La Voce n. 13


Dal campo delle FSRS

 

La concezione comunista del mondo

 

Dal regno della libertà a quello della garanzia, di Fausto Marini

(fausto2811@supereva.it)

 

Raccomando la lettura e lo studio di questo opuscolo diffuso tramite internet e reperibile in www.bibliotecamarxista.org, datato settembre 2002. Assimilare la concezione comunista (marxista, materialista dialettica o proletaria che dir si voglia) del mondo (chiamata anche “ideologia del proletariato”) è di importanza decisiva per il buon esito della nostra lotta: per contribuire alla rinascita del movimento comunista nel mondo, per ricostruire un vero partito comunista nel nostro paese, per instaurare il socialismo. Nonostante alcune ingenuità (su cui ritornerò) e difetti di linguaggio che rendono l'esposizione oscura e difficile la comprensione di alcuni passaggi, l'opuscolo è uno strumento utile per assimilarla.

Anzitutto in esso l'autore mostra in modo chiaro che i principi base della concezione borghese dei rapporti sociali (libertà personale, eguaglianza degli individui, fraternità dei popoli) derivano dal modo di produzione capitalista, sono la sua sovrastruttura ideologica e sono conformi alla pratica dei protagonisti della società borghese: è il modo di pensare a cui la loro pratica porta i borghesi e sono i principi a cui i borghesi hanno bisogno che siano conformi le leggi e le regole della vita sociale per svolgere tranquillamente i loro traffici. Egli illustra il ruolo progressivo che il modo di produzione capitalista ha avuto nella storia umana rispetto al modo di produzione schiavista e feudale e come ciò si rifletta nell'ideologia borghese. In linea di principio l'individuo è stato liberato dai rapporti di dipendenza personale da altri individui e anche da legami personali di famiglia, clan, nazione e razza che avevano caratterizzato tutte le precedenti società di classe e avevano ristretto ogni sviluppo in cerchi poco o per nulla comunicanti. Nella società borghese gli individui non dipendono più personalmente l'uno dall'altro, la reciproca dipendenza si esprime tramite cose (producendo, vendendo e comperando merci) e consiste nello scambio di cose per cui le cose hanno finito per svolgere nella vita sociale ruoli a prima vista misteriosi. In linea di principio gli individui sono soggetti tutti alle stesse eguali leggi per tutti: cessano di esistere individui privilegiati per nascita, per sangue (nobili) o per investitura divina (clero), per ceto (membri di corporazioni). In linea di principio tutti i popoli sono “fratelli”: cessano di esistere popoli eletti. È particolarmente importante il fatto che l'autore si attenga esplicitamente alle “questioni di principio”, benché riconosca che nella pratica la reale differenza di classe insita nella società borghese tra proprietari del capitale e proprietari solamente della propria forza-lavoro (proletari) abbia di molto attenuato la realizzazione effettiva della libertà, eguaglianza e fraternità proclamate. Egli dà cioè per scontata una società borghese che incarna pienamente i principi ideologici desunti astraendo dai limiti contingenti e particolari di ogni concreta società borghese. Quindi elimina a priori il terreno per ogni discorso riformista, teso cioè a creare un “mondo migliore” attuando pienamente gli ideali e i valori borghesi, dato che ipotizza che essi siano già pienamente attuati: dà per già fatto tutto quanto è possibile ipotizzare di meglio nell'ambito di una società borghese.

L'autore mostra poi come, dato che la società comunista supera la società borghese nella linea del progresso storico dell'umanità, l'ideologia proletaria superi la ideologia borghese: ne conserva i progressi rispetto alle società precedenti e ne supera i limiti. Gli uomini si rapportano tra loro direttamente (non più tramite cose), ma come membri a parte eguale della stessa società mondiale. In essa la effettiva fruizione da parte di ogni individuo dei beni materiali e intellettuali di cui la società dispone trasforma la libertà da vincoli di dipendenza personale in garanzia che la società (cioè gli individui organizzati) dà a ogni individuo – a ognuno secondo i suoi bisogni; l'uguaglianza degli individui diventa responsabilità di ogni individuo di fronte alla società in conformità alle sue capacità e ai suoi ruoli che in linea di principio differiscono da quelli di altri individui – da ognuno secondo le sue capacità; la fraternità tra i popoli diventa collaborazione tra popoli e paesi in linea di principio diversi nella loro identità. In conclusione l'autore fa notare che i nuovi legami sociali conferiscono alle masse popolari una forza mai prima avuta: cosa che l'esperienza dei primi paesi socialisti ha pienamente mostrato (ma questo l'autore non lo dice).

Quali sono i limiti principali dell'opuscolo, quelli che sopra ho chiamato ingenuità? Principalmente tre.

In primo luogo l'autore nega o ignora che i classici del marxismo, Marx, Engels, Lenin, Mao (l'autore esclude dal novero Stalin, senza neanche spiegare perché: forse che l'antistalinismo alligna anche lì?) hanno fin dall'inizio del movimento comunista in quanto movimento organizzato e consapevole (cioè dal Manifesto del 1848) iniziato a formalizzare (cioè ad esporre esplicitamente) l'ideologia del proletariato. L'AntiDühring di Engels è tutto espressamente dedicato a esporre l'ideologia del proletariato. L'autore affronta invece la sua esposizione come se chi oggi espone l'ideologia del proletariato fosse “come un bambino che muove i primi passi, stentati e traballanti, i primi senza i punti di appoggio – che, nel nostro caso, sono il lavoro dei classici del marxismo” che quindi secondo l'autore non avrebbero esposto anch'essi l'ideologia del proletariato.

In secondo luogo egli passa completamente sotto silenzio l'esperienza storica dei primi paesi socialisti: l'Unione Sovietica, la Repubblica popolare cinese e gli altri. Nella loro esperienza non solo si vede quella ideologia all'opera, ma essi proprio per le necessità della loro vita hanno esposto ampiamente l'ideologia del proletariato in saggi, versi, film, racconti, canzoni, arti figurative e danze. Ignorarli è conformarsi alla campagna di oblio e di denigrazione con cui la borghesia cerca di cancellarne il ricordo e l'eredità. Mentre essi sono una grande miniera di esperienze e insegnamenti per i comunisti di oggi. La borghesia ha buoni motivi per cercare di cancellarli dalla memoria. Noi invece abbiamo buoni motivi per studiare e far conoscere la loro esperienza.

In terzo luogo egli nega il ruolo del partito comunista, benché lo faccia nella forma contorta e ambigua della polemica contro i “capi” che riflette il contrasto tra due tendenze (antipartito e partitista) che convivono nell'autore e di cui egli in qualche misura si mostra anche consapevole. Egli riprende quasi come cosa ovvia la tesi che oggi la classe operaia e le masse popolari non hanno più bisogno di partito (egli dice di “capi”). Tesi che la realtà che ha sotto il naso e il ruolo che lui stesso cerca di esercitare smentiscono risolutamente. Se si fosse dato il compito di dimostrare la sua tesi alla luce dell'esperienza pratica, certamente si sarebbe accorto della sua inconsistenza: da dove viene infatti la difficoltà che oggi le masse popolari incontrano a lottare e a pensare sistematicamente in modo conforme ai propri interessi se non dalla mancanza di un partito che a questo le educhi e le guidi sistematicamente? L'autore farebbe cosa utile a sé e a noi se meditasse le tesi espresse in proposito da Lenin nel cap. 5 di L'estremismo malattia infantile del comunismo (1919) o quelle espresse da Mao nello scritto Alcune questioni riguardanti i metodi di direzione (1943) e le confutasse apertamente alla luce della situazione attuale (e spiegasse anche cosa è che in questa fase rende relativamente debole la lotta della classe operaia e in generale delle masse popolari per i propri interessi e come porvi rimedio).

A mio parere i tre limiti sono tra loro collegati. È il “movimento degli anni '70” che considerò se stesso come l'inizio della lotta per il comunismo e come cosa senza valore e senza senso quanto era stato fatto nei 120 anni precedenti. In realtà proprio perché non riconosce il suo legame con il vecchio movimento comunista ha avuto e ha ancora difficoltà a tramutarsi nel nuovo movimento comunista.

Infine due quesiti all'autore:

1. “L'uomo cerca la libertà (nel senso borghese del termine)”: affermazione che è valida solo per il “periodo storico che va dal dominio formale al dominio reale del capitale”. A quale periodo si riferisce? Che vuole dire?

2. L'imperialismo sarebbe pervenuto “al suo stadio finale superiore”: cosa vuole dire?

Ferme restando queste critiche, anzi con queste critiche, confermo il consiglio di leggere l'opuscolo di Fausto Marini e mi auguro che l'autore voglia proseguire nella sua attività di “capo” e svolgerla sempre meglio.

Miriam R.