La Voce n. 13


I Comitati di Partito all'opera

 

Sulla tattica - Comitato Comune di Parigi

Cari compagni della CP,

un saluto da parte di tutti i membri del Comitato Comune di Parigi del (nuovo)Partito comunista italiano. Nei mesi passati abbiamo discusso a fondo, come facciamo oramai quasi regolarmente per ogni numero della rivista, gli scritti del n. 12. In particolare abbiamo discusso a lungo su un passo della Risoluzione della 4° riunione allargata della CP. Il passo che dice testualmente: “I tentativi fatti dai partiti comunisti della prima Internazionale Comunista per sviluppare la rivoluzione socialista nei paesi imperialisti [dell'Europa Occidentale] hanno mostrato e confermato che non è possibile che l'accumulazione delle forze rivoluzionarie [necessaria per instaurare il socialismo] avvenga né solamente né principalmente tramite l'inserimento del movimento comunista cosciente e organizzato (il partito comunista e le organizzazioni di massa da esso dirette) nella lotta che i partiti e le altre organizzazioni e gruppi della borghesia conducono tra loro per accaparrarsi la direzione politica del paese.” (La Voce n. 12 pag. 56, colonna 2 in fondo). Vogliamo qui riassumere i risultati della nostra discussione. Sarà anche un nostro contributo alla formulazione definitiva del Manifesto Programma del partito (formuleremo nei prossimi giorni una proposta precisa per il nuovo progetto di MP, in risposta all'invito che avete fatto nello stesso numero a pag. 7).

La conclusione della nostra discussione è che, viste le concezioni e gli stati d'animo correnti in Italia, è utile aggiungere che quei tentativi dimostrano e confermano che però quell'inserimento è in linea generale indispensabile, è condizione necessaria ma non sufficiente per l'accumulazione delle forze rivoluzionarie e lo sviluppo della guerra popolare rivoluzionaria. Ecco i ragionamenti che ci hanno portato a questa conclusione, nella quale ovviamente abbiamo tenuto conto anche del PMP e di tutti i lavori pubblicati su La Voce, ma in particolare di un articolo del n. 10 (L'attività della prima Internazionale Comunista in Europa e il maoismo) e di uno del n. 2 (Il ruolo storico dell'Internazionale Comunista - Le conquiste e i limiti).

Nel 1921 l'Internazionale Comunista prese atto che senza un adeguato partito comunista era impossibile la vittoria della rivoluzione socialista, cioè l'instaurazione immediata della dittatura del proletariato. Furono le dure lezioni del 1919 e 1920 soprattutto in Germania, Ungheria, Italia, Austria e in altri paesi dell'Europa centrale e orientale che dissiparono le illusioni al riguardo nutrite nell'Internazionale Comunista, anche da Lenin. Esse avevano confermato invece la tesi espressa da Engels nel 1895, che per il successo della rivoluzione socialista era necessaria una determinata accumulazione di forze rivoluzionarie già in seno alla società borghese. Quale fosse la “determinata” (quale e quanta) accumulazione di forze rivoluzionarie necessaria, Engels non lo aveva detto e forse non lo vedeva neanche chiaramente. I temi della sua continua anche se bonaria polemica con i capi della socialdemocrazia tedesca che dopo la decadenza nel 1890 delle leggi antisocialiste aveva abbandonato il lavoro clandestino (in sostanza li critica sempre per il loro legalitarismo), indica però chiaramente che l'accumulazione delle forze che la sua esperienza gli faceva ritenere necessaria non si limitava all'inserimento nella lotta politica del Reich tedesco sottostando alle regole e alla costituzione di esso ed era funzionale all'inevitabile momento in cui la borghesia avrebbe “rotto essa stessa la sua legalità”.

Dopo il 1921 l'Internazionale elaborò in successione due tattiche per arrivare all'instaurazione del socialismo in Europa: prima la tattica del governo operaio e contadino (IV congresso, 1922), poi la tattica del governo di Fronte Popolare Antifascista (VII congresso, 1935). Ambedue le tattiche implicano “l'inserimento del movimento comunista cosciente e organizzato (il partito comunista e le organizzazioni di massa da esso dirette) nella lotta che i partiti e le altre organizzazioni e gruppi della borghesia conducono tra loro per accaparrarsi la direzione politica del paese”, ma in situazioni politiche nettamente diverse quanto alla relazione tra mobilitazione rivoluzionaria delle masse e mobilitazione reazionaria delle masse. Anche l'autocritica fatta dal Partito comunista d'Italia per la concezione arretrata e la linea sbagliata con cui aveva contrastato l'ascesa del fascismo al potere (1921-1922) e la dimostrazione in positivo di quale doveva essere la concezione con cui elaborare la linea da seguire data dopo il delitto Matteotti (giugno 1924) forniscono materiale utile per capire questa questione. Lo si vede chiaramente nel verbale dell'intervento di A. Gramsci alla Commissione Politica del Congresso di Lione (gennaio 1926) riportato in La costruzione del partito comunista 1923-1926, ed. Einaudi 1974 pag. 481-488. È bene ricordare che la linea seguita dopo il delitto Matteotti rafforzò rapidamente il partito che da 10.000 iscritti nell'aprile 1924 al momento delle elezioni in cui raccolse 300.000 voti, passò a 40.000 iscritti nell'aprile 1925.

In sostanza la storia ha dimostrato che nei paesi imperialisti la tattica dell'inserimento del partito comunista nelle lotte politiche della società borghese era una tattica giusta per arrivare alla guerra civile, cioè per portare in massa la classe operaia e le masse popolari sul terreno della guerra civile. La conferma più brillante che quella tattica era giusta la si ebbe in Spagna nel 1936. Grazie alla linea del Fronte Popolare Antifascista un partito comunista ancora debole nel giro di poco tempo divenne un grande partito alla testa di un ampio schieramento di masse popolari che suscitò contro di sé una reazione potente a livello nazionale e internazionale, a cui, nonostante numerosi errori e i limiti dell'epoca, tenne testa per quasi tre anni. È istruttivo confrontare il corso degli avvenimenti durante l'insurrezione delle Asturie (1934) in cui la classe operaia rimase isolata, con il corso degli avvenimenti della guerra civile 1936-1939. Nell'opuscolo La guerra di Spagna, il PCE e l'Internazionale Comunista (Edizioni Rapporti Sociali) vi è un bilancio istruttivo di quegli avvenimenti.

Quello che di negativo si osserva durante il periodo della prima Internazionale Comunista (1919-1943) e negli anni della seconda guerra mondiale e immediatamente successivi, nell'attività dei partiti comunisti dei principali paesi europei, è da una parte esitazioni e timidezza nel praticare la tattica dell'inserimento e dall'altra impreparazione ad affrontare la guerra civile quando la tattica dell'inserimento dà i suoi risultati. Insomma la difficoltà di combinare dialetticamente l'essere dentro il sistema con l'essere contro il sistema. In generale in ogni paese i nuovi partiti comunisti mantengono al loro interno due anime che non si scontrano mai apertamente, ma si contrappongono esternamente (senza che l'una capisca il positivo e il negativo dell'altra), si tollerano reciprocamente e si alternano alla guida del partito. Ufficialmente da una parte vi è una destra che in qualche misura è ancora vicina alla concezione socialdemocratica della lotta politica nella società borghese, concepisce il governo “operaio e contadino” prima e poi il “governo del Fronte Popolare” come uno stabile governo progressista, come il punto di arrivo delle lotte rivendicative piuttosto che come il punto di partenza della guerra per la conquista del potere, non concepisce l'inserimento come passaggio necessario per portare in massa la classe operaia e le masse popolari sul terreno della guerra civile. Essa guida il partito nella fase di inserimento e, quando arriva al governo, si pone sulla difensiva e subisce il ricatto della borghesia che minaccia la guerra civile. Dall'altra vi è una sinistra che resta legata alla concezione della presa del potere come insurrezione popolare nel corso della quale il partito comunista, che vi ha partecipato come gli altri partiti, prende il potere in quanto partito più radicale tra tutti i partiti rivoluzionari. Essa non ha una tattica per portare in massa la classe operaia e le masse popolari sul terreno della guerra civile, aspetta l'ora X, ma guida il partito quando si ricorre alle armi. Così si determina da una parte una applicazione fiacca e timida dell'inserimento e dall'altra l'impreparazione alla guerra civile. E quando si è alle armi, una concezione militarista della guerra. Abbiamo studiato la vicenda di Paul Levi nel Partito comunista tedesco (1919-1920), le ripetute insurrezioni tentate in Germania negli anni '20, l'episodio di Gramsci e la sua tesi della “costituente” (1930), la costituzione del governo del Fronte Popolare e la Resistenza in Francia (1936-1945), la Resistenza in Italia e abbiamo dovunque riscontrato un analogo fenomeno. Le due anime non arrivano mai a uno scontro aperto e risolutivo sulla linea da seguire. Chi è per il Fronte Popolare è contro la guerra civile (non prepara il partito ad affrontarla), chi è per la guerra civile è contro il Fronte Popolare (non usa con creatività, spregiudicatezza e spirito di classe l'inserimento nella lotta politica della società borghese per portare le masse popolari sul terreno della guerra civile). Nella fase dell'inserimento gli accordi e le manovre tra personaggi hanno un ruolo sproporzionato alla loro efficacia reale ed escludono la mobilitazione delle masse (da ricordare che invece nel settembre 1917 il partito di Lenin in Russia mobilitò le masse per salvare il governo Kerenski dal colpo di Stato tentato dal generale Kornilov), il partito non si pone anche in questa fase come portavoce della volontà della classe operaia e non si fa interprete coerente dello stato d'animo reale della classe operaia. Dall'altra parte la guerra è vista principalmente come questione di corpi separati addestrati all'uso delle armi in attesa dello scontro. Quindi il partito non approda mai ad una combinazione dialettica tra inserimento e guerra civile: manca la concezione della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata come sintesi e soluzione di quel contrasto e linea coerente con le leggi di sviluppo del movimento politico reale.

La conduzione della guerra popolare rivoluzionaria in un paese come l'Italia ci pone e ci porrà di fronte a un problema analogo. Per riuscire questa volta a risolverlo meglio, bisogna incominciare dall'educare il partito ad avere una concezione materialista dialettica e ad applicarla fino in fondo, radicalmente e coerentemente con le leggi del movimento reale. Bisogna inserirsi radicalmente per creare le condizioni della guerra civile e prepararsi a condurre con successo la guerra civile portando fino in fondo, alle sue estreme conseguenze, l'inserimento della classe operaia e delle masse popolari nella lotta politica della società borghese. Quindi essere contemporaneamente fuori e contro, radicalmente. L'inserimento delle masse popolari nella lotta politica della società borghese, finché resta a metà strada, gioca contro lo schieramento delle masse popolari sul terreno rivoluzionario. Se portato fino alle estreme conseguenze da un partito veramente comunista, sfocia inevitabilmente nella guerra civile, come l'esperienza dell'applicazione della linea del Fronte Popolare Antifascista ha dimostrato.

La forza determinante e decisiva per l'eliminazione dell'attuale ordinamento sociale sono le masse popolari. Ma per mobilitare le masse popolari occorre, oltre al concorso di circostanze che non possiamo determinare noi (dobbiamo solo vederle, capirle e sfruttarle) e neanche completamente prevedere, il lavoro di compagni e organismi che fin da oggi si propongono non di sostituirsi alle masse, ma di realizzare quella mobilitazione e lavorano concretamente e in modo efficace a realizzarla. A questo concorre e deve concorrere tutta l'attività del partito in tutti i campi: l'organizzazione che lo radica capillarmente in particolare nella classe operaia, l'attività rivendicativa e l'attività sindacale che indirettamente unisce ampie masse attorno al partito, la propaganda che crea un orientamento rivoluzionario nella parte più avanzata delle masse popolari, la manovra politica che sfrutta e promuove la disgregazione delle forze borghesi e del regime, il rafforzamento del lavoro clandestino del partito.

Quando a seguito di questo lavoro e del concorso delle circostanze oggettive (il procedere della crisi, l'azione della borghesia, ecc.) si sarà determinata una vasta mobilitazione delle masse, anche in quella fase il partito potrà svolgere la sua parte solo se quei compagni e quegli organismi avranno, nella fase preparatoria, costruito quella rete di collegamenti e di influenza e quegli strumenti indispensabili perché le masse mobilitate facciano fronte con successo alla lotta aperta e camuffata che la borghesia imperialista opporrà su ogni piano: dalla repressione, alla diversione, alla divisione, all'informazione, all'orientamento.

I compagni e gli organismi il cui lavoro abbiamo sopra indicato costituiscono il partito comunista e gli elementi avanzati delle altre classi delle masse popolari che collaborano con esso.

Solo seguendo questa linea potremo realizzare sia la mobilitazione pacifica sia la mobilitazione armata delle masse popolari e far in modo che le masse mobilitate eliminino l'attuale ordinamento sociale e instaurino il socialismo.

A questo fine occorre lavorare dentro e fuori degli ordinamenti politici attuali. Occorre lavorare al di fuori e contro di essi e occorre lavorare all'interno di essi. La combinazione dei due lavori è essenziale lungo tutto il periodo della rivoluzione, fino all'instaurazione del socialismo. La forma della combinazione, il ruolo di ognuno dei due tipi di lavoro, la loro relativa importanza e la relazione tra i due cambiano di fase in fase.

Gli opportunisti di destra non capiscono che è essenziale iniziare fin d'ora il lavoro all'esterno dell'attuale ordinamento politico, che questo lavoro non si improvvisa, che dobbiamo imparare a condurlo professionalmente facendolo, che questo lavoro ha un ruolo strategico. L'autonomia organizzativa del partito dalla borghesia è essenziale quanto l'autonomia ideologica.

I militaristi e in generale gli estremisti di sinistra non capiscono che è indispensabile svolgere anche il lavoro all'interno dell'ordinamento politico attuale. Tanto più necessario quanto più le masse popolari hanno nella pratica una qualche fiducia in esso, quanto più le forze rivoluzionarie sono ancora deboli. Essi reagiscono con delle sparate a questa debolezza dell'organizzazione del partito e dell'orientamento che esso riesce a dare alle masse popolari. Ma le sparate non migliorano né l'organizzazione del partito né l'orientamento delle masse: abbiamo sotto il naso a iosa avvenimenti pratici che lo confermano. Quelli che hanno tanta paura che questo lavoro corrompa le nostre forze da opporsi a questo lavoro, sopravvalutano la forza della borghesia, sottovalutano l'antagonismo di interessi tra le masse popolari e la borghesia imperialista. La corruzione è un aspetto inevitabile della lotta tra la classe operaia e la borghesia (anche molti membri delle OCC si sono lasciati corrompere dalla borghesia): non c'è un talismano che impedisce alla borghesia di esercitare la sua influenza nelle nostre fila. Bisogna combattere costantemente e sistematicamente la sua influenza, con metodi adatti a seconda del tipo di influenza e della fase. Credere di esserne immuni e di avere reso immuni le proprie fila, è aprirle la strada.

Il lavoro all'interno delle istituzioni non si riduce al lavoro di infiltrazione e di cospirazione. Nella misura in cui è infiltrazione e cospirazione esso mira principalmente a indebolire le forze della borghesia e appartiene al lavoro dall’esterno, o fa parte delle manovre e degli accordi con personaggi e dell'aspetto individuale (cioè concentrato sugli individui) della lotta. Il lavoro all'interno delle istituzioni è principalmente costituito dalla partecipazione alle campagne elettorali, alle assemblee elettive, alle lotte rivendicative e sindacali, alle mobilitazioni di piazza e di strada, alle assemblee popolari, alle organizzazioni popolari, alle lotte per orientare l'opinione pubblica e ad altri momenti e istituzioni della vita politica e culturale della società borghese. Esso mira principalmente a distruggere la fiducia delle masse  popolari in queste istituzioni e in questi istituti e in generale nella borghesia, a portare le masse popolari a contrapporsi alla borghesia e alle istituzioni del suo potere, a mettere il partito (direttamente o attraverso le sue organizzazioni pubbliche e di massa) al centro delle rivendicazioni e del movimento delle masse popolari, a educare il partito a essere forza dirigente delle masse in ogni circostanza, pacifica e non pacifica, del movimento politico del paese, a costringere la borghesia a scendere sul terreno della guerra civile se non si rassegna a perdere il potere.

Tra i due tipi di lavoro non esiste una “muraglia cinese”. Essi costituiscono una unità di opposti. Ora predomina l'uno ora predomina l'altro. L'uno influenza l'altro. L'uno si trasforma nell'altro.

In questo campo, a nostro parare è molto istruttivo lo scritto di Lenin A proposito dell'opuscolo di Junius (Rosa Luxemburg), luglio 1916. In esso Lenin sviluppa a proposito della Germania (paese di cui aveva seguito abbastanza da vicino e su un lungo periodo il movimento politico) delle tesi importanti sulla linea da seguire. Queste tesi contrastano nettamente con quelle indicate ad esempio da Duclos (PCF) nella presentazione degli scritti di Dimitrov (e citate nello scritto Quale partito comunista? di La Voce n. 1 pag. 29).

Lenin parla dell'azione di un partito comunista (“il marxismo rivoluzionario”) nel vivo di una situazione rivoluzionaria in sviluppo e dice che “il maggior difetto di tutto il marxismo rivoluzionario in Germania è la mancanza di una salda organizzazione illegale che propugni la sua linea in modo sistematico ed educhi le masse in conformità ai nuovi compiti”. In effetti la socialdemocrazia tedesca dopo la decadenza delle leggi straordinarie contro il socialismo (1890) aveva abbandonato l’organizzazione clandestina. E più avanti dice che “nello scritto di Junius si sente il compagno isolato, che non è membro né è collegato a una organizzazione illegale, abituata a elaborare fin in fondo le parole d'ordine rivoluzionarie e a educare sistematicamente le masse secondo il loro spirito”. Se si accosta questo a quanto Lenin aveva detto qualche anno prima (“Quanto alla forma, l'organizzazione illegale si adatta all'organizzazione legale, ma quanto al contenuto è l'organizzazione legale che si conforma sempre più all'organizzazione illegale” in Il partito illegale e il lavoro legale, novembre 1912), ne risulta che Lenin propugnava anche per la Germania la necessità di un'organizzazione illegale abituata a elaborare fino in fondo le sue parole d'ordine e ad educare sistematicamente le masse secondo il loro spirito e organizzazioni legali sempre meglio funzionali alla realizzazione delle parole d'ordine dell'organizzazione illegale. Tuttavia quando si tratta della tattica politica da seguire nell'immediato, Lenin indica che la socialdemocrazia tedesca doveva fare “azioni sistematiche, conseguenti, pratiche, assolutamente attuabili qualunque fosse il ritmo di sviluppo della crisi rivoluzionaria, conformi alla linea della rivoluzione che va maturando. Queste azioni sono elencate nella risoluzione del nostro partito: 1. in Parlamento votare contro i crediti di guerra, 2. spezzare la “pace civile”, 3. creare un'organizzazione illegale [di cui la socialdemocrazia tedesca era priva], 4. realizzare la fraternizzazione dei soldati, 5. appoggiare tutti i movimenti rivoluzionari delle masse. Il successo di tutti questi passi conduce inevitabilmente alla guerra civile”. Lenin mette in guardia il partito dal “fare esso la rivoluzione”!

Alla luce di quanto abbiamo fin qui detto, ci pare che anche l'espressione usata nel passo da cui siamo partiti della Risoluzione della CP, “i partiti e le altre organizzazioni e gruppi della borghesia”, nella nostra situazione lasci aperta la strada ad equivoci. Se vogliamo (e dobbiamo) inserirci nella lotta che questi partiti e organizzazioni conducono tra loro e smascherarli ecc., occorre comprendere e mettere in luce anche la diversità tra loro, non solo l'unità. La qualificazione è fondamentalmente giusta, ma può facilmente portare fuori strada, perché mette in luce solo l'unità. Cancella e nasconde che i gruppi imperialisti litigano tra loro per motivi politici (quale è il modo più efficace per tenere sottomesse le masse?) e per motivi economici (ogni gruppo imperialista vuole fare la parte del leone). Ciò porta a divisioni politiche continue delle forze politiche che direttamente o indirettamente, per motivi oggettivi d'interesse o perché ne subiscono l'influenza ideologica, fanno capo alla borghesia. La formula usata porta a considerare che tutti i partiti e gruppi politici e d'influenza politica (le lobby) diversi dal partito comunista e dalle sue organizzazioni di massa siano sullo stesso piano, come un unico e compatto blocco reazionario, come un solo partito, appunto, “della borghesia”. Tatticamente - e qui parliamo della tattica - sarebbe una concezione sbagliata, paralizzante.

Ci rendiamo conto che l'esposizione della nostra discussione ha assunto le dimensioni e il tono di un articolo. Crediamo però che sia utile porre in chiaro tra noi comunisti queste questioni. (...)

 

La redazione di La Voce è completamente d'accordo che bisogna porre in chiaro queste questioni e quindi pubblichiamo la lettera-articolo, perché tutti i “costruttori del partito” si investano del problema posto.

 


manchette:

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