzionarie congiuntamente all'obiettivo della ricostruzione del com-plesso di strumenti politico-militari, teo-rici e organizzativi necessari al campo proletario per sostenere lo scontro pro-lungato con lo Stato per l'affermazione degli interessi generali della classe.

Parallelamente, alle forze e alle istanze rivoluzionarie e antimperialiste della nostra area geopolitica, le BR-PCC propongono la costruzione del Fronte Antimperialista Combattente per la realizzazione di attacchi convergenti e comuni contro le politiche centrali dell'imperialismo al fine di indebolirne il dominio, quadro entro cui sviluppare i processi rivoluzionari nei singoli paesi.

Attaccare e disarticolare il progetto neocorporativo, cuore politico della riorganizzazione dello Stato imperialista e della ristrutturazione economico-sociale in Italia!

Costruire le condizioni della Guerra di Classe di Lunga Durata per la conquista del potere politico e la dittatura del proletariato!

Rilanciare la prospettiva della presa del potere politico come sbocco alla crisi della borghesia e alla sua guerra e unico piano di avanzamento della lotta di classe!

Agire da Partito per costruire il Partito Comunista Combattente!

Attaccare la coesione europea che rafforza la BI nei confronti del proletariato del centro imperialista e dei paesi dominanti!

Attaccare la NATO e lo sviluppo della guerra imperialista!

Promuovere la costruzione del Fronte Combattente Antimperialista!

Trasformare la guerra imperialista in avanzamento della guerra di classe e rivoluzionaria!

Guerra alla guerra!

Onore a tutti i compagni e combattenti antimperialisti caduti!

Brigate Rosse per la costruzione del

Partito Comunista Combattente

Cronologia

 

Alcuni passaggi chiave della storia delle BR-PCC e degli NCC

dicembre 1981

Il Comitato Esecutivo delle BR decide di adottare il nome Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente.

dal 17.12.1981

al 28.01.1982

Sequestro di Dozier, generale USA, Comandante FTASE-NATO, Verona.

dicembre 1982

Opuscolo BR-PCC n.18, Portare l'attacco al cuore dello Stato, citato anche come Difesa della politica rivoluzionaria e ritirata strategica.

03.05.1983

Attacco contro G. Giugni, consulente del Ministero del Lavoro, PSI, Roma.

luglio 1983

Comunicato n.5 dei prigionieri, allegato agli atti del processo di Torino, pubblicato con il titolo Politica e rivoluzione (G. Maj Editore).

novembre 1984

Opuscolo Un'importante battaglia politica nell'avanguardia rivoluzionaria italiana.

27.03.1985

Attacco contro E. Tarantelli, docente di Economia Politica, consulente della CISL, Roma.

10.02.1986

Attacco contro L. Conti, ex sindaco di Firenze, dirigente e socio SMA, fabbrica di armi, dirigente PRI, Firenze.

14.02.1987

Esproprio di un furgone postale porta-valori, Via Prati di Papa, Roma.

16.04.1988

Attacco contro R. Ruffilli, senatore DC, consulente della Presidenza del Consiglio per le riforme istituzionali, docente universitario, Forlì.

17.10.1992

(NCC) Attacco contro la sede nazionale della Confindustria, Roma.

10.01.1994

(NCC) Attacco contro la sede del NATO Defense College, Roma.

20.05.1999

(NCC) Attacco contro M. D'Antona, consigliere legislativo del Ministro del Lavoro Bassolino e rappresentante dell'Esecutivo al tavolo permanente del "Patto per l'occupazione e lo sviluppo", Roma.

Indice

Legenda...................................................................................................2

Presentazione......................................................................................3

Un’illusione o una diversione? 3

La ricostruzione del partito comunista 7

Dal SIM al SIC? 14

1. Materialismo dialettico, materialismo storico e analisi della realtà 17

1.1. Il governo dell’economia e il governo del conflitto di classe 17

1.2. Contraddizioni tra gruppi e tra Stati imperialisti 18

1.3. Teoria marxista dello Stato 20

1.4. Crisi e crisi generale 21

2. Attacco e difesa 22

3. Qual è il compito principale che i rivoluzionari devono svolgere in questa

fase per far avanzare la rivoluzione socialista? 25

Perché una parafrasi? 26

 

Comunicato 27

1. Preambolo 27

2. Chi era Massimo D’Antona? 30

3. Tre piani inclinati 35

4. Il governo D’Alema e la costituzione del SIC (Stato Imperialista Corporativo) 39

5. La riforma economico-sociale 42

6. L’approfondimento della crisi-sviluppo dell’imperialismo: quadro internazionale 47

7. Il processo controrivoluzionario in Italia 56

8. Il tentativo di riforma fatto da De Mita - fine anni ‘80 63

9. Il nuovo progetto di riforma - anni ‘90, ossia la riforma economico-sociale 65

10. L’instabilità del quadro politico-istituzionale 74

11. Il quadro internazionale 80

12. Il programma delle BR-PCC 83

13. La proposta delle BR-PCC 109

Cronologia 111

 

L. 10.000